Mi si indichi qualcuno
che non può soffrire il romanzo poliziesco: sarà certamente un pover'uomo,
un pover'uomo intelligente - forse - ma comunque un pover'uomo
(Raymond Chandler).
Se possiamo a buon diritto definire Glauser, Dürremmat e Gadda i pionieri del giallo contemporaneo, è necessario anche ricordare che il nuovo giallo contemporaneo italiano ha fatto suo il dictat della “rielaborazione della cronaca nera” e il noir è sempre più rivolto a scandagliare le origini e anche le ragioni del male, cercando di rispondere al perché è stato commesso un delitto. Questa ricerca delle ragioni del male, delle sue radici sociali,
rappresenta, a nostro parere, un ponte che unisce la letteratura cosiddetta alta al poliziesco e al noir.
Se è vero ciò che scrive Tzvetan Todorov in “Poetica della prosa” (Tzvetan Todorov, Poetica della prosa, Roma-Napoli, Edizioni Theoria, 1989, pp. 9-10) che “ogni grande
romanzo stabilisce l'esistenza di due generi, la realtà di due norme: quella del genere cui esso trasgredisce e che dominava nella letteratura antecedente e quella del genere che esso crea”, lo è altrettanto il fatto che molta parte del poliziesco e del noir italiano contemporaneo, essendosi allontanato dalle “gabbie” del genere, ha preso le distanze dalla letteratura di massa per avvicinarsi a quella cosiddetta alta.
Lo scrittore Marcello Fois (Nuoro, 1960, vincitore del Premio Italo Calvino 1992 e autore di numerosi romanzi noir), in un'intervista per il quotidiano La Nuova Sardegna, rispondendo alla domanda se “il giallo è un genere della letteratura, o tutta la letteratura è un giallo”, afferma:
Tutta la letteratura si basa sull'assunto del cambiamento di condizione dalla normalità all'incidente, questo ribalta il punto di vista, lo mette in crisi. La soluzione rapida e concreta fa perdere l'interesse, non c'è motivo per seguire una storia risolta. In fondo è la riproduzione di un'inquietudine, siamo portati a dare delle etichette, ogni genere lo definiamo in modo diverso. Ma la struttura della narrazione è un accedere a una soluzione attraverso un percorso a ostacoli. Se non ci sono ostacoli non c'è romanzo […] Il noir è la condizione freudiana del giallo. Nel giallo ti chiedi “chi l'ha fatto”, nel noir invece “perché l'ha fatto”.142
E se è vero che «non ci sarebbe narrazione, se non si cogliesse l'infinita disposizione metamorfica del reale»143, il giallo e soprattutto il noir ne sono gli strumenti per eccellenza, a
142 Paolo Curreli, Marcello Fois: «La letteratura è suspense, senza non c'è romanzo», «La nuova Sardegna», 13 aprile 2017.
parer nostro.
Leggiamo in Nomi di Nadia Fusini:
Lo scrittore non fa che suscitare racconto; grazie alla parola, una forma desta un'altra forma, un suono procede verso un altro suono e a seconda delle corde sfiorate avremo una melodia-più alta o più fioca dipende dalla proprietà delle onde sfiorate, e dall'abilità delle mani, naturalmente. Ma le corde sono lì, non v'è dubbio. Quando si avverte questa disposizione infinitamente narrante nel mondo, l'intima e interiore presenza del suono in ogni cosa reale, allora si capirà come vivere e narrare siano la stessa cosa: un infinito corrispondere. […] il mondo è scrittura, il narratore è colui che come l'apostolo tramanda il racconto dell'evento - il quale a sua volta è segno attraverso cui il Mondo si esprime, come se fosse il suo proprio linguaggio.144
Sì “il mondo è scrittura” e, se è vero che due grandi attori di questo palcoscenico sono la vita e la morte, una grande comprimaria è sicuramente l'attesa, che è insita in ogni atto dell'esistenza umana, come a dire ciò che precede immediatamente la suspense e a questa è indissolubilmente legata. L'attesa di sciogliere un enigma, ma anche e soprattutto l'attesa della morte, della realtà che spesso sopravanza la fantasia.
E il giallo e il noir italiani contemporanei hanno risposto più di ogni altro genere letterario e, vorremmo dire noi, al di là di qualsiasi steccato che li separi dalla grande letteratura alla domanda del buon giornalismo d'inchiesta e di cronaca nera. “Chi armò la mano di Gonzales?”: è questa la domanda a cui cercava di rispondere Franco Costa, giornalista Rai, nelle sue lezioni del Corso di giornalismo, organizzato da Rai Due e
dall'Università di Urbino, che seguii a Roma tra il 1989 e il 1990. Gonzales era un
sudamericano che, in una notizia Ansa, risultava aver ucciso con la pistola il gestore di un market di una cittadina americana di provincia.
“E' la fame, la crisi economica, il razzismo e la paura ad aver armato la mano di Gonzales” - rispondeva Franco Costa - “e un buon giornalista, dopo aver dato la notizia, deve rispondere a questa fatidica domanda, cercando di analizzare i veri mandanti dell'omicidio commesso da Gonzales”.
E dove finisce il compito di un buon giornalista investigativo, sottolineiamo noi, inizia quello di uno scrittore di gialli e di noir, che cerca le ragioni e le radici del Male.
A questo proposito lo scrittore Massimo Carlotto afferma:
Tutte le cose che scelgo di raccontare devono avere una portata generale. Narrare la storia attraverso il filtro del crimine, sfruttando un punto di vista esterno alla società può essere quello dell'Alligatore (il suo investigatore, senza licenza, ed ex galeotto, n.d.r.), ti permette di osservare certi fenomeni in maniera più lucida e di mantenere una posizione di forza, nel senso che non subisci la storia e gli eventi sui quali ti soffermi, ma li osservi da una posizione paritaria, che ti consente di raccontarli. Io sono sempre partito dall'idea che il romanzo poliziesco e il noir si dovessero destrutturare, in quanto tradizioni e forme codificate, e che fosse necessario trovare un terreno utile per raccontare determinate storie, strizzando sempre l'occhio alle trasformazioni sociali.145
145 Massimo Carlotto, Oltre il genere, rivendicando il passato, in M. Carlotto, L. D'Andrea, M. De Giovanni,
E, seguendo i dettami della scuola del noir mediterraneo, che ha nel francese Jean- Claude Izzo uno dei suoi maggiori rappresentanti, Carlotto continua:
Questa idea di partenza ha trovato il suo corrispettivo ideale nel ragionamento da cui prende le mosse tutta la produzione narrativa di Jean-Claude Izzo. Preso atto della crescente globalizzazione
dell'economia, e della conseguente nascita di nuovi mercati per la criminalità, accompagnata da
un'autentica rivoluzione culturale nel mondo del crimine, Izzo teorizza l'adozione di un metodo narrativo in grado di dar voce a queste trasformazioni, muovendo da una mescolanza di giornalismo investigativo - che ti aiuta a costruire la trama - e di finzione romanzesca.146
Noi potremmo dire che il noir e il poliziesco italiani devono ancora giocare del tutto la loro partita all'interno della letteratura, scegliendo tra impegno civile e contaminazione con la retorica dei media.
Scrive Gianluigi Simonetti:
In una situazione in cui molta narrativa <<normale>> tende a prendere in prestito ingredienti del genere, quello specifico genere che è il (neo) noir si offre ai lettori con una contraddizione specifica: quella di rappresentare il format più spontaneamente portato all'indignazione civile, ma anche il più evidentemente contaminato dalla retorica dei media (che al servizio del potere ci sta per definizione). Proprio per questo, la parabola del neo noir italiano è esempio tra i più didascalici di quel realismo dell'irrealtà che stiamo cercando di descrivere: l'interesse per una storia collettiva interpretata come mistero e intrigo non si oppone all'inclinazione per la virtualità televisiva, anzi trae origine da essa. Proprio come i romanzi cannibali (n.d.r.: etichetta attribuita dai media ad alcuni scrittori, tra cui Aldo Nove, Alda Teodorani e Niccolò Ammanniti, che, a metà degli anni '90, si rifanno a modelli narrativi e lessicali in parte desunti 146 Ibid.
dalla letteratura e dal cinema americano, primo fra tutti il film Pulp fiction di Quentin Tarantino uscito in Italia nel 1994, per indagare la violenza estrema ed esplicita e presentarla senza filtri al lettore) - coevi ma apparentemente opposti, perché poco realistici e disimpegnati - anche il noir sembra rivolgersi a un pubblico la cui formazione non è principalmente letteraria, ma mediatica. Non a caso Antonio Moresco, nella sua ricerca di alterità narrativa, ha finito con lo scrivere una sorta di contro-noir. L'addio ha la forma esteriore del thriller, con tanto di sbirri romantici, sparatorie e assassini seriali; ma l'obiettivo a cui tende - al di là dell'apologo metafisico e del testamento poetico - ha a che fare col rovesciamento delle convenzioni di genere, con la negazione di <<quel tipo di storie poliziesche che vi continuano a rifilare per intrattenervi in attesa della vostra morte e per ripetere e riconfermare un'idea astratta e convenzionale della vita, della morte, di voi stessi e del mondo>>.147
Nel romanzo L'addio148 di Antonio Moresco, infatti, D'Arco è uno sbirro morto, aiutato
da un bambino con il cranio rasato, senza voce e con una strana cicatrice da filo spinato, che cerca di rispondere alla domanda se il mondo dei morti viene prima di quello dei vivi.
Nell'introduzione al romanzo di Moresco leggiamo, scritto dallo stesso autore e riferito a
L'addio:
[...] una narrazione che prenderà le mosse da quel tipo di storie poliziesche che vi continuano a rifilare in attesa della vostra morte e per ripetere e riconfermare un'idea astratta e convenzionale della vita, della morte, di voi stessi e del mondo. Ma qui non troverete le consuete reti di protezione, vi verrà chiesto di più e vi verrà dato di più.149
In questo romanzo di Moresco, infatti, vengono spazzate via tutte le sicurezze del giallo
147 Gianluigi Simonetti, La letteratura circostante, Bologna, Il Mulino, 2018, pp.108-109 148 Antonio Moresco, L'addio, Firenze, Giunti, 2016.
tradizionale, dove l'investigatore alla fine catturando il colpevole del crimine riesce a ricostruire l'ordine distrutto dal delitto. D'Arco, il detective ammazzato durante un'indagine nella città dei vivi e da tre anni nella centrale di polizia della città dei morti, non potrà risolvere il problema delle sevizie e delle morti di migliaia di bambini.
Io adesso sono dall'altra parte e so come stanno le cose...” dice D'Arco, nella Centrale dei vivi “Io non voglio più fare il detective, cercare indizi, accumulare prove di tutto questo male. Io non voglio più svolgere indagini, non mi interessa cercare la verità se questa è la verità. Io non voglio farmi complice di questa verità. Io voglio solo alleggerire un po' la pressione, diminuire almeno un po' tutto questo male...150
Tenterà l'investigatore D'Arco di rispondere alla terribile domanda se la morte viene prima della vita e il male prima del bene.
Leggiamo:
[…] vigilare perché quelli che portano il male nella città dei vivi non continuino le loro attività criminose qui nella città dei morti. Anche se non sembrerebbe possibile dato che sono morti, e invece non è così, anzi mi sembra che, come noi sbirri morti abbiamo trovato il modo di stare in contatto con gli sbirri vivi, così anche loro abbiano trovato il modo di continuare a stare in contatto con i criminali vivi e di passargli informazioni preziose. Quando non succede il contrario, perché certe volte mi viene addirittura il sospetto che tutto parta da qui e che si trovi qui l'origine e la radice del male... Ma da dove viene questo vento che si leva di tanto in tanto nella città dei morti e che sembra scuoterla dalle fondamenta, forse quando arrivano nuove e più grandi ondate di morti dalla città dei vivi sottoposta a grandi uccisioni di massa o terremoti o tsunami o genocidi o guerre, ma forse anche per quello stillicidio di assassini seriali che sta
crescendo sempre più, come ci stanno comunicando allarmati gli sbirri vivi...151
Avverte Moresco che nel suo romanzo non ci saranno «[…] le descrizioni minuziose e raccapriccianti degli orrori» visti, né «[…] le frasi fatte che siete abituati a trovare nei libri polizieschi e dalle quali vi fate narcotizzare»152 e nemmeno «[…] le marche delle armi»153,
con quella precisione che spesso appartiene al nuovo noir.
D'Arco, lo sbirro che non ha più nulla da perdere perché viene direttamente dalla Città dei morti, e che rinnova fortemente e utilizza , diremmo noi, i cliché dell'investigatore
dannato dell'hard boiled, del Philiphe Marlowe di Raymond Chandler, fa i conti con la verità ultima, con una domanda che ha il sapore di certe filastrocche horror: la vita viene prima o dopo la morte?
Leggiamo ne L'addio:
Se la vita viene prima e la morte viene dopo, come credono gli investigatori e gli sbirri della città dei vivi, allora perché c'è tutto questo male nella vita? Mi continuavo a domandare. Com'è possibile, se la vita viene prima? E il male allora da dove viene? Viene prima ancora della vita? E la vita allora da dove viene? Viene dal male o viene prima del male? Perché, se la vita viene davvero prima, dovrebbe venire prima anche del male. Ma allora da dove viene tutto questo male? Dalla morte? Ma se la morte viene dopo, come fa il male che viene dalla morte a venire prima? O è la morte a venire prima?Come ha insinuato quello sbirro che mi ha affidato questa missione senza speranza. Ma, se la morte viene prima e se il male viene dalla morte, allora anche il male viene prima! E, se il male viene prima, come si fa a 151 Ivi, pp.41-42.
estirpare qualcosa che viene prima? Ma, se la vita non viene prima, da dove viene? E, se anche la morte non viene prima, da dove viene? La vita e la morte sono una cosa sola? Ma, se sono una cosa sola, allora come fanno la vita e la morte a venire prima e nello stesso tempo a venire dopo? E perché ci sono queste due sterminate città dei vivi e dei morti abitate da uomini che si credono vivi e si credono morti? Non lo so, non lo so, io non capisco niente, sono solo uno che non ha paura e non ha speranza, che quando si getta in una missione va fino in fondo, sono come un cane che non molla mai la presa anche se lo prendono a bastonate sul muso e sugli occhi. Però c'è qualcosa di cui non so niente e che mi sovrasta, l'ho già detto e lo continuo a dire...154
Siamo comunque in un'ambientazione contemporanea, da metropoli post industriale:
Sono passato davanti a una birreria che rimaneva aperta anche di notte e dove andavo certe volte prima di staccare. Ho superato un condominio dove avevo braccato due che passavano da un appartamento all'altro sfondando le porte e che poi si erano asserragliati nell'ascensore con un ostaggio e sparavano da là dentro con una mitraglietta Ho rasentato il retro di un fast food dove una cameriera in grembiule poco più che bambina stava gettando nel bidone della spazzatura una pila di cabaret di plastica pieni di tovaglioli di carta e avanzi di cibo e dove avevo avuto una discussione un po' animata con uno che teneva un coltello a serramanico nascosto in una tasca della felpa.155
La società dei consumi rappresenta il tessuto connettivo nella storia de L'Addio di Moresco, dove lo sbirro D'Arco si muove passando dalla Città dei morti a quella dei vivi, proprio come nelle vicende che vedono coinvolti i due killer nel film Pulp fiction di Quentin Tarantino. «Due zanni della Commedia dell'arte», come definisce, giustamente a parer nostro, la «strana coppia di Killer strampalati: Jules e Vincent»156 in Pulp fiction di Tarantino Stefano Brugnolo.
154 Antonio Moresco, L'addio, Firenze, Giunti, 2016, pp.110-111. 155 Ivi, p.74-75.
156 Stefano Brugnolo, Strane coppie. Antagonismo e parodia dell'uomo qualunque, Bologna, Il Mulino, 2013, p.9.
Nel film, i due killer, come tutti gli altri personaggi, «spacciatori, boss mafiosi, prostitute, assassini condividono gli stessi “fottuti” valori piccolo-borghesi dell'infermiera Bonnie che non vuole cadaveri per casa»157.
Jules e Vincent, scrive Brugnolo,
sono due uomini copia, due uomini eco, che riecheggiano il discorso onnipervasivo della civiltà dei consumi e che contemporaneamente lo ridicolizzano158
e che «sono le nostre caricaturali controfigure, che siamo tutti più che mai immersi in questa “massa di materia informe” che è il pervasivo discorso mediatico»159.
Leggiamo ancora in Strane coppie:
Mentre le loro vittime sono sotto tiro, assolutamente terrorizzati, Jules li interroga e tira fuori le solite questioni di marchi commerciali:
Jules: cosa stavate mangiando? Brett: Hamburger.
Jules: Hamburger. Il pilastro di ogni colazione nutriente. Che tipo di hamburger? Brett: Cheesburger.
Jules: No, no, no, no. Voglio dire dove li avete comprati? McDonald's, Wendy's, Jack-in-the-box, dove? Brett: Big Kahuna Burger.
Jules: Big Kahuna burger […] Come sono? Brett: Sono buoni.
157 Ivi, p.11. 158 Ivi, p.17.
Jules: Ti dispiace se ne assaggio uno dei vostri? […] Uuuummmm,questo sì che è buono […] Io di solito non li posso mangiare perché la mia ragazza è vegetariana […] Che cosa c'è in quello?
Brett: Sprite.
Jules: Sprite, benone, ti dispiace se bevo un sorso della tua deliziosa bevanda per mandare giù gli hamburger?160
Non bisogna dimenticare che il cinema ha accolto e ha fatto sue le suggestioni del giallo e del noir a partire dai film di Hitchcock, tra i quali l'indimenticabile La finestra sul
cortile del 1954, «un capolavoro di economia e ingegnosità, in cui lo stile estremamente
sobrio del regista agisce come una pentola a pressione»161. Il soggetto deriva, seppur
lontanamente, da un racconto di Cornell Woolrich (New York 1903-1968). Un fotografo immobilizzato in una camera a guardare dalla finestra il mondo esterno scopre un delitto e indaga, grazie anche all'aiuto della fidanzata, interpretata da Grace Kelly, che alla fine del film sfoglia una rivista di moda, dopo aver messo da parte Beyond the night, un'antologia di racconti scritti proprio da Woolrich.
In Italia citiamo: Il sicario di Damiano Damiani, del 1960, con Alberto Lupo, ispirato al caso di cronaca nera Fenaroli (l'omicidio del 1958 a Roma, in Via Monaci), il film Indagine
su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, del 1970, con la regia di Elio Petri (che firma con
Ugo Pirro anche la sceneggiatura: un'analisi tagliente sui meccanismi del potere, n.d.r.), nel 1975 La donna della domenica di Luigi Comencini, basato sull'omonimo romanzo di Carlo
160 Ivi, pp.13-14.
161 Gian Franco Orsi e Lia Volpatti, C'era una volta il giallo II. L'età del piombo, Milano, Alacran, 2006, p.349.
Fruttero e Franco Lucentini, dove il commissario Santamaria indaga sulla morte di un architetto in una fredda Torino degli anni '70, nel 1977 Doppio delitto, interpretato da Marcello Mastroianni, scritto da Steno e Age&Scarpelli e tratto dal romanzo di Ugo Moretti
Doppia morte al Governo Vecchio, e nel 1986 Il nome della rosa tratto dall'omonimo libro di
Umberto Eco, con l'accurata ricostruzione storica del regista Jean Jacques Annaud, dove nel 1327 una serie di misteriose morti di monaci amanuensi sembra opera del Diavolo.
Ricordiamo anche: nel 2000 Almost blue, tratto dall'omonimo romanzo di Carlo Lucarelli, nel 2004 Le conseguenze dell'amore, scritto e diretto da Paolo Sorrentino, con Tony Servillo nei panni di un contabile di Cosa Nostra, nel 2006 La ragazza del lago, ispirato al romanzo Lo sguardo di uno sconosciuto della scrittrice norvegese Karin Fossum e Il delitto di
via Poma, del 2012, diretto da Roberto Faenza, ispirato a un fatto di cronaca nera del 1990
(l'omicidio di Simonetta Cesaroni, uccisa a Roma con 29 coltellate). Ma torniamo alla letteratura poliziesca italiana.
Scrive Luca Briasco:
Stupisce, soprattutto, come la letteratura poliziesca riesca sempre più a esercitare un appeal trasversale, e a creare dipendenza non solo tra i non lettori o i lettori occasionali, ma anche tra i cosiddetti lettori forti, gli esponenti di quella misteriosa e salvifica categoria dalla quale sembrano dipendere le sorti di un mercato ristretto fin quasi all'asfissia come quello italiano.162
E noi crediamo che tutto debba essere ricondotto all'entrata in scena, per quanto riguarda il poliziesco italiano, di quello che Luca Crovi definisce il «duca del noir»163, ovvero