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Non tutte le aree a pascolo sono ugualmente a rischio di degrado. Il rischio dipende, come detto, anche dall’intensità d’uso del pascolo, che a sua volta dipende dalla consistenza del pascolo stesso e dal carico animale (Kosmas, Kirkby, & Geeson, 1999). L’intensità d'uso in modo particolare è indicata dal rapporto tra l'indice di pascolamento attuale (Actual Stocking Rate, ASR) e l'indice di pascolamento sostenibile (Sustainable

Stocking Rate, SSR). Nelle aree destinate a pascolo, se ASR<SSR, il carico di bestiame

attuale può essere ampiamente sostenuto dalla vegetazione presente. Nel caso contrario, quando ASR>SSR, si ha un eccessivo sfruttamento del pascolo e il possibile innesco dei processi di impoverimento e degrado del suolo, poiché la quantità di sostanza secca prodotta è inferiore a quella necessaria per il mantenimento del bestiame.

Il valore dell'indice di pascolamento attuale (ASR) è stato calcolato in termini di Unità

Capo Grosso (UCG) per unità di superficie teoricamente pascolata da tutti gli animali

presenti nelle aree a pascolo considerata. L’UCG ha lo scopo di rendere equivalenti specie zootecniche con caratteristiche piuttosto differenti (bovini, ovini, caprini, ecc.). Una UCG, ad esempio, corrisponde ad un bovino adulto del peso di 500 kg, a 10 ovini, 10 caprini, 1 equino, 5 suini 22 ecc.. Il numero di UCG può pertanto essere calcolato con la formula:

n° UCG = n° bovini + n° ovini*10 + n° caprini*10 + n° equini + …

Il calcolo dell'indice di pascolamento sostenibile (SSR 23) è volto a valutare il carico di bestiame che le aree destinate a pascolo dei diversi territori comunali sono in grado di sostenere. Per tale calcolo alle aree presenti nel territorio in esame deve essere associato un valore medio di sostanza secca prodotta per unita di superficie (S.S./ha), differenziando i tipi di copertura del suolo altamente produttivi come i prati o le aree agroforestali, e tipi vegetazionali scarsamente produttivi. I metodi empirici utilizzati per la valutazione di questo parametro si basano su rilievi delle specie vegetali appetibili e delle altre risorse prodotte dall’habitat in esame (ghiande, castagne ecc.) oppure su rilievi ponderali di campioni d’erba raccolta entro parcelle o gabbie. Esistono inoltre classificazioni predisposte, un esempio delle quali e quello delle classi Corinne (Tab. 2).

22 In alternativa all’UCG: UBA (Unità Bovino Adulto)= 1 bovino adulto del peso di 500 kg, 1 equino di

età maggiore a 6 mesi, 5 suini, 6 ovini, 6 caprini.

Una volta calcolata la produzione di sostanza secca per ciascuna area destinata a pascolo si somma la sostanza secca prodotta (espressa in q/ha) nel complesso del territorio. Infine, l'indice di pascolamento sostenibile è stato calcolato applicando la formula:

SSR = (SS tot * C.U.) / (peso medio UCG * L.I. * anno)

dove:

SSR = Indice di pascolamento sostenibile;

SS tot = Sostanza Secca totale prodotta per anno [q];

C.U. = Coefficiente di Utilizzazione, dato dal rapporto medio annuo tra la quantità di

sostanza secca ingerita e quella disponibile;

peso medio UCG = peso medio dell'Unita Capo Grosso [kg]; L.I. = Livello di Ingestione medio giornaliero [%];

anno = durata del pascolamento [giorni];

Utilizzando i dati stimati riferiti alle Unita Capo Grosso, si ottiene:

SSR = (SS tot * 0,7) / (500Kg * 0,5 * 360) = UCG / ha

dove:

SSR = Indice di pascolamento sostenibile [UCG/ha];

SS tot = Sostanza Secca totale prodotta per anno per unita di superficie [q]; 0.7 = Coefficiente di Utilizzazione medio per Unita Capo Grosso;

500 kg = peso medio dell'Unita Capo Grosso;

0.5 = livello medio di ingestione giornaliero per Unita Capo Grosso; 360 = durata media annua del pascolamento [giorni];

L'indice di pascolamento cosi calcolato ha un importante utilità per l’individuazione del rischio di desertificazione anche perche l'errore che deriva dalle varie approssimazioni è molto limitato.

In ultima analisi le aree che eguagliano o superano fino a una volta e mezzo il carico di bestiame sostenibile vengono considerate aree con una media intensità d'uso per pascolamento, mentre quelle che superano tale soglia sono considerate ad alta intensità d'uso.

IMPATTO AMBIENTALE DEGLI UNGULATI

SELVATICI

6.1 Introduzione

Questo capitolo è interamente dedicato ai due ungulati selvatici oggetto di studio in questo lavoro: il cinghiale e la capra domestica inselvatichita.

Lo studio nasce, infatti, nell’ambito del Progetto per la conservazione della biodiversità denominato: “Impatto degli ungulati sulla biodiversità dei parchi italiani”, Progetto di sistema dei parchi Nazionali, Direttiva “Biodiversità” – Ministero dell’Ambiente della Tutela del Territorio e del Mare (Fig. 12) – in particolare dalla collaborazione tra l’Ente Parco nazionale delle Cinque Terre e il Dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agroambientali (Disaaa-a) dell’Università di Pisa con il contributo dell’Istituto per lo Studio degli Ecosistemi (CNR-ISE) del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa.

Il patrimonio delle biodiversità “naturali ed agricole” è un bene comune di inestimabile valore, il cui mantenimento si configura come chiave di volta per risolvere molte delle presenti e future esigenze ambientali. Il concetto di Diversità Biologica o Biodiversità è stato ufficialmente definito nel corso degli anni ’80 del XX secolo.

Diversità Biologica significa variabilità tra gli organismi viventi provenienti da tutti gli ambienti, inclusi, inter alia, gli ecosistemi terrestri, marini e acquatici di ogni tipo e i complessi ecologici di cui essi fanno parte; ciò include la diversità nell’ambiente delle specie, la diversità tra le specie e la diversità degli ecosistemi (Convention on

Biological Diversity, Summit Mondiale del 1992, a Rio de Janeiro).

La presenza di ungulati selvatici all’interno di territori agro-forestali è spesso causa di numerose problematiche legate, non solo ai danni alle coltivazioni, ma anche agli effetti sugli equilibri ecologici relativi all’impatto sulle biodiversità animali, vegetali e microbiche.

L’impatto degli ungulati sulle biodiversità può essere distinto in due tipologie:

- diretto: quando riguarda il danneggiamento e la distruzione di specie vegetali per alimentarsi (brucatura, scortecciamento, ricerca di bulbi, rizomi) e la predazione di alcune specie animali;

- indiretto: quando è rivolto a fattori che influenzano la presenza e lo sviluppo di specie vegetali ed animali e microbiche. L’alterazione del suolo prodotta dall’eccessivo calpestio degli animali può favorire alcune specie vegetali più resistenti al suolo compattato e può modificare la biodiversità animale e microbica del terreno (aspetti inerenti gli studi oggetto di questa tesi). Inoltre, la distruzione da parte del cinghiale, di alcune nicchie ecologiche, come i muri a secco, determina effetti negativi sulle comunità animali e vegetali ivi ospitate. Riguardo all’impatto causato dagli ungulati direttamente sulle biodiversità vegetali, un aspetto molto importante è connesso alla pressione selettiva esercitata dal pascolamento degli animali, che dipende da abitudini alimentari e comportamentali specie specifiche e a seconda che essi siano ruminanti o monogastrici (Fig. 13).

Negli ultimi anni gli ungulati selvatici ed in particolare il cinghiale hanno incrementato la loro consistenza nel territorio italiano. È rimarchevole che negli ultimi 30 anni il cinghiale abbia quintuplicato il suo areale di distribuzione e recenti stime indicano che

la popolazione abbia raggiunto circa un milione di esemplari. Ad oggi, il cinghiale è presente nell’83.5% delle province italiane, seguito dal capriolo con il 64.1%, dal daino con 52.4%, dal cervo con il 52.4%, dal muflone con il 32.0%, dal camoscio con il 21.4%, dallo stambecco con il 14.6% e infine dal camoscio appenninico con il 3.9%. Nell’ambito dei rapporti tra ambiente e ungulati selvatici, il cinghiale riveste un ruolo decisamente di primo piano principalmente a causa di peculiarità intrinseche alla specie (ved. par. 6.2).

Nelle aree protette assume particolare importanza la gestione ecosostenibile della fauna selvatica. In questi ambienti, infatti il sovrannumero di alcune specie in relazione alle peculiarità del territorio determina danni ingenti di tipo economico e di alterazione o riduzione della biodiversità.

Oltre al cinghiale, nel territorio del Parco Nazionale delle Cinque Terre (areale oggetto della tesi) si segnalano altri ungulati selvatici tra cui il capriolo e la capra domestica inselvatichita. Sebbene il capriolo sia giunto all’interno del Parco solo da pochi anni, si è portati a credere che la specie non riesca a diffondersi a causa delle caratteristiche ambientali non conformi alle esigenze dell’animale. La capra presenta, invece, una maggiore adattabilità ambientale tale da destare preoccupazioni relativamente ad un potenziale incremento di popolazione (Pistoia, Impatto degli ungulati selvatici, 2016).

Di queste due specie di ungulati sarà fatta una descrizione dettagliata nei paragrafi successivi, in quanto oggetti di studio in questa tesi.