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Caratteristiche, opportunità e risch

La società della conoscenza Closed data e trasparenza

2.1. La società della conoscenza

2.1.1. Caratteristiche, opportunità e risch

Solo in epoca recente il benessere e lo sviluppo umano hanno iniziato a dipendere in modo significativo dalla gestione del ciclo dell’informazione, dai servizi basati sui dati e dall’accesso al bene della conoscenza.

La società odierna, dominata dai dati e dall’informazione, si muove nello spazio pubblico comune di Internet caratterizzato dal paradigma della conoscenza: l’economia stessa oggi è basata sui dati, come da anni chiariscono con consapevolezza anche i documenti dell’Unione europea213.

213 In tal senso diverse comunicazioni della Commissione europea, quali «Dati aperti. Un motore per

l’innovazione, la crescita e una governance trasparente», COM(2011) 882 def. del 12 dicembre 2011,

«Verso una florida economia basata sui dati» COM(2014) 442 final del 2 luglio 2014 e «Costruire

un’economia dei dati europea» COM(2017) 9 final del 10 gennaio 2017, che interpreta i dati quale

«risorsa essenziale per la crescita economica, la creazione di posti di lavoro e il progresso sociale. L’analisi dei dati facilita l’ottimizzazione di processi e decisioni, l’innovazione e la predizione di eventi futuri».

71 Di conseguenza, la società postindustriale viene definita, come esaminato, quale società “dell’informazione e della conoscenza”. I due termini dell’endiadi, lungi dall’essere sinonimi, si differenziano: se nell’esordio della società contemporanea prevale il primo, negli sviluppi che si delineano emerge come tratto caratterizzante e valore da perseguire il secondo, la conoscenza rispetto all’informazione214.

Le informazioni sono definite generalmente come dati, formati in base a una sintassi, dotati di significato (informazione = dati + significato)215. La conoscenza si basa su informazioni, ma necessita di ulteriori fattori, quali il processo cognitivo e l’elaborazione “intelligente”, la comprensione e l’applicazione all’esperienza: di conseguenza, si colloca a un livello gerarchico superiore e possiede un maggiore valore rispetto al dato e all’informazione. Il solo insieme di informazioni non è necessariamente sinonimo di conoscenza216.

214 Cfr. S. RODOTÀ, Il diritto di avere diritti, cit., p. 130 ss. e G.BOMBELLI, Tecnologia, diritto,

antropologia: appunti sull’Information (Knowledge) Society, in M.MEGALE (a cura di), ICT e diritto

nella società dell’informazione, Giappichelli, Torino, 2012, p. 22 ss., secondo cui l’informazione

(information) non coincide con la conoscenza (knowledge) e la società della conoscenza riposa su presupposti teorici più impegnativi della società dell’informazione, relativi a un modello antropologico e a un’idea di società.

215 Cfr. L.FLORIDI, La rivoluzione dell’informazione, cit., p. 3 ss., secondo cui il dato «è riducibile, in ultima analisi, a una mancanza di uniformità» (p. 27). I dati digitali possono essere definiti anche come dati binari, in quanto di regola codificati in bit (binary digit), l’unità minima di informazione, che consiste nella presenza o assenza di un segnale, 0 o 1 (una serie di 8 bit forma il byte – by eight); la quantità di

byte è calcolata dal sistema binario. L’informazione consiste in differenti tipologie di dati (primari,

secondari, metadati, operativi, derivati) e assume diverse qualificazioni (ambientale, matematica, semantica, fisica, biologica, economica). Dello stesso avviso U. PAGALLO, Il diritto nell’età

dell’informazione. Il riposizionamento tecnologico degli ordinamenti giuridici tra complessità sociale, lotta per il potere e tutela dei diritti, Giappichelli, Torino, 2014, p. 35: i dati possono essere intesi come

mancanza di uniformità nel mondo reale, a cui viene attribuito un significato determinato; l’informazione semantica si basa su dati dotati di significato.

216 Cfr. B. C.HAN, op. cit., p. 9 ss.: «Un mondo che consistesse solo di informazioni e che definisse comunicazione la loro circolazione indisturbata, assomiglierebbe a una macchina» (p. 11). Secondo l’Autore «un aumento di informazioni non porta necessariamente a scelte migliori. L’intuizione, per esempio, trascende le informazioni disponibili e segue una propria logica. A causa della crescente, e anzi esorbitante massa di informazioni, si atrofizza la capacità superiore di giudizio. Spesso un meno di sapere e di informazione implica un più» (pp. 14-15). Cfr. E.GIOVANNINI, op. cit., p. 59 ss., che in relazione

72 Per prendere decisioni occorre conoscere, secondo il famoso adagio «conoscere per deliberare» di Einaudi217. Più ampiamente, è necessario conoscere per vivere il proprio spazio decisionale, economico e sociale218 e per esercitare consapevolmente i propri diritti e libertà. Pertanto l’accesso alla conoscenza manifesta un legame saldo con la persona e i suoi diritti: è determinante per garantire le libertà fondamentali nella nuova realtà digitale e si salda fortemente con altri diritti quali la libertà di informazione, lo sviluppo culturale e più ampiamente lo svolgimento stesso della personalità. A contrario, di conseguenza, la mancata conoscenza può arrivare a minare le fondamenta del modello democratico219.

Il web stesso nella sua evoluzione diventa web of data, che collega dati piuttosto che documenti, e web semantico, che permette di conoscere e facilita la conoscenza220.

all’informazione statistica per trasformare i dati in conoscenza sottolinea l’importanza di alcuni fattori quali la quantità di dati prodotti, il ruolo dei media nella diffusione e presentazione, la rilevanza per gli utenti e la fiducia nel produttore dei dati; accanto a questi «l’aumento di conoscenza dipende anche dalla capacità degli individui di trattare dati statistici e di trarre da questi ultimi elementi concreti di conoscenza» (p. 59). Di conseguenza l’Autore sottolinea la complessità della relazione tra informazione statistica e conoscenza, individuale e collettiva: produrre informazione statistica non si traduce necessariamente in avanzamento della conoscenza collettiva, dato che «la catena di comportamenti che lega la produzione del dato e l’accrescimento della conoscenza è articolata e complessa, e coinvolge numerosi soggetti, portatori di interessi particolari, per quanto legittimi. E tutto questo può diventare pericoloso per il funzionamento di una società» (p. 63).

217 L.EINAUDI, Prediche inutili. Dispensa 1: Conoscere per deliberare, Einaudi, Torino, 1956, pp. 3- 14.

218 Cfr. E.GIOVANNINI, op. cit., p. 83. 219 Cfr. E.GIOVANNINI, op. cit., p. 87 ss.

220 T.AGNOLONI, Linked Open Data nel dominio giuridico, in Informatica e diritto, nn. 1-2, 2011, p. 411 ss. riporta la convinzione di Tim Berners Lee, inventore del Semantic Web, che consiste nel fatto che l’evoluzione di Internet è rappresentata dal passaggio da una rete di documenti a una rete di dati. Secondo la definizione di Tim Berners Lee il Semantic Web consiste in un’evoluzione del web in cui le informazioni hanno un preciso significato e in cui computer e utenti lavorano in cooperazione; si tratta di un web in cui agiscono applicazioni in grado di comprendere il significato delle risorse in rete e guidare pertanto l’utente o sostituirsi allo stesso nello svolgimento di alcune operazioni. Secondo G.MODESTI,

Open data e privacy. La creazione di un programma aziendale per governare il processo di gestione dei dati, in Quaderni amministrativi, fasc. 2-3, 2016, p. 29 il web semantico indica un «insieme di modelli e

standard Web in cui le risorse vengono descritte e correlate fra loro in modo formale attraverso l’uso opportuno di metadati. In questo modo si abilitano gli agenti automatici a comprendere il significato dei

73 Dunque si parla di società della conoscenza per voler connotare uno stadio evolutivo (ancora da raggiungere, a dire il vero) capace di andare oltre il rumore e il caos prodotto dal flusso continuo di dati e informazioni e di approdare all’ordine della conoscenza, che porta con sé pluralismo informativo, consapevolezza, indipendenza e democrazia221. A tal fine la società contemporanea deve essere capace di “ascoltare”, leggere e usare i dati e le informazioni222.

Tutto questo si avvalora ulteriormente nelle evoluzioni significative e recenti che riguardano il cambiamento del rapporto tra mondo dei beni e delle persone223: il digitale si diffonde negli oggetti e fa saltare la soglia rassicurante tra mondo digitale (cui si accede con il login) e mondo analogico (dove si approda dopo il logout)224, a favore dell’ubiquità di ambienti intelligenti e di un mondo che assume i connotati

dati e delle informazioni». G. RIZZO -F.MORANDO -J.C.DE MARTIN, Open Data: la piattaforma di dati

aperti per il Linked Data, in Informatica e diritto, nn. 1-2, 2011, p. 493 ss.: il passaggio dal documento al

dato grezzo «permette di separare in modo embrionale il contenuto di un artefatto in tante parti, potendo collegare tra loro o con altre informazioni i dati presenti all’interno dell’artefatto stesso, al fine di inferire nuove informazioni o creare nuovi artefatti» (p. 494); nel web of data, quale spazio di condivisione globale dei dati grezzi (raw), è possibile strutturare i dati della risorsa in modo da leggerli separatamente e aggregarli con altri, a richiesta dell’utente. Strumento del web of data sono i linked open data, per i quali infra, cap. 3.

221 S. RODOTÀ, Il diritto di avere diritti, cit., p. 135, secondo cui la conoscenza si pone quale «fondamento del processo democratico di decisione e come precondizione per la partecipazione e il controllo».

222 Cfr. B.C.HAN, op. cit., p. 21: «L’iper-informazione e l’iper-comunicazione dimostrano proprio la

mancanza di verità, anzi la mancanza d’essere. Più informazione, più comunicazione non eliminano la

fondamentale opacità del tutto. Piuttosto la accrescono» e V. MAYER-SCHÖNBERGER -K.CUKIER, Big

data. Una rivoluzione che trasformerà il nostro modo di vivere e che già minaccia la nostra libertà, trad.

it., Garzanti, Milano, 2013, p. 9 ss.: i dati non sono più un patrimonio statico, ma una materia prima, un input d’importanza vitale, capace di creare una nuova forma di valore, che se riusati intelligentemente possono essere trasformati in fonte d’innovazione e di nuovi servizi; di conseguenza «la vera rivoluzione non sta nelle macchine che elaborano i dati, ma solo nei dati in sé e nel modo in cui li usiamo» (p. 17). Secondo E. GIOVANNINI, op. cit., p. 132 la quantità straordinaria di informazioni a disposizione ha

bisogno di una qualità ugualmente straordinaria nel leggerle «distinguendo i “segnali”, cioè i fenomeni veramente rilevanti, dal “rumore” prodotto dallo scroscio ininterrotto dei dati […]».

223 S. RODOTÀ, Il diritto di avere diritti, cit., p. 109: «Diritti fondamentali, accesso, beni comuni disegnano una trama che ridefinisce il rapporto tra il mondo delle persone e il mondo dei beni».

74 dell’“infosfera”, usando il termine di Floridi225. I dati permettono di configurare l’uomo come “agente informazionale”, di rendere gli oggetti capaci di interazione (Internet of

Things)226 fino a generare nuove soggettività con l’intelligenza artificiale. Gli esseri umani, gli oggetti intelligenti, i robot si basano, elaborano e scambiano dati, conoscono e si conoscono grazie alle informazioni227.

In questo scenario di sviluppo presente e futuro, i regolatori pubblici e il diritto sono tenuti ad occuparsi necessariamente dei dati e della conoscenza, che assurgono a materie prime essenziali della stessa esistenza umana, come aria e acqua: l’oro della contemporaneità sono i dati che permettono di generare quella conoscenza228.

225 Cfr. L. FLORIDI, La rivoluzione dell’informazione, cit., p. 10 ss., che definisce quale “infosfera” «l’ambiente informazionale costituito da tutti i processi, i servizi ed entità informazionali che includono gli agenti informazionali così come le loro proprietà, interazioni e relazioni reciproche» (p. 11); gli uomini, quali inforg (organismi informazionali interconnessi), condividono l’infosfera con agenti biologici e artefatti ingegnerizzati. L’influenza delle ICT, sottolinea Floridi, è «sia estroversa, sia introversa, modificando non solo la nostra interazione con il mondo ma anche la comprensione di noi stessi» (p. 11): l’infosfera «diventerà progressivamente sincronizzata (tempo), delocalizzata (spazio) e

correlata (interazioni)» (p. 22).

226 L.AGRÒ, Internet of Humans, Egea, Milano, 2017, p. 21: «l’Internet of Things, l’Internet degli Oggetti, è un’incredibile opportunità per consentire di aggiungere un’“anima di software” praticamente in qualsiasi cosa»; l’Autore distingue tra tecnologie passive (frigorifero), tecnologie reattive (Siri o Cortana) e proattive (bilancia pesapersone che motiva i soggetti).

227 Cfr. L. FLORIDI, La rivoluzione dell’informazione, cit., p. 19: «le ICT stanno tanto cambiando il nostro mondo quanto creando nuove realtà. La soglia tra il qui (analogico, di carbonio, offline) e il là (digitale, di silicio, online) diviene rapidamente impercettibile ma ciò va tanto a favore del là che del qui. Il digitale si sta diffondendo nell’analogico e confondendo con esso. Questo fenomeno recente è variamente definito nei termini di ubiquità computazionale, ambiente intelligente, internet delle cose o

Web-augmented things». Cfr. J.C.DE MARTIN, Le evoluzioni delle licenze Creative Commons, in G. CONCAS -G.DE PETRA -G.B.GALLUS -G.GINESU -M.MARCHESI -F.MARZANO, Contenuti aperti, beni

comuni. La tecnologia per diffondere la cultura, McGraw-Hill, Milano, 2009, p. 11, secondo cui la

digitalizzazione della conoscenza «rimuove un formidabile ostacolo alla collaborazione, dal momento che rende la conoscenza ancora più nettamente non rivale di quanto già non fosse per sua natura […]». 228 Cfr.S.RODOTÀ, Il diritto di avere diritti, cit., p. 112, che individua quali beni necessari per la soddisfazione dei diritti inerenti alla costituzionalizzazione della persona «quelli essenziali per la sopravvivenza (l’acqua, il cibo) e per garantire eguaglianza e libero sviluppo della personalità (la conoscenza)».

75 La “democratizzazione” dell’informazione, di cui parla Floridi, ha portato oggi più persone al possesso di più dati di quanto mai successo nella storia229. Ma più la conoscenza è diffusa più ci sono torsioni per limitarne l’utilizzabilità grazie anche all’ausilio di norme, non perfettamente adeguate alla società di riferimento. E quindi sulla scena della contemporaneità compaiono nuovi squilibri: pochi soggetti hanno in mano i dati e dunque la correlata conoscenza, che finisce per essere posta al centro di un conflitto. Il rischio è che la società possa scivolare in derive popolate da nuove asimmetrie, mancata protezione dei diritti, disuguaglianza e controllo.

I “signori dei dati” sono poteri pubblici e nuovi grandi poteri privati230. Se i secondi sono mossi dalla logica economica del profitto, i primi sono ontologicamente tenuti a garantire i diritti fondamentali e a stabilire, di conseguenza, i principi e le direttrici del governo dei dati. Per garantire i diritti di cittadinanza digitale è essenziale che i pubblici poteri si adoperino per mettere in campo i beni e gli strumenti necessari alla loro soddisfazione; tra questi, al fine di garantire il libero sviluppo della persona, il dispiegamento delle potenzialità umane e l’uguaglianza sostanziale, si pone proprio il bene della conoscenza, visto come bene comune globale, privo di proprietari o gestori, esercitabile da chiunque in condizioni di parità, il cui uso non ammette limitazioni231.

La conoscenza costituisce un bene peculiare, che nella sua essenza possiede le caratteristiche della non escludibilità e della non rivalità, ma rischia di perderle laddove l’utilizzo da parte di alcuni possa portare difficoltà di accesso da parte di altri e conseguenti asimmetrie nella fruizione: questo si verifica nell’incontro col mondo privato del mercato e, in modo quasi contraddittorio, anche nella tutela offerta da parte del diritto (si pensi alla proprietà intellettuale e alla normativa sul diritto d’autore)232. In

229 L. FLORIDI, La rivoluzione dell’informazione, cit., p. 6 ss.

230 A. MANTELERO, Big data: i rischi della concentrazione del potere informativo digitale e gli

strumenti di controllo, in Il diritto dell’informazione e dell’informatica, fasc. 1, 2012, p. 135: i detentori

delle risorse informative e di calcolo «dispongono di un notevole potere informativo derivante dal controllo sulla gestione dei dati, tale da evocare la nozione di signoria».

231 Cfr. L.GALLINO, Tecnologia e democrazia. Conoscenze tecniche e scientifiche come beni pubblici, Einaudi, Torino, 2007. Sulla qualificazione di Internet quale bene comune e, più ampiamente, sulla riflessione giuridica relativa ai beni comuni cfr. P.OTRANTO, op. cit., p. 249 ss.

232 La disciplina del diritto d’autore lascia salve le idee, che, di conseguenza, sono sottratte alla relativa disciplina. Cfr. S.RODOTÀ, Il diritto di avere diritti, cit., p. 131 ss.: «Più la conoscenza si dilatava

76 tal modo, nella strada delle disposizioni normative riemerge quella logica proprietaria tanto cara al diritto e così lontana dalla dinamica dell’accesso. Il concetto di accesso, infatti, non si collega necessariamente e strumentalmente alla proprietà233: ciò non significa sia diretto a qualcosa di vuoto, ma si tratta di accesso alla conoscenza che permette relazioni, attività, il controllo democratico del potere234. È un bene globale, a titolarità diffusa, su cui nessuno deve poter vantare diritti esclusivi e che per tali ragioni non può essere sottoposto a logiche di tipo proprietario o di mercato che da bene sono capaci di trasformarlo in merce235.

L’accesso rischia concretamente di essere mediato da forme di pagamento in denaro o in dati personali, foriere di una nuova insidiosa disuguaglianza travestita da apparente gratuità e simulata libertà236; l’informazione e la correlata conoscenza da bene globale, comune o pubblico, rischia di diventare bene giuridico dotato di utilità e valore economico237. In questa direzione la concentrazione del controllo e le diseguaglianze

e diveniva accessibile, più si ricorreva a strumenti che, come il diritto d’autore, limitavano l’utilizzabilità di conoscenze prima liberamente disponibili» e P.OTRANTO, op. cit., p. 272 ss., che riporta la dottrina

secondo la quale per parlare di conoscenza quale bene comune bisogna distinguere tra i contenuti in pubblico dominio, che si configurano come beni pubblici, e quelli sottoposti a regimi di privativa dalle norme sulla proprietà intellettuale.

233 S. RODOTÀ, Il diritto di avere diritti, cit., p. 108: «Accesso e proprietà si presentano come categorie autonome e, in diverse situazioni, potenzialmente o attualmente in conflitto. Si può accedere a un bene, e goderne delle utilità, senza assumere la qualità di proprietario».

234 Cfr. V.M.SBRESCIA, op. cit., p. 1207 ss.; L. FLORIDI, La rivoluzione dell’informazione, cit., p. 10 ss.: «Porre minore enfasi sulla natura fisica di oggetti e processi implica che il diritto di uso sia giudicato almeno tanto importante quanto il diritto di proprietà» (p. 15).

235 Cfr. S. RODOTÀ, Il diritto di avere diritti, cit., p. 113 ss., secondo cui «la logica del “comune” obbliga a progettazioni istituzionali adeguate alle caratteristiche del bene considerato, e ribadisce un nesso evidente con la necessità di politiche adatte alla realtà di un mondo in cui le interdipendenze crescenti individuano spazi ormai concretamente comuni, che attendono istituzioni che li sottraggano a imprese variamente distruttive» (p. 125).

236 S.RODOTÀ, Il diritto di avere diritti, cit., p. 133 sottolinea come le logiche del mercato vengano a intaccare la natura di common della rete: «l’accesso mediato da forme di pagamento apre la via più insidiosa tra le diseguaglianze digitali, quella che istituisce un rapporto tra reddito e accesso alla conoscenza».

237 P. SAMMARCO, op. cit., p. 177 ss. sottolinea come in tal modo l’informazione acquisisca la fisionomia di un prodotto commerciale.

77 nell’accesso alla conoscenza possono arrivare a inficiare il progresso, lo sviluppo e la coesione sociale238.

Si tratta in modo palese di una sfida che mette in gioco i valori costituzionali della tutela dei diritti fondamentali, dell’uguaglianza e della stessa democrazia, che rischia di essere travolta da asimmetrie informative che già esistono e potrebbero nel lungo periodo divenire insanabili. Il rischio dunque consiste nello human divide, di cui parlava Rodotà, una disuguaglianza radicale che investe lo stesso essere umano, le sue prerogative, la sua natura, la sua ontologia e il suo ruolo, ridefiniti grazie alle tecnologie e alla centralità dei dati: in un percorso di disuguaglianza insieme all’uomo sono travolti i suoi diritti e le sue libertà239.

In considerazione della loro funzione sono le istituzioni che hanno il difficile compito di sottrarre i dati e la conoscenza a questo potenziale destino, sono i regolatori pubblici che hanno la responsabilità verso le generazioni presenti e future di sottrarre al mercato e alle sue logiche redistributive questi beni globali, costitutivi dell’uomo contemporaneo e dei suoi diritti240. Per questo, quando si parla di dati e conoscenza, vengono in gioco i pubblici poteri: sono i soggetti deputati al governo dei dati.

238 Cfr. G.PASCUZZI, Dematerializzazione, cit., p. 344: «Lo scenario che vedesse la concentrazione della proprietà e del controllo della conoscenza potrebbe mettere in discussione le stesse forme di governo democratico».

239 Cfr. S.RODOTÀ, Il diritto di avere diritti, cit., p. 138, secondo cui, proiettata su scala globale, «la relazione tra diritti fondamentali e beni comuni si presenta come una decisiva opportunità per affrontare la questione essenziale di uno “human divide”, di una diseguaglianza radicale che incide sulla stessa umanità delle persone, mettendo in discussione la dignità e la vita stessa». Cfr. B.C.HAN, op. cit., p. 79

ss., secondo cui si configura «un’illuminazione reciproca. Il controllo non si esercita solo dall’alto verso il basso, ma anche dal basso verso l’alto. Ciascuno espone ogni altro alla visibilità e al controllo, addirittura fin dentro la sfera privata. Questa sorveglianza totale degrada la “società trasparente” a una disumana società del controllo. Ognuno controlla l’altro» (p. 79); di conseguenza «il controllo totale annienta la libertà d’azione e conduce, alla fine, a un livellamento. La fiducia, che produce liberi spazi d’azione, non può essere facilmente rimpiazzata dal controllo» (p. 79) e, secondo l’Autore, si genera una società della sfiducia, nella quale «l’auto-illuminazione è più efficace dell’illuminazione che proviene da un altro, perché si unisce a un sentimento di libertà» (p. 81).

240 Cfr. S. RODOTÀ, Il diritto di avere diritti, cit., p. 137, secondo cui «i beni comuni affrancano i diritti di cittadinanza dalle politiche redistributive».

78 Se le istituzioni sono il soggetto deputato a svolgere quest’opera, lo strumento per farlo, il sapere chiamato in causa è il diritto, al fine di fornire regole idonee a governare i dati e la correlata conoscenza.

Chi ha accesso alla conoscenza? A quali condizioni? La quantità di informazioni e dati, oggi resa possibile, si traduce in conoscenza? Il web semantico e ubiquo ci permette di conoscere di più o affidarsi agli algoritmi e ai numeri può dare vita a nuove manipolazioni? E, ancora, come limitare squilibri e asimmetrie, preservando la libertà