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Capitolo 3 - Il riuso del software nella recente giurisprudenza europea

3.1.2 Il caso Half-Life 2

Il primo caso è stato deciso in data 11 febbraio 2010 dalla Corte Federale di Giustizia tedesca12, a cui era stato proposto un giudizio di revisione riguardante la precedente sentenza del 16 Ottobre 2008 della Corte di Appello di Amburgo, avente come attrice la Federazione delle Organizzazioni dei Consumatori Tedeschi13 (di seguito VZBV) e come resistente la società Valve. La VZBV in primo grado aveva proposto un’azione inibitoria nei confronti della Valve, chiedendo che fosse condannata ad omettere, in riferimento ai contratti di licenza per l'acquisto di videogiochi (ed in particolare il gioco Half-Life 2), l’inserimento di clausole che impedissero la cessione dell’account utente, ossia il profilo personale compilato dall’acquirente sulla piattaforma web della casa produttrice al momento dell’istallazione del software nel proprio elaboratore. La richiesta era giustificata dal fatto che detti giochi non potevano essere efficacemente ceduti senza il trasferimento del relativo account, e che ciò pertanto implicasse di fatto l’impossibilità di alienare il

DVD-ROM su cui i programmi videoludici erano caricati e distribuiti, con conseguente violazione del

principio di esaurimento stabilito nel § 17 par. 2 e nel § 69c Abs. 3 UrhG, nonché in applicazione del § 307 Abs. 2 n°2 BGB14.

La questione fondamentale concerneva quindi il fatto che la creazione dell’account veniva posta come condizione necessaria per l’utilizzo della copia del software concessa in uso: a questa

12 Testo originale della sentenza reperibile al link: http://juris.bundesgerichtshof.de/cgi-bin/rechtsprechung/document.py?Gericht=bgh&Art=en&Datum=Aktuell&Sort=12288&nr=52877&pos=4&a nz=634.

13[Verbraucherzentrale Bundesverband]

14 Il § 307 dispone in particolare ai primi due commi che “(1) Le disposizioni in termini di clausole generali sono inefficaci se, mancando il requisito della buona fede, causano uno svantaggio irragionevole per l'utente. Uno svantaggio irragionevole può anche derivare dal fatto che la disposizione non è chiara o comprensibile. (2) Uno svantaggio irragionevole, in caso di dubbio, si deve ritenere esistente se una norma: 1) non è compatibile con i principi fondamentali della disposizione di legge da cui si discosta; 2) limiti i diritti essenziali o doveri inerenti alla natura del contratto a tal punto che il raggiungimento dello scopo del contratto è compromesso”. Pertanto, in accordo con la disciplina di cui al § 242 BGB (per cui il debitore è obbligato ad eseguire la prestazione così come richiede la buona fede, tenuto conto degli usi del traffico giuridico) “si verifica uno svantaggio inadeguato se il predisponente, nel determinare il contenuto del contratto, persegue soltanto i propri interessi senza considerare in modo adeguato quelli della controparte. Lo svantaggio inadeguato presuppone, quindi, un’analisi ed un bilanciamento degli interessi delle parti contrattuali. Dal principio di buona fede emerge, inoltre, il grado di inadeguatezza dello svantaggio, che deve essere non irrilevante. […] Il controllo fondato sul [§ 307 BGB] e sul § 242 BGB è diretto a ristabilire la libertà contrattuale di fronte ad un abuso della libertà di determinazione dell’altro contraente, che si verifica nella fase di formazione del contratto ed in violazione dei rispettivi obblighi di comportamento” (Giorgianni M., Principi generali sui contratti e tutela dei consumatori in Italia e Germania, in Saggi di diritto commerciale, a cura di Gambino A., Libonati B., Giuffrè, Milano, 2009, pag. 93 ss.).

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veniva assegnato automaticamente, al momento dell’installazione nel calcolatore, un particolare codice di attivazione, il quale era successivamente collegato indissolubilmente a detto profilo personale. La VZBV riteneva quindi che l’impossibilità di alienare l’account implicasse indirettamente l’incapacità di cedere utilmente il DVD-ROM nel quale era originariamente contenuto il videogioco, in quanto a tale trasferimento fisico non sarebbe potuta conseguire la facoltà per i terzi acquirenti di utilizzare il bene immateriale contenuto nel medium, non consentendo la convenuta l’utilizzo dei programmi (in particolare impedendo il necessario accesso ai propri server) a chi non fosse dotato di un codice di attivazione personale.

Recependo la decisione del giudice di primo grado, la corte d’Appello d’Amburgo ha dichiarato l’impossibilità per la ricorrente di richiedere un’azione inibitoria, in quanto la particolare clausola impugnata non entrerebbe in conflitto col principio di esaurimento di cui ai citati § 17 par. 2, e § 69c Abs. 3 UrhG. La corte motiva tale decisione sostenendo che il principio d’esaurimento sia applicabile unicamente alle opere trasferite in modo tangibile, mentre nel caso di specie sul

DVD-ROM acquistato dagli utenti erano caricati solo alcuni elementi necessari all’utilizzo del gioco, il

quale per essere adoperato necessitava però di specifici dati aggiuntivi, che venivano trasferiti on

line dai server della convenuta successivamente all’atto di registrazione del prodotto. Non avendo

quindi la casa produttrice messo in circolazione il programma completo, l’esaurimento non poteva intendersi avvenuto per esso, inteso come opera in senso compiuto, ma solo per il supporto materiale, anche se di per sé inservibile. In più, la corte ha ritenuto non sussistente alcuno svantaggio ai danni degli utenti ai sensi del § 307 Abs. 2 n°2 BGB, in quanto fine dell’accordo delle parti sarebbe unicamente quello di consentire il semplice utilizzo del gioco, il quale non sarebbe direttamente o indirettamente pregiudicato dalla clausola impugnata.

La Corte Federale di Giustizia, adita dalla VZBV per sottoporre a riesame la sentenza d’appello, ha quindi a sua volta rigettato il ricorso. Secondo la Suprema Corte, sebbene il videogioco non possa essere utilizzato da terzi senza il trasferimento dell'account del primo cliente, la disposizione che ne vieti la cessione non comporta di per sé violazione del principio di esaurimento, in base al quale deve essere riconosciuta la libera circolazione unicamente al supporto fisico su cui il programma è stato caricato. Dal punto di vista dell’UrhG, ed in particolare in virtù del principio di esaurimento, non sussisterebbe alcun obbligo a concedere, con l'acquisto del programma informatico, anche la possibilità di utilizzarlo a soggetti che non siano colui che abbia connesso lo specifico codice di attivazione al proprio profilo personale. Ad opinione dei giudici nel caso di specie

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non sarebbe altresì prospettabile né la violazione del § 307 Abs. 1, seconda parte, del BGB, in quanto la clausola specifica in modo chiaro e comprensibile che l'account, una volta aperto, può essere utilizzato solo dal primo utente registrato, né violazione del § 307 Abs. 2 n°2, in quanto scopo delle condizioni contrattuali è di consentire all’accettante di prendere parte al gioco offerto sul server del licenziante e non invece di consentire ad altri la partecipazione al gioco stesso. Viene dichiarato, in conclusione, che il fine del rapporto non può ritenersi condizionato dal solo fatto che l'acquisto del programma informatico su DVD-ROM abbia preceduto la creazione dell'account utente, avendo questo ad oggetto un software i cui elementi sostanziali sono comunque trasferiti via internet.

Il principio di diritto che se ne può desumere è pertanto il seguente: la disciplina sull’esaurimento non viene violata nel caso in cui l'avente diritto programmi il software da lui creato e distribuito tramite supporti materiali in modo che possa essere utilizzato solo dopo l'avvenuta assegnazione on line di un certo codice identificativo e ponga come condizione contrattuale il divieto di trasmettere a terzi l’account personale cui tale codice viene collegato.

Per quanto si ritenga di poter aderire a tale principio, non si concorda invece con le conclusioni proposte dalla Corte Federale: si noti che l’intera decisione viene basata sulla richiesta formulata dalla VZBV di inibire alla convenuta di inserire, nei propri contratti di licenza, la clausola che vieta agli utenti di trasferire ad altri il proprio profilo personale, cui sono associati tutti i codici di attivazione dei videogame da quella distribuiti. Come però delineato dai giudici tedeschi, tale clausola non costituisce né violazione del principio di esaurimento né impedisce, di per sé, di utilizzare il programma acquistato secondo quello che si deve ritenere sia lo scopo del contratto di licenza. La questione fondamentale infatti non è tanto la facoltà di cedere a terzi l’account il quale, contenendo dati personali del singolo utente, a buona ragione deve ritenersi inalienabile: ciò che invece deve potersi trasferire sono le singole chiavi di attivazione dei giochi, le quali sono collegate al suddetto profilo al momento della prima utilizzazione e che permettono di apparire ai sistemi di riconoscimento predisposti dal licenziante quale legittimo acquirente.

Le argomentazioni svolte dalla Corte Federale potrebbero in realtà estendersi anche a questa differente proposta, in quanto non si modifica concretamente la natura dell’istanza: che si tratti dell’intero profilo personale o della singola chiave di attivazione, rimane il fatto che secondo la Suprema Corte rientra tra le facoltà del dante causa di limitare erga omnes la libertà di sfruttamento dell’opera di cui è titolare, dovendo egli esclusivamente garantire l’utilizzabilità del programma nei confronti del singolo acquirente. Come si è però affermato nel capitolo precedente, è proprio in tale

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finalità che si cela l’obbligo per il licenziante di permettere agli utenti di cedere a terzi la propria copia del programma: il combinato disposto dell’art. 5 della direttiva 24/2009 e del considerando 13 infatti, disponendo l’impossibilità per il titolare di limitare lo sfruttamento del programma che si svolga in modo conforme alla sua destinazione da parte del legittimo acquirente, permette di ritenere che questi non abbia la facoltà di impedire che il programma venga impiegato da un soggetto che possa identificarsi come tale15, con la conseguenza che il rifiuto di consentire l’associazione al proprio account personale del relativo codice di attivazione (il quale ovviamente non potrà più essere utilizzato dall’utente anteriore) e impedendogli quindi indirettamente l’utilizzo del programma funzionante, potrebbe qualificarsi come inadempimento contrattuale.

Un orientamento simile a quello ora proposto si rinviene nella giurisprudenza della Corte di Giustizia europea nella causa C-128/11, divenuta famosa con il nome di caso Usedsoft, decisa con sentenza del 3 Luglio 2012 e riguardante la cessione di software usati on line ed in particolare il trasferimento delle corrispondenti chiavi di attivazione.

15Titolo la cui configurabilità viene in realtà riconosciuta dagli stessi giudici tedeschi, lì ove affermano che l’esaurimento si deve intendere operante almeno per quanto riguarda il trasferimento medium fisico incorporante il software (o parte di esso).

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3.2 Il caso UsedSoft: l’incompatibilità con l’ordinamento comunitario dei limiti imposti