Maria Gabriella Ballarini è nata a Falconara (AN) nel 1951 e vive ad Ancona. Costretta a rinunciare all’aspirazione di diventare insegnan-te, ha lavorato come contabile presso un’azienda di servizi. Dopo un esordio molto precoce nella scrittura, ha attraversato un lungo periodo di silenzio dedicandosi a incombenze personali. Da qualche tempo ha riscoperto anche la vocazione alla fotografia. Ha pubblicato insieme a Massimo Vico Poesie in dialetto anconetano (Versante, Eliografia Mo-derna Cionna, Falconara Marittima, 2016).
La poesia della Ballarini nasce da un impellente bisogno finalizzato a una ricerca di senso. L’autrice interroga se stessa e il mondo cercando una risposta necessaria a comprendere e chiarire ciò che negli anni è rimasto in sospeso. Il lungo silenzio letterario infatti ha contribuito a far sedimentare i ricordi sepolti. Per la Ballarini aver ritrovato la scrittura dopo tanto tempo ha significato riprendere coscienza di sé. È neces-sario conoscere il proprio passato per decifrare la vita e interpretare il presente; solo allora possono riemergere volti e luoghi dell’infanzia. Un
“tempo ritrovato” che non ha un valore convenzionale, ma qualitativo.
Si tratta di un tempo interiore, soggettivo, che non ha una durata quan-tificabile, ma riunisce nel presente le impressioni di tutte le stagioni della vita. I riferimenti sono, come accadeva nel mondo contadino, il succedersi delle stagioni e l’alternarsi del giorno e della notte. Il ritmo della natura, benché deformato dalla modernità, rimane impresso come un’armonia, fa parte dell’indole umana e dona conforto nella pienezza della meditazione. Il processo creativo favorisce la ricomposizione di immagini depositate in un angolo di mondo e immortalate come in un’istantanea nel loro divenire. La Ballarini, appassionata di fotografia, sovrappone i due linguaggi, che diventano complementari. Infatti la vista è il senso predominante e permette alla poetessa di formulare il pensiero per poi tradurlo in parole. Con pochi tratti, sicuri ed equili-brati, la scrittura cerca di ritrarre contemporaneamente gli elementi e l’aura di mistero che li avvolge. La memoria cerca di ritrovare nelle sue
radici la vera condizione umana.
Il frequente uso dei puntini di sospensione apre il testo e invita il lettore al coinvolgimento personale; al contrario, il ricorso a espressioni sentenziose che rivelano un procedimento di tipo gnomico, soprattutto nelle parti finali dei testi, tende a inseguire questo senso sfuggevole. In-fatti si ha l’impressione di trovarsi in un continuo stato di sospensione, nell’attesa di poter trasfigurare la realtà per oltrepassarla. Questa con-templazione del vago, tanto cara a Leopardi, funge da catalizzatore per il sentimento della malinconia ed estende il pensiero lungo gli assi del tempo e dello spazio. Ma la sostanziale impossibilità di varcare la soglia del mondo percepibile e scoprire il suo rovescio crea una sensazione di smarrimento, tantoché la Ballarini cerca conforto ripetendo a se stessa:
«Ma è sciguro / che c’è stato..» (Nun se ferma). Dunque la verità risiede negli attimi in cui viene esperito tale smarrimento.
L’uomo tenta di reinventare il suo mondo nelle pause del quotidiano come una pioggia o un tramonto. Interpretare, per la poetessa, significa dimenticare per poi farsi sorprendere dagli eventi e solo l’istinto è in grado di percepire vibrazioni minime così, ciò che resta irraggiungibile, in realtà è in attesa di una collocazione semantica.
Quella della Ballarini si configura come una poetica del frammento, espressa in uno stile sintetico ed essenziale, privo di elementi superflui.
Il dialetto anconetano-falconarese, selezionato con eguale pudore, viene adattato abilmente al pensiero. Ne risultano versi liberi e preva-lentemente brevi, regolati da una quasi impercettibile melodia interna.
Adriano Calavalle, Autunno, 1990, vernice molle e acquatinta, 90x90.
Da Poesie in dialetto anconetano
Atimo suspeso Quando che ‘l giorno gira le spale e se ‘luntana, ma la note ‘ncora nun ariva, e l’ombra ‘rmane ‘ncurnichiata
‘ntra j àrbori del viale e le perziane ‘custate…
‘nte qul’atimo suspeso quando stride l’ultimo ucèlo e po’ se fa ‘l silenzio
spèti la prima stéla
pe’ rimpì ‘l vòto del cielo…
Attimo sospeso - Quando il giorno / gira le spalle e si allontana, / ma la notte ancora non arriva, / e l’ombra rimane rincantucciata / tra gli alberi del viale / e le persiane accostate… // in quell’attimo sospeso //
quando l’ultimo uccello manda il suo grido / e poi si fa silenzio / aspetti la prima stella / per riempire il vuoto del cielo…
Nun se ferma
Nun se ferma tut’intero
‘sto penziero, nun ciài ‘l tempo de fàte sovenì
‘ndu è c’hai visto qul culore belo de viole
e chi t’ha fàto sentì qul’udore beato.
Ma è sciguro che c’è stato...
Non si ferma - Non si ferma tutto intero / questo pensiero, / non hai il tempo di farti tornare in mente / dov’è che hai visto quel colore / bello di viole / e chi ti ha fatto sentire / quell’odore beato. // Ma è sicuro che c’è stato…
La sera se spande La sera se spande
‘n tra i muri e la strada se spechia la stanza imobile ‘nti vetri neri,
‘na sedia, dô vasi, ‘na curnige
‘na musiga vechia gira ‘nte l’aria e sbate è ‘na falena cega che nun se pô posà…
La sera si spande - La sera si spande / tra i muri e la strada // si specchia la stanza / immobile nei vetri neri, / una sedia, due vasi, una cornice //
una vecchia musica / gira nell’aria e sbatte / è una falena cieca / che non si può posare…
Me r’cordo
Per prima me r’cordo la tera, le ma’ supr’i sasi e ‘nte l’erba file de nere furmighe, l’udore de fango e de mare.
Le soje de pietra slisciata
‘nti fili le maje bugate,
‘l garzó del late che chiama, i piedi sfiniti dî padri che tornane a casa.
Da la radio come da ‘na fenestra se ‘faciava apena
‘na favola strana,
ma ‘l giorno presto feniva drent’un piato de menestra…
Mi ricordo - Per prima mi ricordo la terra, / la mani sopra i sassi e nell’erba / file di nere formiche, / l’odore di fango e di mare. // Le soglie di pietra lisciata / nei fili maglie bucate, / il garzone del latte che chiama, / i piedi sfiniti dei padri / che tornano a casa. // Dalla radio come da una finestra / si affacciava appena / una favola strana, / ma il giorno presto finiva / dentro un piatto di minestra…
Nuvembre
El cielo è languido, tuto ‘l paesagio è imobile, cum’un quadro slavato.
El gnente ristagna
‘nte ‘st’aria morta, cume l’udore de fumo.
‘ntel silenzio casca ‘na foja…
e rimbomba la tera intera e cià ‘n susulto ‘l tempo e io pure, che spèto…
Novembre - Il cielo è languido, / tutto il paesaggio è immobile, / come un quadro scolorito. // Il nulla ristagna in quest’aria morta, / come l’odore di fumo. // nel silenzio cade una foglia… // e risuona la terra intera / e ha un sussulto il tempo / e anch’io, che aspetto…
Via Buozzi
Nun c’è più ‘l campeto, solo la strada,
dô muri sdrogi e le zàcole per tera.
L’asilo da le sòre è tuto chiuso, pare ‘na capela de cimitero.
Guardo i scalini e me pare de ‘rsentì qul bel’odore de fiòli e de sugheto…
Erimi tanti, nati dopo la guera per smània de campà.
Ciavémi sempre fame, le gambe nude, pure d’inverno,
ma ‘l zinale imaculato…
Via Buozzi - Il campetto non c’è più, / solo la strada, / due muri sbrec-ciati / e macchie in terra. // L’asilo delle suore è tutto chiuso, / sembra una cappella di cimitero. // Guardo gli scalini / e mi sembra di risentire / quel bell’odore di bambini / e di sughetto… // Eravamo in tanti, / nati dopo la guerra / per smania di vita. // Avevamo sempre fame, / le gambe nude, / anche in inverno, / ma il grembiule immacolato…
Inediti
El ricordo
‘Sto silenzio
è le voci che nun se sente più, è ‘n lenzòlo bianco
‘ndo piove ’n’acqua bigia.
‘Nti sasi e ‘ntra le onde, sopra a chi pasa
senza guardà gnente e senza dì’ parole.
La note che se ‘larga nun porta pace.
Nun cià più fatéze umane e armàne lì a mez’aria, el ricordo,
come ‘n paluncì sgonfio che nun sa ‘ndo’ ‘nda’…
Il ricordo - Questo silenzio / è fatto di voci che non si odono più, / è un lenzuolo bianco / dove piove un’acqua grigia. / Sui sassi e tra le onde, / sopra a chi passa / senza guardare niente / e senza pronunciare parole. //
La notte che si allarga / non porta quiete. // Non ha più fattezze umane / e rimane lì a mezz’aria, / il ricordo, / come un palloncino sgonfio / che non sa dove andare…
So’ venuta a guardà ‘l mare So’ venuta a guardà’ ‘l mare, che se dìngula e se nina cume fa ‘na creatura.
C’è qualcò che ce galégia che s’afonda e po’ risale dietro al vento casuale.
Nun c’è ‘n antro cume ‘l mare che te porta più distante fino oltro l’orizonte…
senza fate véde gnente…
Sono venuta a guardare il mare - Sono venuta a guardare il mare, / che si dondola e si culla / come fa un bambino. // C’è qualcosa che galleggia / che affonda e poi riemerge / dietro al vento casuale. // Non c’è un’altra cosa come il mare / che ti porta più lontano / fino oltre l’orizzonte… / senza farti (intra)vedere niente…
FLORIANA ALBERELLI