CAPITOLO 3: EZIOLOGIA E PREVALENZA DELLA CATARATTA NELLA
3.2 Cataratta secondaria
3.2.1 Cataratta metabolica
Il diabete mellito nel cane rappresenta una delle più frequenti patologie di natura endocrina (Davidson, 1999), e si caratterizza spesso per l'insorgenza, più o meno rapida, di una cataratta secondaria, quale complicazione più frequente, a livello oculare, per la specie canina (Basher & Roberts, 1995; Beteg, 2008; Cook, 2008). Si tratta, infatti, di una delle tipologie di cataratta più comuni nel cane, soltanto seconda per frequenza alla cataratta ereditaria (Mancuso & Hendrix 2016).
Circa il 50% di cani diabetici sviluppano una cataratta nei 6 mesi seguenti la diagnosi di diabete mellito (Davidson, 1999; Turner & Bouhanna, 2010; Gemensky et al., 2015), mentre circa il 75% e l’80% di essi la sviluppano rispettivamente dopo 12 e 16 mesi (Davidson, 1999). Il tasso di prevalenza di cataratta nei cani diabetici varia tra il 68% (Wilkinson, 1960; Gilger et al., 1993;
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predisposizioni di razza: in alcune razze canine infatti, quali il Barboncino, i cani da caccia, i meticci e le razze sportive, risulta maggiore il rischio di sviluppare una cataratta diabetica rispetto ai Terriers, le razze toy e i brachicefali (Davidson, 1999). Presumibilmente la gravità clinica del diabete, cosi come la risposta alla terapia insulinica, varia da una razza all’altra, condizionando così anche l'insorgenza delle complicazioni secondarie all'endocrinopatia (Davidson, 1999).
Nei cani normoglicemici solo il 5% del glucosio viene metabolizzato dalla via del sorbitolo. Nei soggetti iperglicemici, si verifica un’eccessiva penetrazione di glucosio all'interno della lente (Peruccio, 1987). Lo zucchero in eccesso, satura l’esochinasi ed è conseguentemente deviato nella via dei polifenoli, dove è convertito in sorbitolo dall’aldosi reduttasi. L’accumulo intracellulare di sorbitolo crea pertanto un effetto iperosmotico che provoca un afflusso di fluido all’interno della lente e un'eccessiva idratazione delle sue fibre, le quali si rompono, con conseguente formazione di vacuoli (Peruccio, 1987; Sato, 1991; Gelatt, 1999, Beteg, 2008; Mancuso & Hendrix 2016; Nartey, 2017). Inoltre, una serie di cambiamenti biochimici, portano a una modificazione della concentrazione degli elettroliti, a una diminuzione dei livelli di ATP, degli aminoacidi, del glutatione, del monoinositolo e a una riduzione dell’attivita della ATpasi (Gelatt, 1999). Tali modificazioni biochimiche sono alla base di meccanismi patologici, quali lesioni ossidative che esitano nella diminuzione della permeabilità di membrana. Questa, unitamente al danno osmotico provoca l’insorgenza della cataratta diabetica (Gelatt, 1999).
La cataratta diabetica è caratterizzata da una rapida progressione e da una cecità che si manifesta nel soggetto in maniera piuttosto improvvisa (Gould, 2002; Wilkie, 2006; Turner & Bouhanna, 2010). La rapidità con cui si sviluppa questa patologia è essenzialmente determinata dalla glicemia (una terapia insulinica adatta può rallentare la progressione della cataratta), dall’età del paziente e dalla sua specie di appartenenza, in quanto, la concentrazione di aldosi reduttasi all’interno della lente è specie-dipendente (Gelatt, 1999). Alle volte, quando la cataratta si sviluppa molto rapidamente, la tumefazione delle fibre è tale da provocare una rottura spontanea della lente (Cottrill, 2007; Turner & Bouhanna, 2010; Mancuso & Hendrix 2016) che può determinare lo sviluppo di un’uveite facoclastica ed eventuale glaucoma (Cottrill,2007). La rottura della lente avviene in media 123 giorni dopo la diagnosi di diabete mellito (Wilkie, et al.,2006). Questa complicazione non dipende tuttavia
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dalla razza, ad eccezione del Labrador Retriever, in quanto risulta essere una razza canina particolarmente suscettibile a tale complicazione (Wilkie, et al., 2006).
La diagnosi di cataratta diabetica si base principalmente sull’anamnesi e sulla visita oculistica. La reazione di minaccia è spesso attenuata o assente mentre i riflessi fotomotori sono generalmente normali, anche se, in alcuni casi, possono essere rallentati (Turner & Bouhanna, 2010). Più comunemente si tratta di una cataratta matura, simmetrica e bilaterale (Peruccio, 1987; Turner & Bouhanna, 2010). Di frequente riscontro sono delle fessurazioni ripiene di liquido a livello delle linee di suture (Cottrill, 2007; Turner & Bouhanna, 2010; Mancuso & Hendrix 2016). Spesso, il fondo oculare non è valutabile (Turner & Bouhanna, 2010). Nel caso in cui, il diabete nell’animale sia già conclamato, la diagnosi eziologica sarà indubbiamente più facile, anche se devono sempre essere presi in considerazione altre tipologie di cataratta (Turner & Bouhanna, 2010). Se al contrario, il diabete non è stato diagnosticato, la rapidità di insorgenza della cataratta, associata a una poliuria e polidipsia, un dimagramento repentino nonostante la polifagia, e uno stato di debolezza rappresentano sicuramente i dati essenziali grazie ai quali poter formulare correttamente una diagnosi di diabete mellito che sarà confermato dalla valutazione della glicemia e della fruttosamina (Turner & Bouhanna, 2010). Anche in assenza di sintomi evidenti, tutti i cani al di sopra dei 3 anni che presentano una cataratta in rapida evoluzione, devono essere sottoposti a questi accertamenti (Peruccio, 1987). In alcuni casi l'uveite facolitica/facoclastica, scaturita dalla rapida evoluzione della cataratta, aggrava ulteriormente il quadro clinico, compromettendo anche la qualità di vita del paziente (Gelatt, 1999; Turner & Bouhanna, 2010; Mancuso & Hendrix 2016).
Per la terapia della cataratta diabetica sono disponibili in commercio alcuni farmaci inibitori dell’aldoso-reduttasi (Peruccio, 1987; Gelatt, 1999); tuttavia, quando l’opacità della lente progredisce fino al raggiungimento della maturità, il trattamento medico non risulta più efficace e la chirurgia rappresenta l'unica terapia (Peruccio, 1987). La presenza di uveite facolitica pre-operatoria è un fattore prognostico negativo ai fini del successo dell’intervento, e, se presente, deve essere trattata prima della chirurgia, mediante l'instillazione oculare di agenti anti-infiammatori (Turner & Bouhanna, 2010).
I soggetti diabetici sono generalmente buoni canditati all’intervento di facoemulsificazione (Gould, 2002) con percentuali di successo pari a 85-90% (Turner & Bouhanna, 2010). In previsione dell'intervento, è consigliabile che il diabete sia stabilizzato prima della chirurgia,
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in quanto, sia i farmaci anestesiologici, sia la terapia medica pre e post-operatoria, potrebbero peggiorare le condizioni generali del paziente (Gould, 2002). Ciononostante, alcuni chirurghi scelgono di operare prima della comparsa dell’uveite facolitica, a prescindere della stabilizzazione del diabete (Turner & Bouhanna, 2010). Le principali complicazioni post- operatorie sono un’uveite persistente, un’ulcera corneale, cheratocongiuntivite secca (KCS), glaucoma e/o distacco di retina (Turner & Bouhanna, 2010). Solitamente i cani diabetici presentano un test di Schirmer con valori inferiori ai cani non diabetici (Cullen, 2005), probabilmente per il fatto che i soggetti affetti da diabete possiedono una minore sensibilità corneale e quindi, una produzione lacrimale riflessa inferiore rispetto a individui sani (Good,2003; Cullen, 2005). Inoltre, la scarsa qualità del liquido lacrimale dei cani diabetici predispone con maggiore facilità allo sviluppo di una KCS secondaria (Cullen, 2005). La frequenza con la quale i cani affetti di diabete mellito sviluppano una KCS post-chirurgica è quindi maggiore rispetto ai cani sani (Gemensky‐Metzler,2015). In particolare, i cani diabetici di piccola taglia sono maggiormente colpiti rispetto ai pazienti diabetici di grande taglia e ai soggetti non diabetici (Gemensky‐Metzler,2015). Un monitoraggio accurato della produzione lacrimale e l'uso regolare di lacrime artificiali nel postoperatorio sono perciò essenziali per una corretta lubrificazione della superficie oculare (Gemensky‐Metzler,2015).
3.2.1.2 Cataratta ipocalcemica
Questo tipo di cataratta si manifesta secondariamente a una malattia metabolica (come ad esempio l’ipoparatiroidismo primario) (Mancuso & Hendrix, 2016), o a problemi renali (Crawford & Dunstan, 1985; Bruyette & Feldman, 1988; Kornegay et al., 1980) mentre più raramente avviene in seguito a un deficit nutrizionale (Mancuso & Hendrix, 2016). Tipicamente, si presenta bilaterale e simmetrica (Crawford & Dunstan, 1985; Bruyette & Feldman, 1988; Kornegay et al., 1980) con delle aeree puntiformi multifocali corticali (Mancuso & Hendrix, 2016). Si pensa che le opacità si formino in seguito a difetti ipocalcemici associati ad alterazioni nel trasporto attivo dei cationi a livello dell’epitelio subcapsulare con un conseguente aumento del contenuto di sodio e una perdita di potassio nella lente (Gelatt
et al., 2013). Questi cambiamenti determinerebbero uno squilibrio osmostico responsabile del
rigonfiamento e della rottura delle fibre del cristallino (Gelatt et al., 2013). Il trattamento della patologia responsabile dell’ipocalcemia può prevenire la formazione di nuove opacità ma non
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di certo eliminare quelle preesistenti (Gelatt, 2013). Generalmente, questo tipo di cataratta, non altera la funzione visiva (Thayananuphat, 2015).