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2 Lo scandalo politico

2.2 Iran-Contras

Il principale scandalo politico successivo al Watergate, scoppiato all’inizio degli anni Ottanta, fu indubbiamente quello legato alla figura di Ronald Reagan, passato alla storia col nome di Iran-

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CNN, Frost, Schieffer, Bradlee Discuss Extensive Nixon Interview, 10 giugno 2002 in http://transcripts.cnn.com/TRANSCRIPTS/0206/10/lkl.00.html, (consultato il 24/11/2015).

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Frank Newport, Nixon's Image Remains Negative 25 Years After Watergate, cit. (consultato il 7/12/2015)

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Gallup Organization, Presidential Approval Ratings -- Gallup Historical Statistics and Trends, in http://www.gallup.com/poll/116677/Presidential-Approval-Ratings-Gallup-Historical-Statistics-

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Contras Affair o di Iran-gate. Tra i due episodi si ricorda meno la vicenda che coinvolse Jimmy Car- ter e i fondi libici destinati alla lobby di suo fratello Billy Carter. L’episodio fu portato alla luce gra- zie al lavoro del reporter William Safire del New York Times ed è un esempio di come la stampa si fosse concentrata assiduamente in quel periodo nella ricerca di scoop e di inchieste sensazionali- stiche riferite a personaggi politici. Prima del Billy-gate, Jimmy Carter era stato sottoposto a diver- se accuse da parte della stampa: da un lato si lamentava il bisogno comune di ripulire la politica con un cambiamento drastico ai vertici del potere, cosa che Carter probabilmente non rappresen- tava; dall’altro esisteva il desiderio da parte dei nuovi giornalisti di conquistarsi il successo al pari dei precedenti colleghi dell’era Nixon.

Questo botta e risposta continuo tra politica e stampa, dette vita ad un giornalismo contorto ed esasperato, seguito da un articolato susseguirsi di processi e lunghe requisitorie che ebbero prin- cipalmente l’effetto di rallentare o addirittura impedire il corretto funzionamento sia dell’esecutivo che del legislativo.

Jimmy Carter fu forse uno dei primi a subire le conseguenze del Watergate. Pur dichiarandosi l’uomo che non avrebbe mai mentito al popolo americano77, nel 1979 Carter dimostrò di non ave- re né la giusta integrità morale né l’autorità per far fronte a certe vicende divenute ormai spinose nella politica degli Stati Uniti. Il 4 novembre infatti, la rivoluzione dello Ayatollah iraniano Khomei- ni aveva portato alla destituzione del precedente governo nel Paese e alla cattura di ben cinquan- tadue americani, tra funzionari e impiegati, appartenenti all’ambasciata statunitense. Vista l’impossibilità di dialogare con la nuova forza politica, Carter si vide costretto ad inviare in Iran una task force speciale per recuperare gli ostaggi. Caso volle che gli elicotteri destinati all’impresa pre- cipitarono prima ancora di raggiungere la destinazione, colpa le condizioni climatiche avverse e il pessimo coordinamento dei militari. Emerse l’immagine di un presidente ancora più debole, inca- pace di far valere la propria autorità e quella di una grande nazione come gli Stati Uniti su un pae- se come l’Iran.

Ronald Reagan si trovava nel frattempo impegnato a condurre la campagna elettorale come candidato presidente del Partito Repubblicano. Se da una parte la crisi economica di quegli anni dava già molti spunti a Reagan per attaccare l’operato di Jimmy Carter, gli eventi in Medio-Oriente

77 Fred I. Greenstein, The Presidential Difference. Leadership style from FDR to Clinton, New York, Martin Kessler,

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rappresentavano il palcoscenico ideale dove poter strappare la maggioranza dei voti all’avversario democratico. Da ex attore di Hollywood, nonché passato governatore della California, il candidato repubblicano seppe bene come comportarsi davanti ai riflettori, ribaltando completamente la dia- lettica pacata di Carter e sfoggiando tutti gli espedienti appresi come uomo di spettacolo. In un di- scorso pubblico al Liberty State Park di Jersey City, New Jersey, Reagan riformulò in questi termini una frase dell’allora presidente riguardo la definizione del termine “depressione”: “Well, if it's a definition he wants, I'll give him one. A recession is when your neighbor loses his job. A depression is when you lose yours. And recovery is when Jimmy Carter loses his”78.

Contro una logica così stringente e dal carattere populista, Carter non aveva molte possibilità di successo, specialmente se ad appianare la discussione ricorreva a discorsi riflessivi di questo tipo: “Government cannot solve our problems, it can't set our goals, it cannot define our vision. Gov- ernment cannot eliminate poverty or provide a bountiful economy or reduce inflation or save our cities or cure illiteracy or provide energy. And government cannot mandate goodness. Only a true partnership between government and the people can ever hope to reach these goals. Those of us who govern can sometimes inspire, and we can identify needs and marshal resources, but we simply cannot be the managers of everything and everybody”79.

In fatto di politica estera, Reagan non dovette far altro che appellarsi ai sentimenti di frustra- zione e di umiliazione ormai comuni a molti elettori americani dopo l’affronto subito in Medio- Oriente. La promessa di riscattare l’immagine degli Stati Uniti agli occhi del resto del mondo rap- presentava il primo punto nell’agenda-setting del futuro presidente e si basava su una soluzione rigorosa, immediata, che vedeva combattere il terrorismo in una lotta senza quartiere80.

Reagan vinse le elezioni il 4 novembre del 1980 con il 50,7% dei voti contro il 41% di Jimmy Car- ter, facendo conquistare al partito repubblicano una maggioranza al Senato che latitava dal 1952. Il successo fu dimostrato anche dal divario di voti ottenuti dai Grandi elettori, ben 489 a favore di

78 Presidential Library & Museum, Ronald Regan, Labor Day Speech at Liberty State Park, Jersey City, New Jersey 1

settembre 1980 in http://www.reagan.utexas.edu/archives/reference/9.1.80.html (consultato il 01/12/2015)

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The American Presidency Project, Jimmy Carter, The State of the Union Address Delivered Before a Joint Session

of the Congress, January 19, 1978 in http://www.presidency.ucsb.edu/ws/?pid=30856 (consultato il 01/12/2015) 80

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Reagan contro soli 49 per Carter, e gli stati conquistati, 44 contro 781, un risultato vincente portato a segno da una campagna elettorale quasi totalmente a favore del candidato repubblicano. Destò non poche perplessità quindi, la scelta del governo iraniano di liberare tutti gli ostaggi il 9 novem- bre, ovvero immediatamente dopo l’insediamento di Reagan alla Casa Bianca. Verosimilmente, la sua vittoria non sarebbe stata così schiacciante se il rilascio fosse avvenuto prima dell’elezioni. Carter avrebbe riconquistato forse parte della fiducia del popolo americano, ma probabilmente non il diritto di sedere nello studio ovale ancora per quattro anni. Visti i problemi economici del Paese e la retorica debole con cui pensava di affrontarli è difficile credere a chi, come Barbara Ho- neger, sostenne la teoria dell’October Surprise conspiracy, ovvero l’ipotesi secondo la quale Rea- gan non sarebbe mai diventato presidente se George H. W. Bush e William Casey non avessero preso accordi con i rapitori iraniani per ritardare la liberazione degli ostaggi fino alle elezioni82.

Fatto sta che Reagan salutò il suo predecessore ringraziandolo per aver sovrinteso alle opera- zioni svolte fino ad allora in Iran, ma ribadendo la necessità per gli Stati Uniti di cambiare linea po- litica nei confronti del resto del mondo:

"It is time for us to realize that we are too great a nation to limit ourselves to small dreams. We're not, as some would have us believe, doomed to inevitable decline. I do not believe in a fate that will fall on us no matter what we do. I believe in a fate that will fall on us if we do nothing."83

Mesi dopo questi fatti, il nuovo presidente mise in pratica tutto ciò che fino ad allora aveva so- lamente promesso a voce. L’opportunità per sferrare il proprio attacco contro il terrorismo inter- nazionale gli fu offerta dal sequestro della nave da crociera Achille Lauro, da parte di alcuni atten- tatori palestinesi. L’idea iniziale di Reagan era quella di prelevare e processare in casa propria i re- sponsabili del dirottamento, dal momento che nella vicenda era rimasto ucciso un turista ebreo americano. Ma i terroristi si erano di fatto già arresi dopo una delicata trattativa diplomatica tra Italia e Egitto e stavano per essere instradati a Tunisi. L’intervento americano costrinse l’aereo che trasportava i dirottatori ad atterrare su territorio Italiano creando da lì a poco la più grave crisi tra

81 Dave Leip's Atlas of U.S. Presidential Elections, 1980 Presidential General Election Results in

http://uselectionatlas.org/RESULTS/ (consultato il 02/12/2015)

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Barbara Honeger, October Surprise, New York: Tudor, 1989.

83 Steven R. Weisman, Reagan Takes Oath As 40th President; Promises An 'Era Of National Renewal', Washington:

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il nostro Paese e quello statunitense da dopo la fine della seconda guerra mondiale. L’episodio si concluse con un nulla di fatto e la missione americana fu annullata.

Un’altra occasione si presentò più tardi, durante il secondo mandato di Reagan alla Casa Bianca, con un nuovo attacco da parte degli americani, stavolta su suolo libico. Era opinione della sua amministrazione che il terrorismo venisse alimentato da quegli stati giudicati “outlaw”, come la Li- bia di Gheddafi, spesso vicini a istanze anti-americane e per questo ufficiosamente in guerra con- tro gli Stati Uniti. Ma la politica estera di Reagan non era costituita solamente da queste azioni di forza esemplari. Ciò che verrà alla luce solo dopo lo scandalo Iran-Contras è la strategia segreta adottata da alcuni suoi comandanti, che prevedeva il sostegno militare da parte degli Stati Uniti a tutti quei commando contro rivoluzionari sparsi nel mondo impegnati nella lotta contro i regimi comunisti. Oltre a questo, Reagan aveva approvato, attraverso la mediazione di Israele, la vendita di un consistente carico di armi a favore dell’Iran, con lo scopo di amicarsi la fazione più moderata e filo-occidentale all’interno del governo di Teheran.

Il fatto venne alla luce solo dopo la pubblicazione di un articolo da parte del settimanale libane- se chiamato Ash Shiraa, il quale il 3 novembre 1986 denunciò non solo lo scambio avvenuto tra Israele e Iran delle armi statunitensi, ma anche il conflitto che tale compravendita aveva generato ai danni dell’Iraq, che paradossalmente godeva fino a quel momento del sostegno degli Stati Uniti nel Golfo Persico84. La notizia fu riportata rapidamente dalle testate americane, le quali non perse- ro occasione per domandare al presidente come fosse possibile conciliare la sua politica intolle- rante contro gli stati incubatori di terrorismo con il presunto favoreggiamento di armi con l’Iran. Dopo la vicenda degli ostaggi era chiaro che tale notizia avrebbe avuto conseguenze sostanziali sulla figura politica di Reagan, considerato per di più che ancora molti dettagli della vicenda aspet- tavano di essere svelati.

Da un’analisi preliminare, sembrò che lo scandalo potesse raggiungere le stesse dimensioni del caso Watergate, dal momento che esistevano implicazioni ben più gravi della semplice compra- vendita. Quel che venne alla luce fu che i soldi ricavati dalla vendita delle armi venivano dirottati segretamente a favore del gruppo dei Contras, una fazione di guerriglieri del Nicaragua impegnata all’epoca nella lotta contro il regime sandinista di Daniel Ortega. Eppure i collaboratori di Reagan

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non si dimostrarono così sprovveduti come furono quelli di Nixon. La strategia adottata dall’amministrazione stavolta fu quella di collaborare passo dopo passo con le indagini e non quel- la di insabbiarle.

La spinta verso questa direzione fu data dal procuratore generale Edwin Meese, il quale scoprì il 25 novembre che la diversione dei fondi era stata riportata su un memorandum non datato rinve- nuto nell’ufficio del tenente colonello Oliver L. North. La decisione di Reagan fu quella di licenziare l’ufficiale senza in alcun modo intralciare l’iter dell’inchiesta.

Prima di allora erano stati già elargiti diversi finanziamenti nei confronti dei Contras. Il sosten- tamento dato a questo movimento contro-rivoluzionario, che Reagan considerava freedom fighters, era stato bloccato dalla Camera dei Rappresentati attraverso i cosiddetti emendamenti Boland del 1982 e 1983. Questo aveva portato l’amministrazione a cercare un altro metodo per sostenere l’opposizione contro Ortega, nonostante si fosse espressa nel 1984 anche la Corte Inter- nazionale di Giustizia dell’Aja condannando gli USA a risarcire il Nicaragua per tutti i danni causati nel paese e le violazioni delle leggi internazionali vigenti85.

La vicenda che coinvolse Reagan fu particolare, poiché furono istituite due inchieste nei suoi confronti: una indetta dal Congresso come fu per il caso Watergate e un’altra istituita dalla Casa Bianca stessa. Come anticipato, questo comportò il rallentamento non solo della giustizia, che por- tò ad ottenere due risultati pressoché identici seppur in tempi diversi, ma anche delle mansioni dell’esecutivo. La commissione della Casa Bianca, diretta da John Tower, riuscì in poco tempo a chiarire il coinvolgimento del presidente nell’operazione, descrivendolo non come diretto respon- sabile ed esecutore dell’ordine, bensì colpevole di aver commesso qualche errore di valutazione politica e di non aver sovrinteso accuratamente sull’operato del Consiglio di Sicurezza Nazionale86. Di fatto, tale conclusione assolse Reagan da ogni crimine e soprattutto salvò la sua immagine agli occhi della nazione, a discapito di North e di altri ufficiali che furono inizialmente condannati.

85 International Court Of Justice. Case Concerning Military and Paramilitary Activities in and Against Nicaragua (Nicaragua V. United States of America). United Nations Press, Gennaio 2000, p. 512

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United States Court Of Appeals For The District Of Columbia Circuit, Final Report Of The Independent Counsel For

Iran/Contra Matters, Capitolo 31 Edwin Meese, III 525, pp. 10-11, pp. 20-21, pp. 306-07, p. 311, pp. 317-18; estratto in

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Per la durata dell’inchiesta, il presidente non si espresse mai in pubblico, motivando la sua scel- ta solo il 4 marzo del 1987 davanti alle telecamere nello studio ovale:

“First, let me say I take full responsibility for my own actions and for those of my administra- tion. As angry as I may be about activities undertaken without my knowledge, I am still accounta- ble for those activities. As disappointed as I may be in some who served me, I'm still the one who must answer to the American people for this behavior”87.

Lo scandalo ebbe ovviamente ripercussioni sulla fiducia riposta nel presidente. Gallup registrò che il 27 marzo del 1987 l’Approval Rate era sceso a quota 40% contro il 64% riscosso il 1 novem- bre del 1986, qualche giorno prima della rivelazione di Ash-Shiraa. È anche vero tuttavia che dopo la confessione, Reagan riottenne la fiducia del popolo americano raggiungendo persino il 61% l’8 gennaio del 1988. Tale ripresa fu forse merito della diversa tipologia di condotta tenuta da Reagan, totalmente distante da quella di Nixon e per questo vista non allo stesso modo deprecabile. In più la confessione aveva scaricato la colpa sui militari forse più del processo stesso, facendo emergere la figura di un presidente per lo più distratto e esautorato da un gruppo di ufficiali insubordinati, da lui poi correttamente licenziati e sostituiti. “The president did what he had to do” riportò il Washington Post “He has acknowledged enormous error and chosen the right people to help him avoid any repeat of it”88.

Anche la televisione ebbe un certo ruolo nell’assoluzione di Reagan: se durante il caso Waterga- te la diretta dell’NBC e delle altre reti televisive sull’andamento dell’inchiesta si era resa determi- nante nella creazione di una massa critica da parte del pubblico, nell’affare Iran-Contras aveva solo prodotto un’ondata di noia generale89. Tuttavia fu la testimonianza di Oliver North a dare la possi- bilità ai media di ripetere il successo di audience ottenuto al tempo della commissione Ervin. La deposizione dette vita ad un fenomeno mediatico, conosciuto anche come “Olliemania”, che da un lato esaltava il ruolo del colonnello nella vicenda, ora come eroe, ora come vittima, dall’altro ren- deva ancora più chiaro come il processo si fosse trasformato in mero spettacolo televisivo, privo di

87 PBS, Ronald Reagan, Iran Arms and Contra Aid Controversy, discorso del 4 marzo 1987, pubblicato il 23 aprile

2008 in http://www.pbs.org/wgbh/americanexperience/features/primary-resources/reagan-iran-contra/ (consultato il 7/12/15)

88 David Thelen, Becoming citixens in the age of television, Chicago: The University of Chicago Press, 1996, p 31 89

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contenuto e soprattutto di senso critico. La Olliemania contagiò anche giornalisti di oltreoceano: nel tentativo di condurre un’analisi sul personaggio, Lucia Annunziata riportò su La Repubblica una brevissima intervista a North, nella quale si evidenziava non tanto il suo ruolo all’interno dello scandalo Iran-Contras, bensì come lui fosse appartenuto ad una nuova generazione di soldati post- Vietnam e di come avesse gestito con abilità missioni militari come quella di Grenada con l’approvazione soddisfatta di Reagan90. In un'altra corrispondenza, viene descritto il clima di soste- gno intorno al colonnello, gli elogi per il suo comportamento nell’udienza, l’appoggio per la sua scelta di aiutare i Contras91.

Risulta evidente che, nonostante lo strascico mediatico generato dalla vicenda di Oliver North, Ronald Reagan ha compiuto una scelta che nel lungo periodo si è rivelata vincente, così come ha affermato Eric Alterman nel suo When Presidents Lie. La menzogna costa più cara, tanto più è il tempo che serve a mantenerla in piedi e nel caso di Nixon non ha neanche portato ai risultati desi- derati92. Al contrario la condotta di Reagan ha fatto sì che la sua responsabilità politica fosse atte- nuata e che l’opinione pubblica si spostasse su personaggi ormai meno influenti come Oliver North, che con la sua confessione – durante la quale aveva più volte ammesso che senza menzo- gne non avrebbe mai portato a termine le sue operazioni clandestine – aveva di fatto compromes- so la propria credibilità.

L’Iran-Contras fu dunque uno scandalo che rientrò nella sfera politica di Reagan, minò per un certo periodo la sua fiducia, ma non gli impedì, dopotutto, di concludere all’attivo il suo secondo mandato elettorale. Nel 2011, sempre un sondaggio Gallup certificò che gli americani considera- vano il “Grande Comunicatore” il miglior presidente degli Stati Uniti di sempre, appena prima di Abraham Lincoln e opposto a Richard Nixon93. È possibile, che a determinare il risultato contrario dei due scandali, Watergate e Iran-Contras, sia stato principalmente il fatto che i due eventi si sia- no svolti in modo consequenziale. Visti i precedenti, da una parte l’amministrazione Reagan fu più prudente nel trattare con la giustizia, mentre dall’altra la stampa fattasi più sicura si concentrò alla

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Lucia Annunziata, Oliver North, il colonnello che voveva ispirare il potere, La Repubblica, 4 dicembre 1986

91 Enrico Franceschini, Colonnello Superstar, La Repubblica, 12 luglio 1987 92

Eric Alterman, When Presidents Lie. A History of Official Deception and its Consequences, New York: Viking Pen- guin, 2004.

93 Frank Newport, Americans Say Reagan Is the Greatest U.S. President, Gallup, 18 febbraio 2011 in

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ricerca dello scoop e meno della notizia. Inoltre, la demolizione avvenuta nei confronti di Carter aveva concesso al suo successore un grande margine di credibilità che egli seppe come non perde- re del tutto. Resta da notare che, in accordo con la teoria di Ginsberg e Shefter, l’utilizzo di stru- menti extra-elettorali ha causato certamente il rallentamento dell’azione politica, ma probabil- mente non ha stravolto il processo con cui i leader politici possono affermarsi agli occhi degli elet- tori. Sono state determinate azioni e condizioni a influenzare Il rapporto tra i cittadini americani e i

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