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GRANDE GUERRA E POLITICA NAVALE

Nel documento Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel (pagine 53-91)

tazioni navali del 1905, quando le coraz-zate Vittorio Emanuele e Regina Elena erano state appena varate, partecipavano unità da tempo scomparse nelle altre Ma-rine, come la Lepanto, la Dandolo e la Mo-rosini (in servizio rispettivamente dal 1887, 1882 e 1889).

Il programma navale varato agli inizi del secolo parlava invece chiaro: tre navi ogni tre anni e del tipo più moderno, in maniera da avere costantemente una flotta omogenea e moderna, due requi-siti ritenuti indispensabili (44).

Naturalmente a un tale programma na-vale organico e lungimirante si oppo-neva, come in passato, l’endemica lentezza delle costruzioni (45), per cui unità che al momento della progetta-zione si potevano considerare all’avan-guardia della tecnologia navale, si trovavano ad essere di fatto superate quando finalmente entravano a far parte della squadra. La guerra libica, inoltre, se da un lato aveva permesso alla Marina italiana di svolgere un ruolo di impor-tanza primaria dall’epoca di Lissa, dal-l’altro lato, in termini politico-strategici, aveva accresciuto le «servitù navali» ita-liane nel Mediterraneo. Sotto un profilo prettamente tecnico poi la guerra, oltre a logorare il materiale per l’uso prolun-gato e continuativo, aveva rivelato la in-sufficienza ed i difetti del

naviglio leggero e silu-rante (46). Peraltro, in termini operativi, non ve-niva correttamente ap-prezzata né l’importanza dell’aviazione navale, no-nostante l’impegno per-sonale di molti ufficiali.

Come il STV Calderara, autore del progetto

“adattamento di un aero-plano tipo Wright a scopi navali” e primo brevetto di volo in Italia nel 1910, dopo le sue esperienze di

volo a Centocelle e nel circuito di Bre-scia, dove ebbe come passeggero un en-tusiasta Gabriele d’Annunzio, che ne trasfondeva le esperienze nel romanzo Forse che sì, forse che no, i cui protago-nisti sono due ufficiali di marina (47). E sarà proprio Revel il 27 giugno 1913 a istituire il Servizio aeronautico della R.

Marina! Il seguente 25 agosto venne fon-data la R. Scuola di aviazione e, nel con-tempo, provvedendo nel contempo alla separazione tra le componenti aeree del-l’Esercito e della Marina (che durante la guerra coopereranno comunque in ma-niera sempre brillante) e all’istituzione del “Quadro del naviglio aereo”, dove le aeronavi vennero iscritte in uno speciale elenco equiparato alle navi iscritte nel

“Quadro del naviglio di guerra dello Stato”. Un evento che è stato solenne-mente celebrato nel suo primo ‘Centena-rio’ a Maristaer Grottaglie il 28-29 giugno 2013 (48). Parimenti venivano sottovalutate le potenzialità dell’arma subacquea ai fini della lotta al traffico mercantile (tutt’al più considerata utile per la difesa costiera).

Perplessità che non erano peculiari della sola Marina italiana. Infatti, quando nel 1913 l’ammiraglio Fisher sottopose alle autorità navali britanniche il suo celebre memoriale circa «l’uso più probabile e

Supplemento alla Rivista Marittima Cerimonia a Maristaer Grottaglie del Centenario dell’Aviazione Navale (fonte SMM-UPICOM).

verosimile che i Tedeschi avrebbero fatto (dei sommergibili) contro il navi-glio mercantile», nessuno, neanche Churchill, allora Primo Lord dell’Ammi-ragliato, gli prestò attenzione per il fatto che «la coscienza di ogni marinaio si ri-bellava davanti al solo pensiero di una tale enormità» (49).

In questo contesto generale che abbiamo tratteggiato a grandi linee, si inserisce l’azione svolta dal nuovo capo di Stato Maggiore, come ce la siamo rappresentata sulla scorta di numerose testimonianze archivistiche incrociate (50), basate, al-meno da un punto di vista tecnico, su due criteri fondamentali che vengono così riassunti dallo stesso Revel: «Esaminare la nostra situazione marittima in rela-zione allo sviluppo delle altre Marine me-diterranee; realizzare il massimo rendimento bellico dei fondi disponibili».

Muovendosi tra la tradizionale diffidenza navale nei confronti della Francia e tra le prime perplessità nei confronti della stessa Austria-Ungheria, nonostante gli impegni triplicisti in vigore (l’alleanza con gli austro-tedeschi era stata rinnovata da ultimo il 5 dicembre 1912), Revel stabili-sce il criterio per cui l’efficienza relativa della Marina italiana si dovesse

mante-nere nella proporzione di 0,6 a 1 nei fronti di quella francese e di 4 a 3 nei con-fronti di quella austriaca. Tale criterio, espresso per la prima volta nell’agosto del 1914, all’inizio della guerra, avrebbe avuto successivamente, nel novembre dello stesso anno, una correzione nel senso che, almeno per quanto riguardava il naviglio silurante e leggero, la propor-zione nei confronti della Marina austriaca fosse fissata nel rapporto di 3 a l a favore della Marina italiana. In termini di costru-zioni navali, qual era dunque il pro-gramma di Revel?

Da un lato il Capo di Stato Maggiore vuole seguire la linea politica dei suoi predeces-sori, imperniata, per quanto riguarda le grandi unità da battaglia, sul principio delle «tre navi ogni tre anni e del tipo più moderno», un principio a cui la progettata costruzione delle quattro «Caracciolo»

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La vecchia sede del Ministero della Marina tra via dei Por-toghesi e via della Scrofa (dal 1871 al 1929), un tempo Casa Generalizia dei Padri Agostiniani, dove Revel si inse-diò come capo dello Stato Maggiore (dal 1913 al 1915 e dal 1917 al 1919) e come ministro della Marina (dal 1922 al 1925) (archivio Revel).

Documento RR relativo alle “Consegne di massima per gli addetti navali all’estero” vistato dal Capo di Stato Maggiore il 18 marzo 1914 (archivio Revel).

(Caracciolo, Colombo, Colonna e Morosini) deroga solo apparentemente. Infatti, se il progetto originario prevedeva tre super-dreadnoughts da 40 mila t; successiva-mente, però, venne deciso di costruire quattro corazzate rapide da 30mila t, che, per una serie di vicissitudini, peraltro, sa-rebbero state destinate a non entrare mai in linea (51).

Accanto a questo grande piano di costru-zioni navali imperniato sulle unità da bat-taglia (sugli scali italiani erano in costruzione altre cinque corazzate mono-calibro da 25mila t che entreranno in ser-vizio tra il maggio del 1914 e il marzo del1916) Revel punta sul naviglio leggero e subacqueo. Nel luglio 1913 presenta in-fatti il proprio programma navale basato su 64 cacciatorpediniere e 64 sommergi-bili (52), tanto che la stampa francese, pro-prio per la sua attenzione al nuovo strumento di guerra subacqueo, lo gratifi-cherà dell’appellativo di «homme des sous-marins» «Il largo numero dei primi — si premura di spiegare Revel — ci avrebbe messi in soddisfacenti condizioni rispetto ai corrispondenti avversari austriaci [di cui però in un certo senso finiva per so-pravvalutare la celerità dei programmi di costruzione navale]; coi secondi avremmo potuto moltiplicare gli agguati di aggres-sione alle navi del nemico, neutralizzando parzialmente l’enorme suo vantaggio do-vuto alla facilità di spostamento per rotte interne all’arcipelago dalmata in forze da noi non controllabili». Nel novembre del 1914, con la guerra europea da mesi in corso, il programma navale italiano a lungo termine prevedeva che nel 1918 la Marina militare dovesse disporre di «12 squadriglie di cacciatorpediniere su sei unità ciascuna, comprese quelle destinate all’esplorazione e un totale di 64 sommer-gibili tra quelli di grande dislocamento e quelli costieri».

Il programma navale di Thaon di Revel, prima di misurarsi con il precipitare della situazione internazionale e l’entrata in

guerra del nostro Paese, con un occhio alla Francia e uno all’Austria (mentre si tralascia di considerare la misura della partecipazione della flotta britannica e di quella russa alla guerra contro le potenze della Triplice nel Mediterraneo), punta ad una forza bilanciata equamente distri-buita tra le grandi unità da battaglia (nella proporzione di 10 a 16 nei confronti della Francia e alla pari con l’Austria) e ad un forte nucleo di unità siluranti e subac-quee, di cui si avvertiva soprattutto la mancanza. Purtroppo, per i tempi brevi dell’imprevedibile crisi europea, non sa-ranno ancora pronte le navi di linea im-postate nel ‘12 (cioè Caio Duilio e Andrea Doria) e le quattro Caracciolo, mentre si presenterà in forte ritardo il programma relativo alle unità leggere e subacquee (di esse, solo sei unità su dieci faranno ap-pena le prove in mare).

Nel contesto delle relazioni internazionali navali, il problema di fondo di Revel sarà quello di verificare come la flotta italiana, nell’eventualità di una guerra con la Du-plice franco-russa, avrebbe potuto far fronte alle Marine dei due Paesi conso-ciati, praticamente da sola, dato che gli accordi navali in corso con gli Austro-Te-deschi si limitavano, fino a quel mo-mento, solo a ripartire le zone di rispettiva competenza operativa. La prima preoccupazione di Revel sarà quella di rivedere gli accordi del 5 dicem-bre 1900 (53) e garantirsi (con una nuova convenzione navale che sarà firmata il 23 giugno 1913) un’effettiva cooperazione interalleata nel Mediterraneo con un reale concorso navale degli Imperi Centrali (54).

Una cooperazione che egli riteneva così vitale per gli interessi marittimi italiani da farlo decidere a cedere, in cambio, almeno per il 1914, il comando supremo agli Au-striaci stessi (e per questo si attirerà le cri-tiche del Bravetta e del Caprin in sede storiografica). Con i nuovi accordi navali la situazione mediterranea dell’Italia ap-pare notevolmente migliorata ma non

ri-Supplemento alla Rivista Marittima

solta completamente; infatti gli accordi navali potevano in realtà far fronte ad una situazione di emergenza di breve durata, nelle prime battute della guerra, ma avrebbero ben presto mostrato il loro fianco debole per la posizione geostrate-gica dello schieramento mediterraneo della Triplice, in cui l’Italia si sarebbe ine-vitabilmente trovata in primissima linea di fronte all’offesa nemica, senza poi

con-tare il pericolo navale britannico, all’epoca ritenuto imprevedibile, che avrebbe reso di fatto disperata una situazione ritenuta verosimilmente precaria da molti punti di vista. Ma al momento era tutto quello che si poteva ottenere dagli alleati. Revel è in verità il primo a riconoscere i limiti della Convenzione navale del ‘13 (tanto che de-finisce minime le possibilità di resistenza della Triplice nel Mediterraneo, perché

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Le occupazioni della sponda orientale dell'Adriatico considerale indispensabili nell'apprezzamento strategico dello Stato Maggiore della Marina (1914) (foto Ufficio Storico della Marina Militare).

anche la sicurezza della lunghissima co-stiera italiana avrebbe potuto essere ga-rantita). A più riprese mostra tutte le sue perplessità sulle premesse e sull’efficacia dei piani strategici combinati con gli al-leati, finendo per chiedersi se lo scolla-mento tra politica generale italiana e le effettive possibilità della sua strategia na-vale possa alla fine riuscire letale all’Italia.

Due infatti sono le ipotesi da considerare, a suo avviso: «Se è la nostra politica che non è in armonia con il nostro apparec-chio militare marittimo o se sia quest’ul-timo discorde dalla politica nostra ed incapace perciò di assumersi tutti quegli obblighi vitali e supremi di cui il Paese, nella sua inconscia fiducia, ama di imma-ginare investita la propria potentissima Marina». In definitiva, quindi, per dimi-nare questa pericolosa antinomia politica-strategia navale non ci sono che due soluzioni che si escludono a vicenda: «O cambiare la Marina, mettendola in rela-zione alla politica», che da più di tren-t’anni ha fatto della Triplice la sua principale opzione, ovvero: «Cambiare la politica, mettendola in relazione alla Ma-rina», con tutto quello che inevitabil-mente ne può conseguire (55).

E la verifica di un tale dilemma non tarda a venire alla luce; infatti al momento della crisi europea del luglio del ‘14 sono pro-prio le preoccupazioni di carattere marit-timo, oltre naturalmente alle altre numerose considerazioni di fondo, che fi-niscono per assumere un rilievo di primo piano e pilotare la scelta della neutralità proclamata dal Consiglio dei Ministri il 1°

agosto 1914. In tale occasione, alla seduta del Consiglio, viene chiamato a parteci-pare lo stesso Thaon di Revel, mentre nelle sedute precedenti, data l’infermità del Ministro della Marina, contrammira-glio Enrico Millo di Casalgiate, aveva soli-tamente presenziato il sottosegretario Battaglieri. Lo scarno resoconto della se-duta del 1° agosto 1914 poco ci aiuta a ca-pire quale sia stato il ruolo svolto in tale

occasione dal Capo di Stato Maggiore della Marina (56), ma plausibilmente le preoccupazioni sulle questioni marittime espresse dal ministro delle Colonie Ferdi-nando Martini nel suo Diario (57) lasciano chiaramente trasparire quale sia stato il tenore dell’intervento di Thaon di Revel nel mettere a nudo i pericoli dell’entrata in guerra dell’Italia a fianco degli Imperi Centrali nonché la precarietà della situa-zione della Triplice di fronte ad un pode-roso concentramento navale nel Mediterraneo non solo delle flotte francesi e russe, ma adesso, inequivocabilmente, come si poteva supporre dal precipitare degli eventi, anche di quella britannica. Il risultato? La distruzione per metà delle nostre città marittime, la perdita delle co-lonie per l’impossibilità di difenderle ed infine la rescissione delle comunicazioni marittime italiane da parte degli avversari con l’inevitabile mancato afflusso di quei rifornimenti necessari allo sforzo bellico della Nazione in guerra (in merito A.D., doc. n. 5). Nel suo Diario, che abbiamo avuto più volte occasione di citare, Martini lascia cadere con una dose di notevole sarcasmo l’osservazione che «nei Capi di Stato Maggiore la fantasia non è un requi-sito indispensabile». Ma al di là della bat-tuta ad effetto, invero una grande fantasia strategica si richiedeva ai responsabili tec-nici delle Forze Armate del tempo «not only preparing for the next war but also planning two wars ahead», cioè in due scenari differenti: una contro la Duplice franco-russa ed un’altra contro la stessa Triplice, come ben fa rilevare Brian R. Sul-livan, e tutto questo nel breve volgere di appena due anni, dal 1913 al 1915 (58).

Ed infatti in seguito alle complesse vi-cende della situazione internazionale dell’epoca che portano l’Italia a schierarsi dalla parte dell’Intesa franco-russa-britan-nica, proprio a norma dell’art. 3 del se-greto Patto di Londra del 26 aprile 1915, il Capo di Stato Maggiore della Marina (che non conosceva il testo del Patto di

Supplemento alla Rivista Marittima

Londra, con cui l’Italia si impegnava a entrare in guerra entro un mese, cioè il 25 maggio 1915, come d’altra parte non co-nosceva il testo della Tri-plice Alleanza) dopo appena venti mesi dalla stipulazione della conven-zione navale con gli Au-stro-Tedeschi, si trova a dirigere i negoziati con i Franco-Britannici per assi-curarsi il concorso alleato nella lotta adriatica contro gli Austriaci, una lotta che avrebbe visto in prima linea l’Italia e la Marina italiana. Naturalmente, dal

punto di vista marittimo la situazione si presenta in termini ben differenti da quella già prospettata; non si tratta infatti di assicurarsi la cooperazione dell’alleato per far fronte ad una soverchiante flotta nemica nel Mediterraneo, ma essenzial-mente di attenuare, con l’aiuto delle flotte consociate, la difficile situazione strate-gica dell’Adriatico in cui, come affermerà lo storico Camillo Manfroni, «tutti i van-taggi erano dalla parte del nemico e tutti gli svantaggi dalla parte

nostra», soprattutto in re-lazione alle unità leggere di cui la Marina italiana di-fettava per i propri molte-plici compiti operativi, a seguito dei ritardi nei pro-grammi di costruzioni na-vali e della inaspettata ed imprevedibile guerra eu-ropea. Come è stato osser-vato con efficacia

«l’Adriatico può venire pa-ragonato a un gigantesco fosso pieno d’acqua, limi-tato da una parte da una sponda bassa e pianeg-giante, dall’altra da un

muro a picco sull’acqua. La sponda bassa è quella italiana, il muro costituisce l’av-versaria». La cooperazione alleata, oltre al concorso in unità navali che il testo della convenzione, stipulata a Parigi il 10 mag-gio 1915, definisce «actif et permanent», affrontava il grosso problema del co-mando unico navale in Adriatico, di fronte al quale Thaon di Revel si mostra rigidissimo mentre, per ovvie necessità le-gate alla particolare situazione del 1913,

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Ricordi della guerra adriatica conservati in una teca nell’appartamento del Grande Ammiraglio (si notano, oltre ad una foto di D 'Annunzio con dedica, i fa-mosi «sacchetti» lanciati dal Poeta nei suoi voli di propaganda) (archivio autore).

tIl bastone di comando del Grande Ammiraglio, conservato in una teca in casa Thaon di Revel (archivio autore).

si era mostrato arrendevole nell’analoga circostanza. Per il Capo di Stato Maggiore il comando unico in mano agli Italiani rappresenta e riassume il senso stesso della guerra navale in Adriatico e delle pretese italiane sulla sponda opposta, sancite di fatto dal Patto di Londra. La guerra infatti nelle vedute di Revel doveva garantire il dominio italiano dell’Adriatico e liberare una volta per tutte la Marina ita-liana dalla «sindrome» di doversi prepa-rare a condurre contemporaneamente una guerra a levante e una a ponente e a meridione, cioè una guerra a est, in Adria-tico, contro un nemico in possesso di una netta superiorità geostrategica e una guerra ad ovest e a sud, per assicurare la libertà delle comunicazioni marittime nel Mediterraneo. La convenzione, attribuisce così agli Italiani «l’initiative et la direction complète des opérations qui seront exécu-tées dans l’Adriatique par la flotte alliée»;

nonostante la sua difficile gestazione, che richiese ad un certo punto, per superare lo stato di impasse in cui erano finiti i ne-goziati, l’intervento dello stesso Churchill, l’accordo costituisce un grande successo politico-strategico iniziale della guerra (59), anche se esso non mancherà di dar luogo a petizioni di principio e ad equi-voci durante la sua attuazione, come avremo occasione di vedere.

A prescindere dagli scollamenti tra poli-tica e strategia, cui si rimediava all’ultimo momento, nelle continue smagliature tra

«high policy» e «war planning», qual era in definitiva il piano di guerra italiano contro l’Austria?

In realtà dal 1909 al 1914 di piani di guerra navale in Adriatico contro gli Au-striaci, pur alleati, ne erano stati prospet-tati diversi, imperniati su due obiettivi di fondo: la battaglia risolutiva di maha-niana memoria contro la flotta austriaca, una sorta di «Tsushima mediterranea», ovvero la grande spedizione marittima contro il territorio nemico, sia pure con una diversa gradualità di obiettivi (che

an-davano da uno «massimo», che prevedeva lo sbarco nientemeno che a Trieste, ad uno «minimo», che contemplava l’occupa-zione di un punto della costa nemica per servirsene come base di operazione, punto che di volta in volta veniva indivi-duato nella penisola di Sabbioncello, nelle isolette di Lagosta e Meleda, secondo una tentazione che riaffiorerà in diversi mo-menti della guerra anche ad opera degli Alleati) (60).

In sostanza si ripetevano gli interrogativi del 1866, riassunti nell’alternativa «Pola o Dalmazia» (cioè andare a sfidare la flotta austriaca nella sua sempre munitissima base di Pola, ovvero intraprendere una spedizione marittima contro il territorio nemico). Nel 1866 si era finiti, nel vicolo cieco dell’attacco all’isola di Lissa, la Gi-bilterra dell’Adriatico, cioè nell’attacco di un’isola fortificata senza essersi prima garantito l’indiscusso dominio del mare.

E le conseguenze di quella triste giornata del 20 luglio 1866 si stavano pagando da mezzo secolo! Delle spedizioni marittime pianificate, alla prova dei fatti non se ne fece niente (tranne il rapido intermezzo dell’occupazione di Pelagosa), sia per l’im-possibilità di disporre del corpo di spedi-zione necessario, sia perché il semplice blocco dell’Adriatico sembrava rispon-dere pienamente alle esigenze dell’Intesa, contribuendo a chiudere un cordone ma-rittimo intorno agli Imperi Centrali sul fronte adriatico, tanto più che nella pri-mavera del ‘15 gli Alleati stavano vivendo la drammatica esperienza di Gallipoli (da cui per fortuna, per il veto della Russia, gli Italiani erano stati esclusi a priori!).

Più difficile, invece, si sarebbe mostrata la

Più difficile, invece, si sarebbe mostrata la

Nel documento Il Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel (pagine 53-91)

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