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Infine, vorrei enumerare alcuni trucchi ai quali nessun autore che si rispetti farà mai ricorso:

a) La scoperta dell'identità del colpevole, confrontando un mozzicone di sigaretta trovato sul posto del delitto, con quelle che fuma un individuo sospettato; b) la seduta spiritica truccata, nel corso della quale il criminale, preso dal terrore,

confessa la sua colpa; c) le false impronte digitali;

d) l'alibi costituito da un manichino;

e) il cane che non abbaia, e quindi la deduzione che l'intruso è un abitudinario del luogo;

f) il colpevole nella persona di un fratello gemello del sospettato o di un parente che gli assomiglia moltissimo;

g) la siringa ipodermica e il siero della verità;

h) l'assassinio commesso in un locale chiuso e in presenza della polizia; i) l'uso di associazioni di parole per scoprire il colpevole;

l) la decifrazione di un crittogramma da parte del detective o la scoperta di un codice cifrato.

E' fin troppo evidente che le venti regole del poliziesco ideate da Van Dine, di cui spesso si citano solo le prime 12 e qui, invece, riportate integralmente da Narcejac, sono inaccettabili per uno scrittore di gialli contemporaneo. Il rispetto di molte di queste regole porterebbe inevitabilmente all'arresto dell'evoluzione del giallo, negando la possibilità di reinventarsi, caratteristica primaria, quest'ultima, di qualsiasi buona letteratura.

Al punto tre leggiamo che “ogni vero romanzo poliziesco deve essere esente da ogni intrigo amoroso” perché guasterebbe “il meccanismo puramente intellettuale del problema”.

E', altresì, chiaro che la letteratura, anche quella poliziesca, deve parlare dei rapporti d'amore, perché sono espressione diretta della vita, della realtà e, vorremo dire, anche riflesso di questa.

Perché, poi, limitare la fantasia dell'autore e il piacere del lettore nell'obbligare lo scrittore di gialli alla presenza di “un unico, vero poliziotto”, dichiarando, al punto 9, che “mettere insieme il talento di tre o quattro poliziotti per la caccia al bandito equivarrebbe non solo a disperdere l'interesse e a turbare la chiarezza del ragionamento, ma anche a prendere un vantaggio sleale sul lettore”.

E' evidente che la popolare battuta, riferendosi ad un delitto letterario, “è stato il maggiordomo”sarebbe stata fortemente disapprovata da Van Dine, che scrive al punto 11 che

l'assassino non deve mai essere “tra il personale domestico (servi, lacchè, croupier o altro) per la semplice ragione che si tratterebbe di una soluzione troppo facile”.

D'altra parte i punti 12 e 13 escludono i delitti commessi da più persone e quelli delle società segrete e della mafia, togliendo dal novero dei “giusti e bravi giallisti” nomi

importanti della nostra letteratura, in primis Leonardo Sciascia (Il giorno della civetta, Milano, Adelphi, 2002 (1961)).

Scrive Giuliana Pieri:

Il giallo viene usato oggi come strumento che garantisce la tensione e l’interesse del lettore ma anche come veicolo privilegiato per indagini diverse – storiche, sociali, esistenziali – e per una ricerca di identità nella complessa e frammentata realtà contemporanea.39

Il poliziesco contemporaneo si potrebbe dire che, come sottolinea Raffaele Crovi, «stia occupando il posto della “letteratura della realtà” [...] affronta, con intelligente

spregiudicatezza, i processi di trasformazione e di involuzione sociale»40.

E, in questa direzione, il poliziesco e in particolare quello italiano si muove negli ultimi cinquant'anni.

Con il noir e con il thriller la sofferenza e la presenza della morte verranno messe al

39 Giuliana Pieri, Il nuovo giallo italiano: tra tradizione e post modernità, «The Edimburgh Journal of Gadda Studies» (1° ed. Delitti di carta n. IV, Bologna, Clueb, 2000, pp.57-66).

centro del romanzo e, di conseguenza, lo saranno anche i processi di trasformazione sociale che ne costituiscono un'inevitabile premessa.

Ad essere messo in discussione, insomma, nei romanzi polizieschi di autori contemporanei (la

generazione del Sessanta e oltre), in modo da suscitare inquietudine più che sollievo, riproporre domande e dubbi invece di dare risposte e fornire risposte, sarà proprio un riposato e tranquillizzante approdo finale, - scrive Elisabetta Bacchereti - così irrinunciabile nel poliziesco classico da far dire a Italo Calvino, a proposito del Giorno della civetta di Sciascia, che, considerato il sistema omertoso, non solo siciliano, il giallo, come tensione razionale verso la verità e la giustizia, era impossibile in Italia. Il giallo e più ancora il noir, invece, si fa oltre che racconto, messaggio: raccontare il crimine, nella sua

dimensione massificata ma anche negli aspetti intimi più fuggenti, si trasforma in un allucinante viaggio di scoperta all'interno del delitto come metaforica esplorazione del cuore di tenebra della realtà

contemporanea, nel pubblico come nel privato, in caccia di una razionalità sempre più sfuggente e aleatoria, di una verità insabbiata, misconosciuta, nascosta, manipolata, negata [...]41.

Scrive Petronio: «Il processo di simbiosi tra poliziesco e non poliziesco sta sconvolgendo tutto: il poliziesco e il non poliziesco»42.

E' dunque, a nostro parere, una falsa domanda chiedersi dov'è il confine tra il romanzo in cui il poliziesco aspira ad essere letteratura e quello in cui la letteratura indossa i panni del giallo.

E, in realtà, concordiamo con Jameson quando afferma:

41 Elisabetta Bacchereti, Giallo e noir. Dalla tradizione al postmoderno, «Paragone Letteratura» n°78/79/80, agosto-dicembre 2008, p.136.

[...] la trama del romanzo poliziesco segue semplicemente la tendenza fondamentale di tutte le trame letterarie o degli intrighi in generale, contrassegnati dalla risoluzione della molteplicità in una unità primaria, da un ritorno a un punto di partenza primario, con il matrimonio dell'eroe e dell'eroina e quindi col ristabilire il nucleo originale della cellula familiare, o con la scoperta delle origini misteriose dell'eroe, e così via. […] la scoperta del criminale è qui solo una parte di una più complessa rivelazione, e avviene non solo come culmine di un giallo, ma anche come culmine dell'indagine. L'indagine e il delitto servono, in una sorta d'intricato modello gestaltico, da poli alterni per la nostra attenzione: ciascuno serve a mascherare gli aspetti più deboli e meno convincenti dell'altro, ciascuno serve a impedire che l'altro viri verso il magico e il simbolico e a rimetterlo a fuoco con cruda e brutale chiarezza. Quando la mente segue il motivo del delitto, l'indagine cessa di essere una mera tecnica letteraria, un pretesto a cui agganciare una serie di episodi, e viene investita di una sorta di opprimente fatalità, come un cerchio che si stringe. Quando invece ci concentriamo sull'indagine come centro organizzatore degli eventi descritti, il delitto diventa un incidente privo di senso, l'assurda interruzione di una traccia, di un percorso.43

Ma il classico romanzo ad enigma, di cui una delle maggiori rappresentanti è Agatha Christie, è riuscito a rinnovarsi e a modificare la sua struttura rigida, legata fortemente allo scioglimento di un mistero, al whodunit?

Cercherò di rispondere a questa domanda nel prossimo capitolo, esaminando un racconto in particolare di Agatha Christie, una delle icone del giallo.