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Capitolo 2 - Il trasferimento dei prodotti software: le licenze d’uso

2.1.3 Il problema dell’esaurimento

2.1.3.1 Il riuso di software nella P.A

L’art 69 del Codice dell’Amministrazione Digitale, d.lgs. 82/2005, stabilisce al comma 1 che “le pubbliche amministrazioni che siano titolari di programmi informatici

realizzati su specifiche indicazioni del committente pubblico, hanno obbligo di darli in formato sorgente, completi della documentazione disponibile, in uso gratuito ad altre

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pubbliche amministrazioni che li richiedono e che intendano adattarli alle proprie esigenze, salvo motivate ragioni” 60.

In ambito amministrativo quindi con riuso si intende la facoltà di utilizzare illimitatamente il medesimo software all’interno del circuito pubblico, cedendolo gratuitamente tra diverse P.A. tramite c.d. “licenze di riuso”61. Differenza con la materia privatistica riguardante le licenze d’uso, oltre alla citata norma di legge62 (la cui ratio è certamente quella di tutelare l’interesse generale al buon andamento e quindi all’economicità ed efficienza della P.A. ex art. 97 della Costituzione) è che qui oggetto di regolazione sono solamente i programmi trasferiti tramite contratti di sviluppo di

software negoziati ad hoc e non invece i programmi “pacchettizzati”, di cui invece non

è fatto cenno. In realtà, come si è indicato in precedenza63, la dottrina è già arrivata alla conclusione generale che nei contratti di sviluppo di software il programma non viene ceduto in uso ma è soggetto invece ad una cessione definitiva a favore del committente, da cui il non residuare in capo alla casa produttrice di alcun diritto patrimoniale; la disciplina citata, pertanto, avrebbe l’unico pregio di aver formalizzato tali definizioni dottrinarie, almeno in ambito pubblicistico. Nonostante ciò è comunque possibile fare osservazioni rilevanti anche rispetto ai contratti di licenza d’uso: rientrando infatti l’acquisizione di programmi “pacchettizzati” tramite licenza d’uso tra le facoltà concesse alla P.A. ex art 68 comma 1 lett. e), ci si potrebbe chiedere se e come questa categoria di atti debba essere riconciliata con il suddetto istituto del riuso. Difatti se ratio di tale istituto, con riferimento ai contratti di sviluppo di software, è quella di perseguire il buon andamento della P.A., non si capisce perché non dovrebbero valere i medesimi propositi

60Su tema v. Ruju N. F., L' acquisizione ed il riuso del software nella pubblica amministrazione, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2009, passim.

61Ruju N. F., Op. cit., pag. 223.

62In particolare il comma 3 dell’art 69 dispone espressamente che le singole amministrazioni devono inserire nei contratti con i produttori “clausole che garantiscano il diritto di disporre dei programmi ai fini del riuso da parte della medesima o di altre amministrazioni”, privando non solo la P.A., ma le stesse software house della libertà di disporre altrimenti. Interessanti sono poi le considerazioni che è possibile trarre dal già citato comma 1 dello stesso articolo, in particolare rispetto all’obbligo indiretto per i produttori di fornire alle amministrazioni committenti, oltre che il codice oggetto, anche il codice sorgente, concessione soggetta invece a numerose diatribe in ambito privatistico.

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anche rispetto ai software standardizzati, ossia che non siano stati programmati ad hoc su richiesta dell’amministrazione ma che sono invece distribuiti alle medesime condizioni verso tutti gli eventuali utenti finali. Non sembrerebbero esservi particolari ragioni per non ritenere estendibile ai contratti di licenza d’uso conclusi dalla P.A. le disposizioni dell’art 69 del d.lgs. 82 per cui, anche in assenza di una specifica contrattazione con il produttore, dovrebbe ritenersi possibile concedere il riuso di un dato programma a favore delle amministrazioni diverse dalla licenziataria64.

A conclusione di questo breve excursus, ci si potrebbe chiedere perché una disciplina avente ad oggetto il riuso dei programmi per elaboratore sia stata adottata unicamente in ambito pubblicistico, e non invece anche in quello privato, ed in particolare le ragioni che giustificano la conseguente diversa regolazione di interessi che permette alle amministrazioni di cedere gratuitamente un programma, sebbene solo all’interno del circuito pubblico, mentre ciò è lasciato alla libera disponibilità delle parti in ambito civilistico, con la conseguenza di essere generalmente vietato dagli accordi stipulati dalle software house, ricordando in realtà che la P.A., nell’acquisizione di tali programmi, dovrebbe in teoria qualificarsi essa stessa come privato65. Viene fatto notare tuttavia che “la dottrina maggioritaria non ritiene possibile utilizzare i risultati a

cui è pervenuto il diritto amministrativo per individuare il tipo legale in cui deve essere inquadrato il singolo contratto ad oggetto informatico stipulato tra privati. Si osserva infatti, che gli schemi contrattuali elaborati dal diritto amministrativo sono caratterizzati, chi più chi meno, dall’aspetto impositivo dell’attività della P.A. a garanzia dell’interesse pubblico rappresentato da essa nei confronti dei fornitori privati, con la conseguenza che essi posseggono delle fondamentali caratteristiche di disomogeneità rispetto ai modelli privatistici”66. Pertanto la disciplina pubblicistica del riuso di software, sebbene rappresenti un confortante primo passo verso una maggiore chiarezza in

64Cfr. Musso A., Acquisizione di software nella pubblica amministrazione: recenti evoluzioni della normativa, in Città Rivista, 2005, pag. 92, per cui in particolare è “tendenzialmente irrilevante la circostanza che già all’origine il software fosse stato elaborato ad hoc”.

65Cfr. Chimienti L., Lineamenti del nuovo diritto d’autore(edizione VI), Giuffrè, Milano, 2004, pag. 27, per cui “l’utilizzo da parte della Pubblica Amministrazione di software di commercio dalla stessa acquistato soggiace alle medesime regole che vigono per gli altri utilizzatori”.

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materia, non rappresenta di per sé un valido aiuto per individuare una specifica regolazione degli interessi in ambito civilistico.

2.1.4 La collocazione delle licenze d’uso in schemi negoziali tipici: gli indirizzi della