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Sussidiaria americana dell’industria farmaceutica tedesca Shering, fondata a Berlino nel 1851, durante la seconda guerra mondiale, per effetto della nazionalizzazione, passò sotto il controllo governativo americano rendendosi così indipendente dalla casa madre tedesca.

Fusa dal 2009 con la holding Merck & Co82, si occupa della produzione di medicinali da banco, vaccini, prodotti cosmetici e prodotti veterinari. Eletta da Forbes nel 2011 come la migliore azienda farmaceutica al mondo per l’innovazione e la ricerca, in Italia conta tre stabilimenti di cui uno a Milano, uno a Roma ed uno ad Aprilia, con più di 1000 dipendenti sul territorio italiano.

In linea con i propri valori, la politica aziendale si riassume con la concezione people first, che individua nei comportamenti aziendali e soprattutto di leadership, un’importanza fondamentale a cui dedicare tempo e risorse. Di conseguenza l’individuo viene posto al centro dell’attenzione, in particolar modo quel middle management che si trova ogni giorno a gestire grosse responsabilità: da la produzione e il controllo di qualità, al sistema informativo e ai conflitti che quotidianamente si sviluppano all’interno di un’organizzazione

L’obiettivo

Nel 200683 a seguito di un Opinion Survey (sondaggio d’opinione) effettuato dalla casa madre Merck & Co, emerse, nello stabilimento di Milano, una carenza a livello comunicativo e quindi di contatto relazionale tra il middle management e i livelli inferiori. Tuttavia i KPI, ovvero gli indicatori chiave della performance, erano in linea con i piani di produzione annuale, ma ciò di cui aveva bisogno l’organico aziendale si

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Per approfondimento consultare il sito web: www.msd-italia.it/chisiamo/merckeco.asp 83

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manifestava nella carenza di motivazione e visione dell’obiettivo, in seguito ad una scarsa conoscenza reciproca. Il problema quindi derivava essenzialmente da quel middle management che in una situazione di cambiamento molto forte (si passò in quell’anno da un modello organizzativo funzionale ad uno a matrice), era stata poco capace di migliorare il coordinamento interfunzionale. Vi era quindi la necessità di creare un nuovo sistema di produzione integrato per processi, che richiedeva un miglioramento del sistema informativo, ma soprattutto un miglioramento della percezione degli obiettivi per funzione, in modo tale da renderli complementari a quelli delle altre funzioni organizzative.

Di fronte a queste necessità lo stabilimento italiano decise quindi di dotare i 10 middle manager degli strumenti adatti per gestire e risolvere le crisi attuali, partendo dal loro rapporto interpersonale e coinvolgendoli in un percorso formativo durato in totale oltre 10 mesi.

Gli obiettivi erano quindi quelli di lavorare sulla costruzione e il rafforzamento di un team che potesse accompagnare i propri membri non solo verso un risultato di business concreto, ma di lavorare su una nuova leadership e una nuova mentalità che puntasse alle relazioni come strumento di efficacia organizzativa. Tradotto in obiettivi formali, possiamo quindi affermare che oltre al raggiungere obiettivi di business (+ 10% sul volume di produzione nell’anno 2007), l’ufficio HR della Schering-Plough Italia ha posto come obiettivo principale quello di implementare la leadership dei teamwork manageriali tramite un percorso di action learning, per sperimentare una nuova visione e un nuovo modo di interazione con i propri dipendenti.

L’intervento formativo

L’intervento di formazione si estende su un periodo temporale che va da Aprile 2007 a Gennaio 2008, ed è stato rinominato “progetto Iceberg”, con un chiaro riferimento a John Kotter84, che con una metafora famosa (quella dei pinguini in Antartide), pone l’accento sul cambiamento come fattore competitivo per un’organizzazione. Gli ostacoli che apparentemente sembrano irrisolvibili possono essere affrontati solo se il cambiamento è gestito in modo intelligente e soprattutto se si trova la giusta combinazione per un lavoro di squadra efficiente (cosa che i pinguini, secondo Kotter,

sanno fare meglio di noi esseri umani).

FASE 1 - Aprile 2007, la prima sessione di formazione è rappresentata dal vero percorso di outdoor training durante il quale i 10 middle manager sono stati portati sul lago di Como, dove in una sessione di due giorni, seguendo sempre la metafora dei pinguini di Kotter, i partecipanti si sono trovati a gestire delle situazioni di problem solving. Tramite lo svolgimento di attività fisiche quali la canoa, il trekking o il campeggio, sono stati incentivati a creare un gruppo “dirigenziale” più unito per la futura gestione aziendale, ma soprattutto li ha posti davanti a sfide che hanno suscitato in loro la spinta ad adottare un modo di agire diverso da quello adottato precedentemente, in modo tale da poterlo poi applicare in ambito professionale, agendo come leader anche di tipo emotivo.

FASE 2 - Maggio/Luglio 2007, la seconda sessione di formazione si è invece svolta in azienda e si è attivata con la creazione di 5 sotto progetti, ognuno per funzione, con a capo del team di lavoro uno tra i middle manager che hanno partecipato alla prima sessione di formazione outdoor, ed un HR esterno come consulente. Lo scopo era quello di creare una coesione maggiore tra Leader e membri del gruppo, e tra i vari middle manager che invece avrebbero dovuto coordinarsi sui vari sotto progetti.

FASE 3 - Settembre 2007, vengono tirate le prime somme sui cinque progetti attivi, e viene chiesto ai leader di gruppo di analizzare la propria situazione anche in modo autocritico: il risultato è in un primo momento deludente, vi erano infatti delle difficoltà di collaborazione che, come suggeriscono i middle manager coinvolti, riguardavano soprattutto la motivazione dei dipendenti a lavorare come un vero team. È chiaro quindi che il vero problema nasce dalla leadership di conduzione che ancora non aveva trovato il giusto ingrediente per spingere gli individui a lavorare verso un obiettivo comune, anche in assenza di un supporto continuo. L’impressione era quindi che ogni individuo lavorasse per se stesso e non per il gruppo.

In seguito a questi primi risultati venne quindi deciso che, da quel momento, il leader con il suo team avrebbe dovuto procedere da solo verso l’obiettivo concordato, senza un HR esterno che agiva come facilitatore, restituendo così piena responsabilità delle azioni al team di lavoro. La sfida proposta fece quindi in modo di smuovere le relazioni interne ai gruppi, che nel giro di poco trovarono il giusto equilibrio di lavoro.

prefissati ad inizio percorso che prevedevano un incremento del 10% sulla produzione: obiettivo che fu raggiunto ampiamente.

FASE 5 - Gennaio 2008, la fase conclusiva del percorso culmina con una giornata organizzata dalla consulenza esterna che ha seguito l’intero progetto di formazione, dove tutti i componenti del gruppo hanno partecipato ad una sessione di role playing cercando di rappresentare ad un “potenziale” nuovo collega quella che era la realtà aziendale.

Dando libero sfogo alla creatività questo ultimo momento di formazione ha avuto una forte valenza emotiva e simbolica soprattutto dopo il percorso che ha visto protagonista la costruzione di un’ampia griglia di relazioni che, prima di questo percorso, non erano presenti. Questo momento di incontro riprende il concetto di metafora teatrale di Erving Goffman85, il quale sostiene che nella vita reale ognuno di noi è un attore che comunica qualcosa di se stesso agli altri in modo differente in base alla situazione in cui esso si trova. Nella vita è possibile scegliere se essere attivi, e quindi recitare la nostra parte, o essere passivi, e quindi essere dei semplici spettatori, ed in questo caso essere degli individui “attivi” ha permesso di tirare fuori e comunicare dei valori ritenuti fondamentali per poter lavorare in quel contesto organizzativo: coerenza, integrità, trasparenza e responsabilità.

Risultati ottenuti

Come già anticipato, dopo la prima fase di outdoor education si sono riscontrati fin da subito dei notevoli miglioramenti sul fronte della comunicazione e sul fronte relazionale. Se prima di allora il confronto tra i team leader, e tra i leader ed il proprio gruppo, era difficoltoso, già da un primo debriefing alla fine della prima sessione si sono registrate delle situazioni di confronto aperto, non solo a livello di gestione, ma anche a livello di conoscenza personale. La chiave di questo successo è stata quindi quella di dare ai middle manager l’input iniziale per poter lavorare sul proprio gruppo, entrando dentro il team e avvicinandosi alle persone al di là del ruolo che in esso ricoprivano.

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