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Da Watergate a Wikileaks. Gli effetti della politica dello scandalo sull'opinione pubblica americana

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere Corso di laurea magistrale in Storia e Civiltà

Dal Watergate a Wikileaks

Gli effetti della politica dello scandalo sull’opinione pubblica americana

Candidato:

Tommaso Viscusi

Relatore:

Arnaldo Testi

Correlatore:

Arturo Marzano

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Introduzione

Nel 1990 la rivista Life citò tra i 100 uomini più importati del XX secolo George Gallup, il padre dei moderni opinion poll. È grazie al suo operato se oggi possiamo usufruire di una vasta gamma di dati di opinione che ripercorrono la storia degli Stati Uniti sin dal 1933, anno in cui Gallup conqui-stò il successo nazionale, fino ai giorni nostri1. Per lo statistico, in un governo democratico colui che viene eletto dovrebbe avere l’obbligo di conoscere quelli che sono gli interessi del proprio po-polo e rispondere in questo modo al quesito storicamente attribuito ad Abraham Lincoln: “What I want to get done is what the people desire to have done, and the question for me is how to find that out exactly”.

Nel XXI secolo, il valore legato ai sondaggi popolari è cresciuto grazie alla presenza in ogni set-tore della tecnologia informatica. In un mondo altamente interconnesso, i dati di opinione sono diventati molto più fruibili rispetto al passato e per questo facilmente analizzabili e distinguibili in varie forme. Oggi per prevedere i risultati di un’elezione non si condurrebbe un’indagine statistica basata sulla semplice domanda: “Quale presidente voteresti alle prossime elezioni?”, ma si esami-nerebbero anche i costumi, le abitudini e i gusti personali dell’elettorato desumibili dalle informa-zioni presenti in rete. La Gallup Organization dispone, per questo, di basi di dati che coprono i più sfaccettati argomenti ritenuti di interesse pubblico: dal welfare agli affari esteri, dalle politiche economiche all’istruzione, dallo sviluppo alla fiducia nel presidente. Se confrontate tra loro, alcune di queste informazioni possono aiutarci a capire come una grande fetta della popolazione ameri-cana reagisce di fronte a certi casi che hanno fatto scalpore nella storia degli Stati Uniti. In partico-lar modo, in questa sede ci interesserà analizzare le reazioni che l’opinione pubblica ha avuto dopo i principali scandali degli ultimi cinquant’anni, operazione resa possibile grazie anche alla realizza-zione di un progetto multimediale, consultabile online, che approfondisce in modo puntuale i risul-tati della nostra ricerca2. I dati, riportati in forma grafica, ci hanno permesso infatti di stabilire in modo più intuitivo e analitico le analogie e i cambi di tendenza che questi particolari eventi della storia hanno prodotto nel breve e lungo periodo nella politica e nell’opinione pubblica americana.

1 Jhon Gray Geer, Public Opinion and Polling Around the World: A Historical Encyclopedia. Vol. 1. Santa Barbara:

Jhon G. Geer, 2004.

2

Il progetto multimediale è consultabile all’indirizzo: http://progettotesimagistrale.altervista.org/ e accompagna l’elaborato scritto.

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2

Tra il 1974 e oggi, gli Stati Uniti sono stati testimoni ad una vera e propria escalation di affaires legati a celebrità pubbliche, alti funzionari statali e dirigenti politici. A partire dal padre degli scan-dali moderni, il Watergate, fino ad arrivare alle più recenti rivelazioni di Wikileaks e di Edward Snowden, ciò che la nostra tesi si prefigge di analizzare sono proprio i diversi effetti che questi epi-sodi, avvenuti sotto le presidenze di Richard Nixon, Ronald Reagan, Bill Clinton e Barack Obama, hanno avuto sull’opinione pubblica e sulla politica in generale.

Ogni scandalo infatti ha avuto un impatto diverso nell’elettorato, complici sia le condizioni del Paese al momento dell’esplodere della notizia, sia il tipo di accusa rivolta al presidente o alla sua amministrazione. È importante quindi precisare che se la maggioranza degli americani si trovò concorde con la stampa e una certa fetta della politica nel sottoporre ad impeachment il presiden-te Nixon, non è altrettanto vero che l’affaire Iran Contras o il caso Lewinsky suscitò nell’opinione pubblica una reazione di sfiducia tale da compromettere la leadership di Reagan o di Clinton.

Per spiegare il motivo di questa divergenza dobbiamo collocare l’evento nel suo quadro storico e distinguerlo attraverso una differente categorizzazione. Tra il 1972 e il 1974, l’allora presidente Richard Nixon venne accusato di abuso di potere e di intralcio alla giustizia per certi comporta-menti della sua amministrazione volti in larga scala ad indebolire l’opposizione al suo governo. I fatti vennero alla luce solo grazie al lavoro investigativo di due giornalisti del Washington Post, Bob Woodward e Carl Bernstein, e finirono per dare vita ad un’inchiesta giudiziaria dagli incredibili ri-svolti politici e mediatici.

In accordo alle rivelazioni dei due reporter e alle indagini condotte dal procuratore Sam J. Ervin, Nixon avrebbe spiato e ostacolato l’operato sia di giornalisti che politici attraverso una fitta rete di collaboratori, meglio conosciuti come plumbers, responsabili nel caso specifico del Watergate di per aver collocato nella notte del 17 giugno 1972 alcuni microfoni nella sede del quartier generale del Partito Democratico.

Questi fatti, in aggiunta ai numerosi tentativi di Nixon di insabbiare le prove, ebbero effetti enormi sull’opinione pubblica. Grazie alle rilevazioni statistiche della Gallup Organization, sappia-mo che l’approval rate di Nixon cominciò ad abbassarsi durante l’ultima fase del processo, esatta-mente quando le reti NBC, CBS e ABC decisero di trasmettere in diretta televisiva gli interventi più eclatanti dell’inchiesta giudiziaria. Da allora la fiducia nel presidente calò visibilmente, dal 66% del 23 febbraio 1973, ovvero pochi mesi dopo il suo secondo successo elettorale, al 22% del 2 febbraio

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1974, il minimo storico mai raggiunto da nessun altro presidente3. Ma questo non fu l’unico prima-to che Nixon riuscì ad ottenere dopo lo scandalo. Altri sondaggi affermano che a distanza di trent’anni, gli americani non hanno ancora dimenticato i fatti del Watergate e per questo conser-vano un’opinione sempre negativa dell’ex presidente, considerandolo il peggiore che abbia mai ri-sieduto alla Casa Bianca nella storia degli Stati Uniti d’America4.

A questo punto bisogna notare che i fatti che coinvolsero Nixon ebbero origine all’interno di un preciso quadro politico ostile, ovvero durante la guerra in Vietnam e in seguito ai bombardamenti in Cambogia e all’inasprirsi dei movimenti di protesta. Ma nonostante tali avvenimenti, furono principalmente gli errori politici a determinare il giudizio negativo dell’opinione pubblica nei suoi confronti. L’insabbiamento delle prove e i suoi molteplici tentativi di eludere la giustizia rappre-sentarono colpe ancor più gravi dei crimini che all’inizio gli erano stati imputati. Colpe che a quan-to pare non potevano essere perdonate facilmente.

Al contrario, lo scandalo che interessò Bill Clinton ebbe un’evoluzione completamente diversa. Nel 1998 il Drudge Report pubblicò le prime indiscrezioni a proposito di una possibile relazione ex-tra-coniugale tra il presidente e una stagista della Casa Bianca di nome Monica Lewinsky. Il clamo-re che suscitò la notizia - poi riportata anche da altclamo-re testate più riconosciute come il Washington Post - costrinse il Capo dello Stato ad abbandonare la maggior parte delle sue attività politiche per rispondere al nuovo attacco mediatico e giudiziario. Già in precedenza Clinton aveva ricevuto ac-cuse dello stesso genere e come Nixon la sua strategia fu quella di negare fermamente i fatti fin-tanto gli fu possibile. Eppure, ciò che risulta curioso osservare da questa vicenda è che, sebbene fosse stato ossessivamente bersagliato dai suoi avversari e fatto oggetto di discussione nei princi-pali tabloid e show televisivi, Clinton riuscì a tenere alto il suo indice di gradimento5.

Sicuramente a favorire un risultato di questo tipo fu il contesto di evidente crescita economica in cui si trovava in quegli anni il Paese. Tutti i valori erano positivi, dall’esaurimento del debito

3

Gallup.com, Presidential Approval Ratings – Richard Nixon, Gallup in

http://www.gallup.com/poll/116677/presidential-approval-ratings-gallup-historical-statistics-trends.aspx (consultato il 27/05/15)

4

Frank Newport, Nixon's Image Remains Negative 25 Years After Watergate, Gallup, 7 Agosto 1999 in http://www.gallup.com/poll/3670/nixons-image-remains-negative-years-after-watergate.aspx (consultato il 7/12/2015)

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Gallup.com. Presidential Approval Ratings -- Bill Clinton, Gallup in

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pubblico all’abbassamento del livello di disoccupazione6. È quindi plausibile che le faccende priva-te del presidenpriva-te non fossero riuscipriva-te in qualche modo a distruggere gli effetti di una politica tutto sommato molto produttiva. È da notare inoltre che l’approval rate non fu minimante scosso dalle rivelazioni scandalistiche dei media né nel momento esatto della loro pubblicazione né negli anni successivi. In tutto il suo secondo mandato Bill Clinton conservò un indice medio di gradimento del 50%, senza mai avere drastiche ricadute fino alla fine del suo soggiorno alla Casa Bianca. Anzi, pos-siamo dire che dopo lo scandalo Lewinsky, Clinton ottenne ancora più consenso da parte degli americani, riuscendo a raggiungere il 68% sull’approval rate a pochi mesi da quelle rivelazioni scot-tanti7. Merito fu anche l’intervento della first lady Hilary Clinton che in un’intervista televisiva alla Nbc condannò fermamente tutte le accuse rivolte contro il marito, ritenendo appartenessero solo ad una "vast right-wing conspiracy" volta a screditare l’immagine e il lavoro del presidente8.

Sulla base di questi esempi, possiamo quindi identificare almeno due diverse tipologie di scan-dalo: una politica e una privata. La prima, come abbiamo visto, identifica quegli avvenimenti che hanno interessato principalmente l’operato politico di chi si è trovato accusato; la seconda invece, prende in considerazione gli eventi che hanno investito la sua sfera personale. Nel confronto tra i due emerge un dato di fatto, ovvero che nonostante entrambi i presidenti siano stati oggetto di lunghe inchieste e abbiano mentito più di una volta pubblicamente, è giusto affermare che queste due diverse tipologie di scandalo abbiano prodotto dell’opinione pubblica effetti completamente opposti.

Per il caso di Reagan, dobbiamo fare un’ulteriore osservazione. L’affaire Iran-Contras rappre-sentò sicuramente un caso politico, come lo fu il Watergate, ma è importante evidenziare che al contrario di altri esempi, lo scandalo non colpì così gravemente la fiducia nel presidente9. Ronald Reagan aveva basato l’intera campagna elettorale sul tema dell’Iran, proclamando a gran voce il proprio impegno, da futuro presidente, nel rilanciare ad ogni costo l’immagine internazionale degli Stati Uniti d’America10. Tra il 1985 e il 1986, anni in cui Reagan conquistò il secondo mandato, vennero alla luce alcune indiscrezioni a proposito della liberazione degli ostaggi statunitensi

6

Stefano Luconi, La politica dello scandalo negli Stati Uniti: un limite alla sovranità popolare?, Torino: Harmattan Italia, 2006, p 128

7

Gallup.com. Presidential Approval Ratings -- Bill Clinton, cit.

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David Maraniss, First Lady Launches Counterattack, Washington Post, 28 gennaio 1998; p A01

9 Ivi. 10

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tenuti in Iran dopo il colpo di stato dello Ayatollah Khomeini (1979). Secondo l’inchiesta, il rilascio era stato il risultato di una delicata compra-vendita tra il governo americano e il regime iraniano per destinare un importante carico di armi al gruppo terroristico dei Contras impegnati in Nicara-gua. Seppure al tempo Reagan non si trovasse ancora alla presidenza, si osservò che il fatto com-baciava curiosamente con l’anno della sua prima vittoria elettorale. Quella che era parsa una sem-plice coincidenza, divenne invece materia per un possibile nuovo Watergate.

Visto il grave precedente all’epoca di Nixon, l’amministrazione fu tuttavia abbastanza astuta da consigliare a Reagan di collaborare con la commissione d’inchiesta, anziché gettarsi a capofitto in un’operazione autodistruttiva come quella di un insabbiamento delle prove. Questo comportò sì l’abbassamento temporaneo dell’indice di gradimento del presidente (dal 60% al 40%), ma con-sentì a Reagan di rimanere alla Casa Bianca per altri quattro anni e di riguadagnare durante questo tempo l’indice di fiducia (il 61% l’8 gennaio del 1988)11. In compenso, chi subì maggiori conseguen-ze da tutta questa vicenda furono alcuni funzionari vicini a lui, i quali, qualche anno più tardi sotto la presidenza di George H. W. Bush, sarebbero poi stati assolti da qualsiasi accusa12.

Quindi ciò che ha davvero salvato Reagan dallo scandalo e impedito che l’opinione pubblica inasprisse il giudizio nei suoi confronti furono forse le modalità con cui l’amministrazione scelse di confrontarsi con la giustizia, evitando così di ripetere l’esperienza di Nixon e rimbalzando la colpa direttamente contro i meri esecutori della compravendita. Ciononostante, pure in questo caso lo scandalo politico ha inficiato, anche se per un breve periodo, sulla fiducia del presidente più di quanto è riuscito a fare quello di matrice privata ai tempi di Clinton.

L’affaire Iran Contras, oltre ad aver reso più edotta la politica nell’affrontare gli scandali, ha an-che contribuito ad affermare un nuovo modello di competizione tra partiti. Per provare la colpevo-lezza del presidente, furono infatti istituite due inchieste nei suoi confronti: una indetta dal Con-gresso come fu per il caso Watergate e un’altra istituita dalla Casa Bianca stessa. Questo ebbe due conseguenze: da una parte il rallentamento della giustizia, che anche ottenendo risultati identici

11

Gallup.com, Presidential Approval Ratings – Ronald Reagan, Gallup in

http://www.gallup.com/poll/116677/presidential-approval-ratings-gallup-historical-statistics-trends.aspx (consultato il 27/05/15)

12

David Johnston, Bush Pardons 6 in Iran Affair, Aborting a Weinberger Trial; Prosecutor Assails 'Cover-Up', New York Times, 26 dicembre 1992 in https://www.nytimes.com/books/97/06/29/reviews/iran-pardon.html (consultato il 04/06/2016)

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necessitò di più tempo per concludere il proprio iter; dall’altra la distrazione dell’esecutivo che si trovò di colpo costretto a pensare ad una strategia difensiva per ogni processo invece che svolgere le sue mansioni di governo.

Secondo questa analisi, dopo il Watergate gli scandali avrebbero dato la misura di come doves-se esdoves-sere intesa da allora la competizione tra partiti, ovvero non solo come un confronto democra-tico da svolgere all’interno dell’arena elettorale, ma anche come uno scontro da consumarsi sulle testate dei giornali e nelle aule dei tribunali.

Prima del 1974, anno in cui Nixon dovette rassegnare le proprie dimissioni, non si era fatto un uso così specifico di strumenti extra-elettorali per delegittimare chi già aveva ricevuto la maggio-ranza dei voti alle urne o tentava ancora di farlo. Con Reagan, invece, si affermò una pratica che non solo faceva ricorso alla giustizia per porre in stato d’accusa presidenti o politici di qualsiasi partito, ma che - come nel caso di Clinton - richiamava all’attenzione anche aspetti privati della lo-ro vita i quali, il più delle volte, avevano solo lo scopo di rallentare l’azione del governo.

Quali sono quindi gli effetti che l’utilizzo di questi strumenti extra-elettorali ha provocato nella politica e nell’opinione pubblica? Ginsberg e Shefter hanno provato a rispondere a questa domanda nel loro Politics by Other Means. The Declining Importance of Elections in America: “As a result of party decline and deadlock in the electoral arena, political struggles have come more frequently to be waged elsewhere and crucial choices more often made outside the electoral realm”13. Esempi di questa nuova condotta sono appunto gli scandali, espedienti molto efficaci non solo per ledere l’immagine di importanti attori politici agli occhi dell’elettorato, ma anche per abbatterli sotto un profilo non più politico, ma giudiziario. Dello stesso parere si mostra essere Ste-fano Luconi che nel suo libro, La politica dello scandalo negli Stati Uniti: un limite alla sovranità popolare, delinea quella che è un’evoluzione dello scontro tra partiti definendo lo scandalo l’arma ideale con cui è possibile ostacolare sistematicamente l’operato di chi si trova a governare14.

L’Iran-Contras si distinse dal Watergate proprio per questa ragione. Secondo la teoria di Gin-sberg e Shefter lo scandalo fu l’esempio di come la politica si trasformò, in seguito alle dimissioni di Nixon, in una lotta tra partiti sempre meno legata al successo delle campagne elettorali, ma

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Benjamin Ginsberg e Martin Shefter. Politics by Other Means. The Declining Importance of Elections in America, New York: Basic Books, 1990, p 1.

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bensì incentrata sull’esito di procedimenti giudiziari, la pubblicazione di notizie scandalistiche e in generale sull’allontanamento definitivo dell’avversario dall’arena politica. L’acronimo R.I.P. (reve-lation, investigation e prosecution), rappresenta verosimilmente ciò che abbiamo detto finora, ov-vero un nuovo metodo “letale” di fare politica che, nell’ottica di un marcato declino dell’affluenza alle urne, segna secondo gli studiosi l’inizio di una nuova fase nel processo democratico, chiamata “Era post elettorale”15. È in questo scenario che il cittadino si trova ad essere meno artefice dell’esito delle elezioni e allo stesso tempo complice inconsapevole grazie al coinvolgimento dei media e del sistema giudiziario nella politica.

Ma il moltiplicarsi degli scandali e dei processi a carico di importanti esponenti politici non ha causato solamente il deterioramento del ruolo dell’elettorato. Ciò che emerge dalla nostra analisi è quella che potremmo definire una vera e propria crisi delle principali istituzioni, a partire dal Congresso e dalla Corte Suprema fino ad arrivare in senso lato anche alla stampa. La credibilità e la fiducia data a questi elementi che contribuiscono più di tutti al funzionamento corretto della so-cietà democratica si è abbassata di pari passo al crescere del numero degli scandali.

Il progetto multimediale che accompagna la nostra tesi, rappresenta bene attraverso i dati della Gallup Organization come questa crisi istituzionale sia stata avviata ai tempi del Watergate e abbia avuto nel tempo ricadute consistenti proprio in coincidenza di alcuni scandali da noi presi in consi-derazione. Secondo questi sondaggi, negli anni ’70 la fiducia che l’opinione pubblica riponeva nel Congresso e nella Corte Suprema si aggirava rispettivamente intorno al 40% e il 42%; nel 2014 l’indice è sceso fino al 7% e il 30%, un andamento che tende ancora oggi a diminuire16. Tale risulta-to è forse l’esempio di come l’eletrisulta-torarisulta-to non approvi più certi merisulta-todi e comportamenti avuti nel corso di questi anni dai rappresentanti delle proprie istituzioni?

Per quanto riguarda la stampa il discorso rimane lo stesso. La sua forza nel trasmettere e con-centrare l’attenzione dell’opinione pubblica su certi fatti o persone è stato determinante per l’esito di molti scandali, in altre circostanze invece non è riuscito a produrre quella reazione di sdegno o di sfiducia che probabilmente all’inizio si era aspettata. Per questo motivo

15

Benjamin Ginsberg and Martin Shefter. Politics by Other Means. The Declining Importance of Elections in

America, cit., pp 22-31.

16 Gallup.com, Confidence in Institutions, Gallup, 2-7 giugno 2015 in

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l’informazione, come la politica, ha subito anch’essa una crisi nel rapporto con il suo pubblico17. Nonostante il caso Watergate sia stato l’esempio di un giornalismo investigativo che intendeva af-fermare la propria indipendenza nei confronti degli organi esecutivi del governo e si poneva dalla parte dei cittadini; altre volte, come nel caso di Clinton, ha dimostrato di non aver saputo intercet-tare i reali interessi dei propri lettori.

Negli anni ’90, i media si sono concentrati assiduamente nel produrre notizie che potessero compromettere le figure di importanti attori politici o personaggi di spicco. Una delle vittime di questa corsa allo scoop fu il senatore Gary Hart, costretto a ritirarsi dalle primarie del Partito De-mocratico per una foto pubblicata sul Miami Herald in cui veniva ritratto abbracciato assieme ad una modella. Questo atteggiamento aggressivo e per certi versi anche indiscriminato da parte del giornalismo è stato, secondo anche un giornalista come Matt Bai, il prodotto dell’ambizione di gio-vani reporter che già alla fine degli anni ‘70 desideravano a tutti i costi ripetere l’impresa di Woodward e Bernstein18. L’idea di poter mettere in scacco i “poteri forti” tramite la divulgazione di materiale sensibile era un principio che già si ispirava a episodi precedenti ai fatti del Watergate. I Pentagon Papers pubblicati nel 1971 dal New York Times, avevano rivelato agli americani le con-dizioni disastrose in cui riversavano i soldati spediti in Vietnam, rapporti che il governo aveva scel-to di tenere segreti e che solo grazie all’intercessione di Daniel Elsberg poterono arrivare all’attenzione dell’opinione pubblica. Ma se il lavoro di Woodward e Bernstein prese le mosse da quello che era stato l’intento di Elsberg di sferrare una rappresaglia contro il potere politico, non possiamo dire che fu lo stesso per i giornalisti successivi. Lo scandalo che coinvolse Clinton fu pro-babilmente, per citare Fabrizio Tonello, il punto di arrivo di quel tipo di giornalismo investigativo che già dalla fine degli ’70, aveva smesso di avere un ruolo da protagonista all’interno del conflitto politico ed era tornato ad essere un mero strumento19.

Fu proprio questo mutamento a determinare il cambio di tendenza nei confronti del mondo dell’informazione. Secondo Gallup, dal 1976 al 1997 la fiducia riposta nei media da parte

17

Gallup.com, Media Use and Evaluation, Gallup in http://www.gallup.com/poll/1663/Media-Use-Evaluation.aspx (consultato il 08/03/2016)

18 Matt Bai, How Gary Hart’s Downfall Forever Changed American Politics, The New York Times Magazine, 18

Settembre 2014 in http://www.nytimes.com/2014/09/21/magazine/how-gary-harts-downfall-forever-changed-american-politics.html?_r=0 (consultato il 27/02/2016)

19Fabrizio Tonello, Campo giornalistico e campo politico nell'impeachment di Bill Clinton, Acoma, VI, 17, 1999, pp

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dell’opinione pubblica si sarebbe abbassata in modo drastico, dal 72% al 53%, e continuerà a peg-giorare nel corso degli anni successivi20. Quindi in base anche a questi dati possiamo dire che la po-litica dello scandalo ha determinato un deterioramento all’interno di tutte quelle sfere istituzionali che riguardano la cosa pubblica e accresciuto uno scontento generale da parte della maggior parte dei cittadini americani. In risposta a ciò, nel XXI secolo alcuni scandali assunsero delle caratteristi-che completamente nuove nel rapporto tra politica, elettorato ed informazione. Come vedremo, essi non possono essere inseriti all’interno di una cornice politica o privata, così come le avevamo distinte all’inizio, ma allo stesso tempo richiamano temi presenti in entrambe.

Potremmo dire infatti che le rivelazioni di Wikileaks riproposero grossomodo lo stesso conflitto politico già avviato al tempo dai Pentagon Papers e dal Watergate, ma applicato con un’importante differenziazione. Gli scandali del XXI secolo misero in stato d’accusa non solo un presidente o la sua amministrazione, ma un insieme di entità di cui facevano parte l’intera classe dirigente che si era alternata nell’arco di due legislature, le agenzie governative, l’esercito, alcune grandi multinazionali e infine il sistema dei media tradizionali.

Fondata nel 2009 dall’hacker informatico Julian Assange, Wikileaks è un’organizzazione senza fini di luco nata con lo scopo di garantire l’anonimato a chiunque nel mondo intenda smascherare comportamenti illeciti o immorali da parte di aziende, governi o istituzioni senza il rischio di essere scoperti. In pratica si tratta di replicare in via telematica quello che Daniel Elsberg o l’informatore di Woodward e Bernstein avevano fatto rivelando al mondo intero le informazioni top secret in lo-ro possesso. Banalmente il plo-rocedimento funziona in questo modo: le fonti inviano il materiale a Wikileaks utilizzando un canale sicuro predisposto dal sistema, gli attivisti analizzano il contenuto per verificare l’autenticità dei documenti, dopodiché, ignari loro stessi di chi sia stato ad inviarlo, passano a pubblicarlo sul sito web.

Da quando è stata creata, l’organizzazione di Assange è riuscita a scatenare migliaia di scandali in tutto il pianeta: dai casi di corruzione in Kenya alle torture del campo di prigionia di Guantana-mo, dai crimini di guerra delle truppe americane in Iraq alle dichiarazioni compromettenti conte-nute nei cablogrammi delle diplomazie internazionali. “WikiLeaks is a giant library of the world's most persecuted documents” ha dichiarato recentemente Assange alla rivista Der Spiegel “We

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give asylum to these documents, analyze them, promote them and obtain more. WikiLeaks has more than 10 million documents and associated analyses now”21.

La peculiarità del lavoro di Wikileaks è stata soprattutto quella di aver contribuito a creare un sistema alternativo a quello dei media tradizionali che potesse pubblicare quello che gli altri, a det-ta di Assange, non potevano o non volevano pubblicare secondo certe logiche di censura o di gua-dagno.

Eppure, per rendere davvero efficace l’impegno di Wikileaks, Assange ha dovuto il più delle vol-te compiere un compromesso con quel mondo dell’informazione da lui più volvol-te criticato. L’aiuto ricevuto dalle redazioni di alcuni giornali come il Guardian e il New York Times fu determinante per l’analisi e la scrematura dell’incredibile mole d’informazioni concentratasi nel tempo nelle ma-ni dell’orgama-nizzazione. Tra ottobre e novembre del 2010, più di 720.000 documenti furono spediti a Wikileaks da una fonte anonima - conosciuta in seguito col nome di Bradley E. Manning, analista d’intelligence dislocato in Iraq per conto della CIA22. Senza il lavoro di quel nutrito gruppo di esper-ti giornalisesper-ti sarebbe stato impossibile far emergere i punesper-ti più salienesper-ti dei documenesper-ti e fornire un quadro chiaro delle vicende all’opinione pubblica. Come Assange ottenne questo sodalizio, è ben spiegato nel libro WikiLeaks. La battaglia di Julian Assange contro il segreto di Stato, una delle più accurate monografie sulla storia dell’organizzazione e del suo fondatore, scritta da David Leigh e Luke Harding che furono i giornalisti del Guardian che ebbero più contatti con lui.

Le reazioni che avvennero in seguito alla fuga di notizie furono tuttavia molto discordanti tra lo-ro e ci aiutano a capire perché questi scandali si differenziano in modo sostanziale da quelli finora trattati. Da una parte i sondaggi dimostrarono che i documenti sulla guerra in Medio Oriente ave-vano influenzato in modo negativo il giudizio degli americani sugli scopi del conflitto, dall’altra par-te ci fu nei confronti di Wikileaks e di Assange un attacco generale provenienpar-te da ogni fronpar-te

21 Michael Sontheimer, SPIEGEL Interview with Julian Assange: 'We Are Drowning in Material', Der Spiegel, 20

luglio 2015 in http://www.spiegel.de/international/world/spiegel-interview-with-wikileaks-head-julian-assange-a-1044399.html (consultato il 05/06/2016)

22 David Leigh e Luke Harding, WikiLeaks. La battaglia di Julian Assange contro il segreto di Stato, Roma:

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la politica che arrivò in alcuni casi addirittura a paragonare l’hacker ad un terrorista23. Questo è importante, perché come abbiamo visto al tempo del Watergate o dell’Affaire Iran Contras, i parti-ti cavalcarono quasi sempre l’onda degli scandali imbastendo processi contro i rispetparti-tivi avversari e screditando il loro operato. Stavolta invece l’opposizione non poteva sfruttare le rivelazioni poi-ché ad essere accusate erano entrambe le fazioni, colpevoli di aver sovrinteso - anche se in periodi diversi - a tutte le operazioni riportate nei leaks.

In aggiunta a questo, va notato che l’approval rate di Obama non risentì mai in modo significa-tivo dell’evolversi degli scandali. A parte qualche debole flessione, il presidente democratico riuscì a mantenere alto il consenso fino al 2013, anno in cui ottenne il secondo mandato elettorale.24 Stesso scenario si ripeté durante l’esplosione del Datagate, ovvero lo scandalo che vide protagoni-ste le dichiarazioni di Edward Snowden e i piani di sorveglianza di massa tenuti nascosti dall’NSA (National Security Agency).

A cavallo tra il 2012 e il 2013, un giovane informatico e consulente tecnico per conto della CIA, decise di rivelare ad alcuni giornalisti del Guardian e del Washington Post come da anni le agenzie di sicurezza degli Stati Uniti fossero riuscite a raccogliere e analizzare tabulati telefonici, traffico in-ternet e dati bancari appartenenti a quasi tutta la popolazione mondiale. L’impresa sarebbe stata possibile grazie alla collaborazione di alcuni grandi marchi del mondo delle telecomunicazioni, co-me Google, Microsoft, Facebook, Apple, Verizon, tutti d’accordo nel condividere le informazioni private dei loro utenti con le agenzie di sicurezza. Gleen Greenwald, vincitore del premio pulitzer per il suo No place to hide, libro dove racconta la sua esperienza accanto a Snowden e i dettagli della vicenda che lo resero protagonista, ritiene che tale operazione invasiva nei confronti dei cit-tadini americani fu possibile solo dopo l’emanazione di alcune leggi, come il PATRIOT Act, che permisero alle agenzie governative di eludere legittimamente i confini della privacy. Questo tema, centrale nell’argomentazione di Greenwald e del suo informatore, si lega a doppio filo con quello della sicurezza nazionale, cara invece a detrattori di Snowden. Nel corso dello scandalo, più volte i rappresentanti del governo hanno giustificato le azioni dell’NSA come un modo per prevenire

23 Spiegel.de, Laughter in Rome, Denials in Berlin: The World Reacts to Massive Diplomatic Leak, Der Spiegel, 29

novembre 2010 in http://www.spiegel.de/international/world/laughter-in-rome-denials-in-berlin-the-world-reacts-to-massive-diplomatic-leak-a-731717.html (consultato il 24/05/2010)

24 Gallup.com, Presidential Approval Ratings -- Barack Obama, Gallup in

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tacchi terroristici e garantire la sicurezza di ogni cittadino americano25. Lo stesso Barack Obama ammise durante un’intervista televisiva che la sua amministrazione non era in possesso di alcun programma di spionaggio interno ma di “some mechanisms where we can track a phone number or an email address that we know is connected to some sort of terrorist threat”26.

La domanda che ci poniamo è se questa dichiarazione avrebbe provocato la stessa reazione nell’opinione pubblica se ad averla pronunciata fosse stato Richard Nixon all’indomani del Water-gate. Da una parte il presidente era colpevole di aver spiato alcuni avversari politici tramite delle semplici microspie, dall’altra invece c’erano i presupposti per incriminare un’intera classe dirigente che per anni aveva sovrinteso alla creazione di un sistema telematico in grado di sorvegliare le vite di tutti gli abitanti del pianeta. Il risultato, come sappiamo, è stato che Nixon fu costretto a dimet-tersi, mentre Obama non subì neanche la minima ripercussione dallo scandalo, se non un lento abbassamento del consenso dal 50% del 25 luglio 2013 al 40% del 30 novembre 201327. Il motivo potrebbe essere lo stesso di Wikileaks, ovvero che senza l’apporto della politica e della magistratu-ra, l’opinione pubblica da sé non è in grado di generare un dissenso tale da mettere in discussione il potere di un presidente. E lo stesso si potrebbe dire al contrario seguendo l’esempio di Clinton, quando a muovere l’inchiesta contro il Capo dello Stato fu solo la politica e non la sfiducia dell’elettorato.

A fronte di queste considerazioni possiamo affermare che le reazioni dell’opinione pubblica in seguito agli scandali mutano sì a seconda del contesto e degli attori politici che compongono la scenografia, ma è anche vero che sono certe caratteristiche a determinare quale impatto certe no-tizie avranno sul pubblico. Le tre categorie che abbiamo distinto finora ci aiutano a comprendere meglio la storia di questi eventi e delineano la struttura di tutto il nostro elaborato. All’inizio, tut-tavia, ci occuperemo di definire i concetti di “pubblico” e “privato” dai quali trae origine quello di “scandalo”, dopodiché passeremo ad analizzare cronologicamente gli eventi di cui abbiamo di-scusso brevemente fino ad adesso. Teniamo a precisare che con questa categorizzazione non

25

Suzanne Goldenberg, Al Gore: NSA's secret surveillance program 'not really the American way, The Guardian, 14 giugno 2013 in http://www.theguardian.com/world/2013/jun/14/al-gore-nsa-surveillance-unamerican (consultato il 28/03/2016)

26

Danny Shea, Obama’s ‘Tonight Show’ Domestic Spying Comments Contradicted By New York Times Stor, Huffing-ton Post, 8 agosto 2013 in http://www.huffingHuffing-tonpost.com/2013/08/08/obama-Huffing-tonight-show-domestic-

http://www.huffingtonpost.com/2013/08/08/obama-tonight-show-domestic-spying_n_3727404.html (consultato il 29/03/2016)

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tendiamo fissare troppo dei paletti entro i quali sarà possibile stabilire quale scandalo è politico e quali non lo sono affatto. Questa prassi infatti, seppur comoda all’euristica, ha tuttavia il difetto di inscatolare tantissimi concetti in un unico contenitore tralasciando quelle che sono le piccole sfu-mature e le contraddizioni nascoste nella trama complessa di ogni singolo evento.

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1 Pubblico e privato

Per comprendere la definizione di che cos’è uno scandalo, dobbiamo distinguere il concetto all’interno di una cornice pubblica e di una privata. Ma come nasce il concetto di pubblico? Come si differenzia uno scandalo politico da uno privato?

Nella definizione data dal vocabolario Treccani un fatto scandaloso è: “turbamento della co-scienza e della serenità altrui, provocato da azione, contegno, fatto o parola che offra esempio di colpa, di male o di malizia”. Approfondendo ulteriormente, potremmo aggiungere che lo scandalo ha in sé qualcosa di “increscioso” o “clamoroso” messo in atto da un individuo, che desta stupore e riprovazione in un altro soggetto. Eppure tra i due termini possiamo distinguere una netta diffe-renza. Quand’è che un fatto disdicevole per un individuo diventa scandaloso per la comunità? Sul-la traccia di Comte, Émile Durkheim definisce coscienza collettiva quell’“insieme delle credenze e dei sentimenti comuni alla media dei membri di una società” che “non esiste attraverso i senti-menti e le credenze presenti nelle coscienze individuali [...]. Ma evolve secondo leggi proprie”28. Interpretando le parole del filosofo, potremmo dire che lo scandalo è un’entità che prende vita nella coscienza collettiva, proprio perché è concepito in base ad un comune sentire, o meglio, ad un’opinione comune.

Prima del Settecento non si può parlare di opinione pubblica, poiché non esisteva ancora quella dimensione condivisa e libera che è propria del cittadino moderno29. Nell’Ottocento, l’organizzazione della società cominciò ad articolarsi in base all’esigenze degli individui, le idee ini-ziarono a circolare liberamente, si crearono giudizi e discussioni in merito a tutti i principali temi che coinvolgevano la nazione. È grazie all’aumento dell’alfabetizzazione e soprattutto alla diffusio-ne della stampa che possiamo riscontrare la formaziodiffusio-ne di piccoli club politici e culturali, basi sulle quali la borghesia aveva già fondato la propria supremazia nei confronti del vecchio ceto dominan-te.

Nel Novecento il concetto di opinione pubblica evolse ulteriormente grazie allo sviluppo degli strumenti d’informazione. Con l’avvento dei due grandi conflitti globali, ogni Stato approfondì e perfezionò il legame con le masse, tecnicizzando ulteriormente i propri apparati sia produttivi che

28

Émile Durkheim, La divisione del lavoro sociale (De la division du travail social), 1893.

29 Si veda per un approfondimento la definizione di Opinione Pubblica nell’enciclopedia online Treccani

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burocratici ed incentivando ogni cittadino a partecipare alle sorti della nazione. In questo quadro, il ruolo dei media divenne tanto incisivo nella trasmissione di notizie, quanto nella divulgazione di idee ed opinioni.

Walter Lippmann, il pioniere nell’analisi di questo fenomeno, analizzando la presa che giornali avevano sui propri connazionali, riscontrò con qualche nota di allarme quanto i media fossero de-terminanti nella formazione di ogni individuo. Per Lippmann il rapporto tra i lettori e la stampa del suo tempo era diventato simile a quello che esiste tra un fedele e la sua chiesa, per cui la verità aveva assunto un valore nominale al pari di qualsiasi altro oggetto30.

1.1 I media: espressione dell’opinione pubblica o del potere politico?

Proprio di fronte all’impresa di analizzare e definire il rapporto che esiste tra media, cittadini e potere, la maggior parte degli intellettuali sono soliti dividersi in due scuole di pensiero. Da una parte coloro che vedono gli organi di informazione come uno strumento di controllo in mano alle élite politiche o economiche; dall’altra chi ritiene che esista una stampa indipendente attenta ai fatti e che si contrappone ai cosiddetti “poteri forti”. Brevemente esporremo alcune tesi a riguar-do, cercando di dimostrare come lo studio dei media sia molto più complesso di quanto si voglia far apparire, a discapito di chi ritiene sia possibile suddividere banalmente la teoria in una o l’altra categoria di pensiero.

Nel 1941 fu proiettato nelle sale dei cinema Citizen Kane, film che ben testimonia il grado di consapevolezza di un regista come Orson Welles nei confronti del potere della stampa. Dieci anni più tardi Humphrey Bogart, protagonista nella pellicola Deadline – U.S.A., recita la parte di un giornalista che riesce ad opporsi da solo ad un’organizzazione criminale. Celebre la frase dell’attore che esclama: «È la stampa, bellezza! La stampa! E tu non ci puoi far niente! Niente!». Entrambe le pellicole definiscono, seppur in modo diverso, l’importanza che la stampa stava ac-quisendo intorno alla metà del Novecento. Al pari del governo, del parlamento e della magistratu-ra, anche il giornalismo cominciò a rappresentare un’istituzione utile sia ai cittadini che alla politi-ca: gli uni sempre più desiderosi di esprimere la propria opinione sulla società che li circondava e per questo chiedevano di essere ben informati; gli altri consapevoli che attraverso i media poteva essere data qualsiasi immagine del loro operato.

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Nel definire quanto questo “quarto potere” sia stato espressione più dei cittadini o del poter politico, gli intellettuali si sono divisi a seconda dei fatti che andavano ad analizzare.

Noam Chomsky, ad esempio, è uno di quegli esponenti che attribuiscono ai mezzi di comunica-zione un ruolo di controllo pervasivo all’interno della società di massa. Secondo l’esperto linguista “I sistemi democratici procedono diversamente” rispetto al passato “perché devono controllare non solo ciò che il popolo fa, ma anche quello che pensa”31. Chomsky è stato professore di lingui-stica all’MIT, considerato unanimemente un rivoluzionario nel settore per aver teorizzato la grammatica generativo-trasformazionale. Sul suo pensiero politico, al contrario, molti studiosi di-scordano con lui nell’affermare che i mass media siano ad oggi quell’“Istituzione” onnipotente che riesce a spostare i trend dell’opinione pubblica verso la direzione da lei voluta. Fabrizio Tonello, ad esempio, afferma che “i meccanismi di influenza tra mass media, istituzioni politiche e società civi-le sono più compcivi-lessi di quanto sostengano molti sostenitori dei powerful media”32. Vero che, a partire dagli anni settanta, l’utilizzo di certi metodi giornalistici ha prodotto dinamiche completa-mente nuove nel rapporto tra il pubblico e le celebrità. Secondo Tonello, al tempo delle vicende del Watergate, il giornalismo americano aveva di gran lungo superato ogni limite di ritegno e di professionalità: “L’invasione della privacy dei politici, inizialmente giustificata con l’esigenza di far luce su comportamenti illegali, è diventata la cocaina con cui un giornalismo privo di senso della misura e di una scala delle priorità si droga quotidianamente”33. Ciò ci fa riflettere non tanto sull’elemento speculativo alla base di questo atteggiamento, ma su quanto i mezzi d’informazione siano in grado oppure no di influenzare oppure distrarre l’attenzione degli elettori.

Per comprendere come si è evoluto il rapporto tra stampa e pubblico, dobbiamo tenere presen-te che, negli Stati Uniti, il giornalismo non nacque né indipendenpresen-te né commerciale. Il primo emendamento della carta costituzionale prevedeva sì la libertà di parola, di espressione e di stam-pa, ma niente conferiva agli organi d’informazione di avere il monopolio nella raccolta, selezione e distribuzione delle notizie. Quello era il compito della politica e i giornali rappresentavano i suoi megafoni. Per riscontrare i primi esempi di “giornale moderno” dobbiamo aspettare la diffusione del telegrafo e la fondazione del quotidiano “New York Herald”, nel 1835, da parte di James

31 Noam Chomsky, «La Fabbrica del Consenso.» In Libertà e linguaggio, di Noam Chomsky, Traduzione di Cesare

Salmaggi. Milano: Tropea, 1998.

32

Fabrizio Tonello. La nuova macchina dell'informazione: culture, macchine e uomini nell'industria americana dei

media, Milano: Giangiacomo Feltrinelli, 1999, p 10. 33

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don Bennet. È grazie al suo contributo che la stampa si strutturò secondo categorie di argomento, come la politica interna, la cronaca e gli affari esteri. Il suo modello era industriale, ogni copia ve-niva venduta ad un penny invece che sei e nelle sue pagine apparivano piccole inserzioni pubblici-tarie. A fine secolo presero quindi consistenza da una parte la cosiddetta stampa di élite, dove possiamo riscontrare la presenza di un quotidiano come il New York Times, e dall’altra i tabloid come quello di William Randolph Hearst, che si presentavano con una forma più popolare, simile ad un quotidiano sensazionalistico.

Questa distinzione dovette attenuarsi proprio con l’affermazione della notizia scandalistica, ov-vero nel momento in cui i giornalisti si trovarono di fronte alla possibilità di combattere il potere politico con nuove armi e rompere in questo modo definitivamente quel cordone ombelicale da cui non si erano mai realmente separati34. Episodio simbolo della tensione tra informazione e au-torità politiche fu il caso dei cosiddetti Pentagon Papers: un insieme di documenti interni dell'am-ministrazione (memorandum, comunicazioni riservate, ecc., raccolti tra il 1945 e il 1967) passati da un funzionario al New York Times, che rivelavano come da anni i massimi responsabili dell'ammini-strazione fossero coscienti del cattivo andamento delle operazioni militari in Vietnam, ma mentis-sero deliberatamente al popolo americano. Quando nel 1971 il New York Times cominciò a pubbli-carli, la Casa Bianca tentò di impedirlo con un'azione legale. A fronte di ciò, anche altri giornali pubblicarono i papers a sostegno dell’inchiesta, e così la Corte Suprema riconobbe, il 26 Giugno dello stesso anno, la legittimità delle rivelazioni, con una sentenza che viene considerata ancora oggi una storica difesa della libertà di stampa negli Stati Uniti35.

All’indomani dello scandalo Watergate, il giornalismo era diventato di fatto abbastanza maturo da comprendere quali implicazioni un episodio del genere avrebbe comportato nel rapporto tra potere e media. Nonostante questa consapevolezza, la stampa si gettò a capofitto in ogni tipo d’inchiesta politica, trascurando elementi base del giornalismo come il riportare le fonti e verifica-re i fatti raccontati36. In più si aggiunse un nuovo fenomeno, caro al nostro argomento, ovvero l’invasione senza esclusione di colpi della sfera privata, così come lo ha denunciato James Carey: “The Final Days” – un noto best seller di allora che racconta gli ultimi giorni dell’epopea Nixon –

34

Fabrizio Tonello. La nuova macchina dell'informazione, cit., 1999, pp 30-46.

35

Neil Sheehan, Vietnam. Una sporca bugia, traduzione di Giancarlo Carlotti, Casale Monferrato: Edizioni Piemme, 2003.

36

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“fu un’invasione della privacy senza precedenti, al di là dei limiti della decenza. Lo scopo del libro era l’umiliazione di Nixon e questo, da parte della stampa indipendente, è inaccettabile”37.

Un altro problema infatti che emerge dagli studi sui media è stabilire in che modo il mondo dell’informazione distingue i concetti di pubblico e privato. Jürgen Habermas, storico nonché filo-sofo della comunicazione, pubblicò nel 1962 un’opera intitolata Storia e critica dell'opinione pub-blica nella quale denuncia i mass media, colpevoli di aver limato dannosamente il confine che esi-steva tra sfera pubblica e sfera privata. A fronte di questo, Habermas rimprovera all’opinione pub-blica di aver perso quel valore partecipativo che è degno di una società democratica38.

Negli anni della presidenza Clinton, qualunque quotidiano o programma televisivo era impegna-to nella diffusione d’immagini e notizie sul caso Lewinsky. Edwin Diamond e Robert Silverman dis-sero che giornali di prestigio come il Washington Post e il New York Times, erano diventati “con-sumatori dei prodotti dei talk show, esattamente come tutti noi”39.

Probabilmente la televisione fu complice della trasformazione metodica e di contenuti della stampa cartacea, ma in ogni caso si trattò di una scelta di stile. Se infatti, da un lato, il giornale po-teva concedere relativamente più spazio all’argomentazione delle notizie, con l’avvento del servi-zio televisivo venne scelto di attenersi, oltre che alle solite regole editoriali, anche a dei limiti di tempo. Questo passaggio obbligò a sintetizzare il contenuto della notizia e a focalizzare il discorso del conduttore su alcuni temi o parole chiave. In aggiunta a questo, l’elemento della privacy venne messo in discussione nel momento in cui si assunse che tutto ciò che riguardava un personaggio pubblico, quindi anche la sua vita privata, poteva essere messo nero su bianco o trasmesso in tele-visione. Meyrowitz scrive che i politici oggi si trovano ad affrontare “un unico pubblico, privi di au-ra e più vicini al livello della persona media” perché “la televisione ce li mostau-ra in ogni occasione, spesso in attività private come stare con la famiglia o andare in vacanza”40.

Alla teoria di un giornalismo indipendente che mette in scacco i “poteri forti”, Chomsky con-trappone tutta un’altra idea. Secondo il suo parere l’informazione ha contribuito alla nascita di un

37

Ivi, cit., p 34.

38

Jürgen Habermas. «Mutamenti nelle strutture sociali delle sfera pubblica». In Storia e critica dell'opinione

pub-blica. Economica Laterza (2005). Traduzione di Augusto Illuminati, Ferruccio Masini e Wanda Perretta. 1962, pp

163-209.

39

Edwin Diamond e Robert Silverman, White House to Your House: Media and Politics in Virtual America, Cam-bridge (Ma.): MIT Press, 1997.

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clima generalizzante e confusionario entro cui l’elettorato non è più in grado di scegliere libera-mente41.

Nonostante nei suoi scritti Chomsky prenda d’assalto la maggior parte della stampa nazionale, su di lui nel 1979 il New York Times disse: “Judged in terms of the power, range, novelty and in-fluence of his thought, Noam Chomsky is arguably the most important intellectual alive”42. Alla let-tura di questa frase, Chomsky è solito aggiungere che nell’editoriale il complimento faceva solo da prefazione ad una critica, secondo la quale il giornalista si domandava come fosse possibile che un intellettuale del suo calibro potesse pensare cose “often maddeningly simple-minded” riguardo la politica degli Stati Uniti d’America43. Coniugare infatti l’intellettuale con l’attivista politico poteva risultare un’impresa ardua per il New York Times, visto e considerato che nell’ottica di Chomsky sono giornali “lapdog” come questo che contribuiscono a legittimare il potere di una piccola fetta della popolazione44.

Nel pensiero del linguista, esiste un sistema dei media altamente corrotto e subordinato alle grandi élite del paese che è l’opposto di quanto abbiamo finora detto a proposito della stampa in-dipendente. Nelle sue opere Chomsky condanna chiaramente il ruolo propagandistico degli stru-menti di informazione, delineando una mappatura di quella che chiama, citando Lippmann45, “Manufacturing consent”, ovvero “La fabbrica del consenso”.

In una sua intervista del 1992, Chomsky affermò che “propaganda is to a democracy what the bludgeon is to a totalitarian state”46. Tale proporzione spiega, secondo l’intellettuale, come lo Sta-to abbia potuSta-to determinare certe scelte politiche guidando e influenzando l’opinione pubblica at-traverso i mass media. È il caso del regime di Pol Pot in Cambogia e l’invasione indonesiana dell’ex colonia portoghese di Timor Est. In entrambi gli episodi si trattò di una strage di esseri umani, solo

41

Noam Chomsky e Edward S. Herman, La fabbrica del consenso. Ovvero la politica dei mass media, Il Saggiatore Tascabili, 2008.

42

Paul Robinson, in «The Chomsky Problem», The New York Times, 25 Febbraio 1979.

43 Ibidem. 44

Noam Chomsky e Edward S. Herman, La fabbrica del consenso, cit., 2008.

45

Walter Lippmann. Opinione Pubblica, cit., capitolo XV.

46 Chomsky.info, The Noam Chomsky web site. On Propaganda, Noam Chomsky interviewed by unidentified inter-viewer, WBAI, January, 1992, http://www.chomsky.info/interviews/199201--.htm (consultato il 27/05/15)

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che al tempo dei fatti Timor Est non ottenne mai la stessa copertura mediatica data al regime di Pol Pot e in questo caso non furono dei comunisti a compiere le atrocità47.

Chomsky fu criticato di non conoscere affatto i metodi di funzionamento all’interno di una te-stata giornalistica. Karl E. Meyer, redattore al tempo del New York Times, si era interessato alla vi-cenda e aveva deciso di chiedere spiegazioni al suo direttore:

Back in 1980, I taught a course at Tufts University. Well, Chomsky came around to this class, and he made a very powerful case that the press underplayed the fact that the Indonesian government annexed this former Portugese colony [of East Timor] in 1975, and that if you compare it for example with Cambo-dia, where there was acreage of things, that this was a "communist" atrocity whereas the other was not a communist atrocity. Well, I got quite interested in this and I went to talk to the then Deputy Foreign Editor of The New York Times , and I said, "You know, we've had very poor coverage on this" and he said, "You're absolutely right. There are a dozen atrocities around the world that we don't cover. This is one, for various reasons."48.

Secondo Chomsky, questo non è che un esempio di come attraverso i media, le grandi élite del paese controllerebbero e modificherebbero il flusso delle notizie, di conseguenza risulta difficile in accordo al suo pensiero stabilire fino a quale punto l’opinione pubblica possa essere davvero in-formata sulla realtà dei fatti. Una logica a senso unico che per certi versi semplicizza il rapporto ben più complesso e variegato che, come abbiamo visto, esiste tra media, istituzioni e pubblico. Ciò, tuttavia, che si prefigge di analizzare il nostro studio sono le reazioni che le notizie comporta-no nella popolazione, a prescindere da quelle che potevacomporta-no essere pubblicate o fu scelto di comporta-non pubblicare al loro posto.

1.2 Internet e social media

Nella cultura di oggi si è soliti accostare a tutti gli strumenti che gravitano intorno al cosiddetto cyberspazio, dal personal computer ai più moderni smartphone, il nome di “nuovi media”49. In me-rito a questo, sorgono inevitabilmente alcune domande. Come si articolano i concetti di pubblico e privato all’interno della nuova rete sociale di Internet? Come si è modificata la comunicazione al

47 Si veda per un approfondimento Darrell G. Moen, Manufacturing Consent: A Case Study of Noam Chomsky's "Propaganda Model" in Media Analysis, in http://goo.gl/x716Yh (consultato il 27 Maggio 2015). L'intervista è una

tra-scrizione di quella presente nel film "Manufacturing consent", diretto da Mark Achbar e Peter Wintonick (1992)

48 Ibidem. 49

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tempo del Web 2.0? Brevemente, potremmo dire che attraverso i nuovi media, il cittadino ha sco-perto un nuovo spazio virtuale dove esprimere se stesso e dove poter acquisire, formare, ampliare le proprie conoscenze. Se da un lato infatti, Internet consente ad un qualsiasi utente di connettersi ad una vasta gamma di aggregatori sociali (social network), all’interno dei quali egli è messo in condizione di interagire e comunicare con un pressoché illimitato numero di individui, da un altro lato permette facilmente l’acquisizione e lo scambio di quantitativi enormi di informazioni impen-sabili attraverso qualsiasi altro media.

Il Web 2.0 è anche per questo un contenitore di opinioni, di dati, di conoscenze che si mescola-no e si interconnettamescola-no (link) in maniera articolata e talvolta estremamente confusionaria. Quali sono dunque i difetti che un medium di questo tipo nasconde? Se da un lato Internet ha permesso di creare il più grande spazio sociale di tutti i tempi è anche vero che ha contribuito a limare ogni confine esistente tra privato e pubblico. Che siano i recapiti personali di un utente registrato su Facebook, oppure i documenti secretati del NSA, in entrambi i casi si tratta di quella che comune-mente chiameremo “una violazione della privacy”. Lo scandalo che in Italia porta il nome di Data-gate e che ha coinvolto la persona di Edward Snowden, ex tecnico della CIA accusato di aver pub-blicato informazioni federali giudicate top-secret, dimostra che, oltre la fragilità con cui il sistema informatico può essere intaccato, esiste un problema di definizione a proposito di ciò che deve es-sere pubblico e ciò che non lo deve eses-sere. In altre parole, quali sono le informazioni che lo Stato ha il diritto di conoscere per garantire la sicurezza nazionale e quali invece è bene che nessuno sappia?

Internet ha avuto anche il merito di creare un nuovo tipo di comunicazione, una nuova cultura basata sul mainstream e influenzata dal livello di reputazione che la macchina sociale attribuisce a tale persona o tale argomento50. Questo assume rilevanza all’interno della nostra discussione, perché ancora una volta ci pone il problema di stabilire quale sia il rapporto causa-effetto che de-termina la diffusione, o in altre parole il successo, di una notizia scandalistica. Il web può essere un catalizzatore e un propulsore di certi fatti e opinioni, ma bisogna tenere presente che l’overload di dati contribuisce anche ad alimentare una confusione generale all’interno della quale è difficile

50

Fabio Meritieri, Il grande inganno del Web 2.0, Roma-Bari: Laterza, 2009. Si veda anche per un approfondimento Martel Frédéric, Mainstream. Come si costruisce un successo planetario e si vince la guerra mondiale dei media, tra-dotto da Schianchi M., Feltrinelli, 2010.

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stinguere informazioni rilevanti a detrimento dell’utente che si trova a leggere spesso notizie ri-dondanti o addirittura false (troll)51.

Allo stesso tempo, il Web 2.0 ha avuto il pregio di dare vita ad una rete sociale che non è limita-ta al solo contesto virtuale, ma si estende anche a quello reale secondo dinamiche molto più mal-leabili rispetto a quelle precedenti. I social network consentono maggiore visibilità e interconnes-sione tra gli individui, amplificano le discussioni costruttive laddove non si dimostrano sterili e pri-ve di contenuto, possono trasformarsi in reti collaboratipri-ve in grado di guidare l’azione del gruppo verso il raggiungimento di obiettivi, la creazione di idee e la diffusione di notizie52.

Ma cosa avviene quando la rete incontra la politica? Se la notizia scandalistica è veicolata dai nuovi media, quali sono le reazioni di chi s’informa online e qual è l’uso politico che può essere fat-to dei social media? Cristian Vaccari è stafat-to uno dei primi a svolgere nel suo libro, La politica onli-ne(2012), un’analisi comparata di quello che è stato l’utilizzo di Internet da parte della politica dei maggiori stati democratici: Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia, Italia, Germania, Francia e Spagna. Per ogni paese, Vaccari ha riscontrato una trasformazione del linguaggio da parte dei principali leader politici e una crescente dipendenza dai social network. Lo scambio tra cittadino e politico avverrebbe quindi su un piano di comunicazione totalmente nuovo e interattivo, rispetto a quello univoco prodotto per esempio dalla televisione.

Negli Stati Uniti, Internet cominciò ad essere utilizzato come strumento politico a partire dalla campagna elettorale del 1996. Bob Dole, allora candidato alle primarie repubblicane, intervenne alla fine di un dibattito televisivo dicendo “Se volete veramente essere coinvolti, basta che andiate sulla mia home page, www.dolekemp96org” (si noti l’omissione del punto prima di «org»)53. Tale affermazione bastò a far riscuotere più di due milioni di visualizzazioni sul sito del candidato, man-dandolo per altro in tilt per qualche minuto54. Successivamente altri attori politici si cimentarono a pubblicizzare le proprie campagne attraverso blog e donazioni online. Nel 2004 lo strumento rag-giunse la sua maturazione durante la campagna elettorale del democratico John Kerry, il quale riu-scì a coinvolgere attraverso la piattaforma MeetUp.com più di 2,5 milioni di persone in 50.000

51

Giuseppe Riva, 2010, cit., p 154.

52

Ibidem, pp 127-145

53 Cristian Vaccari, La politica online, Bologna: il Mulino, 2012, p 81. 54

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eventi organizzati online55. Nel 2006, tuttavia, il senatore Repubblicano della Virginia George Allen saggiò sulla propria pelle quali fossero gli aspetti anche negativi del web, dopo la pubblicazione di un video su YouTube nel quale Allen apostrofò un ragazzo indiano col termine «macaca». Il fatto gli costò settemila voti56.

Ma è nel 2008 che la competizione online acquistò rilevanza mondiale, grazie alla candidatura alle presidenziali di Barack Obama. Vaccari riporta che grazie alle donazioni su Internet, Obama ri-cevette due terzi dei 750 milioni di dollari destinati ai finanziamenti elettorali. Inoltre è da notare che proprio in quegli anni, il web superò i giornali cartacei conquistando il secondo posto, dopo la televisione, come medium più utilizzato dagli americani per informarsi in merito alle elezioni. “At-traverso la piattaforma my.barackobama.com, oltre due milioni di persone hanno collaborato con la campagna, contribuendo a realizzare 200.000 eventi” scrive Vaccari “inoltre, il suo staff poteva comunicare via email con 13 milioni di destinatari e il candidato aveva oltre cinque milioni di so-stenitori sui vari social network”57.

La scelta di apparire sul web da parte dei vari attori politici ha consentito all’elettorato americano di ridefinire il rapporto con i propri leader. A partire dal linguaggio, che necessariamente ha dovu-to adattarsi a quello che è il gergo della rete, possiamo riscontrare anche un ridovu-torno alla partecipa-zione politica da parte del cittadino, che con nuovi mezzi si informa e intessa rapporti con i propri rappresentanti.

L’approccio, tuttavia, con cui i critici di Internet si accostano al web e alla politica si divide sostan-zialmente in due branche: ovvero tra quelli che sostengono il determinismo tecnologico, per cui è la tecnologia a produrre autonomamente cambiamenti sociali e politici; e chi invece sostiene la teoria del determinismo sociale, secondo la quale sono le forze sociali e la politica a plasmare la tecnologia in base alle proprie esigenze58. Se da un lato abbiamo una visione positiva nei confronti della rete, come strumento efficace per modellare e cambiare la politica e gli aspetti sociali legati ad essa, dall’altro prevale una sorta di pessimismo che inserisce il web nell’insieme degli altri me-dia e per questo soggetto agli stessi problemi e alle stesse dinamiche.

55 Cristian Vaccari, From the Air to the Ground: The Internet in the 2004 US Presidential Campaign, in «New Media

& Society», 10, n. 4, pp 647-665.

56

Cristian Vaccari, La comunicazione politica negli Usa, Roma: Carrocci, 2007.

57 Cristian Vaccari, 2012, cit., p 84. 58

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Secondo l’analisi di Vaccari, la tesi empirica della seconda concezione non reggerebbe al confronto con i dati. La politica ha dovuto ricalibrare se stessa all’interno di una nuova struttura sociale e di conseguenza ha accorciato consistentemente le distanze con il proprio elettorato, proprio in un momento storico in cui la partecipazione alla cosa pubblica dava evidenti segnali di deterioramen-to. Resta difficile comprendere questo cambiamento senza tener presente proprio il processo di trasformazione del mondo dell’informazione. Come fu la televisione per la stampa cartacea, Inter-net ha necessariamente modificato e imposto il proprio modello ai “vecchi” media. Per un editore non basta ripresentare la stessa testata del proprio giornale cartaceo su un sito web, ma deve ria-dattare i contenuti secondo regole di usabilità e accessibilità, sintetizzare le informazioni, connet-tere le pagine dei vari social network, utilizzare parole chiave per una corretta indicizzazione. Così anche un politico non può sottrarsi dall’apparire in rete, pubblicando ad esempio un tweet in ac-cordo al suo volere; oppure contro il suo interesse, immortalato in un video su YouTube mentre compie una gaffe.

L’accessibilità e la riproducibilità delle notizie sono stati fattori determinanti per il successo di al-cune grandi celebrità non solo politiche, ma anche commerciali. Eppure è lo scambio biunivoco delle informazioni che stabilisce una netta differenziazione tra Internet e gli altri media e che as-sume relativamente importanza proprio nella nostra disamina sugli scandali. La notizia in questo caso non è solo il frutto di un solo organo divulgativo che decide di rendere pubblico o meno un fatto alla popolazione. Sul web lo scandalo può nascere a partire da qualsiasi fonte, dal ragazzino che pubblica un video su YouTube col proprio smartphone, all’hacker informatico che distribuisce documenti secretati e sensazionali. Si sovverte dunque l’ordine secondo cui alcuni intellettuali at-tribuiscono a questa o quella forza politica/commerciale il potere di controllare i media. Con In-ternet otteniamo ciò che potremmo chiamare una “democratizzazione” dell’informazione, un va-lore aggiunto che, pur mantenendo al suo interno nuove e vecchie disfunzioni, segna un notevole distacco rispetto ai mezzi di comunicazione tradizionali.

1.3 Il sondaggio popolare

Gli opinion poll hanno rappresentato sin dall’inizio del loro utilizzo, la necessità di prevedere quali fossero le intenzioni di voto di ogni cittadino in vista di una elezione. Solo successivamente si è notato come questi dati potessero essere impiegati in altre tipologie di studio, come nelle analisi di mercato per definire l’andamento dei trend della popolazione nel breve e lungo periodo. L’approccio sociologico impone che la ricerca dei dati sia sottoposta ad una differenziazione

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gorica, ossia che il campione intervistato sia diviso a seconda del proprio ceto, la propria religione e la propria città di appartenenza. Gli studi avviati dalla Columbia University’s Bureau tra il 1940 e il 1960 dimostrano che l’elettorato si divide essenzialmente in due fasce: tra coloro che hanno già le idee chiare su chi votare e chi invece resta ancora indeciso. Spesso questa seconda categoria viene influenzata dall’ambiente sociale in cui è inserita, piuttosto che dall’informazione dei media. Al contrario, chi sostiene che la prospettiva sociologica non sia più adeguata allo studio degli opi-nion poll e che debba essere sostituita da un approccio più sociale-psicologico, ritiene sia necessa-rio marcare l’importanza anche di altre variabili come le attitudini politiche, il grado di conoscenza, la valutazione e il livello di partisanship nei confronti di candidati e partiti59.

Oggi gli studi statistici si focalizzano sugli aspetti sociali-psicologici dei campioni analizzati, ovve-ro si tende a stabilire quali siano le scelte degli individui attraverso le loovve-ro attitudini e non solo il loro strato sociale. “The psychological perspective has been valuable in helping us to understand the microlevel foundations of public opinion” riporta John Gray Geer nel suo Public Opinion and Polling Around the World “In short, we now have a much greater understanding of how funda-mental aspects of our democracy [ideology, knowledge, media influence, etc] evolve from the complex interplay between citizens and the political and social world in which they are im-mersed”60.

1.4 George Gallup

Nel 1936, un noto magazine americano, il Literary Digest, effettuò oltre due milioni di questio-nari per prevedere i risultati delle presidenziali di quell’anno. Secondo la rivista, il trionfatore indi-scusso della tournée elettorale sarebbe stato il repubblicano Alf Landon a discapito di Franklin Roosevelt che tentava di bissare il successo del 1933. Come sappiamo, il 60,8% dell’elettorato votò per Roosevelt mentre solo il 36,5% scelse Landon. A uscirne vincitore, oltre al candidato democra-tico, fu anche un giovane ricercatore di nome George Gallup il quale previde non solo la vittoria di Rooselvet, con uno scarto di quattro punti percentuali, ma anche il risultato errato della Literary Digest. Lo sbaglio del magazine era stato basarsi su una raccolta di telefonate e di interviste rivolte solamente a famiglie di ceto elevato, mentre l’impostazione di Gallup aveva incluso un campione eterogeneo di 50.000 intervistati e un modello matematico per il calcolo del risultato. Dopo il suo

59 John Gray Geer, Public Opinion and Polling Around the World, 2004, cit., pp 3-64. 60

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successo, i media capirono di dover rivedere i datapoll all’interno di una teoria scientifica più defi-nita che desse valore al “random sampled”, ossia il cosiddetto “common man”61.

“Gallup was an evangelist for democracy who provided a way to bridge the gap between the people and decision-makers” scrive David Moore, celebrandolo, in The Super Pollsters “He moved civilization to a higher plane by giving the common man a fair chance to be heard”62.

Nel 1958 George Gallup decise di riunire tutte le sue ricerche demoscopiche all’interno di una più moderna compagnia, alla quale dette il nome: Gallup Organization. Le sue analisi sui trend co-prono i più sfaccettati argomenti ritenuti di pubblico interesse, dal welfare agli affari esteri, dalle politiche economiche all’istruzione, dallo sviluppo al mondo dell’informazione. I dati, tuttavia, a cui solitamente libri, riviste e giornali fanno riferimento sono quelli relativi al cosiddetto “Presiden-tial Approval Rate”. L’interesse verso la democrazia e gli strumenti utili a preservare e ampliare la libertà di scelta di qualsiasi cittadino, ha portato Gallup a monitorare con sempre maggiore atten-zione l’indice di gradimento di chi si è alternato nel tempo alla presidenza degli Stati Uniti. I dati risalgono al primo mandato di Harry Truman e delineano accuratamente quello che è stato l’andamento del gradimento dagli anni ‘40 ad oggi63.

Gli opinion poll, secondo Gallup, sono l’arma con cui i cittadini possono dare voce alle proprie idee, attribuire un giudizio all’operato dei propri rappresentati, essere in larga misura l’espressione di ciò che abbiamo definito finora opinione pubblica64. Ed è per questo che le sue ri-cerche non si limitano solamente al contesto statunitense, ma si estendono anche ad altri paesi nel mondo al fine di garantire il corretto funzionamento di ogni democrazia.

Dopo la sua morte, nel 1987, la Gallup Organization è stata venduta a una società di ricerca chiamata Selection Research Inc., la quale ha voluto rafforzare il marchio adottando nuove tecno-logie all’avanguardia. Oggi la maggior parte dei dati sono reperibili sul sito www.gallup.com, il che ha permesso di dare vita al nostro progetto e di estrapolare informazioni utili alla nostra ricerca.

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Ibidem, p 39.

62

David Moore, The super pollsters: How They Measure and Manipulate Public Opinion in America, New York: Four Walls Eight Windows 2006.

63

Gallup Organization, Presidential Approval Ratings -- Gallup Historical Statistics and Trends, in

http://www.gallup.com/poll/116677/Presidential-Approval-Ratings-Gallup-Historical-Statistics-Trends.aspx?utm_source=TRENDS_A_TO_Z&utm_medium=topic&utm_campaign=tiles (consultato il 9/06/2015)

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