L‘interesse di Toni Morrison per la mitologia si manifesta sin dalla sua adolescenza quando, crescendo tra i racconti orali che gli anziani condividevano all‘interno della comunità, si forma e matura.
There were two kinds of education going on: one was the education in the schools which was print-oriented; and right side by side with it was this other way of looking at the world that was not only different than what we learned about in school, it was coming through another sense. People told stories (Neustadt, 1980 in Taylor-Guthrie, cur., 1994: 90)7.
Dopo quattro anni di latino alla Lorain High School, Toni Morrison continua ad Harvard, negli anni che vanno dal 1951 al 1953, lo studio della letteratura classica, concludendo il suo percorso universitario nel 1955 con una tesi dal titolo ―Virginia Woolf‘s and William Faulkner‘s Treatment of the Alienated‖. Già in questo primo lavoro, probabilmente influenzata dal suo essere un ―classic minor‖, come lei stessa dice in una intervista del 1981 (LeClair, 1981 inTaylor-Guthrie, cur., 1994:125) e in un‘altra del 1985 (Jones e Vinson, in Taylor-Guthrie, cur., 1994: 176), emerge la modalità tragica della sua scrittura, nella misura in cui, includendo processi di rivelazione e catarsi, identifica tutti gli elementi della tragedia classica nell‘opera di Faulkner e introduce il senso del tragico che pervaderà l‘intera sua produzione futura. In
Unspeakable Things Unspoken, una lezione tenuta alla Michigan University il
7 ottobre 1988, afferma:
A large part of the satisfaction I have always received from reading Greek tragedy, for example, is in its similarities to Afro-American communal structures […] and African religion and philosophy. In other words, that is part of the reason it has quality for me – I feel intellectually at home there. But that could hardly be so for those unfamiliar with my ―home‖, and hardly a requisite for the pleasure they take (Morrison, 1989: 2-3).
7 All‘ufficialità dell‘apprendimento si affianca l‘informalità dell‘acquisizione; Toni Morrison evidenzia qui la
netta dissonanza tra la cultura dei libri e quella delle voci, vale a dire tra ciò che veniva insegnato nelle scuole e ciò che invece veniva spontaneamente acquisito grazie ai racconti orali della comunità. Questa opposizione rimanda alla dicotomia tra oralità e scrittura, nonché tra varietà standard e dialetto in Liz Lochhead (II: §§ 6,7).
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Il rapporto intrattenuto con i classici, tuttavia, non sussume legami gerarchici di superiorità e subordinazione:
[…] (Greek tragedy) makes available these varieties of provocative love because it is masterly – not because the civilization that is its referent was flawless or superior to all others. […] Finding or imposing Western influences in/on Afro-American literature has value, but when its sole purpose is to place value only where that influence is located it is pernicious‖ (ibid.: 3, 10)
Al contrario, le continue interconnessioni tra la cultura greca e quella africana servono a svelare quanto nel corso dei secoli è stato oscurato dalla cultura dominante.
In engaging Greece and Rome the author is not borrowing from or even insisting on her right to share in a pure, white legacy. Instead, […] she is re-appropriating a tradition which emerged from interactions and affinities between Europe and Africa, and thus was never either pure or white. (Roynon, 2007: 5)
Trasformando dunque la tradizione classica e la stessa cultura Americana in maniera incessante e sempre diversa, Toni Morrison rilegge la storia e rinarra il passato secondo una prospettiva nuova. L‘impiego frequente di paradigmi classici non è tuttavia celebrativo di un passato antico poco affine con la tradizione africana, quanto piuttosto sovversivo degli stessi modelli adottati e, attraverso questi, di alcuni aspetti della cultura dominante americana. In questa prospettiva si comprende come l‘utilizzo degli archetipi serva non solo a rinarrare le storie dei vinti, ma a criticare l‘ideologia convenzionale dei vincitori. Così, il paradigma dell‘eroe tragico, diviso tra volontà e necessità e ironicamente condannato nella libertà della sua scelta a subire le conseguenze di un destino comunque nefasto, diventa per esempio strumento per contestare l‘accettazione acritica della cultura prevalente e la celebrazione incondizionata della nozione stessa di libertà. ―E‘ un paese libero, quest‘uomo è mio‖: così Alessandro Portelli intitola uno dei paragrafi di
Canoni Americani (Portelli, 2004: 12), per significare tutta l‘incoerenza e
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diciottesimo secolo, aveva giustificato la schiavitù. ―Il possesso di schiavi non era solo incidentale per i gentiluomini del Sud, ma implicitamente costitutivo del proprio orgoglio di uomini liberi‖, continua Portelli (ivi), avvalorando la natura ossimorica, quasi schizofrenica, di una affermazione che contiene in sé molti tratti di una delle più diffuse idee americane di libertà: quella secondo cui la libertà non interessa le relazioni tra gli individui nella società, bensì la sola volontà dell‘individuo che si arroga autonomamente il diritto di agire secondo una illimitata possibilità di scelta e di movimenti. Si tratta, tuttavia, di una libertà triste e disgraziata, se governata dall‘arroganza e dal limite – quello proprio di chi così agisce, si intende, e non quello imposto alla libertà degli altri. Continua Portelli:
E‘ una libertà solitaria e assoluta, che non conosce […] nessun limite e nessun criterio di reciprocità. […] è la libertà solipsistica della frontiera […] o quella di relazioni internazionali in cui gli Stati Uniti non sempre riescono a riconoscere la sovranità altrui se non come impedimento alla propria. […] A free country insomma può designare sia un paese in cui le persone sono libere, sia anche un paese che è libero nel mondo di fare quello che vuole ―senza badare alle linee di confine‖. (Portelli, 2004: 13)
Altrettanto borioso, secondo Toni Morrison, è l‘atteggiamento con cui molti scrittori bianchi contemporanei si pongono nei confronti della letteratura, quasi ne fossero gli unici indiscussi ―proprietari‖:
Contemporary writers deliberately exclude from their conscious writerly world the subjective appraisal of groups perceived as ―other‖ […]. It only seems that the canon of American literature is ―naturally‖ or ―inevitably‖ white (Morrison, 1989: 13-14).
In un contesto culturale così strutturato, fatto di separatismi e ripartizioni di potere, la scelta di realizzare un romanzo quasi corale in cui la voce della comunità ha un ruolo determinante è quanto meno inconsueta e senz‘altro provocatoria. Il reimpiego del coro greco, infatti, che rende così affine la tragedia classica alle strutture comunitarie afro-americane per la continua opposizione tra volontà individuale a bene collettivo, e poiché traduce ―the heroic struggle between the claims of community and individual hubris‖
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(Morrison, 1998: 125), è finalizzato a criticare l‘individualismo dilagante e la difficoltà dei rapporti interpersonali nell‘America di oggi.
Autonomy is freedom and translates into the much championed and revered ―individualism‖; newness translates into ―innocence‖; distinctiveness becomes difference and the erection of strategies for maintaining it; authority and absolute power become a romantic, conquering ―heroism‖, virility, and the problematics of wielding absolute power over the lives of others. All the rest are made possible by this last, it would seem – absolute power called forth and played against and within a natural and mental landscape conceived of as a ―raw, half-savage world‖. (Morrison, 1992: 44-45).
Dichiara l‘autrice:
There is something about the Greek chorus, for example, that reminds me of what goes on in Black churches and in jazz where there are two things. You have a response, obviously. The chorus being the community who participates in this behaviour and is shocked by it or horrified by it or they like or they support it. Everybody is in it. And it has something also with the way in which those stories are told because the reader becomes a participant in the books, and I have to make it possible for the reader to respond the way I would like the chorus to in addition to the choral effects in the book itself. (Jones-Vinson, 1985, in Taylor-Guthrie, 1994: 176)
La decisione di costruire dunque un romanzo polifonico è data non solo dalla presenza di una comunità che osserva gli eventi e li commenta, ma dall‘apertura del romanzo stesso alla partecipazione del lettore, il quale, ―as part of the population of the text, is implicated‖ (Morrison, 1989: 22).
Being in church and knowing that the function of the preacher is to make you get up, you do say yes, and you do respond back and forth. The music is unplanned and obviously not structured, but something is supposed to happen, so the listener participates. (Ruas, 1981 in Taylor- Guthrie, 1994: 101).
Questo è possibile solo se si intende la storia narrata non più come proprietà di chi la racconta, bensì come tesoro della comunità tutta che, attingendo di volta in volta al patrimonio collettivo, lo trasforma e lo ricrea senza sosta. Il patrimonio culturale specifico, tuttavia, non è il solo depositario di modelli archetipici che al contrario ricorrono in culture lontane e
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diversissime, e sopravvivono nei secoli esigendo molteplici interpretazioni. Svariati temi archetipici sono infatti riconoscibili dall‘intero genere umano, poiché i contenuti dell‘inconscio collettivo si riallacciano al patrimonio storico- culturale dell‘intera umanità.
[…] And even when we were sitting around telling stories, the stories were never the property of the teller. They were community property or they were family property and anybody could elaborate on them or change them and retell them. You heard them over and over again. (Jones-Vinson, 1985, in Taylor-Guthrie, 1994 : 176).
Non si tratta dunque esclusivamente di rappresentazioni ereditate, ma di possibilità ereditate di rappresentazioni. Il reimpiego spesso ludico e sovversivo di elementi tradizionali permette quindi di confermare il carattere universale del mito e di riconfigurare le dinamiche convenzionali di genere e razza - nonché la disparità tra e aspirazioni nazionali e la realtà socio-politica esistente. La superba convinzione secondo cui i classici siano dominio esclusivo di un gruppo ristretto di autori bianchi viene così insidiata e sabotata attraverso i classici stessi. Toni Morrison non scrive per i bianchi, ma per la gente dalle pelle scura:
We have always been imagining ourselves. […] We are the subjects of our own narrative, witnesses to and participants in our own perspective, and, in no way coincidentally, in the experience of those with whom we have come in contact. (Morrison, 1989: 9)
L‘utilizzo di motivi classici potrebbe da un lato confermare l‘impossibilità del testo nero di esistere al di fuori della tradizione bianca, al di fuori del canone occidentale; al contempo, la sovversione della mitologia occidentale potrebbe altresì tradurre l‘inadeguatezza della stessa a rappresentare l‘identità nera: d‘altra parte, la costruzione dell‘identità e, con essa, della letteratura nera, dall‘interno e in maniera autonoma, senza sovrastrutture né determinazioni esterne, è stata sempre portata avanti con grande fatica. Ma si sa che nelle sfide più ardue si misurano i più audaci e Toni Morrison, piuttosto che congedare frettolosamente la mitologia classica come egemonica e prepotente, la sfrutta e la sfida in un confronto senza sosta.
Marianna Pugliese