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CARRIERA DI UN UOMO DI MARE

Nel documento Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel (pagine 25-53)

ranghi. Da guardiamarina, mentre stava ordinando una manovra con un tempo d’inferno, sentì un marinaio che, sotto il diluvio che imperversava, esclamava: «Eh già! Lui fa presto a comandare, ha il cap-potto lui e non si bagna di certo». Al che Revel si tolse immediatamente la cerata in modo da affrontare gli stessi disagi del marinaio; aveva ricevuto una di quelle le-zioni che non avrebbe dimenticato facil-mente!. Revel aveva un altissimo senso della responsabilità, propria e altrui, e il giudizio peggiore che poteva emettere su una persona era «non lo ha fatto perché aveva paura delle responsabilità». E quanto agli ‘ordini’ era sempre convinto che, se non venivano eseguiti alla perfe-zione, la colpa era di chi li aveva impartiti in maniera non chiara, donde la costante preoccupazione di assicurarsi sempre che un ordine venisse ben compreso.

Del periodo in cui fu imbarcato sull’Af-fondatore, esiste, come accennato, un

«Giornale particolare di Paolo di Revel», denso di calcoli astronomici, di dati tec-nici, con un’attenta disamina dei pro-blemi inerenti alla navigazione, effettuata con la descrizione della quotidiana rou-tine di bordo di un’unità da guerra in tempo di pace, ma anche ricca di spunti per quanto riguarda il contesto storico-geografico delle località visitate dall’unità nella sua campagna nel Mediterraneo orientale (fine gennaio-agosto 1878), nello stile della letteratura dei viaggi.

Con particolare attenzione il giovane Revel segue, per esempio, gli esercizi di tiro dell’unità durante la navigazione da Salonicco a Volos (11 maggio 1878) e analizza criticamente le mende tecniche di quella nave che, appena dodici anni prima, era stata additata come la nave -miracolo della R. Marina, anche se nello scontro navale di Lissa non aveva affatto dato buona prova di sé (i tempi troppo lunghi dell’evoluzione dei pezzi, l’ecces-siva loro bassezza rispetto alla coperta, la scarsa libertà di brandeggio limitata

dalle sovrastrutture stesse, l’incomodo sistema di caricamento). Le note tecni-che sui problemi inerenti al servizio (tiro e manovra) sono la caratteristica più marcata del suo «Giornale», con cui si immerge sempre più nella propria pro-fessione. Durante la sosta a Smirne, tra la fine di febbraio e gli inizi di marzo, una chiromante gli predice che, dopo aver raggiunto le massime soddisfazioni dalla sua carriera, alla fine «sarebbe morto sulla paglia». Come vedremo, tale profezia avrebbe avuto, durante la sua lunga vita, interpretazioni diverse da parte dello stesso Revel che, solo al ter-mine della sua esistenza, arrivò a com-prenderne il significato più profondo.

Un’esperienza eccezionale si offre poi a Revel quando imbarca sulla fregata ad elica Garibaldi che si appresta a com-piere il suo secondo viaggio di circum-navigazione del mondo (aprile 1879-agosto 1882), dopo quello degli anni 1872-’74. Il sesto invero effettuato da una nave della R. Marina. I precedenti peripli del mondo si devono infatti alla pirocorvetta Magenta (1866-’69), alla corvetta Vettor Pisani (sia nel 1871-’73 che nel 1874-’77) e all’incrociatore Cri-stoforo Colombo (1877-’79). E nel poco più di mezzo secolo che intercorre tra la proclamazione del Regno e l’entrata in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale, cioè dal 1861 al 1915, nel con-testo di settanta campagne oceaniche ef-fettuate dalle unità della R. Marina, i viaggi di circumnavigazione saliranno a ben ventuno. Per dirla in estrema sintesi, la letteratura critica (16) ha messo bene in evidenza quali siano le complesse mo-tivazioni d’ordine politico — diploma-tico — economico e scientifico che spingevano le navi della «Nuova Italia» a

«mostrare la bandiera» nei mari del mondo, con le sue missioni di presenza e immagine. La Marina costituiva, allora come oggi, la «finestra sul mondo» e la

«prima portavoce» degli interessi

nazio-Supplemento alla Rivista Marittima

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nali nella sua «proie-zione» su scala interna-zionale, godendo sempre dell’immunità dell’amba-sciatore e della forza del soldato, come scrisse ai suoi tempi l’ammiraglio Virgilio Spigai, ovvero presentandosi «come braccio secolare della po-litica estera, a comple-mento, sostegno e sostituzione della diplo-mazia», come ebbe a esprimersi l’ambascia-tore Walter Maccotta, col-laboratore storico della Rivista Marittima. In ma-niera più stringata “un mix di hard e soft power”, come diremmo ai nostri giorni. Nel periodo

consi-derato, in particolare, sotto un profilo sociologico, l’ufficiale della R. Marina per la sua estrazione elitaria (si trattava in genere di figli ‘cadetti’ di famiglie no-biliari, come nel caso di Revel), i legami personali e familiari, i severi studi com-piuti, la conoscenza delle lingue, il sa-persi muovere con disinvoltura negli ambienti internazionali, viene visto come un vero e proprio ‘alter ego’ del prototipo del diplomatico del tempo, at-tore di un collegamento sempre più stretto fra azione diplomatica, politica navale e conquista dei mercati esteri in funzione di un programma ‘organico’ di espansione nel mondo dell’Italia, appena uscita dal Risorgimento nazionale.

Per due episodi, il viaggio intorno al mondo della fregata Garibaldi merita di essere ricordato. Innanzitutto, per il ruolo svolto a protezione delle comunità di italiani all’estero in una delle ricor-renti crisi politico-militari sudamericane (il conflitto tra Cile e Perù). In secondo luogo, per il contributo dato, nel viaggio di ritorno, al principio della libertà di

na-vigazione con la riapertura del Canale di Suez alla navigazione internazionale, durante la crisi provocata dalla rivolta xenofoba di Arabi Pascià nel 1882. Il modo in cui Revel (promosso sottote-nente di vascello il 1° luglio 1880) vive una tale esperienza, lo possiamo pun-tualmente ricostruire dalle Lettere alla madre del periodo (dal 4 aprile 1879 al 16 luglio 1882), un complesso documen-tario imponente (ben 73 lettere), attra-verso cui possiamo ripercorrere analiticamente quest’esperienza alta-mente formativa non solo sotto il profilo strettamente nautico-tecnico, ma anche dal punto di vista, se così vogliamo esprimerci, politico-internazionale. Nelle numerose tappe di questa straordinaria esperienza internazionale, che peraltro ben conosciamo attraverso una serie di testimonianze incrociate (16), l’epistola-rio di Thaon di Revel ci offre lo specchio fedele delle sue impressioni, come uomo e come marinaio, con una maturazione ben diversa da quel semplice spirito di servizio che sembrava dominare le

pa-Sulla fregata GARIBALDI, al comando di Costan tino Morin, negli anni 1879-1882 il sottotenente di vascello Revel matura un'eccezionale esperienza con il giro del mondo, in cui i fatti più salienti furono costituiti dalla guerra in corso tra il Cile e il Perù e la riapertura, effettuata dal 'unità ita liana stessa, del Canale di Suez alla na-vigazione internazionale (foto Ufficio Storico della Marina Militare).

gine del «Giornale dell’Affondatore». Il giovane sottotenente di vascello si co-mincia ad aprire ad una visione più vasta dei problemi inerenti alla naviga-zione, a un’immagine più complessa delle persone che ha occasione d’incon-trare e dei Paesi che ha la ventura di vi-sitare. Nei Paesi «très intéressants et peu connus», le forti impressioni si succe-dono incalzanti: dallo stretto di Magel-lano, che ad un certo punto gli sembra quasi un lago circondato da altissime montagne, in cui non si vede più né l’en-trata né la possibilità d’uscita, alla quasi palpabile immensità del Pacifico in cui

«nous avons perdu de vue toute éspèce de terre», alle descrizioni a forti tinte delle città straniere conosciute, al modo sempre cauto ma preciso in cui cerca di penetrare a poco a poco nella realtà più intima dei Paesi visitati. Il Perù, per esempio, gli appare il paese «où l’on change de gouvernement à tous mo-ments» e, naturalmente, la sua atten-zione è attratta in particolare dalle vicende militari e navali della guerra al-lora in corso (come il bombardamento navale cileno della città di Arica o il blocco navale alle coste peruviane) come pure da minori episodi di guerra (ad esempio, l’attacco di una torpediniera ci-lena contro la fregata peruviana Union).

E naturalmente, se è vero che «tutto il mondo è paese», come recita il vecchio adagio, particolarmente lusingato sarà Revel quando, nel colloquio con alcuni ufficiali savoiardi della Marina francese, sentirà parlare in termini molto lusin-ghieri della famiglia de Vars, la famiglia della madre. Tra i libri letti durante la lunga crociera all’estero, troviamo «Imi-tation de Jésus-Christ», opera che la madre gli aveva donato al momento di partire per il collegio S. Anna (con la de-dica «Aime toujours Dieu et n ‘oublie pas que de ta conduite dépend le bonheur de ta mère»), mentre dai libri e dalle riviste che chiede alla madre si può

chiara-mente capire come Revel sia in grado di apprezzare quella che è stata definita

«la deliziosa polverosità di un classico», di riconoscere quella che Proust definiva

«le Vernis des Maîtres» In definitiva come la cultura sia per lui più che mai

«l’arte dell’imparare» nel senso più pro-fondo, direi crociano, del concetto. Se la sosta a San Francisco non fa che confer-mare il suo giudizio precedentemente espresso sugli Stati Uniti, il Giappone in un certo senso lo delude (e non si perita di dichiararlo apertamente), anzi gli pro-cura un certo fastidio l’eccessivo forma-lismo e la troppo zelante esteriorità, unitamente alla «très peu de decence»,

Supplemento alla Rivista Marittima Un'immagine di Thaon di Revel da tenente di vascello;

durante la permanenza in tale grado (1886-1895) rivestì l 'incarico di ufficiale d'ordinanza del principe Eugenio di Savoia-Carignano ed alternò numerose destinazioni d’imbarco (foto Uf ficio Storico della Marina Militare).

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anche se non esita a riconoscere che è accompagnata da «très peu de malice».

Infine, come annota sempre nelle sue lettere, nel viaggio di ritorno, il passag-gio del Canale di Suez, pur in un conte-sto politico così farraginoso, è avvenuto

«senza il più piccolo fastidio». Tra gli imbarchi che si succedono in maniera continuativa dal novembre del 1882 al giugno del 1884 e, quindi, dal luglio del1888 al novembre del 1896 (vds. A.D.

- doc. n. 1), una parentesi interessante è costituita dal periodo in cui venne chia-mato a svolgere l’incarico di ufficiale d’ordinanza del principe Eugenio di Sa-voia-Carignano, un personaggio invero trascurato dalla storiografia, nonostante il ruolo di primo piano svolto durante tutte le campagne risorgimentali (17).

La permanenza presso la Casa militare del principe (formata da un colonnello e due ufficiali subalterni, uno dell’Esercito ed uno, appunto, della Marina) che abi-tava a Torino, a Palazzo Chiablese (18), risulta particolarmente gradita al Revel, sia per motivi personali (ritorno dopo molti anni nella sua città anche se da poco, purtroppo, è scomparsa la madre), sia per motivi d’ordine più generale in quanto la piccola corte del principe Euge-nio costituisce un osservatorio interes-sante che gli consente di riallacciare, con maggiore intensità, quelle relazioni so-ciali di famiglia che, nonostante tutto, erano sempre rimaste attive nel ristretto ambiente della nobiltà subalpina, la cui differenza da quella romana, come era solito ripetere, consisteva nel fatto che

«la prima aveva sempre dato, la seconda aveva sempre preso!». Inoltre il principe Eugenio, come ricorda Revel in numerose testimonianze del suo archivio, quasi esclusivamente di carattere personale e privato nel senso letterale del termine, era una persona simpatica e di spirito che tutte le sere, dopo il pranzo, aveva l’abi-tudine di riunire i propri ufficiali, raccon-tando e commenraccon-tando fatti e aneddoti

della sua vita e di quella di personaggi di primo piano che, al di là di ogni carattere ufficiale, il Principe aveva conosciuto anche nei loro atteggiamenti privati. Tra queste testimonianze di vita vissuta ad esempio, il Principe raccontò di una volta in cui aveva venduto a Vittorio Emanuele un cavallo che zoppicava. Quando il Re se ne era accorto e aveva cercato ripetuta-mente di manifestare le proprie rimo-stranze sul dubbio «affare» che aveva concluso, il Principe lo aveva più volte messo a tacere, interrompendolo e cam-biando discorso. E quando la sera stessa Vittorio Emanuele riuscì finalmente a chiedergli la ragione di quel suo strano comportamento della mattina, quest’ul-timo gli rispose: «Voestu fe savé a tuti che t’ses stais...», cioè «Ma volevi proprio far sapere a tutti che sei stato uno stupido?».

Un’altra volta, al deputato Saracco, uomo della ‘sinistra’ che in una cerimonia pub-blica cercava di nascondere la Croce di cavaliere con il risvolto del proprio man-tello, il Principe, al quale non era sfuggita la manovra in corso, lo apostrofò con la seguente battuta: «Sarac, se i dà tant fa-stidi, ch‘as la gava» (Saracco se le procura tanti fastidi, se la tolga pure!).

In un’altra occasione fu lo stesso Revel che stava per cadere in uno degli inno-centi tranelli tesi dal Principe che l’aveva mandato, tra il serio e il faceto, dal prin-cipe Amedeo per l’adesione a una inizia-tiva benefica in favore dei reduci della campagna nell’Italia meridionale, ben sa-pendo come Amedeo fosse molto ‘spara-gnino’ nell’elargire contributi in denaro. A rimanere sorpreso questa volta però fu lo stesso Eugenio, quando il suo ufficiale d’ordinanza ritornò con una offerta ina-spettatamente lauta e, date le circostanze, addirittura sorprendente. Sicché cedendo alla curiosità, il Principe chiese a Revel come era riuscito in un’impresa ritenuta impossibile. Il suo segreto presto fu rive-lato: «L’ho chiamato Maestà!». Amedeo in-fatti era noto per la sua ‘debolezza’ di

continuare a fregiarsi del titolo regale della sua infelice esperienza spagnola, tanto che un giorno lo stesso fratello Um-berto, spazientito, aveva affermato, bru-scamente, che di re in Italia ce n’era uno solo! Ma è soprattutto al periodo tra-scorso al Sud come Luogotenente Gene-rale di S.M. il Re che si riferivano i ricordi del principe, di cui rendeva partecipi i suoi ufficiali. Come quella volta che, a Pa-lermo, preoccupato dell’eccessivo prolife-rare delle ‘camicie rosse’ e sospettando che si trattasse solo di opportunisti del-l’ultima ora (ce ne sono sempre in ogni epoca!), emise un bando in base al quale, a chi avesse consegnato una camicia

‘rossa’, ne sarebbe stata consegnata una

‘bianca’ di ottima fattura … ed è inutile aggiungere che il numero delle camicie rosse calò drasticamente. Oppure la sto-ria di quel medico burlone che a un gari-baldino che si lamentava di una piaga, diede come panacea un semplice foglio di carta stampata. E poi, alle proteste del malcapitato sull’inefficacia del rimedio, candidamente rispose «Ma come! E’ l’Inno di Garibaldi, ha ‘seccato’ tutta la Sicilia, pensavo che ‘seccasse’ anche la sua piaga!» (19).

Dopo l’intermezzo trascorso presso la Casa militare del principe Eugenio, il te-nente di vascello Revel inizia su piccole unità le sue prime esperienze di co-mando. Il rapporto che lega un coman-dante alla propria nave è stato un tempo oggetto di una nutrita serie di studi che hanno avuto come oggetto la psicologia e l’etica del comando (20), ma forse una delle migliori definizioni che mette a fuoco il complesso rapporto comandante-nave ci viene offerta da Enrico Costantino Morin, il comandante di Revel nel viaggio di circumnavigazione della Garibaldi, in una sede insolita per un’analisi del ge-nere, le aule parlamentari (21):

«No, non basta che un comandante co-nosca perfettamente la sua nave;

biso-gna che si affezioni ad essa; bisobiso-gna che l’ami come una persona cara! Non si fa niente di bello, niente di buono, niente di grande, né sul mare, né altrove senza lo stimolo potente dell’amore, senza il fuoco sacro dell’entusiasmo!

Un comandante deve volere la sua nave forte e bella; deve esultare come d’una fortuna sua propria per le qua-lità che scopre in essa; deve adoperarsi senza tregua, non avere requie, fino a tanto che non ottiene siano emendati possibilmente i difetti che vi riscontra.

La sua nave deve essere la preoccupa-zione costante dei suoi giorni, il sogno delle sue notti. È necessario che anche in tempo di pace essa sia la sorgente delle sue soddisfazioni più ambite se si vuole che, qualora la guerra ne porga l’occasione, essa possa convertirsi nello strumento della sua gloria o diventare la sua tomba nell’abisso del mare!

E se avviene che esigenze di servizio strappino questo comandante alla sua nave, egli deve soffrire e rammaricarsi per averla perduta; deve provare con-tinua e potente la nostalgia del mare e fra le cure meno gravi, fra gli agi mag-giori di una destinazione a terra, un sentimento acre e pungente deve spin-gerlo a rimpiangere tutto quello che gli rammenta la sua vita di bordo: tutto, perfino le notti vegliate nell’ansia in una posizione pericolosa!».

Tra i numerosi imbarchi e navigazioni in-traprese dal nostro personaggio nel pe-riodo compreso tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, occupa un posto di rilievo la campagna del brigan-tino Palinuro (febbraio 1894 - maggio 1895), un due-alberi a vele quadre di 583 t (di 47,16 m di lunghezza e 7,63 di lar-ghezza), adibito a nave scuola, di cui pos-siamo seguire puntualmente le vicende attraverso il relativo «diario di bordo» con-servato sempre nell’archivio di famiglia.

Una destinazione invero

particolar-Supplemento alla Rivista Marittima

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mente gradita a Revel in quanto, anche se la R. Marina negli anni precedenti si era posta alla testa del progresso tecno-logico navale, tuttavia «la poesia della vela» non si era mai spenta.

Anzi nel diario di bordo possiamo chia-ramente cogliere una doppia soddisfa-zione: quella di comandare un’unità a vela, per i motivi accennati e, nel con-tempo, quella di comandare una nave-scuola, che gli avrebbe permesso di mettere a punto le sue qualità di educa-tore.

Il 5 maggio, infatti, Revel scrive: «L’istru-zione dei mozzi fu costantemente curata.

Fatto ogni rapporto, avendo però più di mira quella pratica che quella teorica e anziché dei maestri di attrezzatura ho provveduto a forgiare degli uomini di mare. Imperocché eccezionalmente sa-ranno essi chiamati ad attrezzare basti-menti, più frequentemente a governare con disinvoltura e stare ad agio nelle im-barcazioni e torpediniere, prestarsi in-somma con attitudine a tutti i complessi lavori di attrezzatura militare, così sulle grandi corazzate come sul piccolo avviso.

Mi sono studiato di formarne il carattere assuefacendoli a manovrare a riva sotto

qualunque intemperia, sia alla luce che al buio, ed all’uopo, ho quasi sempre tenuto nottetempo tutte le vele aspettando a ser-rarle che il vento l’impo-nesse».

La distinzione che Revel di proposito introduce tra teorici e pratici, ci offre lo spunto per illustrare un altro aspetto del suo ca-rattere: la sua ritrosia a scrivere per un pubblico più vasto di quello del proprio àmbito familiare o professionale «stricto sensu». In questa diffi-denza sopravvive in lui il distacco aristocratico per il mondo della pubblicistica, secondo le vecchie tradi-zioni sabaude che risalgono al Des Ge-neys per cui nella scuola di Marina di Genova «i giornali erano severamente proibiti» e la stampa quotidiana in fondo era ritenuta «una lettura indegna di un militare». Sicché pur di facile e di efficace penna nell’epistolario privato e in seguito nei suoi rapporti e memorie di servizio preparate per le gerarchie navali e per i responsabili politici della Marina, con una prosa brillante e precisa che si distingue per la sua chiarezza (22), si tiene lontano in genere dal mondo della pubblicistica, nutrendo qualche malcelato sospetto anche per la storiografia contemporanea, nella convinzione che «chi fa la storia non deve scriverla» e che «la storia in fondo è

La distinzione che Revel di proposito introduce tra teorici e pratici, ci offre lo spunto per illustrare un altro aspetto del suo ca-rattere: la sua ritrosia a scrivere per un pubblico più vasto di quello del proprio àmbito familiare o professionale «stricto sensu». In questa diffi-denza sopravvive in lui il distacco aristocratico per il mondo della pubblicistica, secondo le vecchie tradi-zioni sabaude che risalgono al Des Ge-neys per cui nella scuola di Marina di Genova «i giornali erano severamente proibiti» e la stampa quotidiana in fondo era ritenuta «una lettura indegna di un militare». Sicché pur di facile e di efficace penna nell’epistolario privato e in seguito nei suoi rapporti e memorie di servizio preparate per le gerarchie navali e per i responsabili politici della Marina, con una prosa brillante e precisa che si distingue per la sua chiarezza (22), si tiene lontano in genere dal mondo della pubblicistica, nutrendo qualche malcelato sospetto anche per la storiografia contemporanea, nella convinzione che «chi fa la storia non deve scriverla» e che «la storia in fondo è

Nel documento Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel (pagine 25-53)

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