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Da carnefice a vittima: la sostituzione vicaria in Medea

Nella Grecia del V secolo, il sacrificio umano non era ancora scomparso del tutto e si ripeteva nell‘esistenza dei θαρμακοί, ossia reietti scelti tra vagabondi, mendicanti e stranieri, che la città manteneva a proprie spese per poi sacrificarli nell‘eventualità di calamità o disgrazie (Girard, 1980: 24). Come per le streghe nel basso Medioevo – soprattutto in Germania - o ancora, in tempi assai più recenti, per i dissidenti politici di regime, le vittime venivano scelte a caso e poi diffamate a tal punto da convincersi in prima persona della loro colpevolezza.

La sostituzione vicaria, presente anche altrove in Euripide32, costituisce un nodo importante della sua Medea, dove l‘eroina sostituisce a Giasone, oggetto reale del suo odio, i figli, preparandone la morte alla stregua di un vero e proprio sacrificio, e riportandoci così, come dice Girard, ―alla verità più elementare della violenza‖(Girard, 1980: 24).

Medea prepara la morte dei propri figli nel modo in cui un sacerdote prepara un sacrificio. Prima dell‘immolazione lancia l‘avvertimento rituale imposto dall‘uso; intima di allontanarsi a tutti coloro la cui presenza potrebbe compromettere il successo della cerimonia (ibid.:24).

Medea opera questa sostituzione sacrificale perché la morte figli, a differenza di quella Giasone, è per lei un vero e proprio sacrifico, e come tale, non presenta rischio di vendetta. ―Chi non può assistere a questo sacrificio, ci pensi! La mia mano non verrà meno‖, dice. (Euripide, Medea. 1053-1055). La morte di Giasone, infatti, avrebbe innescato quel meccanismo di reazione a catena, quel desiderio mimetico di vendetta, inarrestabile ed infinito, per cui qualcuno ne avrebbe sicuramente vendicato il sangue e dato origine ad un processo interminabile di morte e di distruzione.

Levare la mano contro di lui, quindi, avrebbe significato esporsi a ritorsioni legittime ma altamente rischiose soprattutto per la sua stessa prole,

32 Si pensi all‘Ifigenia: secondo Clitennestra, il sacrificio di Ifigenia sarebbe stato giustificabile solo se fosse

servito a salvare vite umane, ma non per rendere propizi i venti alla flotta, come accade di fatto nella tragedia.

Marianna Pugliese

e questo timore la fa inizialmente desistere: ―Ma no, per i demoni inferi di Ade, non sarà mai che io abbandoni i miei figli all‘oltraggio dei miei nemici!‖(Euripide, Medea. 1059-1061). Presto però, riflettendo nuovamente sulla necessità di salvarli dall‘umiliazione dell‘esilio, Medea si risolve ad ucciderli. Far morire Giasone sarebbe stato un assassinio, non un sacrificio. Provvedendo invece in prima persona alla morte dei fanciulli, Medea sa che il sacrificio è compiuto, e che quindi la violenza può terminare.

Se in Euripide l‘infanticidio è presentato come un sacrificio, e dunque i fanciulli come le vittime sacrificali, in Christa Wolf è Medea a diventare la vittima sacrificale perfetta, è su di lei che ricade la sostituzione vicaria. La sua trasformazione in capro espiatorio avviene nel tempo, mediante un procedimento graduale ma inarrestabile di manipolazioni della realtà, e attraverso un crescendo di menzogne e mistificazioni che si concluderà con la cattura e la sua definitiva condanna. In questo senso, l‘ottavo capitolo, in cui Medea siede al buio dello stanzino in attesa di giudizio, ricordando tra le altre cose la festa di primavera e il sacrificio di venti tori in onore della dea Artemide, è allusivo della sua imminente e simbolica immolazione. Nei gesti quasi sacrali con cui ella si prepara e si adorna per assistere alla festa e all‘olocausto degli animali, si può intravedere infatti la preparazione rituale di sé come vittima sacrificale.

Nachdem ich meine Gesicht, dann die Arme in die Schüssel mit dem Quellwasser getaucht hatte, streifte ich das Kleid über, prüfte seinen lockeren Fall, band das Haar mit der weissen Binde der Priesterin zurück, wie es dem Festtag entsprach, und ging zu Lyssa hinüber (Medea.

Stimmen: 174)33.

Medea si lava con cura, indossa il suo abito da cerimonia e si lega i capelli con la benda bianca da sacerdotessa; questo cerimoniale, presago di morte, non a torto fa spaventare Lissa: Medea sembra prepararsi ad essere immolata e, con calma, si dirige da sola verso il santuario.

33 ―Dopo aver immerso il viso, poi le braccia nella bacinella d‘acqua sorgiva, mi infilai la veste, verificai che

cadesse morbidamente, legai all‘indietro i capelli con la benda bianca da sacerdotessa, come si conveniva al giorno festivo, e andai nell‘altra stanza da Lissa‖ (Medea. Voci: 178).

Marianna Pugliese

Ich war ruhig, während ich zum Heiligtum hinaufstieg. […] Waren wir alle Opfer, zur stillen Duldung gebrachte Opfer, die zur Schlachtbank trotteten (ibid.: 178)34.

La violenza è necessaria all‘istituzione e al mantenimento dell‘ordine nella comunità – basti ricordare il già citato rituale di morte e di rinascita del ―re annuale‖ cui l‘assassinio di Apsirto rimanda - ma è altrettanto vero che la sopravvivenza di questa comunità dipende dalla convinzione del carattere benefico della violenza. Dopo essere andata alla festa, Medea rimane coinvolta negli incidenti con cui il popolo si armava contro i potenti e i prigionieri depredatori di tombe, ma riesce a convincere i più scatenati tra i rivoltosi a sacrificare solo uno dei prigionieri che lavoravano nel tempio, e a salvare così molte altre vite umane. Così facendo, riconosce l‘essenza del sacrificio come bisogno di immolare un solo essere umano in cambio della salvezza di molti, ma non accetta il carattere benefico della violenza, poiché sa di aver dovuto scegliere, ancora una volta, solo il minore di due mali.

Was sagst du jetzt, brüllte er, ich sagte leise: Nehmt nur einen. Nur einen, brüllte er, warum denn das. Ich sagte, ihre Vorfahren hätten auch nur einen ausgewählten Menschen der Göttin zum Opfer gebracht, alles andere sei Frevel, Mord im Tempel aber werde schwer bestraft. [...] Es war mir unerträglich erschienen, vor die Wahl zwischen zwei Übeln gestellt zu sein. Ich Törin. Jetzt hatte ich nur noch zwischen zwei Verbrechen wählen können. (Medea. Stimmen: 185-186)35

Credere che l‘origine e la finalità della violenza siano utili e vantaggiosi per la comunità, implica che il rito violento, e di conseguenza la vittima immolata - sia essa umana o animale - vengano considerati sacri36. Si comprende bene a questo punto come il mito, essendo in ogni cultura la storia dell‘assassinio fondativo, descritto tuttavia non come frutto della malvagità

34 ―Ero calma mentre salivo al santuario. […] Non eravamo tutti vittime, vittime portate a sopportare in

silenzio, che trottavano verso il macello?‖(Medea. Voci: 182-183).

35 Cosa dici adesso, ruggì, e io dissi sottovoce: prendetene solo uno. Solo uno, ruggì, perché. Io dissi che

anche i loro progenitori sacrificavano alla dea solo un prescelto, tutto il resto era empietà, l‘assassinio nel tempio sarebbe stato punito severamente. […] Mi era sembrato insopportabile essere posta di fronte alla scelta tra due mali. Io stolta. Adesso, di nuovo, avevo potuto scegliere soltanto tra due crimini‖, Medea. Voci: 190-191).

36 ―Sacrificium‖, dal latino ―sacer‖ e ―facere‖, indica appunto il processo di rendere sacro il bene cui si

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degli antenati, bensì come atto di amore e di protezione da parte di esseri superiori a favore di quella data comunità, abbia una forte valenza sociale ed una efficacia pacificatrice indiscutibile. ―Il sacrifico polarizza sulla vittima i germi di dissenso sparsi ovunque e li dissipa proponendo loro un parziale appagamento‖ (Girard, 1980: 22). Il sangue sparso sana così dal desiderio di spargere altro sangue e purifica da ogni ferocia commessa in precedenza. La violenza si placa e la comunità è salva.

Ciò che redime gli esseri umani dall‘autodistruzione, infatti, è solo la capacità o la volontà di fare memoria di quella violenza. Medea infatti costringe Glauce a ricordare la notte in cui sua sorella veniva condotta alla morte: la costringe a rievocare quanto, negli anni, aveva invece consegnato alla parte più segreta di sé, condannandosi al male oscuro che le logorava l‘esistenza. Medea la conduce ―davanti ai posti pericolosi dove da sola non [riusciva] a passare‖ (Medea. Voci: 139)37. Proprio il bisogno di ricordare, indagando e cercando di capire ogni dettaglio, ricostruendo passo dopo passo i fatti, costituisce il desiderio più grande di Medea, la sua vera tragica passione. L‘inesauribile ricerca della verità la anima e la muove: è questa la sua colpa più grande.

8. La maledizione di Medea: la scelta del bene come vera scelta di