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LA LETTERATURA “DI GENERE” E IL GIALLO NELLE LETTERATURE, DALL'AMLETO DI SHAKESPEARE A DOSTOEVSKIJ.

Tutta la terra non basterà a seppellire un delitto. Alla fine, lo si scoprirà

(Amleto, atto I°)

Scrivere un giallo è, a mio parere ma credo che sarebbe stata d'accordo anche Agatha Christie, grande amante del giardinaggio, come curare un balcone fiorito, un giardino, un parco o un orto.

Un bravo giardiniere, ma anche un semplice amante del giardinaggio come me, sa che per ottenere un buon risultato nella realizzazione di un giardino è necessario capire per prima cosa che c'è un ordine a cui ricondurre tutto, che certe piante vanno tenute vicine tra loro e

77 Lia Volpatti e Gian Franco Orsi, C'era una volta il giallo. L'età d'oro del mystery, Milano, Alacran, 2005, p.64.

che altre, invece, allontanate, perché “si fanno la guerra” fino alla morte. E' necessario tenere conto dell'attacco dei parassiti, delle piante infestanti, del clima del luogo dove si trova il giardino o il balcone o il campo e di tanti altri fattori. L'investigatore del giallo classico, dunque, proprio come un giardiniere riporta la società all'ordine che il delitto ha sconvolto, che sia Sherlock Holmes con la sua logica infallibile o Poirot, il segugio belga creato dalla penna di Agatha Christie, o i vecchietti del Bar Lume di Marco Malvaldi (Pisa, 1974) poco importa. Ma, proprio come in un giardino si può decidere se coltivare le piante seguendo uno schema rigido e imponendo certe architetture, che possono anche seguire le mode, come per i vestiti o per le vacanze estive, oppure assecondare di più la natura, lasciando che certi arbusti spontanei crescano e si uniscano ad altri magari “messi a dimora” dal giardiniere, così in un poliziesco si può anche decidere di lasciare che non torni a regnare l'ordine precedente al delitto e che l'investigatore-giardiniere possa anche fallire o scelga di ascoltare le ragioni che hanno portato al crimine.

Così l'hard boiled e il noir potremmo paragonarli ad un giardino o a un campo incolto, o meglio curato dal giardiniere-scrittore lasciando che crescano anche le erbe spontanee.

E se è vero che il commissario Matthäi de La promessa78 di Friedrich Dürrenmat

morirà senza riuscire a catturare il serial killer in un noir che si presenta come il ”requiem del giallo”, il poliziesco ha radici molto antiche, che, come scrive Sciascia in Appunti sul giallo vanno

[...] dalla volpe di Esopo che studia le impronte che portano alla caverna del leone e ne trae perfetta e salutare deduzione, da Caco che, nell'Eneide, ruba alla mandria di Ercole tori e giovenche e con un trucco, tuttora non disprezzabile (fa in modo che le impronte dei buoi risultino nella direzione “di uscita” e non “di entrata” di fronte alla caverna in cui li ha nascosti, n.d.r.), li adduce a buon nascondiglio- fino alla pazzia' non priva di metodo' (anche di metodo poliziesco) di Amleto.79

Agatha Christie, in una delle poche interviste concesse, risponde a Gian Franco Orsi della Mondadori editore (intervista pubblicata nel Giallo Mondadori n° 1048, 2 aprile 1969 n.d.r.):

Domanda di Gian Franco Orsi: <<Il critico Règis Messac, dopo aver dimostrato che la Grecia antica aveva coltivato sia il gusto del mistero sia lo spirito scientifico è giunto alla conclusione che l'Edipo re è il primo racconto giallo. Che cosa ne pensa?>>.

Risposta di Agatha Christie: <<Direi che Edipo è una tragedia pura e semplice. Non c'è il solito interrogativo “chi è stato?”, né vi sono misteri o rompicapi. Amleto, invece, potrebbe essere considerato un buon argomento per un poliziesco. [...]>>80.

Cogliendo, dunque, il suggerimento della Christie, andiamo a rileggere l'Amleto di Shakespeare.

Ad Elsinore, in Danimarca, il fantasma del defunto re appare a suo figlio Amleto e gli chiede di essere vendicato, rivelandogli che ad ucciderlo è stato il fratello, che ha sposato sua

79 Leonardo Sciascia, Il metodo di Magret e altri scritti sul giallo, Milano, Adelphi, 2018, p.19.

80 Gian Franco Orsi e Lia Volpatti, C'era una volta il giallo. L'età d'oro del mistery, Varese, Alacran, 2005, pp.54-55.

madre e ora siede sul trono.

L'Amleto si apre con la rivelazione di un delitto, come nella migliore tradizione del giallo e del noir, dove inizialmente c'è il ritrovamento del cadavere e successivamente cominciano le indagini. Vengono subito in mente investigatori resi celebri dalla televisione, come il tenente Colombo, che ricostruisce, con un comportamento solo all'apparenza bonario e maldestro, tutto ciò che è successo prima del delitto, fino all'inevitabile conclusione.

Torniamo all'Amleto di Shakespeare.

Il principe assicura di tener fede alla promessa di vendetta richiesta dal padre, ma, desideroso di avere la concreta prova della colpevolezza dello zio, decide di far mettere in scena uno spettacolo teatrale con l’omicidio del defunto re e il nuovo sire, indignato e al contempo impaurito, si alza e se ne va, dimostrando così la sua colpevolezza.

Per due volte, dunque, nell'Amleto di Shakespeare viene evocato e rappresentato, vorremo dire, il delitto (dall'Atto II°, scena seconda, è Amleto che parla, n.d.r.):

[…] Ho udito dire che delle persone colpevoli, assistendo alla rappresentazione di un dramma, a causa dello stesso artificio messo in opera sulla scena, furon così turbate nel profondo dell'anima da confessar pubblicamente e senza indugio i loro crimini. Poiché l'assassinio, sebbene non abbia lingua, ciò nondimeno si dichiarerà con qualche altro organo prodigioso. Io procurerò che questi attori recitino davanti a mio zio qualcosa che, per l'intreccio, somigli l'assassinio di mio padre. Osserverò l'espressione che avrà dipinta sul volto, e lo sonderò al vivo. S'egli abbia anche soltanto un frèmito, saprò ben io qual condotta tenere. Lo spirito che ho veduto potrebbe essere il Demonio, e il Demonio ha pure facoltà di rivestire una forma grata all'occhio. Certo! O forse, a causa della mia fiacchezza e del mio umor

malinconico, molto potendo il Demonio su tale disposizione dello spirito, mi viene ingannando per portarmi alla dannazione. Dovrò procurarmi delle ragioni più consistenti di quelle che ho interrogate finora. La rappresentazione del dramma sarà la cosa con cui coglierò in trappola la coscienza del re.81

E ancora (dall'Atto III°, scena seconda, n.d.r.):

Suonano gli oboe. Entra la pantomima.

Entrano un re e una regina, facendo le viste d'esser molto innamorati. La regina abbraccia lui e lui lei. Ella s'inginocchia e mostra con gli atti la sua devozione. Egli la solleva e poggia il capo sulla spalla di lei. Poi si stende su un'aiuola fiorita. Ella, vedendolo addormentato, lo lascia solo. Subito dopo entra una persona, toglie al re la corona, la bacia, versa del veleno nelle orecchie del re, ed esce. Torna la regina, s'accorge che il re è morto, e compie gesti appassionati di dolore

L'avvelenatore, con due o tre personaggi muti, rientra, e fa le viste di pianger con lei. Il cadavere vien tratto fuori della scena. L'avvelenatore corteggia la regina con dei doni; ella fa per un tratto le viste d'aborrirli, ma infine accetta l'amor suo.82

Scrivono Luigi Forlai e Augusto Bruni:

Amleto, come Marlowe […] esprime la sua personale visione del mondo in cui sono strutturati i rapporti di potere e delle cause che hanno espresso il crimine ed il criminale: il più delle volte essi scoprono quanto sottile sia il confine che separa il moralmente lecito dall'illecito, il valore personale da quello sociale […] E' per questo che, in senso esistenziale, possiamo definire Amleto e tutti i futuri detectives simili a lui come “detective ontologico”. In fondo Amleto, come Marlowe, è uno spostato. La sua figura è atipica, nel mondo del Mito, e quanto meno in netto anticipo rispetto al mondo della Storia.83

81 William Shakespeare, Amleto, Milano, Fabbri, 2002, p.p.135,137. 82 Ivi, p.159.

83 Luigi Forlai e Augusto Bruni, Detective thriller e noir – Teoria e tecnica della narrazione, Roma, Dino Audino, 2003, p.174.

Ma se Amleto, che indaga sulla morte del padre e cerca le prove della presunta

colpevolezza dello zio, rappresenta, per certi versi, anche un investigatore che nel dramma per la prima volta fa una sorta di detection, è con Dostoevskij che il delitto e la colpa troneggiano al centro della narrazione. Se in Delitto e castigo (1866) lo studente Roskòl'nikov compie un delitto gratuito per dimostrare la sua indipendenza dalla morale comune e, dopo aver

commesso il crimine, si costituisce perché non può fare a meno di desiderare il ritorno a quella comunità di cui aveva negato il valore, nei I fratelli Karamazov (1880), Smerdakov, figlio illegittimo del dispotico e crudele Fedor Karamazov, uccide il padre e la colpa moralmente ricadrà anche sulla testa dei tre figli legittimi.

Scrive Freud in Dostoevskij e il parricidio:

Il parricidio è, secondo una nota concezione, il delitto principale e primordiale sia dell'umanità che dell'individuo. In ogni caso è la fonte principale del senso di colpa, seppure forse non l'unica: le ricerche non sono ancora riuscite a definire con sicurezza l'origine psichica della colpa e del bisogno di espiazione. […] Non è certo un caso che tre capolavori della letteratura di tutti i tempi trattino lo stesso tema, il parricidio: alludiamo all'Edipo re di Sofocle, all'Amleto di Shakespeare (Amleto si sente stranamente incapace, almeno all'inizio, di vendicare l'assassinio del padre, n.d.r.) e ai Fratelli Karamazov di Dostoevskij.84

Ma se il senso di colpa è presente nell'Amleto di Shakespeare, ne I fratelli Karamazov di Dostoevskij come anche in Dieci piccoli indiani di Agatha Christie, diremo noi, il

“mediatore” di Renè Girard (il desiderio di qualcosa non per le sue qualità intrinseche, ma perché c'è sempre qualcuno di più importante e prestigioso che lo ha fatto prima, n.d.r.) rivendica la sua presenza ne Le Memorie del sottosuolo di Dostoevskij.

Ed è proprio Girard a venirci in soccorso per dimostrare che è un falso confine, se tracciato in modo netto, quello tra letteratura e poliziesco. Dunque «[...] il mediatore diventa un nemico scaltro e diabolico, che cerca di spogliare il soggetto di ciò che ha di più caro e contrasta ostinatamente le sue più legittime ambizioni»85 e questo avviene, ad esempio, ne Le

memorie del sottosuolo di Dostoevskij, la storia della discesa agli Inferi del giovane

impiegato Ivan, che ben incarna la figura dell'antieroe, anticipando l'Ulrich de L'uomo senza

qualità di Musil.

La maledizione dell'eroe è così tremenda - scrive Girard - così totale che si estende agli esseri e alle cose che sono alla sua portata. “Più le cose... erano vicine, più il suo pensiero se ne staccava. (Myškin ne

L'idiota di Dostoevskij, n.d.r.) Tutto ciò che lo circondava da vicino, campagna noiosa, piccoli borghesi

imbecilli, mediocrità dell'esistenza, gli appariva un'eccezione nel mondo, un caso particolare a cui essa era sottoposta, mentre al di là si estendeva a perdita d'occhio l'immenso paese della felicità e delle passioni [...]”. Dietro tutte le dottrine occidentali che si susseguono da due o tre secoli vi è sempre il medesimo principio: Dio è morto, tocca all'uomo prendere il suo posto. La tentazione dell'orgoglio è eterna ma diventa irresistibile nell'era moderna poiché è orchestrata e amplificata in maniera inaudita. La “buona novella” moderna è intesa da tutti. Quanto più profondamente si scolpisce nel nostro cuore, tanto 85 Renè Girard, Struttura e personaggi nel romanzo moderno, Milano, Bompiani, 1965, p.14.

più violento è il contrasto tra questa meravigliosa promessa e la brutale smentita che le infligge l'esperienza.86

Scrive Daniele Gallo:

Delitto e castigo (1866) utilizza in modo originale e creativo lo schema del poliziesco, con le sue figure

caratterizzanti e il tipico contrasto tra apparenza e realtà segreta del colpevole. E' proprio quest'opera il primo esempio di quello che, negli sviluppi futuri, sarà denominato “Inverted”, il genere narrativo in cui fin dall'inizio si conosce l'identità dell'assassino e l'interesse è risvegliato dal “come” la legge riuscirà a smascherarlo.87

Potremmo dire che l'antieroe di Delitto e castigo, ma anche delle Memorie del

sottosuolo e de L'idiota di Dostoevskij anticipa la figura del nuovo investigatore “dannato”

dell'hard boiled e di Chandler, oggi approdato all' “uomo qualunque”, magari con l'ulcera e con problemi sentimentali ma anche economici con la ex moglie. E' l'attingere e rielaborare la realtà e i fatti di cronaca nera in particolare, che sempre più hanno caratterizzato il nuovo giallo mediterraneo e in particolare quello italiano. Questo è il caso del romanzo giallo La

testa perduta di Damasceno Monteiro di Antonio Tabucchi, che nella nota alla fine del libro,

infatti scrive:

Personaggi, luoghi e situazioni qui descritti sono frutto di fantasia romanzesca. Di reale c’è un episodio ben concreto che ha mosso la fantasia romanzesca: la notte del 7 maggio 1996, Carlos Rosa, cittadino portoghese, di anni 25, è stato ucciso in un commissariato della Guarda Nacional Republicana di Sacavém, alla periferia di Lisbona, e il suo corpo è stato ritrovato in un parco pubblico, decapitato e con 86 Ivi, pp.51-52.

segni di sevizie.88

Il tema centrale di questo romanzo (pubblicato nel 1997) è quello dell'incapacità del sistema giudiziario di condannare un potente uomo dell'apparato statale come un sergente della Guarda Nacional. Ad Oporto avviene un feroce assassinio: Manolo, un gitano, scopre fortuitamente un cadavere decapitato tra i cespugli di un parco pubblico. Ne nasce

un'inchiesta giornalistica di un giovane inviato di un giornale popolare, Firmino. I problemi dell’abuso poliziesco, della tortura, della giustizia, della marginalità sociale e delle minoranze etniche sono il lievito di questa storia narrata con l’andamento del thriller. Ed è il bizzarro avvocato Fernando de Mello Sequeira, detto Loton, sconfitto dalla vita, ma nient’affatto rassegnato all'ingiustizia che coordina le indagini del giovane giornalista, che condurrà per mano attraverso una realtà fatta soprattutto di soprusi e violenze fino alla scoperta finale.

Damasceno Monteiro, la vittima, un garzone di una ditta di Import-export, è stato assassinato da tre agenti della Guardia Civil perché, dopo aver scoperto che gestivano un traffico internazionale di droga, ha tentato di ricattarli.

E non bisogna dimenticare le parole di Sciascia nel suo scritto Quer pasticciaccio

brutto de Via Monaci pubblicato ne Il metodo Maigret,che sottolinea l'incontro tra realtà della cronaca nera e letteratura, in una sorta di preveggenza “artistica” dello scrittore.

Qualche mese dopo la pubblicazione dell'ormai famoso Pasticciaccio brutto de Via Merulana di Carlo Emilio Gadda, sulla cronaca romana del “Messaggero” lessi di un 'furto di gioielli in casa Menegazzi' - la quale casa Menegazzi non era al 219 di Via Merulana ma, a quanto ricordo, non molto lontana. Al contrario dei personaggi del libro di Gadda, io non sono un'abituale lettore del “Messaggero”: ma una volta al mese, se non due volte, sotto le acute e veloci forbici del barbiere, al modo di un personaggio di Gadda, delibo il “Messaggero” dall'articolo di fondo agli annunci economici. Stando dunque dal barbiere, lessi del furto in casa Menegazzi - furto di gioielli, a far più gaddiana la cosa. Ché i lettori di Gadda ricorderanno di certo come, all'inizio del Pasticciaccio, ci sia un furto di gioielli e per l'appunto in casa della contessa Menegazzi. Ritrovare sul 'Messaggero' quella identità onomastica tra il personaggio di Gadda e la derubata della cronaca, e quella analogia di circostanze, precipitò i miei pensieri in una dimensione magica, in un giuoco simile a quello di cui è maestro lo scrittore argentino Jorge Luis Borges (e chi vuole averne un'idea legga La biblioteca di Babele: un volume di racconti edito da Einaudi). Borges direbbe che la fantasia di Gadda - gioielli rubati a una certa signora di nome Menegazzi - vagò, in una ignota dimensione, fino ad incontrare la dolosa volontà di colui che doveva realizzarla: cioè

quell'individuo che, secondo la cronaca del giornale, la polizia attivamente ricercava.[...] Ad un anno di distanza, ecco le cronache- e non soltanto quelle del “Messaggero” - freneticamente avventate sul delitto di Via Monaci o caso Fenaroli che dir si voglia. Il quale caso, presentando circostanze analoghe al pasticciaccio de Via Merulana, parve dovesse assumerne, nel giro dei mesi dalla polizia trascorsi in alacri ma infruttuose indagini, anche la conclusione: che, come è noto, nel libro di Gadda manca.89

Perché scrivere un poliziesco è avvicinarsi alle radici del Male, proprio come farebbe un investigatore dell'età d'oro del mistery (periodo che si identifica negli anni che vanno dalla nascita di Sherlock Holmes, creato dalla penna di Conan Doyle nel 1887 fino agli anni '20, che si aprono con la pubblicazione di Poirot a Styles Court di Agatha Christie) con la lente

per cogliere gli indizi sulla scena del crimine.

Leggiamo in Raymond Chandler L'indagine della totalità di Fredric Jameson, a proposito del finale de Il grande sonno di Chandler:

Il presente svanisce nella polvere, il momento vissuto apparterrà presto solo a una pagina di giornale sepolta nell'archivio delle vecchie annate. E la nostra distrazione formale raggiunge infine il suo scopo fondamentale: con il distoglierci dal consueto obiettivo rituale della ricerca del criminale e della sua trasformazione nell'Altro, questa ci rinvia subito, senza preavviso, alla realtà della morte, della morte immota nel tempo, ricordando ai vivi l'ultima dimora che li restituisce alla polvere.

Così il tormento di Amleto che, potremmo dire, sente su di sé l'alito della morte e l'ossessione di Roskòl'nikov per il duplice omicidio che ha commesso tende la mano a “Il grande sonno” di Chandler, abbatte, a nostro parere, qualsiasi steccato tra la letteratura cosiddetta alta e il poliziesco. Unico vero discrimine è la qualità del poliziesco.

E' arrivato, dunque, il momento di chiederci come si riconosce un buon poliziesco. Con il tempo, dagli anni dell'età d'oro del mistery, passando dalla cosiddetta età del piombo (dal 1929 fino agli anni Sessanta, con alcuni grandi maestri del giallo, da Georges Simenon a Rex Stout, da Ellery Queen a Raymond Chandler) per arrivare, infine, all'epoca contemporanea, la cosiddetta età del sangue, gli scrittori hanno cercato di dare delle regole per il poliziesco scritto ad arte.

CAPITOLO V°

I PIONIERI DEL NUOVO GIALLO CONTEMPORANEO: