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1.5.2 Il catalanismo indipendentista

L’indipendentismo catalano nasce come sentimento di frustrazione conseguente alla dittatura di Primo de Rivera degli anni ’20 del secolo scorso. Tale sentimento si sviluppò e crebbe durante gli anni del franchismo, soprattutto negli anni ’60 e ’70, periodo in cui l’indipendentismo assunse caratteri anche anticolonialisti, parallelamente al processo di decolonizzazione che stava interessando le aree di tutto il mondo. Un ruolo chiave nell’ambito della spinta verso l’indipendenza fu giocato dal Consell Nacional Català68, un movimento che raccoglieva la partecipazione di catalani separatisti esiliatisi in altri Paesi.

Uno dei membri di spicco di tale movimento fu Josep M. Batista Roca, il quale si rese promotore di una “nuova Renaixença”69

della Catalogna, la quale questa volta non doveva limitarsi solo all’aspetto culturale, ma prevedeva un programma d’indipendenza politica. Le teorie politiche di Batista Roca si fondavano su una necessaria cooperazione economica a livello europeo a livello regionale più che statale. Tale teoria di base del pensiero di Batista Roca aveva due

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J.M. Colomer, Op. Cit., pp. 268-269.

68 Organizzazione in ambito internazionale nata come risultato della Conferència Nacional Catalana

tenutasi in Messico nel 1953.

69 “Nuova Rinascita”, termine con il quale Batista si riferiva al movimento culturale del XIX secolo

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aspirazioni principali, ossia il superamento dell’idea artificiale di Stato e l’internazionalizzazione della questione catalana. Il Consell Nacional Català nel corso degli anni ’60 richiese il riconoscimento all’UNESCO dei diritti culturali e linguistici della Catalogna; avanzò addirittura richiesta all’ONU per l’applicabilità delle risoluzioni relative alla decolonizzazione del Terzo Mondo a proposito della loro questione. L’idea di nazione per Batista Roca era, dunque, di tipo etnico e culturale (con ruolo centrale della lingua), di origine medievale, inevitabilmente in contrasto con il concetto moderno di Stato.70

Altro esponente separatista del Front Nacional de Catalunya71 fu Manuel Cruells, il quale basò il suo pensiero politico sugli scritti dell’occitano Robert Lafont, del quale Cruells tradusse un’opera in catalano, “La revolució regionalista”. Tale testo indicava, attraverso varie esperienze di Paesi liberatisi dal dominio coloniale, che esistevano dei colonialismi di tipo interiore. Lafont riporta l’esempio della sua Francia, caso di Stato nazionale europeo in cui alcune regioni (come la Corsica, l’Occitania e la Bretagna), definite “colonie interiori”, presentavano un livello di sviluppo economico inferiore rispetto al resto del territorio. Analogamente Cruells cerca di adattare l’esempio di Lafont alla Catalogna (o ai Paesi Catalani).72

È proprio nella decade degli anni ’60 che viene realizzata e diffusa la mappa dei Paesi Catalani, ad opera di Joan Ballester. Come si è già accennato nel secondo paragrafo di questo capitolo, tale mappa raccoglieva sotto un unico Stato i territori nei quali veniva praticato l’uso della lingua catalana. Ballester affermava anche che l’Europa costituisce un mosaico etnico, nella cui mappa la vecchia idea di Stato artificiale, i

70 J.M. Colomer, Op. Cit., pp. 270-271.

71 Il fronte patriottico catalano fondato nel 1940 e operante in clandestinità fino al 1970. 72

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cui limiti non corrispondono a quelli della Nazione, doveva essere sostituita da nuovi Stati più fedeli alla mappa delle Nazioni.73

Le teorie politiche dell’ala indipendentista dei nazionalisti catalani trovarono concretizzazione nella creazione del Partit Socialista d’Alliberament Nacional dels Països Catalans (PSAN)74

nel 1969. Josep Ferrer divenne il portavoce del nuovo movimento politico, il quale si basava sulle idee repubblicane precedenti alla dittatura, sull’attenzione ai movimenti anti-colonialisti che si stavano affermando in tutto il mondo e sul concetto di “colonia interiore” di Lafont. Ferrer afferma che, nel momento della nascita del PSAN, non esisteva alcuna forza politica o sociale nella quale potessero confluire i patrioti catalani, fino ad allora considerati degli outsiders. Per la sua idea di nazione catalana, Ferrer affermava la necessità di abbracciare le teorie socialiste. Di conseguenza l’intenzione di Ferrer (e del PSAN in generale) era quella di fare breccia nelle classi popolari, in particolare la classe operaia industriale, i cui interessi, come abbiamo affermato nel paragrafo precedente, non venivano tutelati al pari di altri ceti sociali da Jordi Pujol e dal CDC, che anzi vedevano della classe operaia di origine non catalana un pericolo nella ricerca della purezza di quella catalanità atavica. Inoltre Ferrer riaffermava la condizione di colonia della Catalogna alla pari di qualsiasi altro Paese del Terzo Mondo. In uno dei suoi scritti affermava in maniera significativa:

“És que la nostra societat no sofrí les mateixes fases històriques d’un país colonitzat?: ocupació militar, captació i desnacionalització de les classes dirigents per convertir-les en titelles d’ocupació, drenatge econòmic sense contrapartida, mediatització en el desenvolupament econòmic i històric. Despersonalització política (...), persecució de la

73 Ivi, p. 272. 74

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llengua i la cultura nacional, educació dels infants en la cultura estrangera tot ignorant la pròpia, etc., etc. No és colonitzar tot això?”75

Ferrer adatta al caso catalano lo schema sociale fondato sulle “quattro classi” diffusa nell’ambito dei movimenti anti-coloniali. In particolare identificava una grande borghesia filo-spagnola da un lato; una borghesia “nazionale” dall’altro; una grande fascia sociale nella quale confluivano la piccola borghesia, la classe contadina ed i salariati qualificati, nei quali secondo Ferrer era più vivo un sentimento nazionale e di oppressione; in fine la classe degli operai non qualificati, in gran parte corrispondente alla popolazione immigrata.76

Un’ala estremista del PSAN non disdegnava l’affiancamento della lotta armata a quella legale e parlamentare. Uno dei fondatori del movimento, Carles Castellanos, prendeva come modello d’azione l’operato in Irlanda dell’IRA (l’esercito repubblicano irlandese) e cercando di incanalare la propria azione politica sulla scia dell’ETA77

nei Paesi Baschi.

Nonostante le varie sfumature, nelle idee politiche dei militanti del PSAN e della corrente indipendentista in generale appariva il paradosso della rivendicazione della creazione di uno Stato nuovo catalano e

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“È vero o no che la nostra società ha sofferto le stesse fasi storiche di un paese colonizzato? Occupazione militare, denazionalizzazione delle classi dirigenti col fine di convertirle in presidi di occupazione, drenaggio economico senza alcuna contropartita, snaturamento dello sviluppo economico e storico, perdità di identità politica (…), persecuzione della lingua e della cultura nazionale, educazione dei bambini verso la cultura straniera ignorando la propria, etc. Non è colonizzare tutto questo?”. In Josep Ferrer, Per l’alliberament nacional i de classe, Barcelona-Ciutat de Mallorca-València, Avançada, 1978.

76 J.M. Colomer, Op. Cit., pp. 276-277. 77

ETA è l’acronimo di Euskadi Ta Askatasuna (Patria basca e libertà), un movimento basco armato e clandestino, di ideologia marxista-leninista, che ha come aspirazione principale la creazione di uno Stato basco socialista staccato dallo Stato spagnolo e da quello francese. I Paesi Baschi storicamente sarebbero formati da tre dipartamenti della regione francese dei Pirenei Atlantici, dall’attuale regione dei Paesi Baschi e dalla provincia della Navarra in Spagna.

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l’affermazione naturalista (soprattutto linguistica), quindi antistatalista, della questione nazionale.78