• Non ci sono risultati.

Il mito di Medea, di cui il romanzo è evidentemente memore, viene capovolto nella figura di Sethe, nel suo amore materno e nella sua sfrontata resistenza al potere: e per la prima volta, la ύβρις di un personaggio tragico non viene più presentata come una colpa, bensì come una virtù. Sovvertendo dunque lo stesso stereotipo della matriarca nera da cui deriva, Sethe incarna piuttosto l‘archetipo della madre che dà la vita con infinita generosità e la difende da ogni minaccia, riprendendosela tuttavia con la stessa rapidità con cui l‘ha donata. Il gesto di sfida con cui sgozza la figlia pur di sottrarla alla schiavitù fa di lei un personaggio austero che, se come Medea agisce nella piena consapevolezza

Marianna Pugliese

delle proprie azioni, al contrario di questa non è mossa né da orgoglio né da vendetta, ma solo da spirito di libertà e incapacità di vivere la separazione.

Come in Euripide, anche in Seneca Medea è rappresentata quale donna scissa tra passione e ragione, e dunque combattuta tra desiderio di vendetta e amore materno. Tuttavia, al fulcro semantico del testo euripideo, che è appunto la consapevolezza di Medea di essere profondamente divisa, Seneca predilige l‘aspetto più irrazionale dell‘eroina, il furor che sembra guidare ogni suo pensiero e determinare tutto il suo agire. La lacerazione dell‘animo di Medea, che emerge nel celeberrimo monologo del quinto episodio e soprattutto nei versi finali del testo euripideo, è un modernissimo esempio della capacità di autoanalisi del personaggio; tuttavia, come già ricordato in precedenza, il

θυμòς di Medea non indicherebbe l‘irrazionalità della sua passione, quanto

piuttosto l‘ardore, lo slancio e la volontà che animano il suo agire e con cui è capace di indirizzare allo stesso modo le proprie azioni verso il bene o verso il male.

Al conflitto interiore di Medea, Toni Morrison oppone invece la lucida freddezza con cui Sethe decide di uccidere Beloved, e al motivo dell‘infanticidio come vendetta consapevole e frutto di una scelta sì combattuta, ma libera e tutta individuale, fa subentrare l‘immediatezza di un gesto istintivo e forse solo apparentemente snaturato, che convoglia sulla protagonista la benevola compassione del lettore. Se la colpa nella vicenda tragica di Medea è da identificarsi proprio nella lucida premeditazione dell‘infanticidio, frutto della sua azione cosciente e autonoma, in Beloved il

furor che sospinge il gesto e la celerità di esecuzione che non lascia tempo al

pensiero, fanno di Sethe un personaggio nuovamente innocente nella sua essenza tragica.

Medea non può infatti giustificare il suo orrendo crimine come imposizione del fato che la guida, né come adesione a valori etici che oltrepassano la sua volontà: al contrario, ella è consapevole e responsabile, libera e disobbediente. Medea non è la prima madre assassina della tradizione letteraria e mitologica: altre figure tragiche l‘hanno preceduta nell‘esecuzione

Marianna Pugliese

dell‘orribile fatto12. Lo scandalo che fa di lei una figura esclusiva nel panorama tragico consiste proprio nella ferma risolutezza con cui dichiara: ―ucciderò i miei figli‖ (Medea: v. 792) e nel rigore con cui affronta l‘infelice sorte che lei, e non più una divinità, ha per la prima volta voluto scegliere. Contrariamente a Medea, in Sethe il gesto non è dettato da lucida premeditazione, ma irrompe impulsivo eppur lucidissimo: la sua azione non è il frutto di un minuzioso ed impeccabile disegno progettato con dovizia di particolari, bensì l‘ultimo innato tentativo di assicurare ai figli la salvezza. Sethe uccide nella consapevolezza di non avere nessuna altra alternativa e si macchia dell‘unica colpa che le si può attribuire: l‘amore sconfinato di una madre. Per questa ragione, lo sguardo del lettore si posa su di lei indulgente e compassionevole; la disperazione e la dignità di questo personaggio tragico, oltre che il suo tremendo passato di schiavitù e la profonda sofferenza che ne deriva, le assicurano assoluto rispetto e sincera commiserazione. A differenza di Medea, Sethe agisce con risolutezza e determinazione, senza mezzi termini né lacerazioni interiori. In Toni Morrison, così come in Seneca, la protagonista uccide solo per eccesso di amore e per questo non può essere biasimata: ―I took and put my babies where they‘d be safe‖ (Beloved: 164), dice Sethe13.

Il motivo dell‘infanticidio in Beloved, dunque, si carica a un tempo di valenze sia euripidee che senecane, nella misura in cui alla presentazione delle ragioni che spingono all‘infanticidio, elencate in Euripide e tuttavia mai giustificate, Toni Morrison sulla scia di Seneca aggiunge elementi che servono a scagionare la sua assassina da qualsiasi colpa. In questo modo, benché Sethe si sia macchiata di un atto cruento e profondamente ingiusto, ha ragioni che lo sostengono e lo giustificano tanto da trovare benevola compassione nel lettore. Non avendo avuto altra scelta, ed essendo machiavellicamente risoluta a raggiungere il suo unico fine a costo di usare qualsiasi mezzo, Sethe diventa assassina per amore e nella forza di questo amore mette in atto la sua rivalsa.

La soluzione rappresentativa dell‘infanticidio serve a Sethe per evitare alla figlioletta di dover passare a sua volta attraverso gli orrori della schiavitù, e

12 Basti pensare ad Altea, Procne, Clitemnestra ed Ino.

13 ―None of us, if we love, can stop ourselves from the wish to kill‖, scrive Martha Nussbaum in Serpents in

Marianna Pugliese

per opporsi alla schiavitù nel suo presupposto fondante: la negazione dell‘identità individuale. La schiavitù, infatti, ha insegnato la proprietà come unico paradigma di rapporto tra gli esseri umani, ed ha negato agli schiavi qualsiasi volontà che non fosse quella del padrone; in questo scenario, Sethe compie un gesto che, benché estremo e dolorosissimo, si impone come supremo esercizio di volontà nella misura in cui ribalta l‘essenza stessa della schiavitù e le permette di rivendicare la sua libertà senza impedimenti. Sethe reclama il suo diritto di maternità sui figli che sono solo suoi, e non più del padrone, e alla morte sociale imposta dalle catene sostituisce quella fisica che sola può discioglierle. Uccidendo la figlioletta, Sethe vuole non solo assicurarle la libertà, e poco importa di quale libertà si tratti, o di quanto alto sia il prezzo da pagare, quanto piuttosto trattenerla a sé in un abbraccio tremendo e senza fine. Proprio perché la schiavitù può separarla dalla figlia, Sethe per non separarsene la uccide: e così l‘attaccamento materno alla bambina senza nome diventa una tragedia di separazione e fusione, di amore e possesso, agghiacciante quasi quanto la schiavitù. Cattività e maternità diventano quindi nel romanzo impalpabilmente confinanti, quasi che la madre si sfamasse della figlia come il padrone del lavoro dello schiavo. Ancora una volta, la madre si definisce nella fusione vampirica con la sua bambina, nutrendosi di lei che paradossalmente l‘assorbe e la sazia:

I am Beloved and she is mine. […] Beloved You are my sister You are my daughter You are my face; You are me […] You are my Beloved You are mine‖ (Beloved: 210-216).

Il legame complicatissimo tra Sethe e Beloved si caratterizza dunque come tipicamente preedipico, mentre il romanzo rivela le pulsioni più profonde e distruttive di una maternità che la schiavitù ha reso estrema, tratteggiando la figura spaventosa di una madre terribile che ancora una volta genera e divora, origina e distrugge.

Marianna Pugliese

6. Colpa e vendetta in Beloved. Superamento del mito e ritorno