• Non ci sono risultati.

4 Lo scandalo nel XXI secolo

4.2 Edward Snowden e il Datagate

Un mese dopo i fatti dell’11 settembre, il governo degli Stati Uniti varò in tempi record (soli quattro giorni) il PATRIOT Act (Uniting and Strengthening America by Providing Appropriate Tools Re- quired to Intercept and Obstruct Terrorism Act of 2001), una legge federale che permetteva agli orga-

ni di sicurezza e di spionaggio come CIA, FBI e NSA (National Security Agency) di intercettare le te- lecomunicazioni dei cittadini statunitensi senza alcuna autorizzazione da parte di un tribunale. Il provvedimento doveva servire a prevenire ulteriori attacchi terroristici nel Paese e approfondire le indagini sui responsabili degli attentati.

Ma l’attacco al World Trade Center non aveva avuto soltanto l’effetto di legittimare un’operazione tanto invasiva. Il 21 settembre 2001 un sondaggio della Gallup registrò infatti che più del 90% degli intervistati esprimeva un giudizio positivo sull’operato di George W. Bush. Il risul- tato arrivava sulla scia del discorso fatto alla nazione la settimana precedente, nel quale il presi- dente aveva ben delineato la propria strategia controffensiva nei riguardi dei terroristi161. Possia- mo dire che a fronte dell’eccezionale consenso popolare riscosso dopo l’attentato, il governo non solo aveva demolito con una legge le basi fondanti del diritto alla privacy, ma anche l’opinione di quella maggioranza di americani che prima dell’11 settembre probabilmente non avrebbe mai ac- cettato la promulgazione di un provvedimento del genere.

Il PATRIOT Act modificava inoltre il FISA (Foreign Intelligence Surveillance Act), un’altra legge che era stata varata il 6 Ottobre del 1978 in risposta alle rivelazioni di Sam Ervin e Frank Church ri- guardo certe intercettazioni abusive effettuate dal governo nei confronti di gruppi e attivisti politi- ci. Il FISA aveva lo scopo di limitare l’azione degli organi di sicurezza statali tramite un tribunale speciale le cui delibere sarebbero state coperte dal segreto di Stato. Dopo il 2001, per ottenere l’autorizzazione a procedere dal FISA, il governo non avrebbe più dovuto avere ragionevoli ele-

160Michael Sontheimer, SPIEGEL Interview with Julian Assange: 'We Are Drowning in Material', Der Spiegel, 20

luglio 2015 in http://www.spiegel.de/international/world/spiegel-interview-with-wikileaks-head-julian-assange-a- 1044399.html (consultato il 24/05/2016)

161 David W. Moore, Bush Job Approval Highest in Gallup History, 24 settembre 2001, Gallup in

76

menti di colpevolezza nei confronti di un cittadino, ma sarebbe bastato considerare quella docu- mentazione materiale di rilievo per delle indagini162.

È in questo contesto che Edward Snowden cominciò a riflettere sull’eticità di quanto stava con- tribuendo a creare. Nato nel North Caroline e cresciuto nel Maryland, Snowden era da sempre sta- to un profondo conoscitore del mondo informatico. Nel libro No place to hide, Glenn Greenwald lo descrive come una mente brillante, “intelligente ed estremamente razionale” che con grande coraggio aveva deciso di rivelare al mondo ciò che per anni aveva afflitto la sua coscienza al servi- zio dell’NSA. L’intervista rilasciata a Greenwald e pubblicata sul Guardian il 6 giugno 2013 insieme a diversi documenti top-secret, avrebbe innescato lo scandalo noto come Datagate e attribuito al giornalista il premio Pulitzer.

Prima di allora, Greenwald aveva già scritto diversi articoli su Wikileaks, gole profonde e il gruppo segreto di hacker conosciuto come Anonymous. Ognuno di questi temi aveva in comune l’interesse per la riservatezza delle informazioni e delle proprie telecomunicazioni. I primi contatti con Snowden invece avvennero a cavallo tra il 2012 e il 2013, attraverso un breve scambio di email in cui un certo Cincinnatus invitava il reporter a rendere sicure le sue telecomunicazioni con sofi- sticati programmi di cifratura. Al tempo non avrebbe mai pensato che dietro a quel soprannome ci fosse stato un uomo dell’NSA ansioso di divulgare le sue importanti informazioni e per questo Greenwald lo ignorò, promettendosi in futuro di dare adito a quei preziosi consigli sulla sicurezza informatica.

Snowden non poteva rischiare di rivelare quanto sapeva senza aver prima stabilito un canale si- curo tra lui e il suo destinatario. Così capì che per attirare l’attenzione del famoso reporter doveva coinvolgere un’altra giornalista, Laura Poitras, documentarista navigata che aveva suscitato più volte scalpore grazie ai suoi delicati reportage sulla Guerra al Terrorismo. My Country, My Country è uno dei suoi primi docufilm sull’argomento. Girato nel bel mezzo del conflitto iracheno - senza alcun appoggio di una troupe televisiva o del supporto dei giornali - mostra con toni crudi e violen- ti il trattamento riservato alla popolazione irachena da parte delle forze occupanti statunitensi. The Oath, invece, racconta l’esperienza vissuta dalla Poitras accanto alla guardia del corpo di Osa-

162

Wikipedia, Section summary of the Patriot Act, Title II. Section 215: Access to records and other items under

FISA, in

https://en.wikipedia.org/wiki/Section_summary_of_the_Patriot_Act,_Title_II#Section_215:_Access_to_records_and_ other_items_under_FISA (consultato il 17/03/2016)

77

ma bin Laden e del sua autista, un inseguimento durato molti mesi per tutto il territorio dello Ye- men.

Con la Poitras non ci furono problemi a stabilire un contatto e in pochi giorni Snowden poté comunicare direttamente con Greenwald. Fu così che il giornalista del Guardian poté ricevere e analizzare finalmente una parte di quel materiale ritenuto dalla fonte così importante da pubblica- re. Scoprì che si trattava di documenti segreti registrati con il marchio dell’NSA e rilasciati dal tri- bunale del FISA, il cui contenuto sarebbe già bastato a generare uno scandalo dalle proporzioni inimmaginabili.

I due reporter vagliarono quindi la possibilità di incontrare personalmente Snowden ad Honk Hong per poter entrare in possesso della documentazione completa e concordare infine i termini della pubblicazione. Per quella missione, Greenwald decise di chiedere l’appoggio della sua reda- zione, il Guardian, e così gli inoltrò il materiale. I documenti furono giudicati attendibili anche dalla direzione del giornale e così accettarono di finanziare il viaggio a condizione di accompagnare i due reporter con un giornalista scelto da loro.

L’incontro avvenne nella stanza dell’hotel Mira, un albergo di lusso collocato nella zona più traf- ficata di Honk Hong. Snowden aveva solo 29 anni a quel tempo e come tale, il suo profilo giovane e spigliato suscitò parecchio sconcerto tra i giornalisti: “avevo dato per scontato che fosse un uo- mo maturo, sui cinquanta, sessant’anni” scrisse Grennwald “[…] sapevo che era pronto a sacrifica- re la sua vita, forse a passare il resto dei suoi giorni in carcere, pur di far trapelare le informazioni che il mondo, a suo giudizio, doveva assolutamente conoscere; per questo avevo immaginato che fosse un uomo a fine carriera”163.

Il rischio derivato dalle conseguenze di quella fuga di notizie era effettivamente elevato, visti i precedenti di Manning, ma al contrario del giovane militare, Snowden era assolutamente motivato e cosciente delle sue azioni. L’intervista iniziò con una breve presentazione del personaggio e di quella che era stata la sua esperienza lavorativa sino ad allora. Abbandonata la scuola, Snowden si era arruolato nell’esercito in reazione agli attentati del 2001, convinto come molti altri ragazzi del-

163

78

la sua età di dover dare un contributo nella “War on Terror” dichiarata da George W. Bush164. Du- rante l’addestramento tuttavia si ruppe entrambe le gambe e dovette abbandonare l’idea di parti- re per l’Iraq. Trovò quindi lavoro come sorvegliante al Center for Advanced Study of Language dell’Università del Maryland, una struttura gestita segretamente dall’NSA. Grazie al suo talento di informatico riuscì a scalare rapidamente l’organigramma dell’agenzia fino a ricoprire i ruoli di con- sulente anziano per conto della CIA e amministratore dei sistemi di informazione e telecomunica- zione. Come tale, Snowden godeva di un accesso privilegiato a tutte le informazioni dell’NSA, di qualsiasi classificazione, nonostante la conoscenza di queste non fosse prettamente necessaria per la sua funzione. Scoprì in questo modo che molti piani dell’organizzazione di cui faceva parte con- sistevano nel raccogliere e organizzare un’incredibile quantità di metadati sulla popolazione - non solo statunitense - come registrazioni telefoniche, messaggistica, traffico Internet, transazioni bancarie e molto altro.

Fu trovandosi di fronte ad una tale mole di informazioni che Snowden cominciò a rendersi con- to di quanto fosse poco etico ciò che stava svolgendo l’agenzia: “iniziai a capire che il ruolo del mio governo nel mondo non era quello in cui ci avevano insegnato a credere: è il tipo di scoperta che, a sua volta, spinge a riconsiderare il proprio modo di vedere le cose, a mettere tutto maggiormente in discussione”165. Nel 2009 l’elezione di Barack Obama aveva iniettato nuova fiducia nell’agente Snowden, dal momento che uno dei punti del programma del neo presidente consisteva nel can- cellare qualsiasi abuso di potere fin da allora perpetrato in nome della lotta al terrorismo e della sicurezza nazionale166. Nel tempo questa promessa dovette suonare falsa al giovane informatico, tanto che cominciò allora, secondo la testimonianza di Greenwald, a considerare l’idea di divulgare quanto sapeva al mondo intero. La posizione di Snowden quindi divenne la stessa di Deep Throat. Un uomo al di dentro del sistema che si trova di fronte a un dilemma essenzialmente etico: accet- tare che il governo degli Stati Uniti continui a setacciare abusivamente le comunicazione di miliardi

164

Eric Schmitt, U.S. Officials Retool Slogan for Terror War, Washington, New York Times: 25 luglio 2005 in http://www.nytimes.com/2005/07/26/politics/us-officials-retool-slogan-for-terror-war.html (consultato il 20/03/2016)

165

Glen Greenwald, No place to hide,cit., p 72.

166

Barack Obama, Remarks by the President On National Security, 5-21-09, National Archives: Washington, D.C, 21 maggio 2009 in https://www.whitehouse.gov/the-press-office/remarks-president-national-security-5-21-09 (consul- tato il 22/03/2016)

79

di individui per garantire la sicurezza nazionale, oppure rischiare di perdere ogni cosa, un lavoro, una famiglia e persino la propria libertà per veder rispettato il diritto alla privacy di ogni cittadino.

Nel 2010 fu stanziato in Giappone sempre come collaboratore dell’NSA e della CIA. In questo periodo poté non solo aumentare le sue conoscenza sul cyber-spionaggio e sui metodi di salva- guardia dei dati elettronici, ma anche accedere ad informazioni ancora più riservate delle due agenzie.

“Le cose che vedevo, stavano iniziando a farmi stare male sul serio” raccontò davanti a Greenwald “Po- tevo seguire in tempo reale i droni mentre sorvegliavano persone che avrebbero potuto uccidere, […] ve- devo l’NSA monitorare le attività telematiche degli utenti mentre digitavano sulla tastiera. Mi ero reso con- to di quanto fossero diventate invadenti le capacità di sorveglianza degli Stati Uniti [e] più lavoravo [per lo- ro] più sentivo che non potevo tenermi dentro tutte quelle cose. Trovavo immorale lasciare l’opinione pub- blica all’oscuro di tutto ciò”.

Ma ad essere importante per Snowden, oltre che la sua integrità morale, era soprattutto la tu- tela di Internet come strumento universale dove poter esprimere se stessi e le proprie idee:

“Internet mi ha consentito di sperimentare la libertà e di esplorare appieno le mie possibilità di essere umano.[…] Per molti ragazzi è un mezzo di autoaffermazione. Permette loro, esplorando, di comprendere chi sono e chi vogliono diventare. Ma il tutto, per ciascuno di noi, funziona solo se abbiamo la possibilità di restare anonimi, di commettere degli errori senza poi ritrovarceli cuciti addosso. Ho il timore [tuttavia] che la mia generazione sia stata l’ultima a godere di questa libertà”.

Come per Wikileaks, la pubblicazione dei documenti dell’NSA avrebbe potuto mettere in perico- lo molte persone che fino ad allora erano state protette dalla segretezza di quelle informazioni, per questo Snowden decise di consegnare alla stampa solo degli estratti da lui selezionati. Né lui né i giornalisti volevano essere accusati di ingenuità per aver messo a repentaglio la vita di qualche essere umano nella loro lotta contro il segreto di Stato.

Per quanto riguarda invece il metodo di pubblicazione, la strategia di Greenwald fu di rivelare in diversi step sia il contenuto dei documenti che l’identità dell’informatore, così da sondare il terre- no e le reazioni da parte dell’opinione pubblica. Il materiale sarebbe stato analizzato, come voleva Snowden, da una testata giornalistica, così da fornire un contesto logico entro il quale chiunque avrebbe potuto capire la storia. L’aiuto dei media consisteva proprio in questo: inscatolare quella

80

mole incredibile di informazioni in una narrazione comprensibile, cronologica e soprattutto verifi- cata.

La scelta del giornale ricadde in prima istanza sul Washington Post. La Poitras aveva già collabo- rato prima con la testata ed era certa che lo scoop in mano loro sarebbe stato difficile da demoniz- zare. Ma per i dirigenti del giornale era rischioso recarsi ad Honk Kong: a loro detta, rilasciare un’intervista su suolo cinese a proposito di come il governo degli Stati Uniti aveva per anni raccol- to informazioni segrete sugli americani e su altri Stati, era agire da sconsiderati. Così Greenwald optò per il Guardian. Sarebbe stata la sua redazione a ricevere di volta in volta il materiale di Snowden e iniziare così l’escalation dello scandalo167.

Cruciale fu l’intervento di Ewen MacAskill, l’uomo che il Guardian aveva deciso di far accompa- gnare ai due giornalisti. Dopo aver incontrato anche lui l’informatore, tutti erano ormai certi che lo scoop sarebbe uscito, l’unica cosa ancora da determinare però era il quando. Il direttore del Guar- dian Alan Rusbridger era assolutamente convito di dover andare in stampa prima del Post, che no- nostante tutto era ormai a conoscenza della notizia e avrebbe potuto già pubblicare le prime rive- lazioni. C’erano tuttavia cavilli legali ancora da sciogliere e Greenwald pensava già a come il gover- no avrebbe potuto intervenire per bloccare o attutire la portata dello scandalo. Janine Gibson era all’epoca corrispondente ufficiale a New York per conto del Guardian. Dopo essersi messa in con- tatto con Honk Kong, aveva vagliato tutti i rischi legali insieme ad un nutrito gruppo di avvocati per poi decidere insieme a Rusbridger di rendere noto direttamente la Casa Bianca e l’NSA di quel che erano intenzionati a fare. Greenwald riporta che dopo quel contatto il governo aveva insistito nell’incontrare la direzione del giornale per spiegare meglio il contesto delle loro informazioni. Di conseguenza, i due giornalisti, temendo possibili revisioni, stavano già considerando l’idea di pub- blicare in maniera indipendente tutto il materiale di Snowden su un sito web aperto ad hoc, quan- do la Gibson rassicurò Greenwald di essere vicina ad una risoluzione e che Rusbridger stava rag- giungendo New York per sovrintendere personalmente alla pubblicazione.

Il tempo passava e tra Greenwald e il Guardian la tensione diventò insostenibile, il primo troppo impaziente di far uscire il pezzo e irritato di come la sua redazione non riuscisse a prendere di pet- to la situazione, il secondo che non riusciva a dare una data definitiva per la pubblicazione

167

81

dell’articolo. Alla fine, alle 11:05 del 6 giugno 2013 il Guardian uscì con il primo pezzo: NSA collec- ting phone records of millions of Verizon customers daily.

La notizia rivelava attraverso un’ordinanza del tribunale FISA, come un noto fornitore di servizi di telecomunicazione americano, Verizon, aveva consentito al governo degli Stati Uniti di accedere su base continuativa a tutte le telefonate in transito nei loro sistemi sia all’interno del Paese che all’estero. Chi veniva accusato non era tuttavia la sola compagnia telefonica, ma l'NSA che attra- verso questi documenti aveva mostrato chiaramente la misura della sorveglianza interna sotto l'amministrazione Obama168.

La reazione da parte dei media fu istantanea. Nel giro di poche ore, tutti i quotidiani online e i telegiornali trasmisero le rivelazioni di Snowden. Nacquero dibattiti, vennero rilasciate interviste; il portavoce della Casa Bianca si trovò costretto a confermare l’esistenza del programma di acquisi- zione dati così come fece il membro del congresso Dianne Feinstein, una delle più forti sostenitrici della dottrina sulla sicurezza di Stato: "This is called protecting America" disse la Feinstein durante una sua dichiarazione ufficiale "People want the homeland kept safe”169. In seguito, l’ex vice presi- dente Al Gore denunciò in toto l’operato della NSA affermando in un tweet che: “In digital era, privacy must be a priority. Is it just me, or is secret blanket surveillance obscenely outrageous?”170. Nel documentario della Poitras, Citizenfour, si percepisce molto bene la preoccupazione di Snowden il giorno dopo le rivelazioni, nonostante lui fosse perfettamente cosciente sin dall’inizio dei rischi a cui stava andando incontro. Sotto Barack Obama, e specialmente dopo lo scandalo dei War Log, era stata messa in atto, ai sensi dell’Espionage Act del 1917, una vera e propria caccia al- le talpe. Dall’inizio del suo mandato, ben sette responsabili di fughe di notizie, tra cui Bradley Manning, erano stati messi in stato d’accusa, il doppio se consideriamo tutti i precedenti avvenuti

168

Glenn Greenwald, NSA collecting phone records of millions of Verizon customers daily, The Guardian, 6 giugno 2013, in http://www.theguardian.com/world/2013/jun/06/nsa-phone-records-verizon-court-order (consultato il 27/03/2016)

169 Dan Roberts e Spencer Ackerman, Senator Feinstein: NSA phone call data collection in place 'since 2006', The

Guardian, 6 giugno 2013 in http://www.theguardian.com/world/2013/jun/06/court-order-verizon-call-data-dianne- feinstein (consultato il 28/03/2016); Charlie Savage, Edward Wyatt e Peter Baker, U.S. Confirms That It Gathers Online

Data Oversea, New York Times, 6 giugno 2013 in http://www.nytimes.com/2013/06/07/us/nsa-verizon-

calls.html?_r=0 (consultato il 28/03/2016)

170

Suzanne Goldenberg, Al Gore: NSA's secret surveillance program 'not really the American way, The Guardian, 14 giugno 2013 in http://www.theguardian.com/world/2013/jun/14/al-gore-nsa-surveillance-unamerican (consultato il 28/03/2016)

82

assieme sotto le altre amministrazioni171. Tutto questo nonostante l’Espionage Act fosse stato pensato per colpire spie nemiche appartenenti ad altri Paesi, non gli stessi cittadini americani. Snowden tuttavia aveva messo in chiaro sin da subito che avrebbe accettato le conseguenze delle sue azioni; si era recato ad Honk Kong fiducioso che in questo modo sarebbe stato difficilmente estradato, ma nonostante ciò si era messo l’anima in pace nel caso fosse stato costretto a passare il resto della sua vita in prigione.

Greenwald suggerì quindi al Guardian di proseguire nella pubblicazione del resto del materiale, ma fu il Washington Post a rendere noto per la prima volta, il 7 giugno 2013, il programma d’intelligence denominato PRISM172.

Fu una notizia molto più rilevante della prima poiché andava a colpire società informatiche im- portanti come Google, Facebook, Apple e Microsoft, le quali, secondo i documenti dell’NSA, avrebbero consentito all’agenzia di ottenere dal 2008 qualsiasi tipo di informazione riguardo i pro- pri utenti. L’indignazione stavolta fu globale, milioni di persone in tutto il mondo adesso sapevano che le loro conversazioni via email, chat o video-conference erano state archiviate e consegnate nelle mani dell’intelligence americana.

A differenza di Wikileaks, i media non attaccarono nel loro complesso l’operato di Greenwald e della Poitras, anzi lo supportarono con invettive ancora più accusatorie e indignate all’indirizzo del governo statunitense. Probabilmente tale atteggiamento fu possibile perché i due giornalisti face- vano parte di quello stesso sistema d’informazione che poco aveva a che fare con Wikileaks. Il la- voro di Assange era dichiaratamente provocatorio nei confronti dei media tradizionali, suggeriva un’alternativa pericolosa alle establishment dell’informazione, nonostante il suo scopo fosse sem- pre lo stesso: divulgare notizie.

In questo caso la voce di Snowden veniva trasmessa attraverso i megafoni di due importanti giornali come il Guardian e Washington Post, per cui non c’era alcun attacco sottinteso al vecchio

Documenti correlati