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3 Lo scandalo privato

3.2 Il caso Lewinsky

Lo scandalo che coinvolse Bill Clinton ebbe molte analogie con il caso Hart. Se con il senatore del Colorado i giornalisti avevano colpito e affondato in poche mosse il loro avversario, con il nuo- vo presidente democratico fu necessaria una lotta più duratura per riuscire finalmente a mettere un colpo a segno. E nonostante tutto, a parte indebolire e rallentare la sua politica, non riuscirono di fatto ad arrestarlo.

Il caso Lewinsky ha origine da molto lontano. Nel 1978 Bill Clinton e sua moglie Hillary avevano fondato una società immobiliare, chiamata Whitewater Developement Corporation, con l’intento di acquistare 220 acri di terreno edificabile e di rivenderli successivamente a piccoli lotti. L’investimento si basava su un ingente somma di denaro, circa 203.000 dollari ottenuti in prestito. Fu un azzardo oltre che economico anche politico, dal momento in cui il progetto originale si sa- rebbe dovuto avvalere dell’influenza politica di Clinton, allora diventato governatore dell’Arkansas99. Nel 1989 la società fallì e di conseguenza nacquero i primi sospetti sull’intera ope- razione finanziaria. Per la loro speculazione immobiliare, i coniugi Clinton avevano chiesto il sup- porto di James McDougal, anch’egli socio della Whitewater e proprietario della Madison Guaranty Savings and Loan, una banca dichiarata fallita lo stesso anno. La somma persa dai Clinton finì per

98 Matt Bai, On Language; Vamping Till Ready, cit. 99

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aggirarsi tra i 37.000 e i 69.000 dollari, esito che tentarono di scongiurare anche attraverso alcune irregolarità, denunciate solo nel corso della campagna elettorale del 1992100.

L’implicazione dello scandalo Whitewater con quello ben più conosciuto di Monica Lewinsky è da comprendere solo alla luce di quanto detto a inizio capitolo. Prima di diventare presidente, le speculazioni immobiliari di Bill Clinton non furono oggetto di attacchi particolari da parte della stampa, anzi, i media preferirono dare risalto a vicende molto meno rilevanti, come la possibile re- lazione extraconiugale tra il candidato democratico e Jennifer Flowers, modella e cantante di nightclub. Lo scandalo nacque alla vigilia delle elezioni del 1992, dopo un’intervista, rilasciata dalla stessa Flowers alla rivista “Star”, nella quale veniva denunciata una emittente radiofonica per aver insinuato l’esistenza di qualche rapporto di natura sessuale tra la cantante e il governatore dell’Arkansas.

L’esperienza di Gary Hart aveva forse insegnato che vicende sensibili sulla vita privata di un per- sonaggio politico potessero suscitare maggiore interesse nell’opinione pubblica in confronto agli effetti di una speculazione finanziaria. Allo stesso tempo, i repubblicani non avevano interesse, se- condo altre tesi, di insistere tanto sul caso Whitewater prima dell’elezioni, dal momento che pure il figlio di Bush era stato coinvolto in fatti simili con il fallimento della banca di Silverado101.

Fatto sta che la risoluzione dei Clinton fu repentina ed efficacie: al termine del 26° Super Bowl, per contrastare le accuse di adulterio, Bill e la moglie Hillary andarono in diretta sul seguitissimo programma televisivo 60 Minutes. Durante l’apparizione sul piccolo schermo, i coniugi decisero di tenersi per mano così da trasmettere al pubblico l’immagine di un rapporto ancora saldo, intacca- to dallo scandalo Flowers il quale, agli occhi di molti, si stava rivelando essere solo una macchina- zione mediatica per screditarli. La trovata, consentì a Clinton di riaccaparrarsi una buona parte dell’elettorato democratico: nelle primarie del New Hampshire finì secondo dopo Paul E. Tsongas, con il 25% dei voti contro il 33% di Tsongas102.

100

Jeff Gerth, Clinton Joined S&L Operator in Ozark Real-Estate Venture, New York Times, 8 marzo 1992, pp. A1, A24.

101

Robert Williams, Political Scandals in the United States, Fitzroy Dearborn Publishers, Chicago Illinois, 1998 p. 65

102

Robert E. Denton, Jr. e Mary E. Stunckey, A Communication Model of Presidential Compaign: A 1992 Overview, in Robert E. Denton, Jr. (a cura di), The 1992 Presidential Campaign: A Communication Perspective, Westport, Conn., Praeger, 1994, p 27.

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Stefano Luconi afferma che in base al clima di recessione economica in cui versavano gli Stati Uniti in quegli anni, era plausibile che agli elettori ben poco importassero gli affari privati di un candidato presidente103. In merito a questo, su un settimanale del New Hampshire apparve un ar- ticolo il cui titolo ben riassumeva quella che doveva essere l’opinione della maggior parte degli elettori di quello stato: We’re Voting for a President, Not Pope104.

Grazie al consenso popolare ottenuto alle urne, Clinton ebbe così la possibilità di confutare con forza le accuse diffamanti contro di lui, cosa che Gary Hary non aveva potuto fare, aggravato so- prattutto dalla pubblicazione di una foto il cui valore era ben diverso da quello di una semplice di- ceria. Eppure, riflettendo sui sondaggi di Clinton, la relazione extraconiugale tra il senatore del Co- lorado e Donna Rice probabilmente non avrebbe così inciso sull’elettorato: secondo alcuni reso- conti della rivista Time e della Cnn, il 62% degli intervistati non avrebbe cambiato idea su chi vota- re dopo l’affaire Flowers, mentre il 10% si sarebbe schierato dalla parte di Clinton in contrapposi- zione all’atteggiamento discutibile dei mass media nei suoi confronti105. [CIOè IL 28% LO MOLLA?]

Si deduce sin da qui che la matrice privata dello scandalo non rappresenta di fatto una compo- nente negativa agli occhi dell’elettorato: ciò che deve essere valutato è l’operato di chi governa il Paese, non le sue vicende private. Una lezione che i detrattori di Clinton non compresero bene al tempo, oppure, secondo altre logiche, volontariamente ignorarono.

Nel corso degli anni successivi, il presidente Clinton fu bersagliato da molti altri scandali privati, tra cui il più curioso rimane quello soprannominato “Hairgate”. Erano passati solo pochi mesi dal suo ingresso alla Casa Bianca e Clinton aveva deciso di commissionare ad un certo Cristophe Schat- teman un taglio di capelli a bordo dell’Air Force One. Il fatto suscitò scalpore nel momento in cui i giornalisti che si trovavano sull’aereo constatarono che l’Hairstylist a bordo stava causando il ri- tardo del volo e che il taglio, secondo le prime voci, sarebbe venuto a costare circa 200 dollari pa- gati con i fondi della Casa Bianca. Clinton, che era impegnato a curare la stesura di un programma di riforme sul Social Security e il sistema sanitario, si trovò costretto ad entrare nel dibattito. Se- condo il rapporto della Federal Aviation Administration il taglio di capelli non avrebbe causato al- cun ingorgo sulle piste di atterraggio, tanto meno – in accordo con le dichiarazioni dell’addetto alle

103

Stefano Luconi, La politica dello scandalo negli Stati Uniti, cit., p 105.

104 Bill Turque e Nancy Cooper, We’re Voting for a President, Not Pope, Newsweek, 3 febbraio 1992, p 23 105

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comunicazioni George Stephanopoulos – sarebbe stato pagato con fondi federali. "The President and his family have a personal services contract with Cristophe to cover things like this," disse Stephanopoulos ai giornali "They pay for it. It's for the whole family"106.

La notizia, di per sé poco rilevante, fu riportata sul Washington Post in prima pagina ben nove volte in un arco di sei settimane107. Un atteggiamento che aveva ben poco a che vedere con quello dei giornalisti del Watergate, che pur non riportando fonti e andando a tentoni con le loro indagi- ni, mai si sarebbero sognati di fare di un taglio di capelli lo scandalo del secolo.

Come anticipato, in quegli anni Clinton stava lavorando alla riforma della sanità. Uno dei punti del suo programma era infatti permettere ad ogni cittadino americano di usufruire dell’assistenza medica gratuita, una legge che impattava inevitabilmente su tutto il sistema assicurativo e le lobby che gravitano intorno. È in questo momento delicato della sua presidenza che fu tirato in ballo nuovamente lo scandalo Whitewater. Nonostante Clinton si fosse dichiarato disposto a discutere su alcuni punti della riforma, la sua idea era di non stravolgere il contenuto mantenendo la coper- tura totale dell’assistenza. Come risposta, le principali testate giornalistiche come il Washington Post e il New York Times, pubblicarono in prima pagina diversi approfondimenti sulla vicenda im- mobiliare della Whitewater, rilegando un posto di secondo rilievo alla proposta di legge.

Sull’onda della notizia, alcuni senatori repubblicani, come Alphonse D’Amato e Robert Dole, ini- ziarono a promuovere l’istituzione di un comitato d’inchiesta indipendente e la nomina di un pro- curatore speciale che indagasse sul caso. Diversi indizi provavano che Dole volesse contrastare in qualche modo l’operato di Clinton: durante il dibattito al congresso, egli rigettò il piano del presi- dente affermando che “The real crisis in health care is the one President Clinton's one-size-fits-all plan would create”, motivo per cui sarebbe stato opportuno trovare un’altra strada per contrasta- re l’esito positivo della riforma108.

La scelta di ricorrere ad un procuratore indipendente fu paradossalmente favorita dallo stesso Bill Clinton. A inizio mandato, infatti, aveva approvato un documento che autorizzava la nomina di

106 Thomas L. Friedman, Haircut Grounded Clinton While the Price Took Off, New York Times, 21 Maggio 1993;

Newsday, Clinton's runway haircut caused no big delays. Baltimore Sun. 30 giugno 1993. 107

Geneva Overholser e Kathleen Hall Jamieson, The Press, Oxford University Press, 2005, pp. 53–54.

108 Adam Clymer, G.O.P. Stance on Health Turns to No-Crisis View, New York Times, 27 gennaio 1994;Kant Patel e

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tale figura giuridica, decisione che gli era stata contestata da diversi uomini di legge109. Ora quel fatto gli si ritorceva contro, dando via ad una serie di reazioni a catena che in poco tempo sarebbe- ro culminate con lo scandalo di Monica Lewinsky.

L’ispettore che fu chiamato a svolgere l’inchiesta fu in un primo momento Robert B. Fiske Jr., procuratore del Southern District of New York, il quale si mosse con cautela nei confronti del pre- sidente, arrivando a desumere il 30 giugno del 1994 che non c’erano abbastanza elementi proba- tori per accusare Clinton di abuso di potere o intralcio alla giustizia.

Le conclusioni di Fiske non furono abbastanza convincenti per il partito repubblicano, lo stesso partito che all’epoca di Bush si era opposto strenuamente contro l’esistenza di un procuratore in- dipendente, giudicando la sua funzione inutile e in sovrapposizione con il ruolo del procuratore generale degli Stati Uniti. Tuttavia, ora che i democratici erano al governo, non solo si erano ritro- vati ad accusare Fiske di essere stato “insufficiently aggressive in the pursuit of the President”, ma pretendevano addirittura che venisse nominato un nuovo procuratore indipendente110.

Non ci volle molto per accontentare le loro richieste: nell’Agosto del 1994, Fiske venne sostitui- to da Kenneth W. Starr, un uomo la cui carriera da giudice aveva visto una rapida ascesa sotto le presidenze di Ronald Reagan e George Bush. Starr cambiò drasticamente atteggiamento nei con- fronti di Clinton. Visto che dal caso Whitewater non era possibile trarre prove schiaccianti da im- putare al presidente o a sua moglie Hillary, il procuratore indipendente pensò bene di allargare il campo d’indagine a fatti che nulla avevano a che vedere con la vicenda iniziale. Nel 1993 Clinton aveva autorizzato il suo consigliere legale, Vincent Foster, a licenziare sette impiegati dell’ufficio viaggi della Casa Bianca, accusati di malversazione. A seguito di questo episodio, Foster si era sui- cidato, contribuendo così a creare un clima di sospetto intorno al presidente. Secondo alcune voci, Clinton avrebbe infatti approfittato della sua morte per prelevare alcuni documenti inerenti al Whitewater, notizia che non rivelava niente di sensazionale, visto che di fatto quei documenti gli erano sempre appartenuti come cliente del legale. Starr riprese le fila di quell’inchiesta arrivando a concludere dopo due anni di indagini che "we found no evidence that anyone higher was in any way involved in ordering the files from the FBI. Second, we have found no evidence that infor-

109

David M. O’Brien, Judicial Legacies: The Clinton Presidency and the Court, in Colin Campbell e Bert A. Rockman (a cura di), The Clinton Legacy, New York: Chatham house Publishers of Seven Bridges Press, 2000, p 117.

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mation contained in the files of former officials was used for an improper purpose"111. Per questo, il procuratore decise di cambiare pista e di prendere in esame le dichiarazioni di una certa Paula Corbin Jones, ex impiegata dello stato dell’Arkansas. Il 5 maggio 1994 la Jones aveva infatti accusa- to Clinton di molestie nei suoi confronti all’epoca del suo mandato governativo, e che insieme ad un altro gruppo di donne sarebbe stata sottoposta ad un grave stress emotivo a causa delle sue avance sessuali.

La notizia ricalcava perfettamente la vicenda della Flowers, ma pur non avendo alcuna connes- sione con il caso Whitewater, stavolta esistevano alcune implicazioni importanti che suggerivano un esito dello scandalo ben diverso dal precedente. Al processo, Clinton negò fermamente di aver commesso molestie nei confronti della Jones e di contro gli avvocati tentarono in tutti i modi di dimostrare che il presidente era sempre stato un uomo incline a ricercare l’attenzione delle sue dipendenti. Fu allora che venne fuori per la prima volta il nome di Monica Lewinsky. La giovane donna lavorava come stagista alla Casa Bianca dal luglio del 1995 e, secondo l’accusa, durante questo periodo avrebbe intrattenuto diversi rapporti sessuali con Clinton. I fatti sarebbero stati avvalorati da alcune registrazioni audio pervenute al procuratore Starr grazie all’intervento di Lin- da Tripp, un’altra dipendete della Casa Bianca che era a conoscenza della relazione tra i due. Spin- ta probabilmente da qualche tipo di rancore nei confronti dell’amministrazione dopo il suo trasfe- rimento al Pentagono, la Tripp si sarebbe procurata i nastri anche in vista di un possibile libro da pubblicare sulla vicenda112.

La Lewinsky confutò sotto giuramento ogni accusa durante il processo a Paula Jones e lo stesso fece Clinton il 17 gennaio 1998. Di conseguenza, Starr decise di intentare una causa di spergiuro contro entrambi gli indagati, forte delle prove in suo possesso. Lo scandalo dilagò velocemente su tabloid e siti internet come il Drudge Report, fino ad arrivare sulla carta stampata del Washington Post e di altri giornali autorevoli. Bill Clinton capì quindi di dover rilasciare una dichiarazione pub- blica sull’accaduto e lo fece al termine di un discorso ben più ampio sull’istruzione: “Now, I have to go back to work on my State of the Union speech. And I worked on it until pretty late last night. But I want to say one thing to the American people. I want you to listen to me. I'm going to say this again: I did not have sexual relations with that woman, Miss Lewinsky. I never told anybody to lie,

111 Ruth Marcus e Peter Baker, Clinton 'Thwarted' Probe, Starr to Say, The Washington Post, 19 Novembre 1998. 112

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not a single time; never. These allegations are false. And I need to go back to work for the Ameri- can people”113.

A fronte delle polemiche innescate contro il marito, Hillary Clinton rilasciò lo stesso un’intervista alla Nbc, nella quale affermava che era in atto una “vast right-wing conspiracy” per screditare l’immagine, e di conseguenza anche il lavoro, del presidente. Il salvataggio della First Lady fu d’aiuto ai sondaggi. Seppure l’indice di gradimento non fosse stato mai davvero danneg- giato dalla vicenda (dal febbraio del 1996 al gennaio del 1998 Gallup registrò infatti un indice me- dio del 56%), dopo quell’intervento televisivo, Clinton salì il 2 marzo del 1998 alla vertiginosa cifra del 68%114.

Da questo momento in poi, la fiducia nel presidente non calerà mai drasticamente. Come per la Flowers, anche stavolta veniva apparentemente dimostrato che di fronte ad uno scandalo privato, gli Americani sarebbero stati in grado di discernere tra ciò che era rilevante per il futuro della na- zione e ciò che era semplicemente ritenuto gossip. Inoltre il caso di Paula Jones si era concluso con una sentenza che di fatto assolveva gli imputati da ogni accusa, giudicando la relazione tra Lewin- sky e Clinton irrilevante ai fini del processo. Starr tuttavia non era certo intenzionato a fermarsi. Il 17 agosto presentò in tribunale una serie di nuove accuse nei confronti di Clinton, che molto ricor- davano quelle rivolte a Nixon come falsa testimonianza, intralcio alla giustizia e abuso di potere.

Dobbiamo ricordare a questo punto, che anche al tempo del Watergate la notizia dello scanda- lo non ebbe sin da subito effetti negativi sulla figura del presidente. Fu dopo l’istituzione del comi- tato Ervin che l’indice di gradimento cominciò ad avere qualche flessione, in un contesto in cui la guerra in Vietnam andava consumandosi e il presidente degli Stati Uniti veniva accusato di aver tradito il popolo americano. Clinton da parte sua, stava governando invece un Paese soddisfatto dalla ripresa economica e dalle riforme messe in atto dalla sua amministrazione, così come dimo- strano i resoconti della Gallup:

Ratings of Bill Clinton's handling of the economy shot up to as high as 81% during this time period. Per- sonal financial wellbeing measures were at one point as high as they have been in Gallup's history of meas- uring them, with 7 out of 10 polled in March 1998 saying they anticipated being better off over the next

113 Bill Clinton, Response to the Lewinsky Allegations, Miller Center of Public Affairs, 26 gennaio 1998. 114

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year. A substantial percentage of Americans (71% in one January 1999 poll) said that this was the best economy of their lifetime115.

Alla luce di questi risultati, non c’è da stupirsi se la maggioranza dell’elettorato non trovasse tanto oltraggiose le faccende private del presidente. Nonostante fosse accusato di mentire al po- polo americano, tale menzogne non avevano lo spessore di quelle di Nixon e non c’era riserva mo- rale che potesse reggere di fronte al benessere di una ripresa economica.

Cionondimeno, Starr riuscì a provare la colpevolezza di Clinton il 17 agosto del 1998, quando davanti ai giudici il presidente ammise di aver avuto una relazione “intima” con la Lewinsky e quindi implicitamente di aver mentito sotto giuramento. Come giustificazione, Clinton affermò che i rapporti orali avuti con la stagista non potevano essere definiti esattamente una relazione ses- suale, così come adducevano gli avvocati della Jones. Un modo di manipolare il discorso che non avrebbe convinto neanche i suoi più ferventi sostenitori. Di conseguenza Starr invitò ufficialmente i membri della Camera dei Rappresentati a mettere in stato d’accusa il presidente.

Da questo momento in poi seguiranno diverse consultazioni alla Camera e poi al Senato per de- cretare l’esito dell’impeachment, ma a parte distogliere la politica dai suoi reali impegni, non portò a nessun esito negativo per Clinton. Dalla documentazione di Starr, l’House Judiciary Committee dedusse che non esistevano abbastanza prove a sostegno di tutti e quattro i capi d’accusa presen- tati dal procuratore, per cui la Camera decise di prenderne in esame solo due: uno per falsa testi- monianza e un altro per intralcio alla giustizia. Il voto si sarebbe svolto nel bel mezzo dell’elezioni di Mid Term, prima delle quali lo speaker Newt Gingrich, uno dei principali sostenitori dell’impeachment tra i conservatori, era stato rassicurato da alcune sondaggi privati che dopo lo scandalo Lewinsky i repubblicani avrebbero ottenuto ben 30 seggi in più116. Al contrario delle sue previsioni, il GOP perse 4 seggi rispetto due anni prima e i democratici ne guadagnarono 5, co- stringendo Gingrich a rassignare le proprie dimissioni. Fu grazie a questo particolare assetto politi-

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