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6.3 Capra domestica inselvatichita

6.3.4 Effetti del pascolamento

Danni diretti:

 Danni da brucamento alle specie vegetali erbacee vegetali e/o scortecciamento suffruticose e giovani piante arboree (in particolare danni alla rinnovazione del leccio, Quercus ilex). Il brucamento infatti è in correlazione stretta alla stagione e al clima, fattori che possono aumentare il danno provocato e il conseguente stress che si somma agli stress di natura abiotica quali ad esempio la siccità nel periodo estivo.

 Danni da pascolamento. Il calpestio e il brucamento riducono la biodiversità vegetale, sia perché le piante target sono una gamma ristretta nei confronti di quelle con più alte caratteristiche nutrizionali, sia perché favoriscono una minor copertura vegetale (di specie erbacee) del territorio, che difende il suolo dall’erosione da parte degli agenti atmosferici (erosione idrometeorica, idrica ed eolica) i danni dell’erosione del suolo sono inoltre amplificati dalla ripidità dei

versanti che facilitano i rotolamenti e la discesa a valle del materiale terroso e sassoso mosso.

 Danni da calpestio. Si sommano a quelli da brucamento in quanto incrementano la suscettibilità all’erosione del suolo; producono inoltre danni alla senti eristica del Parco alterando e smuovendone il fondo o sgretolando le linee di scolo delle acque. Si aggiunga inoltre una notevole sovrapposizione ai danni provocati dal cinghiale.

 Danni da scortecciamento e rotture della vegetazione. In primo luogo ciò avviene nella fitta macchia mediterranea. Le lesioni (dovute soprattutto al transito forzato degli animali) debilitano le piante e ne aggravano lo stato sanitario.

Danni indiretti:

 Danni alla biodiversità. Le loro esigenze nutrizionali spingono ad una alimentazione mirata che nell’ecosistema si espleta in una pressione selettiva, che nel lungo termine determina un drastico cambiamento nella composizione della fitocenosi in favore delle piante meno appetibili.

 Danni alla fauna autoctona. La pressione selettiva esercitata sulla vegetazione si ripercuote anche sulla fauna autoctona sottoforma di diretta sottrazione di sostanze trofiche per gli erbivori, e di riduzione di disponibilità della pianta ospite per animali, soprattutto per gli insetti che con essa vivono, se non in simbiosi, quantomeno in stretta relazione.

 Danni all’avifauna migratoria. Il deterioramento qualitativo e quantitativo provocato dalle capre a carico della vegetazione riduce progressivamente le opportunità alimentari e di ricovero offerte agli uccelli migratori.

 Danni alla composizione del suolo. La gran concentrazione di escrementi. La degradazione del suolo per salinizzazione, in particolare per nitrificazione,

incide direttamente sulle capacità del suolo di fungere da substrato per le comunità biologiche normalmente che vi si sviluppano con perdita di fertilità. L’eccesso di nitrati contenuti nelle urine, provoca squilibri alla geocomposizione che inevitabilmente si ripercuoto su microflora e microfauna (Bertolotto, 2014).

PREMESSA

L’approccio che si sta affermando, non senza difficoltà, negli ultimi decenni, in materia di ambiente è quello di un sistema di gestione che porta a considerare l’ambiente e le risorse naturali come beni collettivi ed afferma l’importanza sia sociale che economica di valorizzarli e rispettarli attraverso una gestione consapevole ed organica di tutte le componenti dell’ecosistema. Ciò rende gli studi sull’impatto alla biosfera basilari nel processo conoscitivo che porterà alla nuova visione dell’ambiente. Questo perché, in un mondo così bisognoso di produrre continuamente beni e risorse per una popolazione in vertiginoso aumento ed un’economia di scala sempre più globalizzata, crescono i timori per gli effetti incontrollabili che le attività umane potrebbero avere nei confronti degli equilibri ecologici.

La salvaguardia si orienta soprattutto verso quelle risorse considerate “non rinnovabili”, ossia quelle risorse che, una volta esaurite, non potrebbero ricostituirsi se non in un periodo troppo lontano dalla scala temporale umana. Una di queste risorse è costituita dal suolo.

Il suolo, a causa di disturbi esterni, può subire un processo di degradazione, che provoca la regressione da uno stato di qualità più elevato ad uno inferiore e può portare, nel caso estremo della desertificazione, al completo annullamento del potenziale biologico e della capacità di resilienza. L’approccio al problema desertificazione ci porta ad affrontare le cause di degradazione del suolo in ogni suo aspetto. Tra le varie cause responsabili del processo di desertificazione, a livello globale, è l’eccessiva pressione zoogena da pascolamento (overgrazing). Gli animali, infatti, siano essi domestici o selvatici, hanno nei confronti della degradazione del suolo un impatto sia diretto che indiretto. Il tipo di disturbo che il pascolamento opera ai danni del terreno è la riduzione della vegetazione (Hickman & Hartnett, 2002) (Macci, Doni, Bondi, Davini, Masciandaro, & Pistoia, 2012), che lo protegge dall’erosione e garantisce un buon livello di sostanza organica. D’altro canto, un ulteriore effetto del pascolamento sul terreno è attribuibile alla rottura degli aggregati del suolo che lo rendono più soggetto all’erosione e, al compattamento potenziandone la vulnerabilità (Manzano & Navart, 2000) (Novikoff, 1983) (Pluhar, Knight, & Heischmidt, 1987). Entrambe queste cause che concorrono alla formazione del fenomeno, provocano nel suolo una diminuzione della vitalità e della fertilità dello stesso, dimostrabile attraverso parametri fisici, chimici e biochimici.

Per questi motivi la conservazione dei pascoli sta assumendo un ruolo centrale nella politica di conservazione della biodiversità, sia a livello internazionale, che europeo. Il pascolo è stato, infatti, ultimamente riscoperto e rivalutato per una serie di motivi legati alla salvaguardia di razze in via d’estinzione, alla rivalutazione di aree marginali, al miglioramento della qualità degli alimenti, al benessere animale, al miglioramento di alcuni aspetti economici di gestione e alla tutela dell’ambiente.

Oggi si assiste, da un lato, all’abbandono di molte aree una volta oggetto di pascolamento quali aree boschive o collinari e montane marginali; d’altro canto vi è lo sfruttamento di vaste zone pianeggianti con nuove forme di pascolamento intensivo. Ai problemi derivanti dal pascolamento degli animali domestici bisogna però aggiungere, ed è a ciò che questo studio si riferisce, l’impatto del pascolamento degli animali selvatici, in particolare degli ungulati selvatici.

Queste problematiche, discusse ampiamente nella parte generale di questo elaborato, assumono particolare importanza nelle aree protette del nostro Paese 31. In questi ambienti, infatti, il sovrannumero di alcune specie in relazione alle peculiarità del territorio determina danni ingenti di tipo economico e di alterazione o riduzione della biodiversità.

Numerosi studi focalizzano l’attenzione sugli ingenti danni alle coltivazioni ed ai redditi degli agricoltori derivanti dalla presenza in eccessivo numero di questi animali ed affrontano in maniera esaustiva gli enormi problemi da essi derivanti proponendo molte possibili soluzioni.

Carente è, invece, nel nostro Paese, l’attività di studio volta alla determinazione dell’impatto del pascolamento degli ungulati selvatici sull’ambiente boschivo e gli effetti che ciò può provocare in ecosistemi così fragili, dove la “cura” da parte dell’uomo è ridotta rispetto agli agroecositemi. La letteratura internazionale presenta poi numerosi studi riguardanti gli effetti del pascolamento sulla fitocenosi delle aree boschive mentre risulta anch’essa estremamente carente riguardo ai parametri legati alla qualità del suolo, che rappresenta il fattore principale su cui ruota l’intero ecosistema.

31 Attualmente iscritti nell'Elenco ufficiale delle aree naturali protette (EUAP) sono ventiquattro, e

complessivamente coprono una superficie di oltre 1.500.000 ettari (15.000 km²), che corrispondono a circa il 6% del territorio nazionale (6º Aggiornamento approvato il 27 aprile 2010 e pubblicato nel Supplemento ordinario n. 115 alla Gazzetta Ufficiale n. 125 del 31 maggio 2010).

Questo studio si propone di dare una visione d’insieme del problema relativo all’impatto al suolo dal pascolamento degli ungulati selvatici facendo particolare riferimento al cinghiale (Sus scrofa L.) ed alla capra domestica inselavatichita (Capra

hircus L.) e mettendo in relazione gli effetti dati dai due ungulati selvatici con gli effetti

dati dal pascolamento di ungulati domestici (ovini, Ovis aries L.), utilizzati come confronto, essendo le razze ovine quelle che maggiormente vengono allevate utilizzando il pascolo come fonte di foraggi.

Ciò è stato possibile attraverso l’analisi della variazione di parametri fisici, chimici e biochimici, indicatori del livello di qualità e fertilità dei suoli.

MATERIALI E METODI

La prova è stata divisa in due fasi sperimentali separate.

 Fase I: Indagine sulla variazione delle caratteristiche fisiche, chimiche e biochimiche del suolo sottoposto a pascolamento di ungulati selvatici. La prova è stata eseguita nell’ambito del Progetto per la conservazione della biodiversità

denominato: “Impatto degli ungulati sulla biodiversità dei parchi italiani”. Per

il perseguimento degli obiettivi proposti sono state individuate, nel Parco Nazionale delle Cinque Terre, cinque aree saggio in tre differenti siti. Nelle varie “aree saggio” sono stati individuate alcune aree indisturbate (non sottoposte a disturbo zoogeno) da comparare con analoghe aree “disturbate”. Quest’ultime possono essere così distinte: grofolamento (rooting) e sentieramento/compattamento per il cinghiale, compattamento per la capra domestica inselvatichita.

 Fase II: Indagine sulla variazione delle caratteristiche fisiche, chimiche e biochimiche del suolo interessato dal pascolamento degli ovini domestici. Tale prova si è svolta valutando nel tempo la variazione della qualità del suolo sottoposto a differenti tipologie di pascolamento: pascolamento razionale e pascolamento irrazionale.

Le prove sono state svolte presso il podere “I Sodi” del Centro Interdipartimentale di ricerche Agro-Ambientali dell’ Università di Pisa, S. Piero a Grado (PI).

7.1 Fase I: indagine sulla variazione delle caratteristiche

fisiche, chimiche e biochimiche del suolo interessato dal

pascolamento di ungulati selvatici

La prova è stata svolta tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016. Le aree saggio individuate per lo studio in questione sono espressione della riconosciuta importanza paesaggistica- ambientale del Parco Nazionale (Fig. 17) e sono funzionali alla

rappresentatività dell’evoluzione dell’impatto degli ungulati sugli ecosistemi. Non è stato scelto come ecosistema oggetto di questo studio il “Vigneto”, nonostante sia uno degli ecosistemi più rappresentativi del Parco perché, a causa del suo elevato livello di antropizzazione, non sarebbero stati significativi gli effetti della presenza degli ungulati selvatici.

La scelta dei siti e delle relative aree saggio è stata effettuata in base alle finalità previste dal Progetto ministeriale; con la collaborazione del CTA del Corpo forestale dello Stato, sono stati individuati tre siti studio, di cui due all’interno della Zona 1 (Rilevante interesse naturalistico, paesaggistico e culturale con limitato o inesistente grado di antropizzazione), come identificata dal D.P.R. istitutivo del Parco nazionale 32.

In ciascun ecosistema sono stati effettuati una serie di controlli sperimentali che hanno riguardato prove penetrometriche su porzioni di suolo “disturbato” e prelievo di

campioni di suolo da zone indisturbate e disturbate. Le suddette prove sono state effettuate

secondo lo schema descritto di seguito.

Figura 17. Localizzazione aree di saggio nel Parco nazionale delle Cinque Terre

32Da questo momento durante la stesura del testo i nomi dei siti saranno quelli proposti di seguito;

Le zone selezionate sono:

 Località Sant’Antonio , in cui è stata individuata una area saggio:

 Area saggio “Telegrafo”, per lo studio dell’impatto ambientale causato da cinghiale

1. Telegrafo Indisturbato (T-I) 2. Telegrafo Sentieramento (T-S) 3. Telegrafo Grufolamento (T-G)

 Località Volastra, in cui sono state individuate due aree saggio:

 Area saggio “Volastra Bosco misto”, per lo studio dell’impatto ambientale causato da cinghiale:

1. Volastra Bosco misto Indisturbato (VB-I) 2. Volastra Bosco misto Sentieramento (VB-S)

 Area saggio “Volastra Oliveto”, per lo studio dell’impatto ambientale causato da cinghiale:

1. Volastra Oliveto Indisturbato (VO-I) 2. Volastra Oliveto Sentieramento (VO-S)

 Promontorio del Mesco, in cui sono state individuate due aree saggio:

 Area saggio “Mesco Lecceta”, per lo studio dell’impatto ambientale causato da cinghiale:

1. Mesco “Radar” Indisturbato (M-I) 2. Mesco Lecceta Sentieramento (ML-S) 3. Mesco Lecceta Grufolamento (ML-G)

 Area saggio “Mesco Macchia Mediterranea”, per lo studio dell’impatto causato da capra domestica inselvatichita:

1. Mesco Macchia Indisturbato (MM-I) 2. Mesco Macchia Compattamento (MM-CO)

Nelle aree saggio “Volastra Bosco misto” e “Volastra Oliveto” non sono stati individuati segni del grufolamento dei cinghiali, in esse l’unica causa di disturbo è risultata essere quindi il sentieramento dovuto al continuo passaggio di quest’ultimi.