Oltre ai meriti poetici, si deve a Franco Scataglini il concetto di
“Residenza”,che sviluppava un progetto di Carlo Antognini consistente nell’idea di una marchigianità letteraria in un tempo di forte diaspora di intellettuali e scrittori marchigiani. L’intento di Scataglini era di ar-ginare questa fuga e vedere le Marche non attraverso un’idea astratta, ma come luogo di confronto concreto per vivere la propria condizione di poeti. Infatti Martina Daraio scrive: «Si è così arrivati in tempi re-centi a spostare l’attenzione dall’idea di poesia delle Marche a quella di una poesia nelle Marche ripensando problematicamente il concetto di territorio quale contenitore di una reticolarità relazionale più che di un’identità prodotta storicamente».30 Molti hanno visto come elemento
30 M. Daraio, Lo spazio della poesia. Il caso marchigiano negli anni della diaspora e
comune ai marchigiani il paesaggio leopardiano, che si apre anche alla contemplazione e a domande metafisiche. Soprattutto i dialettali hanno mostrato un forte legame ai luoghi attraverso l’uso degli idiomi locali. I neodialettali al contrario hanno superato in qualche modo questo oriz-zonte limitato alla regione, trattando temi comuni agli autori in lingua.
Il peso della tradizione è consistente, ma attualmente secondo Davide Nota31 sta avvenendo un sostanziale cambio di prospettiva dovuto a cause economiche, politiche e sociali. La nuova idea di residenza deve essere relazionata ai processi di industrializzazione che hanno colpito le periferie urbane, causando uno sdoppiamento toponomastico verti-cale dalla sommità dei colli alle pianure pedecollinari, tra la parte alta e storica del paese e la parte bassa e recente, nonché uno orizzontale e centrifugo dalle piazze e dai borghi rimasti quasi disabitati, verso non-luoghi senza centro, frequentati dai pendolari o dove sono stati stabi-liti i nuovi nuclei abitativi. In questi non-luoghi in fieri il sentimen-to poetico è legasentimen-to alla residenza, ma non più alla località influenzata dalla geografia contemporanea, che vede lo sviluppo di megalopoli in un processo di globalizzazione tentacolare. La pluralità linguistica delle Marche, in base a questa visione, ha ridotto ancora di più la sua identità unitaria, sporcandosi con il gergo e lo slang nazionali di derivazione televisiva e massmediatica. Anche Massimo Gezzi e Adelelmo Ruggie-ri hanno sfumato l’idea proposta da Antognini, parlando di «astratta marchigianità».32 Il dialetto popolare ha ceduto il passo al post-dialetto, che in alcuni casi è diventato vero e proprio idioletto. Ciò che resta in questa, che ancora Nota definisce «nuova residenzialità post-moderna», è un’identità basata su un «ordito musicale inconscio» che ricorda le speculazioni di Franco Fortini sul verso accentuale e che sta creando nuove linee poetiche ibride non più legate al vernacolo e dunque alla località, bensì alla residenza in senso moderno, caratterizzata dai nuovi spazi, cognitivamente dilatati, della globalizzazione. Tutto questo non
della mobilità, in Università degli Studi di Padova, paduaresearch.cab.unipd.it, tesi di Dottorato, 2016.
31 Cfr. D. Nota, Non esiste nessuna linea marchigiana (regioni, dialetto e post-dialet-to), in «Imperfetta ellisse», blog di poesia e altro, 11 giugno 2007; idem, Nuova residenza e territori paralleli, in «La Gru», n. 6, anno V, 2009.
può non condizionare la lingua e la tematica del neodialettale, che anzi vuole contribuire alla trasformazione e alla crescita all’interno di questa nuova situazione.
Dopo queste necessarie considerazioni sulla mutata situazione stori-co-sociale inizia la nostra ricognizione sulla poesia neodialettale. E dopo aver stabilito un ponte, intendiamo lasciarci alle spalle gli antenati let-terari senza tradirli, ma superando da un punto di vista strettamente cronologico una materia già ampiamente ispezionata, per concentrarci sulla nuova poesia. Per neodialettali contemporanei si intendono quei poeti che hanno attraversato il millennio e si stanno confrontando con una modernità ulteriore, fatta di fugace intercambiabilità relazionale e innovative tecnologie digitali che hanno rivoluzionato la comunicazio-ne. Superata e assorbita la lezione dei maestri neodialettali, il presente richiede una diversa adesione, che sappia ragionare sulla collisione con le nuove coordinate spazio-temporali.
L’attuale panorama della lirica neodialettale in Italia vede il fiorire di una folta schiera di autori. Un’utile e coraggiosa operazione di mo-nitoraggio della situazione è stata effettuata da Manuel Cohen, Valerio Cuccaroni, Giuseppe Nava, Rossella Renzi e Christian Sinicco curatori de L’Italia a pezzi. Antologia dei poeti italiani in dialetto e in altre lingue minoritarie tra Novecento e Duemila, pubblicata nel 2014 proprio da un editore marchigiano, Gwynplaine di Camerano.33 Il Friuli Venezia Giu-lia, regione con una grande tradizione alle spalle che rimanda a Giotti, Marin e Giacomini, presenta nomi di rilievo quali Pierluigi Cappello, Giacomo Vit, Nelvia Di Monte e Francesco Indrigo. Stessa felice situa-zione anche per il Veneto di Eugenio Tomiolo e Fabio Franzin e per la Lombardia del patriarca Loi, con Mauro Ferrari, Maurizio Noris, Ferruccio Giuliani, Edoardo Zuccato, Franca Grisoni e per il Piemonte di Giuseppe Pacotto (Pinin Pacòt) con Dario Pasero. In Emilia Ro-magna Annalisa Teodorani e altri seguono le scie di Tonino Guerra, Giovanni Maria Pedretti, Raffaello Baldini e Tolmino Baldassarri. Ricca di fermenti è l’Umbria con Ombretta Ciurnelli, Anna Maria Farabbi, Nadia Mogini e Giampiero Mirabassi. In Abruzzo si distingue Mar-cello Marciani, mentre maggiori ritardi si registrano nel Lazio, dove sono ancora vive le tradizionali suggestioni del Belli e in Campania,
dove predominano i moduli compositivi di Salvatore Di Giacomo, con poche eccezioni come quella del salernitano Mario Mastrangelo. Altri tentativi e prove di innovazione vengono dalla Puglia con Vincenzo Mastropirro e dalla Calabria con Daniel Cundari e Alfredo Panetta. In Lucania l’eredità di Pierro è stata invece raccolta da Salvatore Pagliuca e Rocco Brindisi, mentre i versi di Nino De Vita, Marco Scalabrino e Flora Restivo onorano la tradizione siciliana.
Lo scenario dei neodialettali marchigiani si presenta variegato e di-somogeneo. La sproporzione è dovuta al fatto che in alcune aree non è avvenuto il passaggio di affrancamento dalla poesia di tradizione. È Ancona la città più fertile, a partire dal capostipite dei neodialettali contemporanei Fabio Maria Serpilli, fino ad Anna Elisa De Gregorio, Massimo Vico, Maria Gabriella Ballarini, Francesco Gemini e Luca Ta-levi, che smentiscono le convinzioni di una desertificazione letteraria e di una povertà di ispirazione all’indomani della scomparsa di Sca-taglini. Anche Nadia Mogini, trapiantata nelle Marche, si è espressa in dialetto anconetano, oltre che nel materno perugino. Di Senigallia sono Antonio Maddamma e Andrea Mazzanti, jesini invece Massimo Fabrizi e Floriana Alberelli. Nella provincia di Pesaro-Urbino emergono Germana Duca Ruggeri, Rosanna Gambarara e i giovanissimi Michele Bonatti e Ambra Dominici. Maggiori problemi per il maceratese, dove Diana Brodoloni e Jacopo Curi hanno scelto la strada del neodialetto.
Lo stesso vale per il fermano, dove si sono distinti unicamente Marco Pazzelli e Gianluca D’Annibali. Ad Ascoli, infine, da segnalare Piero Saldari, Angelo Ercole e Mariella Collina.
Se la poesia italiana è basata sulla lingua petrarchesca, il dialetto, o meglio, i dialetti, sono il riflesso di quel plurilinguismo dantesco che testimonia il valore letterario dei volgari medievali, capaci di non per-dere, nonostante il cambiamento, la loro vivacità nel corso del tempo.
Gli idioletti elaborati personalmente da ogni singolo autore sono il ri-svolto sublime e letterario dell’espressione neodialettale che ha segnato la riconciliazione tra sermo doctus e sermo vulgaris, tra modelli letterari e antiletterari, nel segno di un’unica ragione: la poesia.