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Il Caso esempio di tratta per sfruttamento lavorativo: Sentenza del

Nel documento La tratta di esseri umani (pagine 125-130)

Capitolo III L’ITALIA NEL CONTRASTO ALLA TRATTA

1.6. Lo sfruttamento lavorativo e il nuovo art 603-bis c.p “Intermediazione

1.6.3. Il Caso esempio di tratta per sfruttamento lavorativo: Sentenza del

La sentenza del GUP del Tribunale di Bari del 22 febbraio – 22 maggio 2008, n. 198, offre alcuni spunti di riflessione rispetto a un caso di un’organizzazione criminale transnazionale che agiva tra Polonia e Italia i cui imputati, strutturati in cellule in piena comunicazione e collaborazione, avevano il fine di realizzare delitti, tra i quali il reato di tratta e il reato di riduzione in schiavitù e servitù. Le fattispecie delittuose messe in atto avevano l’aggravante della transnazionalità del reato, ai sensi dall’art. 3 della l. 146/2006 . In merito ai delitti di tratta, art. 601 c.p., e di riduzione e mantenimento in schiavitù e/o servitù, art. 600 c.p., gli imputati erano responsabili della pubblicazione su siti internet o giornali di annunci di lavoro fasulli e a tal fine si occupavano del reclutamento di lavoratori in Polonia e del relativo trasferimento nel nostro territorio attraverso furgoni e pullman di cui disponeva la stessa organizzazione.

Le indagini, svolte su più fronti e sostenute anche dalle denunce di alcune delle vittime che erano riuscite a contattare l’ambasciata o il consolato polacco, hanno portato alla luce la presenza di più cellule, coordinate da un capo, aiutato da un caporale, dedite allo sfruttamento di cittadini polacchi, ingannati con false promesse di lavoro in agricoltura in Italia che prevedevano la possibilità di un lavoro stagionale con contratto regolare di tre mesi e con una retribuzione di più di mille euro al mese a cui sottrarre le spese per l’alloggio “dignitoso e confortevole” e il trasporto.

All’arrivo a destinazione, le vittime scoprivano l’inganno e, attraverso minacce e violenze fisiche, mentali e sessuali, erano tenute in una condizione di

155 Consultabile nel database dell’osservatorio antitratta:

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assoggettamento e destinate allo sfruttamento lavorativo, trattate come bestie da lavoro e costrette a vivere in abitazioni fatiscenti e con una paga bassissima. Dovevano lavorare per 12-15 ore al giorno e l’esigua paga spesso serviva a ripagare le spese di alloggio e trasporto che venivano obbligati a versare.

La mancanza di soldi per rientrare in patria, accompagnata da minacce costanti in caso di fuga avevano inibito qualsiasi tentativo di ribellione.

Il caso è emerso dopo la pubblicazione di alcuni articoli su un quotidiano in cui si parlava di operai polacchi tenuti in pessime condizioni lavorative e sanitarie e costretti a subire minacce. La Procura della Repubblica di Bari si era quindi attivata immediatamente per le indagini con i Carabinieri, l’Ispettorato del Lavoro, l’Asl e subito è emersa la situazione di grave sfruttamento.

Nella sentenza di condanna il giudice riporta che:

“La complessa indagine in scrutinio ha consentito l’accertamento degli elementi costitutivi dei delitti di tratta di persone e riduzione in schiavitù o servitù che, in estrema sintesi, vanno individuati:

1. nel reclutamento in Polonia o in altri Paesi in prevalenza dell’Est europeo di una pluralità indistinta di persone – per di più bisognose – allettate da false prospettive di un lavoro regolare in agricoltura, con una paga dignitosa ed un buon alloggio, a mezzo di annunci pubblicati su giornali o altri mezzi di comunicazione da coloro che avrebbero provveduto al successivo trasporto verso zone dell’agro foggiano o lucano;

2. nel collegamento tra coloro che operavano in Polonia, pubblicando annunci, rendendo informazioni e provvedendo al successivo trasporto oneroso, ed imputati che, coordinando varie cellule, ricevevano i predetti operai per destinarli al lavoro, fungendo da intermediari, in fondi di proprietà di soggetti di nazionalità italiana;

3. nell’immediata privazione di ogni possibilità di autodeterminazione da parte degli operai una volta raggiunti i territori predetti

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attraverso la sottrazione dei passaporti, il collocamento in campi lontani chilometri dai centri abitati, l’immediato pagamento di oneri (spese di intermediazione, di alloggio e di vitto) che spogliava gli stessi del residuo denaro posseduto, il mancato o ritardato pagamento della retribuzione sempre – e se – corrisposta in misura decisamente inferiore a quella promessa; circostanze che rendevano impossibile il ritorno in Patria;

4. nello stato di soggezione imposto vuoi dal bisogno, vuoi dalle costanti e continuative minacce e violenze all’interno dei campi in cui erano concentrati gli operai i quali venivano sfruttati per prestazioni lavorative (e non solo lavorative) che si estendevano fino a non meno di 10 ore al giorno, sfibrati dalla permanenza in alloggi fatiscenti (spesso senza acqua corrente, servizi igienici, riscaldamento) e, talvolta, lasciati a digiuno, prestazioni dalle quali i capi-cellula ed i sottoposti ricevevano sempre e comunque utilità rappresentate dalla differenza sulla retribuzione oraria versata dal datore di lavoro italiano e corrisposta in misura inferiore, dal pagamento di spese per trasporto dai campi ai fondi, di alloggio, di intermediazione e di vitto nonché dalle migliori condizioni di vita garantite dalla perdita della qualità di operaio e dall’acquisto di quella di trasportatore o sorvegliante nei campi;

5. nell’assoluta impossibilità di allontanamento dai campi imposta dalla costante sorveglianza e dalla non conoscenza dei luoghi da parte degli operai, nonché dalla mancanza del denaro sufficiente per un ritorno nei luoghi d’origine che, in ogni caso, doveva avvenire a mezzo di quegli stessi trasportatori collegati agli organizzatori dei campi in Italia.”156

Nel suddetto caso si rilevano quindi tutti quegli aspetti caratterizzanti il reato di tratta di persone e di riduzione in stato di schiavitù e servitù, dal reclutamento allo sfruttamento lavorativo e alle condizioni in cui le vittime

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erano costrette a vivere, spaventate a denunciare la situazione o scappare. Il consenso iniziale dei lavoratori è praticamente non invocabile dal momento che il “rapporto di lavoro” è stato instaurato con l’inganno ed è diventato poi caratterizzato dall’uso di violenza e minacce.

Il caso inoltre permette di specificare che con il termine “approfittamento di una condizione di vulnerabilità” viene intesa anche una condizione semplicemente legata ai bisogni di vita della persona. In questo caso, la condizione di vulnerabilità delle vittime è stata rilevata nel fatto che le stesse erano inoccupate al momento del reclutamento e gli sfruttatori hanno approfittato di questo bisogno per trarne un vantaggio personale.

Nelle considerazioni conclusive della sentenza, il giudice presenta una breve ricostruzione storica in cui spiega come i fatti siano molto simili a quanto accadeva allo schiavo addetto ai lavori agricoli nel modo romano classico. Il decidente spiega che a quel tempo la ricchezza della famiglia “rustica” era dovuta allo sfruttamento dello schiavo attraverso prestazioni lavorative che esaurivano il soggetto. Il costo di tali schiavi era nullo o molto ridotto. Gli schiavi erano inoltre controllati da una persona che si assicurava che il compito richiesto venisse svolto costantemente e che solamente alla fine della giornata si potesse ricevere cibo e alloggio. Gli schiavi erano quindi trattati come degli animali e considerati come res. Non era possibile scappare e qualsiasi tentativo di fuga veniva impedito. Tale situazione è durata fino alla nascita della Repubblica quando gli schiavi si videro riconosciuti la possibilità di tenere del denaro e affrancarsi, sposarsi e avere figli da dedicare alle attività lavorative richieste dal padrone, nonché la possibilità di liberarsi dalla condizione di schiavo.

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Il breve excursus storico ha portato il giudice a evidenziare come quanto esposto in merito alla condizione degli schiavi in età romana fosse perfettamente sovrapponibile con la situazione su cui era stato chiamato a pronunciare sentenza.

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SEZIONE 2 – GLI INTERVENTI DI CONTRASTO ALLA TRATTA

Nel documento La tratta di esseri umani (pagine 125-130)