Dieci poveri negretti se ne andarono a mangiar: uno fece indigestione, solo nove ne restar. Nove poveri negretti fino a notte alta vegliar: uno cadde addormentato, otto soli ne restar. Otto poveri negretti se ne vanno a passeggiar: uno, ahimè, è rimasto indietro, solo sette ne restar. Sette poveri negretti legna andarono a spaccar: un di lor s’infranse a mezzo, e sei soli ne restar. I sei poveri negretti giocan con un alvear: da una vespa uno fu punto, solo cinque ne restar. Cinque poveri negretti un giudizio han da sbrigar: un lo ferma il tribunale, quattro soli ne restar. Quattro poveri negretti salpan verso l’alto mar: uno un granchio se lo prende, e tre soli ne restar. I tre poveri negretti allo zoo vollero andar: uno l’orso ne abbrancò, e due soli ne restar.
I due poveri negretti stanno al sole per un po’: un si fuse come cera e uno solo ne restò. Solo, il povero negretto in un bosco se ne andò: ad un pino s’impiccò, e nessuno ne restò
(da Dieci piccoli indiani di Agatha Christie)
Di lei, la regina del poliziesco classico, autrice di 80 libri tradotti in 100 lingue e venduti fino ad oggi per circa due miliardi di copie, scrive Sophie De Mijolla-Mellor:
Non mi sembra possibile accontentarsi, per caratterizzarla, di un'assimilazione al genere 'poliziesco'. Anche se lei stessa si richiama a Conan Doyle, a Gaston Leroux e più lontanamente a Edgar Allan Poe, si tratta solo di una somiglianza di facciata o di un'analogia di struttura. Allo stesso modo, quelle che sono
state battezzate le sue “figlie”, Patricia Highsmith in particolare, non le somigliano granché. Come tutti i grandi romanzieri, ciò che la caratterizza è la capacità di creare un'atmosfera senza uguali, neo-realtà che modella come un prisma la percezione che si può avere di un albergo londinese all'ora del tè o di un piccolo villaggio inglese. Ma lo specifico un po' strano di questa atmosfera è di includervi degli omicidi come se la loro produzione, peraltro incongrua, fosse una cosa perfettamente familiare. Nessun paradosso in questo giacché la familiarità in questione la condividiamo proprio come l'infantile che è in noi e che lei ci racconta incessantemente.44
Si potrebbe però dire che, negli ultimi settant'anni, nel mondo ma anche in Italia, Agatha Christie è stata ed è ancora la più discussa regina del giallo, a partire dall'attacco feroce dell'articolo scritto sul New Yorker nel 1945 da Edmond Wilson, Chi se ne frega di chi
ha ucciso Roger Ackroyd?45 (riferito al romanzo L'assassinio di Roger Ackroyd scritto nel
1926 da Agatha Christie e pubblicato in Italia per la prima volta nel 1937 nella collana Il giallo Mondadori, n.d.r.), dove rimprovera alla scrittrice inglese di preoccuparsi troppo
dell'intreccio, trascurando l'aspetto umano dei suoi personaggi. E Lia Volpatti (che per 25 anni ha curato per Mondadori sia la collana degli Oscar del Giallo che il Segretissimo), nel suo libro Il segreto di Agatha ricorda che «un noto giornalista italiano, Oreste Del Buono, grande esperto di letteratura di genere, ha scritto che è una bara»46, riferendosi proprio al romanzo
della Christie L'assassinio di Roger Ackroyd, dove la scrittrice inglese è accusata di non dare tutti gli indizi al lettore per poter scoprire il colpevole.
44 Sophie De Mijolla-Mellor,Assassinio familiare. Approccio psicoanalitico ad Agatha Christie, Roma, Borla,
1996, p.7.
Per non parlare di Chandler, citato dalla Volpatti proprio per il suo giudizio su
Assassinio sull'Orient-Express di Agatha Christie: «Questo è un genere di intreccio che
metterà senza dubbio fuori combattimento le intelligenze più poderose. Solo un deficiente potrebbe indovinare come sono andate le cose»47. Per i testi delle sue opere teatrali “in
giallo”- Trappola per topi, rappresentata per la prima volta il 25 novembre del 1952, è in replica ininterrottamente da allora con grande successo nei teatri di Londra - leggiamo la critica di Attilio Lolini Troppi cadaveri in biblioteca:
Scrive (Agatha Christie, n.d.r.) mentre trionfano Luigi Pirandello e Bertolt Breccht: il teatro nel teatro, lo smascheramento dei codici, l'effetto di straniamento, la drammaturgia immersa nelle contraddizioni sociali, l'influsso delle tradizioni orientali, giapponese, indiana e soprattutto cinese... Ma lei: impermeabile. Teatro rigidamente aristotelico e via!: unità di tempo, di luogo e di azione. Sarebbe piaciuta moltissimo a monsieur Chauvet e a tutti i classicisti d'antan. Lady Agatha fa giustamente in tempo a veder morire Pirandello e perfino Brecht, ad assistere ai trionfi parigini della nuova avanguardia di Ionesco e Beckett, per non parlare dei ragazzi british, da Pinter a Bennet: non gliene potrebbe
importare di meno. Una spruzzatina di suspense, due o tre cadaveri al momento opportuno, salotti bene, personaggi bene, possibilmente in smoking, signore in lungo, sigarette orientali, coltelli malesi,
biblioteche, nebbia, pacati, rassicuranti ispettori e molto dandismo: che altro occorre?48
Anche se vanno ricordate le parole di Ida Omboni, che è stata per anni editor della Mondadori ed era la coautrice delle commedie di Paolo Poli:
47 Lia Volpatti, Il segreto di Agatha Christie, Napoli, Lo stagno incantato, 2000, pp.35-36.
48 A. Lolini, Troppi cadaveri in biblioteca, inMarco La Rosa, Attilio Lolini, Alberto Pozzolini, Grani d'Agatha, Milano, Jaca Book, 1999, p.39.
Il suo (quello di Agatha Christie, n.d.r.) è un teatro abbastanza avveduto ma nature, fatto di piccoli sentimenti quotidiani (che possono essere abbastanza laceranti, tutto sommato) e di una quieta normalità non del tutto normale (quando mai lo è?), condito con un'ombra quasi non voluta di critica di costume. Qualcosa che manderebbe sulle furie Brecth, ma, presumibilmente, non Carlo Goldoni.49
Lo scrittore Salman Rushdie dichiarava in un'intervista pubblicata per il quotidiano La
Repubblica nel 2016: «A un certo punto della mia vita letteraria ho letto molto Agatha
Christie: era la regina del veleno, ma dopo 25 gialli francamente non ne potevo più di avvelenamenti, mi sembravano davvero fuori moda»50
La scrittrice inglese di polizieschi Phillys Doroty James, universalmente conosciuta con le soli iniziali di P.D.James e da molti chiamata “la Signora omicidi”, autrice di venti best sellers internazionali, in un'intervista di Enrico Franceschini, corrispondente da Londra del quotidiano La Repubblica, affermava, riguardo ad Agatha Christie:
Non la metterei in una categoria molto alta come scrittrice, ma era bravissima a costruire un puzzle perfetto. Le sue trame non erano per niente realistiche, l'assassinio o la soluzione erano il risultato di coincidenze davvero eccezionali, ma era lo stesso grande intrattenimento. E poi ha creato un paio di personaggi di lunga vita e grande fascino, come Poirot e Miss Marple. Dei due, io prediligo la seconda.51
Lo scrittore Carlo Lucarelli afferma, in una conversazione con Elisabetta Bacchereti:
49 Ida Omboni, Postfazione, in Agatha Christie, Trappola per topi, Milano, Mondadori, 1979, p.165. 50 Francesca Caferri, Rushdie "Che errore la stroncatura di Eco", «La Repubblica», 30 aprile 2016.
Io sono uno scrittore del mistero. Ormai un'idea particolare di genere non esiste più, è in continua evoluzione. Dire che sono uno scrittore di 'gialli' mi va bene, perché non è importante avere una definizione o un'altra. Dipende che cosa intende il lettore quando dice che sono uno scrittore di “gialli”. Se si pensa ad Agatha Christie, non sono io […] Raccontando quello che non funziona fai un'operazione che è fisiologicamente di denuncia e di critica. Lo faceva anche Agatha Christie. Anche se forse in maniera meno consapevole.52
E Narcejac scrive:
[...] Agatha Christie, pur con tutte le riserve possibili, nell'indagine psicologica è andata più lontano di ogni altro scrittore di poliziesco. A noi si pone, però, il seguente problema: è riuscita, seppur di poco, a modificare la struttura del romanzo-enigma? […] La risposta è no![...] L'autrice finge, e in modo mirabile, di prendere in esame individui veri, ma poi, prigioniera di norme rigorose, finisce per ripercorrere, suo malgrado, il binario del vecchio romanzo-enigma. Un genere così decisamente strutturato non può che condurre gli autori proprio là dove essi non vorrebbero.53
Io stessa seguii un corso di scrittura creativa sul giallo tenuto, negli anni Novanta, nella libreria Farheneiht 451 a Quarrata (Pistoia), dallo scrittore Massimo Carlotto, dove veniva citata Agatha Christie come (tolto 4 parole) il peggiore esempio di scrittura di un poliziesco che non aveva quasi nessuna attinenza con la realtà e che non descriveva gli stati d'animo dei personaggi.
Oggi, come allora, penso che questo non sia vero, che Agatha Christie, a cui ho dedicato anche il mio libro di racconti gialli Il delitto si addice a Eva54 abbia raggiunto dei
vertici narrativi che conducono con maestria il lettore all'interno di straordinarie
52 Elisabetta Bacchereti, Carlo Lucarelli, Fiesole-Firenze, Cadmo, 2004, pp.179-182. 53 Narcejac, Il romanzo poliziesco, Milano, Garzanti, 1976, p.151.
ambientazioni.
Uno dei testi della Christie in cui questo emerge con chiarezza è sicuramente il
bellissimo racconto Il villino degli usignoli (pubblicato per la prima volta nel 1934 nel Regno Unito nella raccolta Il mistero di Lord Listerdale e altre storie, poi insieme al racconto La
disgrazia negli Stati Uniti nel 1948 nella raccolta Testimone d'accusa e altre storie). Il titolo
originale è Philomel cottage e il richiamo alla figura mitologica di Filomela è fondamentale. Infatti, nella tradizione mitologica, Filomela, dopo aver subito violenza da parte del cognato ed essere stata mutilata della lingua, riesce ad informare dell'accaduto la sorella attraverso un ricamo. La sorella di Filomela per vendetta dà in pasto al marito il proprio figlio e per punizione verrà trasformata in rondine, Filomela in usignolo e il cognato in sparviero.
Anche nel racconto della Christie Alix, la protagonista riuscirà a chiedere aiuto al suo ex fidanzato, proprio quando il marito-Barbablù sta per portarla in cantina dove ha deciso di ucciderla e, non potendo parlare chiaramente davanti lui, lo farà con l'espediente di premere e togliere il dito dalla levetta del microfono del telefono.
Siamo sicuri che stai proprio telefonando al macellaio? le domandò.
Alix era al colmo della disperazione. Il suo piano era fallito. Fra un attimo Dick Windyford sarebbe venuto al telefono. Doveva rischiare il tutto per tutto e chiedergli aiuto? Ma lui avrebbe capito che cosa voleva dire Alix prima che Gerald le strappasse di mano il microfono? Oppure lo avrebbe creduto uno scherzo?
balenò un altro piano.55
Al centro della storia della Christie c'è Alix, lo stereotipo perfetto della donna non più giovanissima che, dopo aver sacrificato buona parte della sua vita per accudire la madre malata, si ritrova sola, senza alcun affetto. La sua fragile condizione emotiva la indurrà a cedere facilmente alla corte di Gerald Martin che inizierà a mostrare un crescente interesse nei suoi confronti proprio poco tempo dopo che la donna ha incassato un’ingente eredità da una lontana cugina. Lo scopo del nuovo spasimante, e ben presto marito, è quello di eliminare la moglie e intascare i soldi. Gerald Martin, in realtà, ha già ucciso altre donne ed è riuscito, per mancanza di prove, a non pagare per i suoi delitti. Quando Alix scopre la verità, leggendo alcuni articoli di giornale tenuti rigorosamente sotto chiave dal marito-Barbablù, comincerà una vera e propria corsa con il tempo per salvarsi la vita.
Il racconto, che è stato paragonato al romanzo della stessa Christie Nella mia fine è il
mio principio, pubblicato in Italia nel 1967, presenta delle caratteristiche uniche all'interno
della produzione letteraria della scrittrice inglese. A differenza del romanzo Nella mia fine è il
mio principio, dove il narratore è onnisciente, in prima persona e psicologicamente instabile,
nel racconto Il villino degli usignoli è in terza persona, con un certo distacco dai due protagonisti, Alix e Gerald.
Il villino degli usignoli si apre con un dialogo tra i due protagonisti Alix e Gerald:
«Ciao, tesoro» e «Ciao, amore»56. Solo questo e niente più, a rimarcare con efficacia che si sta
per entrare in un quadretto rassicurante, quello di una coppia felice che vive in un cottage immerso nel verde della campagna inglese, sottolineato da una frase che sembra
tranquillizzare ulteriormente il lettore: «[...] con un'espressione remota e sognante negli occhi»57 (riferendosi ad Alix, n.d.r.).
Segue la storia della vita di Alix prima che incontri il suo Gerald, quando nell'ufficio dove lavorava come dattilografa frequentava il collega Dick Windyford, che sperava un giorno di sposarla e che reagisce molto male all'annuncio di Alix che si è fidanzata con Gerald, una settimana appena dopo averlo conosciuto. Qui assistiamo alla prima crepa nel perfetto universo di Alix, una sorta di avvertimento per il lettore. Sono le parole di Dick Windyford a darcelo: <<Quell'uomo è un perfetto sconosciuto per te. Non sai niente di lui»58.
Di nuovo qualcosa rompe l'idillio del cottage tra il verde della campagna inglese. «[...] durante l'assenza momentanea del marito che era tutto per lei, una vena di ansia si era insinuata nella sua felicità perfetta, e la causa di questa ansia era Dick Windyford»59.
La parola “ansia” entra nella storia come un indicatore del clima che caratterizzerà tutta la seconda parte del racconto. Alix sogna suo marito morto e Dick Windyford, il suo ex fidanzato, «in piedi sopra di lui»60, pensa che sia stato lui ad ucciderlo e «Lei, Alix Martin, era
56 Ivi, p.182. 57 Ibid. 58 Ivi, p.184. 59 Ivi, p.185.
felice che suo marito fosse morto...»61.
Leggiamo: «Non aveva detto nulla di questo sogno al marito, ma l'aveva turbata segretamente più di quanto volesse ammettere»62.
E Dick Willyford le telefona proprio in quel momento, perché è nella locanda del villaggio e vuole venire a trovarla, ma lei ha paura e gli impedisce di farlo. Il suo ex fidanzato conclude la conversazione con lei dicendo: «Ti auguro tutta la fortuna possibile, mia cara»63.
Queste parole di Willyford rappresentano una sorta di spartiacque tra la prima e la seconda parte del racconto. Alix si sente sollevata che il suo ex fidanzato non viene a rompere il quadretto idillico del suo matrimonio ed esce in giardino: «[...] fermandosi un attimo a osservare il nome scolpito sopra il portico: Villino degli Usignoli»64.
La casa è ancora una volta al centro della narrazione e le sue porte, gli scalini che conducono al giardino e i cassetti dei mobili che possono celare terribili segreti acquistano quasi una vita propria, portando inquietudine nell'anima dei suoi abitanti.
E se all'esterno “La luce del sole, il profumo dei fiori, il leggero ronzio delle api affaccendate, tutto cospirava per rendere quella giornata una cosa perfetta”, Alix, leggendo l'agenda del marito che ha trovato in giardino “[...]si accorse di provare un senso di
indefinibile inquietudine”65. 61 Ivi, p.186. 62 Ibid. 63 Ivi, p.187. 64 Ibid. 65 Ivi, p.193.
Nello spazio destinato a quello stesso giorno, era stato scritto con la calligrafia precisa e nitida di Gerald: ore 21,00. Nient'altro. Cos'aveva progettato di fare Gerald alle 21,00, si chiese Alix? Sorrise tra sé mentre si rendeva conto che, se si fosse trattato di una novella come quelle che leggeva tanto spesso, il diario le avrebbe fornito senza dubbio qualche altra rivelazione sensazionale.[...] si accorse di provare un senso di indefinibile inquietudine.66
L'agenda di Gerald-Barbablù registra tutti i suoi appuntamenti con il delitto, proprio come sarà ne La sposa in nero di Cornell Woolrich (pubblicato negli Stati Uniti nel 1940 e in Italia nel 1948, da cui Francois Truffaut trarrà il suo omonimo film, n.d.r.) dove in scena vediamo un raro esempio di Barbablù in gonnella, di serial killer al femminile.
Ma torniamo ad Alix e a Gerald. Dopo alcune domande da parte di Alix che vorrebbe saperne di più sul passato del marito, Gerald dice: «pensi che sia saggia, Alix... questa curiosità da camera di Barbablù?»67.
Il nome Barbablù, che è citato da Agatha Christie in questo racconto una sola volta, è un indizio importante, emblematico per il lettore. Si richiama l'attenzione sulla storia di Barbablù, una fiaba del 1697 dello scrittore francese Charles Perrault (1628-1703), un uomo dalla barba azzurra che sposa varie donne, le uccide e nasconde i cadaveri nel sotterraneo del castello. L'ultima moglie di Barbablù scopre i delitti e sarebbe uccisa da lui se non venisse salvata dai fratelli. In una versione antica, franco-slava, della fiaba, ripresa dai fratelli Grimm, la donna invoca, con successo, telepaticamente la venuta dei suoi fratelli.
E proprio dopo la citazione di Barbablù, inizia una sorta di schermaglia psicologica, sotterranea vorremo dire almeno in un primo momento, tra la vittima designata (Alix) e il carnefice (Gerald-Barbablù). E nella testa di Alix si è insinuato come un tarlo il dubbio: «[...] al calar della sera, il giorno dopo, si accorse che qualche forza oscura aveva ricominciato a insidiarla»68.
I numerosi elementi legati alla casa aprono la strada al paradigma indiziario per la soluzione del giallo, fino al momento del primo svelamento dell'identità del marito-Barbablù:
Con sua soddisfazione (di Alix, n.d.r.), la chiave dell'armadio della camera che serviva per gli ospiti, andava bene anche per il comò. Aprì il cassetto e vide che conteneva soltanto un rotolo di ritagli di giornale già scoloriti e sporchi tanto erano vecchi. […] Si trattava, nella massima parte, di quotidiani americani, che risalivano a sette anni prima: parlavano del processo al famoso bigamo e truffatore, Charles Le Maitre. Le Maitre era stato sospettato di uccidere le donne che cadevano sue vittime. [...] Chi le ricordava quella faccia? D'un tratto, sconvolta e smarrita, si accorse che si trattava di Gerald in persona.69
E' il momento della presa di coscienza della vittima:
Si sentì girare intorno la camera. Più tardi si stupì di aver raggiunto istantaneamente una certezza tanto incrollabile. Gerald Martin era Charles Le Maitre! […] Lei stava per diventare un'altra delle vittime di Le Maitre.70
68 Ivi, p.199. 69 Ivi, pp.203-204. 70 Ivi, p.205.
Si apre, subito dopo, con il ritorno del marito-Barbablù, la terza parte del racconto. Ed è qui che il meccanismo perfetto della narrazione della Christie si mostra completamente.
Inizia un vero e proprio gioco con il tempo.
Il rapporto-gioco con la vittima, che se vogliamo è ancestrale e paradigmatico, ha inizio. Alix cerca di fuggire, ma il marito-Barbablù la segue.
Leggiamo:
Senza esitare un momento (Alix n.d.r), scese di corsa le scale e uscì dalla villetta. Ma proprio mentre si lasciava la casa alle spalle, suo marito sbucò da dietro l'angolo.
<<Ehi!>> disse. <<Dove te ne scappi con tanta fretta?>>71
Vittima e carnefice ritorneranno in casa, dove Alix metterà in atto il suo piano di avvertire Dick Windyford fingendo di telefonare al macellaio. L'espediente utilizzato da Alix funziona, ma qualcosa non va ugualmente per il verso giusto, perché il marito-Barbablù decide di scendere in cantina con la sua vittima alle 20:30 e non alle 21:00, come era segnato sulla sua agenda.
Le parole di Gerald sembrano non lasciare scampo alla vittima: <<Le otto e mezza. E' ora di scendere in cantina […] Alix alzò gli occhi e, a dispetto di se stessa, si sentì
sommergere da un'ondata di terrore”>>72.
Qui inizia il gioco di Alix: salvarsi la vita inventando una storia, quella di alcuni delitti che avrebbe commesso perché - e qui interviene il narratore- «E' scontato che un assassino
provi interesse per l'assassinio»73.
Inventarsi una storia e recitarla è la strada-l'unica che sembra possibile - che sceglie Alix per cercare di salvarsi. Proprio come la letteratura può salvare la vita, sembra dirci l'autrice. La forza delle storie messe in scena nel teatro della vita possono essere cavalcate o subite e in tutto questo il tempo gioca un ruolo importantissimo.
L'orologio che scandisce il tempo, quella mezz'ora che separa Alix dall'arrivo del suo