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TRA LETTERATURE E "GENERE": IL GIALLO ITALIANO

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Academic year: 2021

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D

IPARTIMENTO DI

F

ILOLOGIA,

L

ETTERATURA E

L

INGUISTICA

CORSO DI

L

AUREA

M

AGISTRALE IN

I

TALIANISTICA

Curriculum Critico-Letterario

Tesi di laurea

TRA LETTERATURE E “GENERE”: IL GIALLO ITALIANO

LAUREANDA RELATORE

Dottoressa Paola Alberti Professoressa Carla Benedetti

MATRICOLA 073293

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INDICE

Introduzione

p.3

I° capitolo

La tecnica del giallo.

p.8

II° capitolo

La storia del poliziesco italiano.

p.19

III° capitolo

Il caso Agatha Christie.

p.39

IV° capitolo

La letteratura “di genere” e il giallo nelle letterature,

dall'Amleto di Shakespeare a Dostoevskij.

p.53

V° capitolo

I pionieri del nuovo giallo contemporaneo:

Glauser, Dürremmat e Gadda.

p.65

VI° capitolo

Il nuovo giallo italiano contemporaneo.

p.93

Conclusioni

p.107

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INTRODUZIONE

Quando avevo otto anni scoprii due casse di libri che mia madre, appassionata lettrice “onnivora”, aveva nascosto sotto la grande libreria che c'era in salotto. La prima cassa era di

Segretissimi e la seconda era di libri gialli, per la maggior parte di Agatha Christie e di Rex

Stout. Anch'io volevo leggerli e, per di più, per me avevano il sapore del proibito, dal

momento che mia madre, nel pieno delle sue funzioni di insegnante elementare che mi aveva anche insegnato a leggere e a scrivere, mi aveva raccomandato di stare alla larga dai “gialli”, perché non abbastanza letterari ed edificanti per una bambina.

Cominciò così la mia grande passione per la letteratura; ogni notte, di nascosto, mi alzavo e prendevo un giallo da una delle due casse, poi tornavo in camera mia e, con una piccola torcia, sotto le coperte per non farmi scoprire da mia madre, leggevo e trattenevo il fiato fino all'ultima pagina, con l'immancabile scoperta dell'assassino. A dodici anni la lettura de I fratelli Karamazov di Dostoevskij mi conquistò e mi sembrò un giallo sublime. Negli anni che seguirono di gialli ne lessi moltissimi e diventai anch'io una scrittrice “di genere”. In tutto questo lasso di tempo ho continuato a chiedermi, come lettrice appassionata e anch'io onnivora, che cosa in realtà separasse in modo spesso drastico la letteratura cosiddetta “di genere” da quella considerata alta e quanto si intrecciassero i temi dell'una con quelli

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dell'altra. In definitiva - mi sono sempre detta - quello che conta è che si stia parlando di un “buon libro”. Approdai alla lettura di Un requiem per il romanzo giallo di Friedrich

Dürrenmatt e di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda quando frequentavo il terzo anno del liceo. Confesso che, allora, la prima lettura di questi due libri, ebbe soprattutto il potere di scioccarmi, di sconvolgere quelle poche, ma ben radicate, idee che mi ero fatta fino ad allora sul giallo e sulle sue regole. Tutto veniva rimesso in

discussione, a partire da quello che avevo capito che era uno dei capisaldi del giallo, ovvero il finale con la scoperta del colpevole consegnato alle forze dell'ordine. Archiviai il caso, per utilizzare un termine tipico usato da poliziotti, carabinieri e investigatori, e solo molti anni più tardi ripresi in mano quei libri. E Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda mi conquistò, portandomi dentro un mondo complesso, dolente e meraviglioso.

Ingravallo si volse, cupo, alla sua sinistra: calò il vetro, Santa Maria Maggiore, dai tre fornici oscuri della loggia sopra il nartèce pareva seguire, con l'afflato della carità di sua plebe, una bara che le fosse uscita dai visceri. Enunciazione disegnata ed estrutta ad arte sulla sommità di quello che doveva essere stato nei lontani secoli il 'monte', il Viminale, l'architettura secentesca della basilica, come d'una dimora fastosa del pensiero, aveva sue radici nell'ombra, nella oscurità della diritta via discendente e nell'intrico di tutti i rami: un accenno, il campanile a cuspide, al di là del groviglio dei rami e delle alberature che la fiancheggiavano1.

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soprattutto la vita, “quer pasticciaccio” che è l'esistenza, tra miserie e grandiosità, in cerca di risposte metafisiche.

Sono passati molti anni anche dalla mia seconda e più consapevole lettura di Quer

pasticciaccio e ora sono felice di poter analizzare questo romanzo, prendendo in

considerazione soprattutto ciò che lo fa rientrare nel “genere” e ciò che lo allontana dal poliziesco.

E' mia intenzione, dunque, spiegare su che cosa si intende per giallo e quali siano le regole del poliziesco. Procederò, poi, con un'analisi di un testo di Agatha Christie, considerata la regina del poliziesco classico.

Analizzerò la letteratura “di genere” e il giallo nelle letterature, dall'Amleto di Shakespeare a Dostojevski. Prenderò, quindi, in considerazione i romanzi di Friedrich Glauser, La promessa di Friedrich Dürenmatt e il testo del Pasticciaccio, con lo scopo di mostrare come questi romanzi abbiano contribuito a sovvertire le regole del giallo, o per lo meno quello che si intendeva per poliziesco fino ad allora. Mi soffermerò, a conclusione di questa analisi, sul finale cosiddetto “aperto” di Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana, che indubbiamente apre a scenari di carattere metafisico più che giallo.

Infine cercherò di rispondere alla domanda se con il nuovo giallo italiano ci sia stata una reale evoluzione del “genere” e forse anche un suo miglioramento. Analizzerò, dunque, il romanzo di Antonio Moresco L'addio e il racconto I treni che vanno a Madras, tratto dalla

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raccolta Piccoli equivoci senza importanza di Antonio Tabucchi.

Spesso, infatti, si fa rientrare il poliziesco nella paraletteratura (si definisce come paraletteratura tutte quelle pubblicazioni letterarie che non si propongono espressamente fini artistici e culturali o non ne hanno il carattere e che sono, quindi, considerate come letteratura marginale. Corrisponde alla cosiddetta letteratura di massa o di consumo, definita dai tedeschi come “trivialliteratur”, con «nuove accessioni, oggi rappresentate dalle emergenti tendenze dai modaioli nomi inglesi, come la click-lit, aggiornamento del romanzo rosa tradizionale; il racconto grafico -graphic novel-, con ambizioni superiori al fumetto infantile; o la teen-lit, dedicata agli adolescenti e in qualche modo collegabile alle collane ottocentesche per la gioventù»2).

Nel mio viaggio nel mondo della letteratura “di genere”, nello specifico del poliziesco, cercherò di rispondere ad alcune domande. Prima fra tutte: esistono veramente le “regole del poliziesco”? Ovvero hanno ragione di essere le 20 regole di Van Dine per scrivere un buon poliziesco e i “dieci comandamenti per il romanzo poliziesco” di Stefan Brockhoff ?

Al di là di un certo numero di polizieschi e thriller che si attengono rigidamente ad uno schema, più o meno ripetitivo, il giallo italiano, nello specifico, è riuscito ad evolversi, a ritagliarsi un suo precipuo spazio letterario e ad essere letteratura e non “paraletteratura”?

La risposta, a nostro parere, è sì. Il poliziesco italiano, o almeno molti dei suoi rappresentanti, facendo proprie le istanze sociali di profondo cambiamento della nostra

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società, si è proposto come il cantore delle nuove realtà metropolitane, che si sono trovate a fare i conti con la globalizzazione e il conseguente flusso migratorio.

Ma ciò che più ancora fa rientrare il poliziesco nella letteratura sono, escludendo i casi in cui si aderisce ad un semplice modello di pura applicazione di un cliché, l'inquietudine, l'attesa e l'imprevisto, i tre grandi compagni del “Caso”, del klinamen greco che può attraversare la vita degli uomini e sconvolgerla.

E, in definitiva, noi crediamo che nelle letterature ci sia sempre stato il “giallo” e il noir, che in ogni buon romanzo si manifesta anche attraverso l'imponderabile e, diremmo noi, ci mostra le sue ragioni d'essere nella nostra vita.

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CAPITOLO I°

LA TECNICA DEL GIALLO

Tre passi nel giallo: il crimine, l'indagine e la soluzione.

[…] la logica è una sola e non tentenna,

ed è sposa al metodo e madre alle ipotesi

(che da lei prendono in tal modo il nome di logiche)3

(Carlo Emilio Gadda)

Per prima cosa chiediamoci: che cos'è un giallo? La risposta più diretta e immediata è che un giallo è il racconto di un delitto4 e delle indagini che qualcuno compie per risolvere il

mistero, fino alla soluzione del caso. Al centro dell'attenzione, quindi, ci sono tre elementi fondamentali: il delitto, l'indagine e la soluzione o scoperta.

Il primo elemento è il delitto, il crimine, che rompe uno stato di quiete e di ordine. Fondamentali coordinate per individuare al meglio e in modo più preciso possibile questo elemento sono: il luogo del delitto e le sue motivazioni e modalità. Rimane, comunque

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l'indagine al centro di un giallo, anzi si potrebbe dire che questo è l'elemento che lo determina come tale. L'indagine si basa sulla raccolta e l'interpretazione degli indizi e dei dettagli, una sorta di paradigma indiziario, come scrive Carlo Ginzburg: «un modello epistemologico emerso verso la fine dell'Ottocento nell'ambito delle scienze umane»5. Nella realtà della vita

quotidiana gli individui danno ben poca importanza ai dettagli di ciò che accade o che, in qualche modo incrocia le loro vite. Nel mondo della letteratura la mente del lettore viene invece guidata dentro la storia proprio attraverso i dettagli. E, come sostiene Mario Lavagetto, «la disomogeneità (dei dettagli) richiede di venire opportunamente scrutata da uno sguardo selettivo. Si tratta di scegliere dei percorsi interpretativi che mettano in risalto certe porzioni di realtà a scapito di altre, che verranno poste tra parentesi e considerate devianti, ingannevoli o semplicemente inutili»6.

Scrive Raffaella Petrilli:

Il giallo è la metafora del percorso con il quale si dirada l'oscurità, si schiarisce l'ignoto, si afferra il senso di ciò che è accaduto o accade e che si manifesta agli occhi dello spettatore grazie a un insieme di segnali. Il detective impersona l'essere umano impegnato nel tentativo di conoscere il mondo che lo circonda e che in questo impegno utilizza, produce o interpreta i segni.7

Il particolare, il dettaglio, dunque sono gli strumenti per far “entrare” il lettore dentro

5 Carlo Ginzburg, Miti emblemi spie, Torino, Einaudi, 2000, p.158.

6 AA.VV., Il testo letterario. Istruzioni per l'uso, a cura di Mario Lavagetto, Bari, Laterza, 1996, p. 179. 7 R. Petrilli, Il detective e le parole. Le strutture semantiche del giallo, Troina (Enna), Città Aperta, 2004, p.7.

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un romanzo poliziesco, con due grandi alleati: la suspense e il personaggio dell'investigatore, che rappresenta una guida verso la soluzione del “caso”, una sorta di ponte tra il testo e il lettore. L'investigatore può essere un poliziotto o un carabiniere, che viene aiutato dai suoi collaboratori, o un dilettante spesso geniale.

L'origine della figura letteraria del detective – scrive Fredric Jameson - risale alla creazione della polizia professionale, la cui nascita può essere attribuita non tanto alla volontà di prevenire la criminalità in genere quanto alla volontà da parte delle moderne forme di governo di conoscere e quindi controllare i differenti elementi presenti nelle loro aree amministrative. I grandi detective dell'Europa continentale (Lecoq, Maigret) sono generalmente dei poliziotti, ma nei paesi anglosassoni, dove il controllo governativo agisce in modo meno pressante sui cittadini, è il detective privato, da Holmes al Philip Marlowe di Chandler, che prende il posto del pubblico ufficiale, almeno fino al ritorno, nel dopoguerra, di un genere quale il police procedural8.

E, come ricorda Leonardo Sciascia:

Prezzolini osserva come 'ci sia una certa somiglianza fra le maschere della commedia dell'arte e i tipi di poliziotto o di delinquente del 'giallo'... il personaggio principale dei 'gialli' (che oggi è il detective) agisce in tutti allo stesso modo, ma con variate vicende, come il pubblico delle piazze di Bologna, di Napoli o di Parigi si aspettava che agissero Arlecchino, Pulcinella, Balanzon o Coviello. Il detective non può avere sviluppo. Il delinquente dei “gialli” non si converte mai all'onesto lavoro, e non entra mai in un convento. Il detective non invecchia. Non sposa. Non ha figli. Non ha discepoli. Ad ogni vicenda ricomincia da capo.9

8 Fredric Jameson, Raymond Chandler. L'indagine della totalità, Napoli, Cronopio, 2018, p.18. 9 Leonardo Sciacia, Il metodo di Maigret, a cura di Paolo Squillacioti, in Appunti sul giallo, Milano,

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Il terzo elemento strutturale è la soluzione: «la soluzione, non la conclusione»10. Nel

giallo, infatti, la conclusione è anche la soluzione, ovvero lo scioglimento dell'enigma. Lo scioglimento di un mistero (chi ha compiuto il delitto: whodunit?) ha come logica

conseguenza il ristabilimento dell'ordine, che preesisteva al disordine portato dal crimine. E' in questo ultimo passaggio che, ad un certo punto, c'è stata una svolta radicale, tanto da portare alla pubblicazione de La promessa di Friedrich Dürrematt. Ne La promessa il giallo sarebbe diventato “aperto”, cioè non si chiude con la soluzione e non prevede lo svelamento del colpevole e il suo conseguente arresto. Infatti la trama de La promessa è incentrata sul gelido e razionale commissario Matthäi che, nella Svizzera degli anni '50, investiga sull'orrendo omicidio di una bambina di 7 anni, uccisa a colpi di rasoio. Il gelido e infallibile commissario, colpito dal dolore dei genitori della bambina uccisa, fa la promessa di trovare l'assassino. Matthäi arriverà ad abbandonare il posto di commissario per comprare una stazione di servizio e adottare una bambina somigliante alla piccola uccisa e utilizzarla come esca per catturare l'assassino. Ma alla fine tutto si rivelerà inutile, perché il colpevole, uno psicopatico protetto dalla madre che rivelerà la verità solo in punto di morte, morirà in un incidente stradale, in modo del tutto casuale.

E se è vero che tra gli ultimi anni dell'Ottocento e i primi del Novecento il giallo divenne il libro di intrattenimento per la borghesia, fu solo successivamente che si diffuse anche tra il cosiddetto “grande pubblico”. Nei primi decenni del Novecento, dunque, il giallo

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cambiò. Ciò che ebbe una grandissima trasformazione fu il contenuto, nuovo e, in taluni casi, profondamente diverso. Bertold Brecht scrive: «Il romanzo poliziesco, per quanto primitivo (e non soltanto dal punto di vista estetico), appaga le esigenze degli uomini che vivono in

un'epoca scientifica senz'altro più di quanto non facciano le opere dell'avanguardia»11.

Analizziamo, dunque, il concetto di vittima, sempre presente in un poliziesco, dove non solo la morte è partecipata da tutta la società che è rappresentata ed è protagonista nella narrazione, ma vengono descritti anche gli effetti dell'azione criminale con tutte le

ripercussioni su coloro che ne vengono a conoscenza.

A questo proposito è particolarmente interessante il concetto di “capro espiatorio”, che ci riporta alla storia primitiva dell'umanità e all'origine dei miti. Renè Girard nel suo saggio

La voce inascoltata della realtà definisce un capro espiatorio come: «un'eccitazione mimetica

dell'intera comunità che si scarica spontaneamente contro una vittima qualunque, scelta per motivi insignificanti, spesso accidentali». Scrive ancora Girard: «quando parlo di capro espiatorio, intendo usare tale espressione secondo l'accezione moderna che deriva certamente dall'accezione rituale, ma rimane del tutto distinta da essa, poiché designa con chiarezza l'illusione unanime che ci sia una vittima colpevole, illusione prodotta da un contagio mimetico, generata in altre parole dall'influenza spontanea che i membri di una stessa comunità esercitano gli uni sugli altri»12

11 Bertold Brecht, Sulla popolarità del romanzo poliziesco, in Scritti sulla letteratura e sull’arte, Torino, Einaudi, 1973, p.292.

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Girard fa riferimento ai primi racconti mitologici che costituiscono il grande

patrimonio folkloristico dell'umanità: i miti classici, le leggende degli indiani d'America e i racconti religiosi. Nei miti possiamo trovare una traccia di poliziesco, soprattutto se lo avviciniamo attraverso il fenomeno del capro espiatorio, quando si cerca di trovare una motivazione al delitto accusando un nostro simile. Se nell'opinione dominante l'uomo fissa in modo completamente autonomo il suo desiderio su un oggetto, con Girard, invece, scopriamo che l'oggetto è meno desiderato di quanto è invidiata la persona che possiede quell'oggetto. Ovvero la soddisfazione è data più che dall'oggetto stesso dal fatto che l'altro non riesca a possederlo.

E' chiaro, dunque, che il “desiderio mimetico” di Girard, ovvero il desiderio che nasce dall'imitazione del desiderio di un'altra persona che funge da modello, può fare da “mediatore” per il delitto.

Leggiamo in Struttura e personaggi nel romanzo moderno, di Girard:

Soltanto l'essere che ci impedisce di esaudire un desiderio da lui stesso suggeritoci è veramente oggetto di odio. Colui che odia, odia innanzitutto se stesso, a causa della segreta ammirazione che il suo odio dissimula; con l'intento di nascondere agli altri, e a se stesso, tale sviscerata ammirazione, egli vuole scorgere nel mediatore unicamente un ostacolo. […] il mediatore diventa un nemico scaltro e diabolico, che cerca di spogliare il soggetto di ciò che ha di più caro e contrasta ostinatamente le sue più legittime ambizioni.13

(Paris, 2002), p.15.

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E dunque nel mito, dove la vittima viene sacrificata perché è identificata con la

concezione del male, ritroviamo ciò che costituisce l'anima di un poliziesco, ovvero la ricerca delle origini del Male e quindi del colpevole di un delitto. Proprio come sottolinea Girard:

I miti raccontano dei disordini mimetici realmente avvenuti, delle crisi contagiose che esplodono spontaneamente all'interno di qualsiasi comunità, ma che nelle società preistoriche, in forza dei fenomeni di capro espiatorio che vi mettono fine, fanno sorgere i miti e le religioni.14

In altre parole il lettore resta in attesa della soluzione, ma nel contempo cerca, proprio con il capro espiatorio, di trovare un movente al delitto accusando un suo simile o un gruppo di suoi simili, in definitiva quello che i giallisti definiscono “false piste”.

Non possiamo, poi, non considerare il fatto che il primo delitto è quello di Caino che uccide Abele nella Genesi. Scrive Girard su Caino: «Questo personaggio è infatti famoso per due motivi: l'assassinio di Abele e la creazione della prima civiltà o cultura. [...] Il nome di Caino non corrisponde a un singolo individuo, ma all'intera comunità cementata da un primo assassinio collettivo analogo alla Passione»15.

Il giallo, dunque, contiene in sé un richiamo all'elemento ancestrale che fa parte di tutti noi. E il pubblico, con il passare degli anni, risponderà a questo richiamo, trasformando il poliziesco in un vero e proprio successo editoriale.

14 Renè Girard, a cura di Giuseppe Fornari, La voce inascoltata della realtà, Milano, Adelphi, 2006 (Paris,2002), pp.16-17.

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Nel 1936, come ricorda Raffaele Crovi, il periodico umoristico Marc'Aurelio pubblicò un Almanacco giallo che, in settenari metastasiani, proclamava:

Il giallo, questo eccentrico colore oggi di moda, che ci produce brividi, che dal terror c'inchioda... sicché il moderno pubblico ormai non tira in ballo che un sol color, un simbolo: il giallo, il giallo, il giallo.16

Negli anni Quaranta Carlo Emilio Gadda lavorò ad un suo vecchio progetto di scrivere un giallo (già durante la prigionia, tra il 1917 e il 1918, nel Russenlager e nel campo di Celle nell'Hannover, scrisse il racconto giallo La passeggiata autunnale, rimasto incompiuto, che parla di un delitto di cui è accusato un innocente). Questo racconto portò alla stesura del romanzo Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana17, che uscì nel 1946 a puntate sulla

rivista Letteratura, con una diffusione molto limitata e fu pubblicato anni dopo, nel 1957 dall'editore Garzanti.

Va ricordato che nel marzo del 1928 Gadda scrisse quella che in seguito fu chiamata

Novella seconda, preceduta da particolareggiati appunti e osservazioni: «Arrivare al grande

16 Raffaele Crovi, Le maschere del mistero, Firenze, Passigli, 2000, p.13.

17 Carlo Emilio Gadda, Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana, Milano, Garzanti, 1996 (1° ed. 22 giugno 1957).

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pubblico fino attraverso il grosso: doppia faccia, doppio aspetto. Interessare la plebaglia per raggiungere e penetrare un'altezza espressiva che mi faccia apprezzare dai cervelli buoni»18.

Non bisogna d'altra parte dimenticare che Gadda scriverà una serie di racconti dai risvolti gialli, oltre a La passeggiata autunnale: L'interrogatorio, Un inchino rispettoso, Una

fornitura importante, Il club delle ombre e La gazza ladra, che insieme al primo abbozzo di Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana avrebbe fatto parte dell'annunciato e mai portato a

termine progetto di «un volume giallo, di 12 racconti gialli, da pubblicare in due anni nella rivista Letteratura (1946 e 1947) di Firenze, e da raccogliere in volume per Edizioni di

Letteratura - Firenze 1948»19 (Lettera di Carlo Emilio Gadda del 5 dicembre 1945, pubblicata

nel volume celebrativo Alberto Mondadori, n.d.r.).

Ma torniamo a Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana. L’intreccio ruota attorno a due fatti di “nera” avvenuti a distanza di pochi giorni (14 e 17 marzo 1927) a Roma, al numero civico 219 di Via Merulana, uno dei palazzi abitati storicamente dalla borghesia capitolina. Un furto di gioielli all’aristocratica veneta Menegazzi e l’omicidio della ricca borghese Liliana Balducci. Delle indagini è incaricato il commissario di origine molisana Francesco Ingravallo, ribattezzato da tutti Don Ciccio, che meno di un mese prima aveva pranzato a casa dei coniugi Balducci ed era attratto dalla bellezza malinconica di Liliana, tormentata dall’assenza di prole. Ingravallo è un poliziotto sui generis, un po’ filosofo, un po’

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psicologo e si ostina ad applicare alle sue indagini letture, affatto apprezzate dai suoi

superiori. E' un detective, per dirla con Giuseppe Petronio, un po' Maigret e un po' Marlowe, che con Sherlock Holmes non ha nulla in comune. Una girandola di sospettati: il

Commendator Angeloni, che è noto alla Polizia per i suoi sospetti rapporti con certi garzoni di macelleria, il cugino di Liliana Giuliano Valdarena, che è anche lo scopritore del suo

cadavere, il sacerdote Lorenzo Corpi, che rivela l’esistenza di un testamento olografo di Liliana, con il quale il cospicuo patrimonio viene suddiviso in numerose donazioni, per lo più alle giovani “figliocce” che di volta in volta si sono alternate in casa Balducci. Nel frattempo l’autore della rapina Menegazzi viene identificato in tale Enea Retalli. Nell’ambiente delle “figliocce”, tutte provenienti dal circondario della città, nella fascia in cui le ultime borgate sfumano nel contado, Ingravallo arriva, infine, ad Assunta, che assiste il padre moribondo nella sua casa a Tor di Gheppio. Ingravallo stringe d’assedio Assunta, vuole il nome dell’assassino di Liliana, e alla ragazza sfugge un lapsus forse rivelatore:

No, sor dottò, no, no, nun so’ stata io!”, grida disperata; «il grido incredibile bloccò il furore dell’ossesso, reso furente dall’ingratitudine di Assunta che non ha neanche partecipato ai funerali di Liliana che tanto l’aveva beneficata. Egli non intese, là pe llaà, ciò che la sua anima era in procinto d’intendere. Quella piega nera verticale tra i due sopraccigli dell’ira, nel volto bianchissimo della ragazza lo paralizzò, lo indusse a riflettere: a ripentirsi quasi.20

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Nonostante la ricerca dell'assassino non approdi ad una conclusione, Ingravallo sembra quasi che, per un istante, entri in contatto con l’universale dolore di tutti i cuori e comprenda, o meglio “intenda”.

Leonardo Sciascia nella sua Breve storia del romanzo poliziesco scrive: «ci basta finire con Gadda che ha scritto il più assoluto “giallo” senza soluzione»21.

E Italo Calvino nel suo saggio Carlo Emilio Gadda, Il Pasticciaccio, all'interno del libro

Perchè leggere i classici:

Quello che Carlo Emilio Gadda aveva in mente, mettendosi a scrivere nel 1946 Quer Pasticciaccio brutto

de via Merulana, era un romanzo filosofico. L'intreccio poliziesco era ispirato da un delitto avvenuto

recentemente a Roma. Il romanzo filosofico era basato su una concezione enunciata fin dalle prime pagine: non si può spiegare nulla se ci si limita a cercare una causa per ogni effetto, perché ogni effetto è determinato da una molteplicità di cause; ognuna delle quali a sua volta ha tante altre cause dietro di sé; dunque ogni fatto (per esempio un delitto) è come un vortice in cui convergono correnti diverse, mosse ognuna da spinte eterogenee, nessuna delle quali può essere trascurata nella ricerca della verità. […] E' il ribollente calderone della vita, è la stratificazione infinita della realtà, è il groviglio inestricabile della conoscenza ciò che Gadda vuole rappresentare. Quando questa immagine di complicazione universale che si riflette in ogni minimo oggetto o evento è giunta al parossismo estremo, è inutile chiederci se il romanzo è destinato a restare incompiuto o se potrebbe continuare all'infinito aprendo nuovi vortici all'interno d'ogni episodio22.

E quel “ribollente calderone della vita” che è in Quer pasticciaccio brutto de Via

Merulana risente anche dei forti cambiamenti storici avvenuti in quegli anni.

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CAPITOLO II°

LA STORIA DEL POLIZIESCO ITALIANO.

Il giallo, questo eccentrico colore oggi di moda, che ci produce brividi, che dal terror c'inchioda... sicché il moderno pubblico ormai non tira in ballo che un sol color, un simbolo: il giallo, il giallo, il giallo.

(periodico umoristico Marc'Aurelio, 1936)

Nella metà del Novecento le mutate condizioni storiche e il successivo adeguamento della realtà dei centri urbani esigono molto di più dai nuovi autori del poliziesco. Aumenta, infatti, il numero di persone che legge polizieschi. Come scrive Giuseppe Petronio: «il giallo era nato come libro di intrattenimento per lettori medio borghesi e, nello stesso tempo, come libro di curiosità intellettuale e poi di evasione per intellettuali e professionisti, ma presto si allargò - specialmente negli Stati Uniti - ad altri strati di pubblico e, quindi, di autori e scrittura»23.

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D'altra parte bisogna tener presente che il poliziesco italiano ricomincia a vivere proprio in quegli anni, dopo la censura fascista. Nel 1941 infatti, dopo che due ragazzi di buona famiglia compirono una rapina e, dopo l'arresto, dichiarano di essere stati ispirati dalla lettura dei gialli «Mussolini proclamò che quei libri rovinavano la gioventù italica e ne fece sospendere la pubblicazione»24.

Qui di seguito riporto la notizia:

Da Roma. Il Ministero della Cultura Popolare ha disposto, per ragioni di carattere morale, che la

pubblicazione dei libri gialli, sia sotto forma di periodici, sia di dispense, venga sottoposta alla preventiva sua autorizzazione. Il Ministero ha disposto inoltre che vengano ritirati dalla circolazione non pochi romanzi gialli già pubblicati e che giudica nocivi per la gioventù. L'incarico di ritirare tali libri è stato affidato agli editori stessi.25

Si arriva così alla situazione conclamata di oggi, con il giallo che è diventato la metafora preferenziale per parlare del mondo contemporaneo.

Si ricostruisce, come in un puzzle, il mondo di oggi e si presentano «gli elementi costitutivi del romanzo poliziesco con quelli costitutivi di “una scienza critica della società”»26, per dirla con Petronio.

24 Stefano Benvenuti, Gianni Rizzoni, Il romanzo giallo, storia, autori, personaggi, Milano, Mondadori, 1979, p.186.

25 «L'Assalto, Organo dei Fasci di Combattimento di Bologna», Bologna, A. XXI, n. 43, del 30 agosto 1941, p.2.

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Umberto Saba, in una delle sue Scorciatoie scrive: «come dai romanzi di cavalleria sono nati l'Orlando furioso e Don Chisciotte, è possibile che un giorno, un grande autore ricavi dallo sterminato materiale greggio dei romanzi polizieschi, un'opera popolare e di stile»27.

Augusto De Angelis, il maggiore scrittore italiano di gialli negli anni '30, afferma:

L'essenziale per me è creare un clima. Far vivere al lettore il dramma.

E' questo che si può ottenere anche facendo svolgere la vicenda in Italia, con le creature italiane.

Quanti delitti misteriosi - o dei quali non si e` mai conosciuto l'autore o gli autori - sono accaduti anche da noi?

Ne' si dimentichi che questa è la terra dei Borgia, di Ezzelino da Romano, dei papi, della regina Giovanna.

Misteri? Quanti ne volete.

Tortuosa e avvolgente serpentina di complessità e azione? Quanta ne volete.

Indagini e inchieste da condurre? Quante ne volete!

Che, se il romanzo poliziesco deve nascere anche da noi, ha da essere romanzo italiano,

caratteristicamente nostro, luminosamente nostro. Metterci proprio noi a scriver storie poliziesche, con personaggi americani o inglesi, che si svolgono su un suolo straniero non potrà mai costituire

esercitazione artistica, nonché arte. Raffazonatura, se mai.

Pedissequa imitazione.

Tanto è vero che quando a scriver romanzi polizieschi si è messo uno scrittore di razza, come Alessandro Varaldo, ha dato anima a personaggi italiani, su suolo italiano.

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Ma può un romanzo così fatto, scritto e concepito da italiani, con tutti gli ingredienti nostrani, dare il brivido e togliere il sonno?

Certamente, sì.

No, davvero, signore, non ho rimorsi a scrivere oggi romanzi polizieschi. E' un far versi anche questo.

Anche al problema e all'enigma occorrono le rime.

E se il rimario di cui ci si serve e un manuale di criminologia o il trattato di Tardieu sui sintomi e sul decorso dei veleni, siamo sempre poeti.

Anche se le api d'oro tacciono sparute sull'Imetto pieno di mirti.28

Il poliziesco finì di essere solo un gioco e si sposò alla realtà, diventando così lo specchio della società.

Ma analizziamo ora la storia del giallo italiano.

Nei primi del Novecento, sulla scia di Alexandre Dumas, si svilupperà una sorta di pastiche letterario, che unirà il giallo al noir (che prende il suo nome dal ”roman noir”, romanzo gotico del XVIII° e XIX° secolo, ma che nel XX° secolo caratterizza un genere di poliziesco in cui il protagonista non è l'investigatore, ma la vittima che deve affrontare, oltre al suo persecutore, anche un sistema legale e politico corrotto, n.d.r.), al gotico e all'horror, come nei romanzi di Carolina Invernizio. Le condizioni di miseria di molte zone dell'Italia nel periodo immediatamente successivo alla nascita del regno d'Italia, costituivano una fonte di notizie e informazioni, soprattutto di cronaca nera, che ispiravano gli scrittori, a partire da Jarro, alias Giulio Piccini di Volterra, a cui si deve la creazione del primo poliziotto letterario

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italiano, il commissario Lucertolo. Il segugio creato dal giornalista, critico teatrale e gastronomo Giulio Piccini, protagonista di due romanzi, L'assassinio nel vicolo della luna (1883), e Ladri di cadaveri (1884), compare sulla scena letteraria alcuni anni prima dell'investigatore Sherlock Holmes, che solo nel 1887 avrà vita grazie alla penna di Arthur Conan Doyle nel romanzo Uno studio in rosso. D'altronde è d'obbligo citare anche lo scrittore milanese Emilio De Marchi con Il cappello del prete del 1887.

Ma la data a cui si fa risalire l'origine del poliziesco italiano è il 1929. Si tratta, in realtà, di una data convenzionale, che si riferisce alla nascita della collana editoriale della Mondadori con il cosiddetto oblò giallo, ovvero il cerchio color canarino che

contraddistingueva le copertine e che valse il nome di “giallo” al poliziesco italiano. La scelta di questo colore, il giallo, per identificare il poliziesco si deve ad Alberto Tedeschi che, nel 1936, in una lettera indirizzata a un lettore della rivista Il cerchio Verde scrisse:

L'origine di questo termine piuttosto [...] epatico va ricercata nella trovata pubblicitaria di un editore americano che già molti anni or sono […] lanciò una collana di romanzi polizieschi e a sfondo misterioso avvolti in una copertina in brossura d'un giallo abbagliante, sfacciatissimo, oserei dire allucinante29.

La nuova collana I Libri Gialli di Mondadori fu inaugurata con la pubblicazione di tre romanzi: La strana morte del signor Benson di S.S. Van Dine, Il Club dei Suicidi di Robert

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Louis Stevenson (che comprendeva, nella stessa edizione, anche: Lo strano caso del dottor

Jekyll e del signor Hyde, L'isola delle voci e Il tesoro di Franchard) e Il mistero delle due cugine di Anna Katherine Green (prima donna a scrivere romanzi polizieschi, 1846-1936).

I primi autori italiani, come ricorda Raffaele Crovi30 furono pubblicati nella collana dei

gialli Mondadori solo a partire dal 1931. Tra questi ricordiamo Magda Cocchia Adami (la prima donna del giallo italiano, che tra il 1934 e il 1939 scrisse sei racconti e due romanzi, Il

furgone fantasma del 1936 e Il pilota del Martino Tromp del 1939), Alessandro Varaldo,

Augusto De Angelis, Giorgio Scerbanenco e Serra & Redaelli (la prima coppia “in giallo” italiana).

Alessandro Varaldo (1876-1953) creò una serie di gialli che avevano come

protagonista il commissario di Polizia romano Ascanio Bonichi, tra i quali ricordiamo Il sette

bello (1931) e Le scarpette rosse (1931), in cui, per la prima volta, compare l'investigatore

privato Gino Arrighi.

Uno dei più noti giallisti italiani degli anni Trenta è Augusto De Angelis (1888-1944), con il suo commissario Carlo De Vincenzi - l'attore Paolo Stoppa nel 1974 e nel 1977 lo interpretò in una serie televisiva di successo intitolata Il commissario De Vincenzi - che si muove tra Milano e Roma mettendo in risalto la dissolutezza e il malcostume della piccola borghesia negli anni del Fascismo.

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romanzo poliziesco Il cappello del prete (1887) rappresenta una sorta di romanzo popolare italiano, con uno sguardo attento sugli scandali dei primi anni della vita politica dell'Italia unitaria. Come leggiamo in Un secolo in giallo di Maurizio Pistelli:

Il tema della detection non riveste però nel romanzo di De Marchi un ruolo primario, ma funge di supporto alla descrizione del travaglio interiore dell'assassino, il quale schiacciato dal senso di colpa non potrà infatti fare a meno di confessare il proprio delitto.31

Ne Il cappello del prete di De Marchi il barone di Santafusca, colpevole dell'omicidio di un prete, una volta assicurato alla giustizia, diventerà folle, soprattutto a causa della sua ossessiva esigenza di moralità, con un tragico epilogo dove troneggia incontrastato il rimorso. Come scrive Pistelli:

[…] su questo medesimo terreno [quello del rimorso] e molto probabilmente sotto l'identica suggestione del romanzo dostoevskiano Delitto e castigo, nonché dei testi di Bourget, si muoverà anche Luigi Capuana con il suo Marchese di Roccaverdina e per certi versi lo stesso Italo Svevo con L'assassinio di

Via Belpoggio.32

La collana dei gialli Mondadori venne chiusa nel 1941, a causa della censura fascista, con la pubblicazione di La casa inabitabile di D'Errico e riaprì nell'aprile del 1946. Bisognerà aspettare un anno per la prima pubblicazione di un romanzo italiano nel ”nuovo giallo”

31 Maurizio Pistelli, Un secolo in giallo, Roma, Donzelli, 2006, p.24. 32 Ibid.

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Mondadori, ovvero La nota della lavandaia dello stesso D'Errico.

Negli anni Sessanta ha successo in Italia Giorgio Scerbanenco (1911-1969) con una serie di romanzi e racconti ambientati a Milano: Venere privata (1966), Traditori di tutti (1969), I ragazzi del massacro (1969), I milanesi ammazzano al sabato (1969), Milano

Calibro 9 (raccolta di 22 racconti uscita postuma). Duca Lamberti, il suo investigatore, è una

sorta di giustiziere dei perseguitati, che si muove in una Milano nera e, per dirla con lo storico del giallo Roberto Pirani, «[...] è un antieroe per eccellenza […] è un medico radiato […] segue i dettami della propria coscienza, non quelli della legge...»33.

Ma il primo romanzo giallo di Scerbanenco è dedicato alla saga che ha come protagonista Arthur Jelling, che lavora nell'archivio della Polizia di Boston, Sei giorni di

preavviso, pubblicato insieme a Nessuno è colpevole nel volume della collana Supergiallo

Mondadori del 1940.

E', comunque, Duca Lamberti il personaggio che rimane nel cuore di migliaia di lettori.

Scrive Luca Crovi in Tutti i colori del giallo:

La serie di romanzi di Duca Lamberti ha lasciato un segno indelebile nel panorama nazionale e ha donato definitivamente dignità e spessore letterario alle storie poliziesche e a quelle noir (in particolare)

d'ambientazione italiana […] La creazione di un eroe come Duca indirizzerà i nostri futuri scrittori nella 33 Roberto Pirani, 1940: Scerbanenco e il Giallo in Italia, post-fazione a: Giorgio Scerbanenco, Sei giorni di

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ricerca e nella strutturazione di personaggi nuovi che non siano costruiti e delineati secondo modelli esteri ma che possiedano una realistica identità tricolore; inoltre la caratterizzazione milanese delle avventure di Lamberti porterà alla scoperta e alla focalizzazione di nuove città del delitto, dislocate in lungo e in largo per la nostra penisola e idonee per i nostri romanzi di genere: Milano, Torino, Bologna, Roma, Napoli ecc. Città molto diverse fra di loro che presentano forti caratteri regionali e che non possono che essere abitate da criminali e poliziotti con l'identità delle diverse Italie.34

Dunque, si può parlare con i racconti di Scerbanenco di un grande cambiamento nel giallo italiano, di una tendenza a far entrare prepotentemente la realtà del degrado urbano e morale delle città, con la forte presenza della criminalità.

Leggiamo in Giallo e noir. Dalla tradizione al postmoderno di Elisabetta Bacchereti:

Con Scerbanenco, sul finire degli anni sessanta, si afferma nella letteratura di genere a firma italiana il nuovo corso del poliziesco, una specie di italian hard boiled (l'hard boiled è un genere letterario degli anni '20-'30, che prende il suo nome da queste parole che nel linguaggio colloquiale americano indicano l'uovo sodo, “duro”, alludendo all'atteggiamento cinico come quello del detective Philip Marlowe, creato dalla penna dello scrittore statunitense Raymond Chandler, che con i suoi polizieschi propone una

rappresentazione realistica del crimine, della violenza e del sesso, n.d.r.) che implicava in verità una sterzata realistica e attualizzante in direzione problematica più che consolatoria, sicuramente più violenta [...]35.

Scrive Luca Crovi:

A un'ampia geografia delle nostre città è corrisposta nel tempo una altrettanto variopinta galleria di protagonisti della nostra letteratura d'indagine: ispettori, avvocati, giornalisti, commissari, detective, agenti della Squadra Mobile, spazzine, barboni, investigatori privati, ex medici radiati dall'ordine, uomini 34 Luca Crovi, Tutti i colori del giallo, Venezia, Marsilio, 2002, pp.95-97.

35 Elisabetta Bacchereti, Giallo e noir. Dalla tradizione al postmoderno, «Paragone Letteratura» n°78/79/80, agosto-dicembre 2008.

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qualunque che, nel bene o nel male, hanno percorso (o abbandonato) parallelamente le strade della legge e quelle della criminalità.36

Ecco, dunque, la Milano di Scerbanenco ma anche di Andrea G. Pinketts (Milano, 1961) con il suo “avventuriero-detective” e della “Scuola dei Duri” con Andrea Carlo Cappi (Milano, 1964) e Raoul Montanari (Bergamo, 1959) con la prima antologia del gruppo intitolata Crimine e pubblicata nel 1993 da Stampa Alternativa sotto forma di un pacchetto di sigarette Chesterfield. Torino con La donna della domenica di Carlo Fruttero (Torino, 1926-2012) e Franco Lucentini (Torino 1920-2002) e con le indagini svolte negli anni Trenta dal commissario Andrea Martini creato dalla penna dell'ex cronista di nera Gianna Baltaro (Torino 1926-2008). Bologna con il sergente Antonio Sarti, con la colite cronica che non gli dà pace, di Loriano Macchiavelli (Vergato-Bologna, 1926) e il sovrintendente della Polizia Marco Coliandro di Carlo Lucarelli (Parma, 1960), che si muove tra spacciatori, naziskin, hacker, mafiosi e terroristi. La Firenze di Marco Vichi con il suo commissario Bordelli e la Roma del commissario Ciccio Ingravallo di Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana di Carlo Emilio Gadda, del giudice Giancarlo De Cataldo (Taranto, 1956) con il suo Romanzo

criminale (Einaudi, Torino, 2002) ispirato alla vera storia della banda della Magliana e degli

agenti della Squadra Mobile della coppia di sceneggiatori Massimo Felisatti (Ferrara 1932-Roma 2016) e Fabio Pittorru (Ferrara 1926-1995), Napoli con la casa editrice dedicata ai

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gialli Lo stagno incantato fondata dagli scrittori di polizieschi Vincenzo de Falco (Napoli, 1960) e Diana Lama (Napoli, 1960), che nel 1995 vincono il Premio Tedeschi per il miglior romanzo giallo inedito con Rossi come lei (scritto a quattro mani) e il commissario Ricciardi di Maurizio De Giovanni (Napoli, 1958).

Nasce così l'investigatore antieroe a noi contemporaneo, dal sergente della questura bolognese Antonio Sarti, creato dalla penna di Loriano Macchiavelli, con la colite cronica e senza una storia d'amore stabile, a Marco Buratti, uscito di galera e detto l'Alligatore, il protagonista dei romanzi di Massimo Carlotto, fino al commissario Salvo Montalbano di Andrea Camilleri, spesso in disaccordo con i suoi superiori.

Sì, colui che indaga, nelle storie poliziesche contemporanee, è sempre più, per dirla con Raffaele Crovi «[...] l'anonimo cittadino che, in un ambiguo ruolo di

testimone-accusatore-voyeur-moralista-giudice, rappresenta tutti i cittadini»37.

Sembrano, dunque, lontani i tempi in cui Van Dine (1888-1939) stabilì le sue venti regole del poliziesco, pubblicate nel settembre del 1928, in un articolo dell'American

Magazine, citate anche da Narcejac (Thomas Narcejac è lo pseudonimo dello scrittore

francese di romanzi polizieschi Pierre Ayraud, n.d.r.) ne Il romanzo poliziesco38:

1- Lettore e detective devono avere le stesse possibilità di risolvere il problema.

37 Raffaele Crovi, Le maschere del mistero, Firenze, Passigli, 2000, p.28. 38 Narcejac, Il romanzo poliziesco, Milano, Garzanti, 1976.

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2- L'autore non ha il diritto di usare, nei confronti del lettore, trucchi e astuzie diverse da quelle che il colpevole impiega nei confronti del detective.

3- Il vero romanzo poliziesco deve essere esente da ogni intrigo amoroso. Introdurvi l'amore vorrebbe dire guastare il meccanismo puramente intellettuale del problema.

4- Il colpevole non deve mai essere il detective stesso o qualsiasi altro membro della polizia...

5- Il colpevole deve essere scoperto tramite una serie di deduzioni e mai accidentalmente, per caso, o per spontanea confessione.

6- In ogni romanzo poliziesco deve essere presente, per definizione, un poliziotto, che faccia il suo mestiere e lo faccia bene. Il suo compito consiste nel

raccogliere gli indizi che ci condurranno all'autore del brutto tiro giocato nel primo capitolo. Se il detective non arriva a una conclusione soddisfacente, attraverso l'analisi degli indizi raccolti, non ha risolto la questione.

7- Un romanzo poliziesco non può non avere un cadavere. Sarebbe troppo chiedere a un lettore di romanzi polizieschi di leggere un libro di trecento pagine, senza nemmeno offrirgli un cadavere...

8- L'enigma poliziesco deve essere risolto con mezzi strettamente realistici.

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vero, poliziotto. Mettere insieme il talento di tre o quattro poliziotti per la caccia al bandito equivarrebbe non solo a disperdere l'interesse e a turbare la chiarezza del ragionamento, ma anche a prendere un vantaggio sleale sul lettore.

10- Il colpevole deve sempre essere un personaggio che ha sostenuto un ruolo più o meno importante nella storia, qualcuno, cioè, che il lettore conosce, per il quale ha interesse. Incolpare del delitto, all'ultimo capitolo, un personaggio appena introdotto che ha avuto un ruolo del tutto secondario per l'autore equivarrebbe ad ammettere la propria incapacità di misurarsi con il lettore.

11- L'autore di romanzi polizieschi non deve mai scegliere il criminale tra il personale domestico (servi, lacchè, croupier o altro), per la semplice ragione che si tratterebbe di una soluzione troppo facile. Il colpevole deve essere qualcuno all'altezza della situazione.

12- Non ci deve essere che un solo colpevole, senza riguardo al numero dei delitti commessi. Bisogna fare in modo che tutta l'indignazione del lettore possa arrivare a concentrarsi in una sola anima nera.

13- Le società segrete, le mafie, non possono trovare spazio nel romanzo poliziesco. Chi se ne serve slitta sul terreno del romanzo d'avventura o del romanzo di spionaggio.

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14- Le modalità di esecuzione del delitto e i mezzi che portano alla scoperta del colpevole, devono essere razionali e scientifici. La pseudo-scienza, con tutto il suo apparato puramente immaginario, non può trovare posto nel vero romanzo poliziesco.

15- La spiegazione dell'enigma deve trarre la sua evidenza da tutto lo svolgimento del romanzo, a condizione, ben inteso, che se il lettore, una volta svelato il mistero, andasse a rileggere il libro, si accorgerebbe che, in un certo senso, la soluzione saltava agli occhi fin dal principio. Tutti gli indizi portavano, infatti, all'identificazione del colpevole e, se fosse stato sottile quanto il detective, avrebbe potuto intuire il segreto, senza bisogno di arrivare all'ultimo capitolo. E' inutile dire ciò che accade assai spesso, direi anzi che, se il romanzo è

costruito logicamente e lealmente, è quasi impossibile che la soluzione rimanga segreta fino alla fine per tutti i lettori. Ce ne sarà sempre un certo numero, non meno perspicace dello scrittore, che indovinerà tutto. Proprio in questa sfida sta il valore del gioco.

16- Non ci devono essere, nel romanzo poliziesco, lunghi passaggi

descrittivi o analisi troppo sottili o marcate preoccupazioni di “atmosfera”. Il problema è quello di presentare chiaramente un delitto e cercarne il colpevole. Questioni d'altro genere non fanno che rallentare l'azione e disperdere

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l'attenzione, stornando il lettore dallo scopo principale, che consiste nel porre il problema, nell'analizzarlo e nel trovargli una soluzione soddisfacente... A mio avviso, se l'autore riesce a dare la sensazione del reale e ad accattivarsi

l'interesse e la simpatia del lettore, sia per quanto riguarda i personaggi sia per la trama, si sono fatte già abbastanza concessioni alle tecniche puramente letterarie... Il romanzo poliziesco è un genere ben determinato. Il lettore non cerca né orpelli letterari, né acrobazie stlilistiche, né analisi troppo

approfondite, bensì una certa stimolazione dello spirito, un tipo di attività intellettuale, come quella che si mette in moto assistendo a una partita di calcio (sic!) o risolvendo parole crociate.

17- Lo scrittore di romanzi polizieschi dovrà evitare di scegliere il colpevole tra i professionisti del crimine. I misfatti dei banditi sono di competenza della polizia e non degli scittori e dei detective dilettanti. Tutta roba, questa, che ha a che fare con la quotidiana monotonia dei commissariati, mentre un delitto commesso da... una vecchia, conosciuta per la sua grande bontà, rappresenta veramente qualcosa di interessante.

18- Ciò che è stato presentato come un delitto non può, alla fine del romanzo, r ivelarsi come un fatto accidentale o un suicidio.

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deve riflettere le esperienze e le preoccupazioni quotidiane del lettore, offrendo un certo sfogo alle sue aspirazioni o alle sue emozioni represse.

20- Infine, vorrei enumerare alcuni trucchi ai quali nessun autore che si rispetti farà mai ricorso:

a) La scoperta dell'identità del colpevole, confrontando un mozzicone di sigaretta trovato sul posto del delitto, con quelle che fuma un individuo sospettato; b) la seduta spiritica truccata, nel corso della quale il criminale, preso dal terrore,

confessa la sua colpa; c) le false impronte digitali;

d) l'alibi costituito da un manichino;

e) il cane che non abbaia, e quindi la deduzione che l'intruso è un abitudinario del luogo;

f) il colpevole nella persona di un fratello gemello del sospettato o di un parente che gli assomiglia moltissimo;

g) la siringa ipodermica e il siero della verità;

h) l'assassinio commesso in un locale chiuso e in presenza della polizia; i) l'uso di associazioni di parole per scoprire il colpevole;

l) la decifrazione di un crittogramma da parte del detective o la scoperta di un codice cifrato.

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E' fin troppo evidente che le venti regole del poliziesco ideate da Van Dine, di cui spesso si citano solo le prime 12 e qui, invece, riportate integralmente da Narcejac, sono inaccettabili per uno scrittore di gialli contemporaneo. Il rispetto di molte di queste regole porterebbe inevitabilmente all'arresto dell'evoluzione del giallo, negando la possibilità di reinventarsi, caratteristica primaria, quest'ultima, di qualsiasi buona letteratura.

Al punto tre leggiamo che “ogni vero romanzo poliziesco deve essere esente da ogni intrigo amoroso” perché guasterebbe “il meccanismo puramente intellettuale del problema”.

E', altresì, chiaro che la letteratura, anche quella poliziesca, deve parlare dei rapporti d'amore, perché sono espressione diretta della vita, della realtà e, vorremo dire, anche riflesso di questa.

Perché, poi, limitare la fantasia dell'autore e il piacere del lettore nell'obbligare lo scrittore di gialli alla presenza di “un unico, vero poliziotto”, dichiarando, al punto 9, che “mettere insieme il talento di tre o quattro poliziotti per la caccia al bandito equivarrebbe non solo a disperdere l'interesse e a turbare la chiarezza del ragionamento, ma anche a prendere un vantaggio sleale sul lettore”.

E' evidente che la popolare battuta, riferendosi ad un delitto letterario, “è stato il maggiordomo”sarebbe stata fortemente disapprovata da Van Dine, che scrive al punto 11 che

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l'assassino non deve mai essere “tra il personale domestico (servi, lacchè, croupier o altro) per la semplice ragione che si tratterebbe di una soluzione troppo facile”.

D'altra parte i punti 12 e 13 escludono i delitti commessi da più persone e quelli delle società segrete e della mafia, togliendo dal novero dei “giusti e bravi giallisti” nomi

importanti della nostra letteratura, in primis Leonardo Sciascia (Il giorno della civetta, Milano, Adelphi, 2002 (1961)).

Scrive Giuliana Pieri:

Il giallo viene usato oggi come strumento che garantisce la tensione e l’interesse del lettore ma anche come veicolo privilegiato per indagini diverse – storiche, sociali, esistenziali – e per una ricerca di identità nella complessa e frammentata realtà contemporanea.39

Il poliziesco contemporaneo si potrebbe dire che, come sottolinea Raffaele Crovi, «stia occupando il posto della “letteratura della realtà” [...] affronta, con intelligente

spregiudicatezza, i processi di trasformazione e di involuzione sociale»40.

E, in questa direzione, il poliziesco e in particolare quello italiano si muove negli ultimi cinquant'anni.

Con il noir e con il thriller la sofferenza e la presenza della morte verranno messe al

39 Giuliana Pieri, Il nuovo giallo italiano: tra tradizione e post modernità, «The Edimburgh Journal of Gadda Studies» (1° ed. Delitti di carta n. IV, Bologna, Clueb, 2000, pp.57-66).

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centro del romanzo e, di conseguenza, lo saranno anche i processi di trasformazione sociale che ne costituiscono un'inevitabile premessa.

Ad essere messo in discussione, insomma, nei romanzi polizieschi di autori contemporanei (la

generazione del Sessanta e oltre), in modo da suscitare inquietudine più che sollievo, riproporre domande e dubbi invece di dare risposte e fornire risposte, sarà proprio un riposato e tranquillizzante approdo finale, - scrive Elisabetta Bacchereti - così irrinunciabile nel poliziesco classico da far dire a Italo Calvino, a proposito del Giorno della civetta di Sciascia, che, considerato il sistema omertoso, non solo siciliano, il giallo, come tensione razionale verso la verità e la giustizia, era impossibile in Italia. Il giallo e più ancora il noir, invece, si fa oltre che racconto, messaggio: raccontare il crimine, nella sua

dimensione massificata ma anche negli aspetti intimi più fuggenti, si trasforma in un allucinante viaggio di scoperta all'interno del delitto come metaforica esplorazione del cuore di tenebra della realtà

contemporanea, nel pubblico come nel privato, in caccia di una razionalità sempre più sfuggente e aleatoria, di una verità insabbiata, misconosciuta, nascosta, manipolata, negata [...]41.

Scrive Petronio: «Il processo di simbiosi tra poliziesco e non poliziesco sta sconvolgendo tutto: il poliziesco e il non poliziesco»42.

E' dunque, a nostro parere, una falsa domanda chiedersi dov'è il confine tra il romanzo in cui il poliziesco aspira ad essere letteratura e quello in cui la letteratura indossa i panni del giallo.

E, in realtà, concordiamo con Jameson quando afferma:

41 Elisabetta Bacchereti, Giallo e noir. Dalla tradizione al postmoderno, «Paragone Letteratura» n°78/79/80, agosto-dicembre 2008, p.136.

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[...] la trama del romanzo poliziesco segue semplicemente la tendenza fondamentale di tutte le trame letterarie o degli intrighi in generale, contrassegnati dalla risoluzione della molteplicità in una unità primaria, da un ritorno a un punto di partenza primario, con il matrimonio dell'eroe e dell'eroina e quindi col ristabilire il nucleo originale della cellula familiare, o con la scoperta delle origini misteriose dell'eroe, e così via. […] la scoperta del criminale è qui solo una parte di una più complessa rivelazione, e avviene non solo come culmine di un giallo, ma anche come culmine dell'indagine. L'indagine e il delitto servono, in una sorta d'intricato modello gestaltico, da poli alterni per la nostra attenzione: ciascuno serve a mascherare gli aspetti più deboli e meno convincenti dell'altro, ciascuno serve a impedire che l'altro viri verso il magico e il simbolico e a rimetterlo a fuoco con cruda e brutale chiarezza. Quando la mente segue il motivo del delitto, l'indagine cessa di essere una mera tecnica letteraria, un pretesto a cui agganciare una serie di episodi, e viene investita di una sorta di opprimente fatalità, come un cerchio che si stringe. Quando invece ci concentriamo sull'indagine come centro organizzatore degli eventi descritti, il delitto diventa un incidente privo di senso, l'assurda interruzione di una traccia, di un percorso.43

Ma il classico romanzo ad enigma, di cui una delle maggiori rappresentanti è Agatha Christie, è riuscito a rinnovarsi e a modificare la sua struttura rigida, legata fortemente allo scioglimento di un mistero, al whodunit?

Cercherò di rispondere a questa domanda nel prossimo capitolo, esaminando un racconto in particolare di Agatha Christie, una delle icone del giallo.

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CAPITOLO III°

IL CASO AGATHA CHRISTIE.

Dieci poveri negretti se ne andarono a mangiar: uno fece indigestione, solo nove ne restar. Nove poveri negretti fino a notte alta vegliar: uno cadde addormentato, otto soli ne restar. Otto poveri negretti se ne vanno a passeggiar: uno, ahimè, è rimasto indietro, solo sette ne restar. Sette poveri negretti legna andarono a spaccar: un di lor s’infranse a mezzo, e sei soli ne restar. I sei poveri negretti giocan con un alvear: da una vespa uno fu punto, solo cinque ne restar. Cinque poveri negretti un giudizio han da sbrigar: un lo ferma il tribunale, quattro soli ne restar. Quattro poveri negretti salpan verso l’alto mar: uno un granchio se lo prende, e tre soli ne restar. I tre poveri negretti allo zoo vollero andar: uno l’orso ne abbrancò, e due soli ne restar.

I due poveri negretti stanno al sole per un po’: un si fuse come cera e uno solo ne restò. Solo, il povero negretto in un bosco se ne andò: ad un pino s’impiccò, e nessuno ne restò

(da Dieci piccoli indiani di Agatha Christie)

Di lei, la regina del poliziesco classico, autrice di 80 libri tradotti in 100 lingue e venduti fino ad oggi per circa due miliardi di copie, scrive Sophie De Mijolla-Mellor:

Non mi sembra possibile accontentarsi, per caratterizzarla, di un'assimilazione al genere 'poliziesco'. Anche se lei stessa si richiama a Conan Doyle, a Gaston Leroux e più lontanamente a Edgar Allan Poe, si tratta solo di una somiglianza di facciata o di un'analogia di struttura. Allo stesso modo, quelle che sono

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state battezzate le sue “figlie”, Patricia Highsmith in particolare, non le somigliano granché. Come tutti i grandi romanzieri, ciò che la caratterizza è la capacità di creare un'atmosfera senza uguali, neo-realtà che modella come un prisma la percezione che si può avere di un albergo londinese all'ora del tè o di un piccolo villaggio inglese. Ma lo specifico un po' strano di questa atmosfera è di includervi degli omicidi come se la loro produzione, peraltro incongrua, fosse una cosa perfettamente familiare. Nessun paradosso in questo giacché la familiarità in questione la condividiamo proprio come l'infantile che è in noi e che lei ci racconta incessantemente.44

Si potrebbe però dire che, negli ultimi settant'anni, nel mondo ma anche in Italia, Agatha Christie è stata ed è ancora la più discussa regina del giallo, a partire dall'attacco feroce dell'articolo scritto sul New Yorker nel 1945 da Edmond Wilson, Chi se ne frega di chi

ha ucciso Roger Ackroyd?45 (riferito al romanzo L'assassinio di Roger Ackroyd scritto nel

1926 da Agatha Christie e pubblicato in Italia per la prima volta nel 1937 nella collana Il giallo Mondadori, n.d.r.), dove rimprovera alla scrittrice inglese di preoccuparsi troppo

dell'intreccio, trascurando l'aspetto umano dei suoi personaggi. E Lia Volpatti (che per 25 anni ha curato per Mondadori sia la collana degli Oscar del Giallo che il Segretissimo), nel suo libro Il segreto di Agatha ricorda che «un noto giornalista italiano, Oreste Del Buono, grande esperto di letteratura di genere, ha scritto che è una bara»46, riferendosi proprio al romanzo

della Christie L'assassinio di Roger Ackroyd, dove la scrittrice inglese è accusata di non dare tutti gli indizi al lettore per poter scoprire il colpevole.

44 Sophie De Mijolla-Mellor,Assassinio familiare. Approccio psicoanalitico ad Agatha Christie, Roma, Borla,

1996, p.7.

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Per non parlare di Chandler, citato dalla Volpatti proprio per il suo giudizio su

Assassinio sull'Orient-Express di Agatha Christie: «Questo è un genere di intreccio che

metterà senza dubbio fuori combattimento le intelligenze più poderose. Solo un deficiente potrebbe indovinare come sono andate le cose»47. Per i testi delle sue opere teatrali “in

giallo”- Trappola per topi, rappresentata per la prima volta il 25 novembre del 1952, è in replica ininterrottamente da allora con grande successo nei teatri di Londra - leggiamo la critica di Attilio Lolini Troppi cadaveri in biblioteca:

Scrive (Agatha Christie, n.d.r.) mentre trionfano Luigi Pirandello e Bertolt Breccht: il teatro nel teatro, lo smascheramento dei codici, l'effetto di straniamento, la drammaturgia immersa nelle contraddizioni sociali, l'influsso delle tradizioni orientali, giapponese, indiana e soprattutto cinese... Ma lei: impermeabile. Teatro rigidamente aristotelico e via!: unità di tempo, di luogo e di azione. Sarebbe piaciuta moltissimo a monsieur Chauvet e a tutti i classicisti d'antan. Lady Agatha fa giustamente in tempo a veder morire Pirandello e perfino Brecht, ad assistere ai trionfi parigini della nuova avanguardia di Ionesco e Beckett, per non parlare dei ragazzi british, da Pinter a Bennet: non gliene potrebbe

importare di meno. Una spruzzatina di suspense, due o tre cadaveri al momento opportuno, salotti bene, personaggi bene, possibilmente in smoking, signore in lungo, sigarette orientali, coltelli malesi,

biblioteche, nebbia, pacati, rassicuranti ispettori e molto dandismo: che altro occorre?48

Anche se vanno ricordate le parole di Ida Omboni, che è stata per anni editor della Mondadori ed era la coautrice delle commedie di Paolo Poli:

47 Lia Volpatti, Il segreto di Agatha Christie, Napoli, Lo stagno incantato, 2000, pp.35-36.

48 A. Lolini, Troppi cadaveri in biblioteca, inMarco La Rosa, Attilio Lolini, Alberto Pozzolini, Grani d'Agatha, Milano, Jaca Book, 1999, p.39.

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Il suo (quello di Agatha Christie, n.d.r.) è un teatro abbastanza avveduto ma nature, fatto di piccoli sentimenti quotidiani (che possono essere abbastanza laceranti, tutto sommato) e di una quieta normalità non del tutto normale (quando mai lo è?), condito con un'ombra quasi non voluta di critica di costume. Qualcosa che manderebbe sulle furie Brecth, ma, presumibilmente, non Carlo Goldoni.49

Lo scrittore Salman Rushdie dichiarava in un'intervista pubblicata per il quotidiano La

Repubblica nel 2016: «A un certo punto della mia vita letteraria ho letto molto Agatha

Christie: era la regina del veleno, ma dopo 25 gialli francamente non ne potevo più di avvelenamenti, mi sembravano davvero fuori moda»50

La scrittrice inglese di polizieschi Phillys Doroty James, universalmente conosciuta con le soli iniziali di P.D.James e da molti chiamata “la Signora omicidi”, autrice di venti best sellers internazionali, in un'intervista di Enrico Franceschini, corrispondente da Londra del quotidiano La Repubblica, affermava, riguardo ad Agatha Christie:

Non la metterei in una categoria molto alta come scrittrice, ma era bravissima a costruire un puzzle perfetto. Le sue trame non erano per niente realistiche, l'assassinio o la soluzione erano il risultato di coincidenze davvero eccezionali, ma era lo stesso grande intrattenimento. E poi ha creato un paio di personaggi di lunga vita e grande fascino, come Poirot e Miss Marple. Dei due, io prediligo la seconda.51

Lo scrittore Carlo Lucarelli afferma, in una conversazione con Elisabetta Bacchereti:

49 Ida Omboni, Postfazione, in Agatha Christie, Trappola per topi, Milano, Mondadori, 1979, p.165. 50 Francesca Caferri, Rushdie "Che errore la stroncatura di Eco", «La Repubblica», 30 aprile 2016.

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Io sono uno scrittore del mistero. Ormai un'idea particolare di genere non esiste più, è in continua evoluzione. Dire che sono uno scrittore di 'gialli' mi va bene, perché non è importante avere una definizione o un'altra. Dipende che cosa intende il lettore quando dice che sono uno scrittore di “gialli”. Se si pensa ad Agatha Christie, non sono io […] Raccontando quello che non funziona fai un'operazione che è fisiologicamente di denuncia e di critica. Lo faceva anche Agatha Christie. Anche se forse in maniera meno consapevole.52

E Narcejac scrive:

[...] Agatha Christie, pur con tutte le riserve possibili, nell'indagine psicologica è andata più lontano di ogni altro scrittore di poliziesco. A noi si pone, però, il seguente problema: è riuscita, seppur di poco, a modificare la struttura del romanzo-enigma? […] La risposta è no![...] L'autrice finge, e in modo mirabile, di prendere in esame individui veri, ma poi, prigioniera di norme rigorose, finisce per ripercorrere, suo malgrado, il binario del vecchio romanzo-enigma. Un genere così decisamente strutturato non può che condurre gli autori proprio là dove essi non vorrebbero.53

Io stessa seguii un corso di scrittura creativa sul giallo tenuto, negli anni Novanta, nella libreria Farheneiht 451 a Quarrata (Pistoia), dallo scrittore Massimo Carlotto, dove veniva citata Agatha Christie come (tolto 4 parole) il peggiore esempio di scrittura di un poliziesco che non aveva quasi nessuna attinenza con la realtà e che non descriveva gli stati d'animo dei personaggi.

Oggi, come allora, penso che questo non sia vero, che Agatha Christie, a cui ho dedicato anche il mio libro di racconti gialli Il delitto si addice a Eva54 abbia raggiunto dei

vertici narrativi che conducono con maestria il lettore all'interno di straordinarie

52 Elisabetta Bacchereti, Carlo Lucarelli, Fiesole-Firenze, Cadmo, 2004, pp.179-182. 53 Narcejac, Il romanzo poliziesco, Milano, Garzanti, 1976, p.151.

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ambientazioni.

Uno dei testi della Christie in cui questo emerge con chiarezza è sicuramente il

bellissimo racconto Il villino degli usignoli (pubblicato per la prima volta nel 1934 nel Regno Unito nella raccolta Il mistero di Lord Listerdale e altre storie, poi insieme al racconto La

disgrazia negli Stati Uniti nel 1948 nella raccolta Testimone d'accusa e altre storie). Il titolo

originale è Philomel cottage e il richiamo alla figura mitologica di Filomela è fondamentale. Infatti, nella tradizione mitologica, Filomela, dopo aver subito violenza da parte del cognato ed essere stata mutilata della lingua, riesce ad informare dell'accaduto la sorella attraverso un ricamo. La sorella di Filomela per vendetta dà in pasto al marito il proprio figlio e per punizione verrà trasformata in rondine, Filomela in usignolo e il cognato in sparviero.

Anche nel racconto della Christie Alix, la protagonista riuscirà a chiedere aiuto al suo ex fidanzato, proprio quando il marito-Barbablù sta per portarla in cantina dove ha deciso di ucciderla e, non potendo parlare chiaramente davanti lui, lo farà con l'espediente di premere e togliere il dito dalla levetta del microfono del telefono.

Siamo sicuri che stai proprio telefonando al macellaio? le domandò.

Alix era al colmo della disperazione. Il suo piano era fallito. Fra un attimo Dick Windyford sarebbe venuto al telefono. Doveva rischiare il tutto per tutto e chiedergli aiuto? Ma lui avrebbe capito che cosa voleva dire Alix prima che Gerald le strappasse di mano il microfono? Oppure lo avrebbe creduto uno scherzo?

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balenò un altro piano.55

Al centro della storia della Christie c'è Alix, lo stereotipo perfetto della donna non più giovanissima che, dopo aver sacrificato buona parte della sua vita per accudire la madre malata, si ritrova sola, senza alcun affetto. La sua fragile condizione emotiva la indurrà a cedere facilmente alla corte di Gerald Martin che inizierà a mostrare un crescente interesse nei suoi confronti proprio poco tempo dopo che la donna ha incassato un’ingente eredità da una lontana cugina. Lo scopo del nuovo spasimante, e ben presto marito, è quello di eliminare la moglie e intascare i soldi. Gerald Martin, in realtà, ha già ucciso altre donne ed è riuscito, per mancanza di prove, a non pagare per i suoi delitti. Quando Alix scopre la verità, leggendo alcuni articoli di giornale tenuti rigorosamente sotto chiave dal marito-Barbablù, comincerà una vera e propria corsa con il tempo per salvarsi la vita.

Il racconto, che è stato paragonato al romanzo della stessa Christie Nella mia fine è il

mio principio, pubblicato in Italia nel 1967, presenta delle caratteristiche uniche all'interno

della produzione letteraria della scrittrice inglese. A differenza del romanzo Nella mia fine è il

mio principio, dove il narratore è onnisciente, in prima persona e psicologicamente instabile,

nel racconto Il villino degli usignoli è in terza persona, con un certo distacco dai due protagonisti, Alix e Gerald.

Il villino degli usignoli si apre con un dialogo tra i due protagonisti Alix e Gerald:

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«Ciao, tesoro» e «Ciao, amore»56. Solo questo e niente più, a rimarcare con efficacia che si sta

per entrare in un quadretto rassicurante, quello di una coppia felice che vive in un cottage immerso nel verde della campagna inglese, sottolineato da una frase che sembra

tranquillizzare ulteriormente il lettore: «[...] con un'espressione remota e sognante negli occhi»57 (riferendosi ad Alix, n.d.r.).

Segue la storia della vita di Alix prima che incontri il suo Gerald, quando nell'ufficio dove lavorava come dattilografa frequentava il collega Dick Windyford, che sperava un giorno di sposarla e che reagisce molto male all'annuncio di Alix che si è fidanzata con Gerald, una settimana appena dopo averlo conosciuto. Qui assistiamo alla prima crepa nel perfetto universo di Alix, una sorta di avvertimento per il lettore. Sono le parole di Dick Windyford a darcelo: <<Quell'uomo è un perfetto sconosciuto per te. Non sai niente di lui»58.

Di nuovo qualcosa rompe l'idillio del cottage tra il verde della campagna inglese. «[...] durante l'assenza momentanea del marito che era tutto per lei, una vena di ansia si era insinuata nella sua felicità perfetta, e la causa di questa ansia era Dick Windyford»59.

La parola “ansia” entra nella storia come un indicatore del clima che caratterizzerà tutta la seconda parte del racconto. Alix sogna suo marito morto e Dick Windyford, il suo ex fidanzato, «in piedi sopra di lui»60, pensa che sia stato lui ad ucciderlo e «Lei, Alix Martin, era

56 Ivi, p.182. 57 Ibid. 58 Ivi, p.184. 59 Ivi, p.185.

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