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4 Lo scandalo nel XXI secolo

4.1 Wikileaks

4.1.1 War Log e Cablegate

Ma la notizia che avrebbe fatto puntare definitivamente i riflettori del mondo sull’hacker au- straliano non riguardava banche svizzere o casi di corruzione nel Terzo Mondo. Il 21 marzo del 2010, durante la conferenza della Skup - importante associazione di giornalisti investigativi con ba- se in Norvegia - Assange incontrò David Leigh, reporter del Guardian, per comunicargli di aver ri- cevuto una rivelazione sconvolgente da una delle sue fonti anonime. Si trattava del video dell’Apache, un filmato girato nel luglio del 2007 a bordo di due elicotteri militari durante un’operazione in Iraq. All’inizio la camera ritrae alcuni uomini che camminano tra i sobborghi di Baghdad completamente ignari di essere sotto il mirino dei due velivoli americani. Alla radio si sentono i militari che commentano la scena mentre aspettano impazientemente il momento per colpire. Poi l’ordine arriva e tutto il quartiere viene investito da una pioggia di proiettili da 30mm, la dotazione degli elicotteri Apache AH65. Una nuvola di polvere si alza in mezzo agli obbiettivi e dopo qualche minuto la camera inquadra un uomo ferito che si trascina lungo il marciapiede. I mi- litari attendono nuove istruzioni e nel frattempo appare un furgone scuro vicino al bersaglio. Si tratta della troupe giornalistica dell’agenzia di stampa Reuters, di cui fanno parte i reporter Saeed Chmagh e Namir Noor-Eldeen. Sono proprio loro a uscire dalla camionetta e soccorrere il soprav- vissuto. Nelle vicinanze ci sono anche dei ragazzini, ma questo non ferma i militari dal compiere il gesto che tutto il mondo poi condannerà aspramente. Alla radio qualcuno impartisce ai soldati di fare fuoco e un’altra nuvola di polvere avvolge il sobborgo. I reporter vengono uccisi, i bambini fe- riti, e il pilota dell’elicottero si limita a commentare: “è colpa loro se portano dei ragazzini in bat- taglia”138.

L’incontro con Leigh e Assange servì solo per testare il terreno. In realtà, il piano dell’hacker prevedeva di trasferirsi in Islanda insieme ad un gruppo di suoi collaboratori più stretti, tra cui Bir- gitta Jónsdóttir, deputata del parlamento islandese, per analizzare il filmato e perfezionarlo prima della messa online. Nel frattempo, la fonte anonima di Assange aspettava con trepidazione la pubblicazione delle sue rivelazioni, angosciato da sensi di colpa e ormai inutili ripensamenti. Si

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chiamava Bradley Edward Manning (oggi Chelsea Elizabeth Manning, dopo aver attuato nel 2011 il processo di transizione per il cambio di genere) e a quel tempo lavorava come analista di intelli- gence durante le operazioni militari in Iraq. Come Assange, la vita di Manning fu contraddistinta da un’esistenza travagliata: il padre abbandonò la famiglia all’età di 14 anni, costringendo sua madre a trasferirsi in Galles e inserire il figlio in un nuovo istituto scolastico; l’ambiente sconosciuto e il carattere introverso contribuirono a rendere Bradley la vittima perfetta per gli scherzi dei suoi compagni e di conseguenza fu costretto a trovare rifugio nei computer. Alcuni amici lo descriveva- no come un ragazzo iperattivo, per niente sportivo, che abboccava facilmente alle provocazioni e per questo diventava anche violento. Altri dissero che era un tipo con forti ideali, “critico nei con- fronti della politica estera degli Stati Uniti” e allo stesso tempo molto patriottico139.

Dopo la scuola, Manning si trasferì nuovamente negli Stati Uniti e cambiò spesso lavoro: il suo ca- rattere scontroso ed introverso cominciava ad evidenziare le sue tendenze omosessuali e anticon- formiste, il che non lo facilitava a trovare un’occupazione stabile. Alla fine decise di arruolarsi nell’esercito e iscriversi ad un corso di specializzazione per il lavoro d’intelligence in Arizona. L’esperienza avrebbe dovuto formarlo adeguatamente dal punto di vista tecnico, ma come am- biente non era certo migliore di altri: si sentì ignorato, sfruttato; a sua detta le mansioni non erano assolutamente all’altezza delle sue competenze, tanto da arrivare a sfogarsi su facebook scriven- do: “Bradley Manning is not a piece of equipment”140.

Nel 2008, Manning iniziò a frequentare Tyler Watkins, uno studente di psicologia alla Brandeis University che passava dal lavorare in locali notturni come drag queen, a frequentare cervelloni in- formatici provenienti dall’Mit. È grazie a questo circolo di amici, che il soldato apprese quella cul- tura hacker che già da tempo aveva cominciato ad appassionarlo. Il principio etico secondo cui tut- te le democrazie del mondo dovrebbero garantire ai propri cittadini di potersi informare libera- mente su ogni cosa, diventò un capo saldo del suo pensiero. “Information should be free” dirà in una delle sue conversazioni rese pubbliche dalla rivista Wired “it belongs in the public domain be- cause another state would just take advantage of the information… if it’s out in the open… it

139 Daniel Domscheit-Berg, Inside WikiLeaks, cit., 2011. 140

Heidi Blake, John Bingham e Gordon Rayner, Bradley Manning, suspected source of Wikileaks documents, raged

on his Facebook page, The Telegraph, 30 Luglio 2010 in

http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/asia/afghanistan/7918632/Bradley-Manning-suspected-source-of- Wikileaks-documents-raged-on-his-Facebook-page.html (consultato il 19/05/2016)

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should be a public good. I want people to see the truth… regardless of who they are… because without information, you cannot make informed decisions as a public”141.

Nell’ottobre del 2009, Manning venne trasferito in una base militare in Iraq, vicino Bagdad. Fu durante questa breve permanenza che prese la decisione che avrebbe cambiato per sempre la sua vita. Come analista di intelligence, aveva accesso alle reti riservate SIPRNet (the Secret Internet Protocol Router Network) e JWICS (the Joint Worldwide Intelligence Communications System), ov- vero l’archivio di tutte le operazioni militari e diplomatiche compiute fino a quel momento dagli Stati Uniti d’America. Col tempo, l’opinione che Manning aveva del suo Paese diventò raccapric- ciante. Il video dell’Apache era solo uno dei tanti scandali che aveva potuto visionare con i suoi oc- chi tra quell’immensa mole di dati e fu incredibile anche per lui notare come non ci fosse nessun apparato di sicurezza così sofisticato da potergli impedire di scaricare quel materiale e di salvarlo su un semplice CD. Le sue idee di libertà e di giustizia contrastavano enormemente con quanto stava scoprendo da solo, rinchiuso in quella piccola base, lontano dalla supervisione dei suoi uffi- ciali. Il pensiero di divulgare al mondo la verità sulle operazioni militari in Iraq cominciò quindi a prendere forma nella sua testa.

Qualche tempo dopo, alcuni superiori gli ordinarono di indagare insieme alla polizia irachena su un gruppo di quindici detenuti, accusati di aver divulgato delle stampe di propaganda antinaziona- le. Manning scoprì che i volantini in questione non erano altro che critiche di alcuni intellettuali mosse contro il primo ministro Nouri al-Maliki per la corruzione dilagante all’interno del suo go- verno. Il soldato rese noto l’ufficiale in comando delle sue importanti scoperte, ma al contrario di quel che si aspettava, gli fu impartito di chiudere la bocca e di collaborare con le forze irachene nella ricerca di altri sospettati da arrestare.

Per la coscienza di Manning fu il colpo di grazia. Ormai certo che qualsiasi cosa stava contri- buendo a fare non rispettava assolutamente ai suoi ideali, decise di mettersi in contatto con diver- si hacker, tra cui Julian Assange. Non sappiamo per quanto tempo i due comunicarono, ma sicu- ramente dopo l’invio del materiale, Assange tagliò ogni collegamento con il militare onde evitare che la sua identità fosse rivelata e la sua sicurezza messa a rischio. In aggiunta a questo, Manning

141 Evan Hansen, Manning-Lamo Chat Logs Revealed, Wired, 13 luglio 2011 in

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ruppe in quei mesi la sua relazione amorosa con Watkins, aggravando il suo stato d’inquietudine e il suo nervosismo.

Il 15 aprile 2010, Assange pubblicò finalmente il video dell’Apache in anteprima presso il Natio- nal Press Club di Washington, intitolandolo: Collateral Murder142. Fu un’altra delusione per il fon- datore di Wikileaks, perché la reazione allo scandalo non fu di proporzioni tali da suscitare lo sde- gno di tutta l’opinione pubblica mondiale. Il titolo, probabilmente troppo provocatorio, non con- vinse lettori e spettatori, mentre l’agenzia di stampa Reuters non si sbilanciò così tanto nel com- mentare l’accaduto. “I want the Pentagon to join me in a search for thorough and complete trans- parency” scrisse sul Guardian il direttore di Reuters David Schlesinger “Seeing the hundreds of ar- ticles and thousands of comments in the wake of the video's release, it's clear that people on eve- ry side of the issue have strong feelings. Let's have a debate based on fact and not on emotion”143. È interessante notare come in questo caso, la stampa decida con prudenza di non cavalcare uno scandalo che avrebbe potuto avere la stessa ridondanza di molti altri già visti. I Pentagon Papers avevano rivelato al popolo americano come la guerra in Vietnam fosse stata da tutti i punti di vista un completo fallimento; Collateral Murder non aveva caratteristiche tali da sottintendere una de- nuncia totale della guerra in Iraq, ma di certo evidenziava in modo inedito gli orrori della guerra e l’inefficienza di chi era chiamato a combatterla.

Dopo la pubblicazione, Manning fu definitivamente sconvolto da una crisi di nervi che lo portò il 5 maggio 2010 a scrivere su facebook di sentirsi solo e senza speranza e, qualche giorno dopo, ad essere degradato per aver rifilato un pugno in faccia ad un suo commilitone. Ma i guai per il giova- ne soldato arrivarono solo dopo aver deciso di rivelare ad un hacker di nome Adrian Lamo la sua collaborazione con Wikileaks, nonché tutti i dettagli di come era entrato in possesso del materiale top secret e le modalità con cui lo aveva trasmesso ad Assange. Le conseguenze furono immedia-

142

Sul sito di Wikileaks è disponibile il video in versione ridotta: https://collateralmurder.wikileaks.org/

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David Schlesinger, War journalists have a right to safety, The Guardian, 21 Aprile 2010 in

http://www.theguardian.com/commentisfree/cifamerica/2010/apr/21/war-journalists-right-safety (consultato il 24/05/2016)

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te: Lamo riportò alla stampa tutta la conversazione avuta con Manning tramite chat svelando a al mondo intero il nome dell’importante gola profonda di Wikileaks144.

Bradley Manning fu subito imprigionato in una base in Kuwait e poi collocato in una cella di iso- lamento nella prigione di Quantico, Virgina. Il primo periodo di reclusione fu estremamente duro e disumano, tanto che molti giudici e intellettuali denunciarono i suoi malversatori di aver torturato ingiustamente un uomo senza neanche aspettare che fosse prima processato145. Le udienze preli- minari si tennero solo nel 2013 e nonostante l’asilo politico di Assange, Manning venne ritenuto colpevole su 20 dei 23 capi d’accusa e condannato a 35 anni di prigione. Durante l’arringa difen- siva, lo psichiatra avrebbe dichiarato che “Manning was under the impression that his leaked in- formation was going to really change how the world views the wars in Afghanistan and Iraq, and future wars, actually. This was an attempt to crowdsource an analysis of the war, and it was his opinion that if ... through crowdsourcing, enough analysis was done on these documents, which he felt to be very important, that it would lead to a greater good ... that society as a whole would come to the conclusion that the war wasn't worth it ... that really no wars are worth it”146.

Come abbiamo potuto analizzare dal suo profilo, le scelte di Manning non furono dettate sola- mente da un animo frustrato e una situazione mentale essenzialmente precaria, bensì anche da motivazioni profondamente etiche frutto del suo carattere anticonformista e del suo attaccamen- to ai principi della filosofia hacker. Sull’arresto di Bradley Manning e il trattamento riservato in carcere, Barack Obama dichiarò: “If I was to release stuff, information that I'm not authorized to release, I'm breaking the law”; ufficiali del Pentagono “assure me the procedures that have been taken in terms of his confinement are appropriate and are meeting our basic standards. I can't go

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Evan Hansen, Manning-Lamo Chat Logs Revealed, Wired, 13 luglio 2011 in https://www.wired.com/2011/07/manning-lamo-logs/ (consultato il 24/05/2016)

145 The Abuse of Private Manning, New York Times, 15 Marzo 2011, in

http://www.nytimes.com/2011/03/15/opinion/15tue3.html?_r=0 (consultato il 21/05/2016) ; Ed Pilkington, Bradley

Manning's treatment was cruel and inhuman, UN torture chief rules, New York: The Guardian, 12 marzo 2012 in

http://www.theguardian.com/world/2012/mar/12/bradley-manning-cruel-inhuman-treatment-un (consultato il 21/05/2016)

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Alex O'Brien, The ethical consistency of Bradley Manning's apology, The Guardian, 18 August 2013 in http://www.theguardian.com/commentisfree/2013/aug/16/ethical-consistency-bradley-manning-apology (consultato il 21/05/2016).

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into details about some of their concerns, but some of this has to do with private Manning's safety as well”147.

Le rivelazioni del giovane soldato non si limitavano a parlare della guerra in Iraq. C’erano in- formazioni su Afghanistan, crimini di guerra, strategie militari fallimentari e infine dispacci diplo- matici riguardanti gli Stati Uniti e le ambasciate di tutto il mondo. Assange doveva trovare solo un modo per pubblicarle, senza rischiare che altre vite, come quella di Manning, fossero messe in pe- ricolo. La soluzione divenne il compromesso. Serviva l’aiuto dei media tradizionali per organizzare e sintetizzare l’intero database. Da soli, Assange e compagni avrebbero dovuto impiegare troppo tempo per rendere efficace la fuga di notizie, senza contare che l’appoggio e la solidarietà di un organo di stampa riconosciuto era ciò che serviva per rendere inattaccabile e attendibile il lavoro di Wikileaks agli occhi del mondo.

I partner che vennero scelti per ricevere i leaks furono il Guardian, il New York Times e il Der Spiegel. Più di 90.000 documenti adesso potevano essere analizzati dai giornalisti delle tre testate, parte di essi sarebbero stati pubblicati contemporaneamente il 25 luglio 2010 e Assange avrebbe fatto lo stesso con l’intero materiale. Si trattava in prima istanza di documentare alcuni crimini di guerra compiuti in Afghanistan da parte delle truppe americane e inglesi, più l’azione di sostegno del Pakistan e dell’Iran nei confronti dei talebani148. Stavolta lo scandalo ebbe massima portata e la Casa Bianca dovette rilasciare un comunicato stampa in cui si ribadiva la correttezza della stra- tegia afgana e si condannava fermamente la fuoriuscita di informazioni riservate divulgate illeci- tamente149.

Ciò che emerse da questa prima analisi, e che divenne dibattito in quei giorni, fu il contrasto tra chi riteneva, di fronte ai documenti, che ci fossero abbastanza prove per definire le tattiche ameri-

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ABCNews.com, President Obama Says He'll Take the Pentagon's Word for It: Treatment of Bradley Manning Is Appropriate, ABCNews, 11 marzo 2011 in http://blogs.abcnews.com/politicalpunch/2011/03/president-obama-says-hell- take-the-pentagons-word-for-it-treatment-of-bradley-manning-is-appropriate.html (consultato il 24/05/2015)

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Nick Davies e David Leigh, Afghanistan war logs: Massive leak of secret files exposes truth of occupation, The Guardian, 25 luglio 2010 in http://www.theguardian.com/world/2010/jul/25/afghanistan-war-logs-military-leaks (consultato il 21/05/2010); Spiegel.de, The Afghanistan Protocol: Explosive Leaks Provide Image of War from Those

Fighting It, Der Spiegel, 25 luglio 2010 in http://www.spiegel.de/international/world/afghanistan-explosive-leaks-

provide-image-of-war-a-708314.html (consultato il 21/05/2010); Nytimes.com, The War Logs: Reaction to Disclosure

of Military Documents on Afghan War, The New York Times, 25 luglio 2010 in

http://atwar.blogs.nytimes.com/2010/07/25/the-war-logs/ (consultato il 21/05/2010)

149Alexandra Topping, Wikileaks condemned by White House over war documents, The Guardian, 26 luglio 2010 in

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cane completamente errate e controproducenti, e chi invece criticava il fondatore di Wikileaks di aver messo in pericolo delle persone innocenti. L’accusa contro Assange era essenzialmente in- fondata, poiché già prima di pubblicare i diari di guerra era ritornato indietro nella sua decisione di mettere sul sito tutta la mole di documenti senza revisioni. I dispacci che pubblicherà nel corso del 2010 saranno quelli già sottoposti all’editing delle redazioni partner, mentre nel 2011 il sito ripor- terà quelli autentici senza revisione. In complessivo però non ci sono prove che attestino che tali rivelazioni abbiano causato rappresaglie da parte delle diplomazie alleate o messo in grave perico- lo le persone coinvolte nelle missioni150.

Infine, arrivò il momento di rendere noti i cablogrammi tra le diplomazie internazionali. La pub- blicazione non andò esattamente come previsto, fu il Der Spiegel a pubblicare per primo. Intorno alle 11:30 del 28 novembre 2010, molte ore prima dell’orario concordato con le altre testate, a Ba- silea si poteva trovare una copia del giornale tedesco con una prima pagina che titolava: “Rivela- zioni. Come l’America vede il Mondo”. Di conseguenza, gli altri partner si attivarono rapidamente per pubblicare anche loro i leaks, tenendo conto che per quell’occasione, si erano aggregati al team giornalistico anche i quotidiani de Le Monde e del El País. A quanto pare anche le più impor- tanti testate del mondo avevano subito una fuga di notizie.

Lo scandalo, conosciuto col nome di Cablegate, ebbe alla fine risonanza mondiale: molti leaks descrivevano la Russia come uno stato governato dalla mafia, l’Italia retta da un presidente “debo- le e inadeguato”, l’Arabia Saudita desiderosa di attaccare l’Iran per arrestare il piano nucleare nel Paese. Altre rivelazioni riportavano commenti coloriti da parte di ambasciatori americani all’indirizzo di capi di stato come Germania, Italia, Libia. C’erano cablogrammi che testimoniavano l’attività di spionaggio da parte degli americani ai danni del portavoce dell’Onu Ban Ki-moon, rap- porti su come il Partito comunista cinese aveva allontanato Google dal paese, indiscrezioni su Ni- colas Sarkozy descritto come un uomo piuttosto basso e con il complesso di napoleone, Angela Merkel donna “refrattaria a ogni rischio e raramente creativa”, Vladimir Putin “cane alfa”, Mah-

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mud Ahmadinejad “Hitler”. In tutto erano oltre 250.000 i dispacci segreti inviati al Dipartimento di Stato di Washington e ora in mano alla stampa internazionale grazie a Wikileaks151.

Negli Stati Uniti la reazione fu particolare perché si distinse da tutti i precedenti scandali che abbiamo analizzato. Il giorno dopo la pubblicazione degli articoli, il partito repubblicano si schierò completamente contro Wikileaks, paragonando Assange ad un terrorista: “Wikileaks could be de- signated a foreign terrorist organization” fu il commento del presidente della Commissione per la sicurezza nazionale del Congresso degli Stati Uniti, Peter T. King “It presents a clear and present danger to the national security of the United States”152. “I argue the death penalty clearly should be considered here” disse il repubblicano Mike Roger riferendosi al responsabile delle rivelazioni “He clearly aided the enemy to what may result in the death of U.S. soldiers . . . If that is not a cap- ital offense, I don't know what is”153.

In un’altra intervista, possiamo notare invece come il deputato repubblicano Pete Hoekstra ten- ti di addossare le colpe della fuga di notizie anche all’amministrazione Obama, rendendosi però conto, dopo le domande del giornalista Wolf Blitzer, che ciò avrebbe significato coinvolgere anche l’esecutivo precedente:

Blitzer: “Should anyone lose his or her job as a result of this leak”

Hoekstra: “I think that there's probably a multitude of people who should. The people who we are going to give the database to the Defense Department, without ever asking or demanding to know who was go- ing to have access to the database, the person within the Department of Defense that said, we are getting

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