• Non ci sono risultati.

NADIA MOGINI (Perugia, 1947)

Nadia Mogini è nata nel 1947 a Perugia, città in cui ha compiuto gli studi, laureandosi in Lettere Moderne. Dopo aver insegnato materie letterarie nella scuola media in Lombardia e in Umbria, ha continuato a esercitare la sua professione nelle Marche, ad Ancona, dove si è tra-sferita e vive dal 1979. Interessata alla poesia, al canto corale e al teatro, da tempo si impegna in questi ambiti. Compone prevalentemente in dialetto perugino (borgo di Porta S. Angelo) e, in misura più ridotta, in dialetto anconetano e in lingua italiana. Sia in dialetto che in italia-no l’haiku è una forma poetica a lei particolarmente congeniale. Nel 2016 ha pubblicato Íssne (Edizioni Cofine, Roma) in dialetto perugino.

Suoi testi poetici sono presenti inoltre in riviste letterarie come «Ver-sante ripido», «Periferie», «Poeti del parco», «Poetarum silva» e sono stati inclusi in antologie quali Il fascino della memoria (2013) a cura di Rina Gambini;39 Dialetto lingua della poesia (2015) curata da Om-bretta Ciurnelli;40 Poeti nei dialetti dell’Umbria fra Novecento e Duemila (2017) di Francesco Piga.41

Raffinatezza e sobrietà nella poesia della Mogini si colgono in una produzione linguisticamente itinerante per i luoghi dell’anima, rappre-sentati dalla città natale di Perugia e da quella adottiva di Ancona. An-che se la vita ha portato l’autrice lontano dalla sua terra, la sua rielabora-zione linguistico-dialettale si muove nel centro Italia, nelle due regioni, l’Umbria e le Marche, in cui ha affondato le radici. Se per ovvie ragioni con il dialetto perugino si stabilisce una relazione privilegiata in quanto codificazione del parlare materno, la Mogini non rinuncia a calarsi in altre vesti. Le sue incursioni in un dialetto appreso in età matura sono più rare, ma non di minore efficacia. Antonio Carlo Ponti rileva

addirit-39 R. Gambini (a cura di), Il fascino della memoria, Le Edizioni Del Porticciolo, La Spezia, 2013.

40 O. Ciurnelli (a cura di), Dialetto lingua della poesia, cit.

41 F. Piga (a cura di), Poeti nei dialetti dell’Umbria fra Novecento e Duemila, Cofine, Roma, 2017.

tura che la sua sia una lingua in cui si ritrovano talvolta miscelati il dia-letto perugino e quello anconetano, ma anche l’italiano.42 Sia Ponti che Nicola Fiorentino parlano di poesia icastica ed eliotiana e i riferimenti del mondo reale sono comunemente rintracciabili anche nelle compo-sizioni anconetane.43 Per questo la poetessa riesce a modulare gli idiomi senza snaturarsi e sembra trovarsi a suo agio. Nel passaggio dall’uno all’altro codice i concetti non perdono pregnanza, perché la lingua non viene svilita né incatenata; al contrario essa viene adeguata ai suoi spazi effettivi e alle sue possibilità espressive. Nondimeno, da un punto di vista affettivo, la Mogini mostra una sincera affinità con le Marche.

Tratto essenziale della sua poetica è la vena malinconica che però non rinuncia a un’indagine della realtà fino a tentare domande metafisiche.

Non è estranea alla poetessa la ricerca di un senso profondo delle cose attraverso gli elementi della vita quotidiana. Scrive Fiorentino, metten-do in risalto l’oggettualità del reale che rivela il travaglio esistenziale:

«Talora le cose sembrano palpabili e sono loro a scandire il tempo delle metamorfosi, a strattonare i sentimenti, ma pure a far da legame fisico tra chi vive e chi non c’è più […]. È, dunque, la storia di una perdita, con l’incalzare degli eventi che precipitano verso la tragedia […]. Qui tutto tende al grigio: l’unico colore è quello della dura realtà. E nessuna idealizzazione: poesia e vita fanno tutt’uno, anche se poi la vita finisce ma la poesia resta».44 Uno sgomento trattenuto coglie l’autrice proprio nel momento in cui questo suo mondo viene insidiato dal dolore e dalla morte che la poesia recupera in uno stato di elegia. Infatti, segnala Ma-nuel Cohen, non resta che cercare un sicuro rifugio, o affidare se stessi e i propri cari alla memoria poetica: «Le deambulazioni visive, sensuali e psichiche tendono ad abitare, ad ambire ad un qualche locus amoenus preservato dalle ombre, a una qualche ricerca edenica a cui approdare dopo aver attraversato le fatiche dei realia e le peripezie del viaggio […].

Perso il Paradiso, al poeta resta l’hortus di insopprimibile libertà, di ten-sione per l’ascolto, di meditazione irrinunciabile».45

42 Cfr. A. C. Ponti, Nadia Mogini: se il dialetto diventa lingua di alta poesia, in «Il Corriere dell’Umbria», 24 ottobre 2016.

43 Cfr. ibidem e N. Fiorentino, Oggettualità e concisione nella poesia di Nadia Mogi-ni, in «Poeti del parco», www.poetidelparco.it, 30 settembre 2016.

Queste continue oscillazioni di pensiero, secondo Cohen, sono rese da un altalenante uso dell’endecasillabo e di versi ipometri, curati con pulizia e sintesi essenziali riconducibili al ritmo del parlato quotidia-no. Le sonorità variabili convergono verso un’unica impostazione dello spartito poetico vivacizzato da allitterazioni, metafore e metonimie.46 Tuttavia Fiorentino parla di ritmo «anestetico»47 in quanto la Mogini, come già rilevato, tende a frenare gli aspetti emotivi per aderire al nu-cleo del vissuto. Le strutture compatte favoriscono concentrazioni di senso e disvelamenti improvvisi. Anche nell’haiku entrano le coordinate esistenziali tipiche della poetica della Mogini, con originale adattamen-to sia metrico che semantico al respiro armonico e al rovesciamenadattamen-to di senso tradizionali. Prevalgono, come da regola, gli elementi naturali, ma è ancora il ricorso alla metafora a vivificarli e a costruire analogie e rimandi di senso.

46 Cfr. ibidem

47 N. Fiorentino, Oggettualità e concisione nella poesia di Nadia Mogini, cit.

Inediti

Caldàcia

Agosto: mese-tèra de nisciúno.

È tristu ‘l zóle cun chi è da sé.

Sópro ‘l catrame nero e mezo squajato

‘nté l’aria che sa d’òio, sguíla vacanze vòti de gelu per quéli che nun parte.

Afa - Agosto: mese-terra di nessuno. / È cattivo il sole con chi è solo. / Sull’asfalto nero e mezzo liquefatto / nell’aria che sa di olio, scivolano vacanze / assenze di gelo per chi non parte.

Fase male da sé A spaségiu pe la cità

‘n ochio aj anúnci dî morti cu la paura d’èse scrito.

Autolesionismo - A zonzo per la città / uno sguardo agli annunci mortuari / con la paura del proprio nome scritto.

Fiòta el mare

More l’istate lenta su le gròte e slàgrima j stradèli gió dal monte niscosti ntra j intreci de le rame.

‘Na nebiulína a sbafi infàscia el zzole de ‘n culore gialíno sbrigiulíto.

El mare, sotu, cu la voce fina, frige sui fianchi tondi de le barche e s’alza ‘n fiato de cinígia móla sopru j acènti greghi e de levante.

Me spètina ‘na bava de penziero:

còfe de fiori vane pe stu mare tanti ne more drento i cavaló da lóngo pare machie de culore da vecínu è facie de dulore.

Fiotta il mare - Muore l’estate lenta sulle grotte / e lacrimano i sentieri giù dal monte / nascosti tra gli intrecci dei rami. / Una nebbiolina a sbaffi fascia il sole / d’un colore giallino infreddolito. / Il mare, sotto, con la voce fina, / frigge sui fianchi tondi delle barche / e s’alza un fiato di cenere bagnata / sopra gli accenti greci e di levante. / Mi spettina una brezza di pensiero: / ceste di fiori vanno per questo mare / tanti ne muoiono tra le onde / da lontano sembrano macchie di colore / da vicino sono facce di dolore.

Léngua adutíva

Per me, nata oltro i monti,

‘n principiu era dulóre de léngua furestiera.

Pò pianu pianu

la graziéta dei vezegiativi

la pigrizia ruza de le parole strónghe lo sdopiamènto che fa sguilà le dopie la nina nana de le interugative m’ha cantatu drénto

come la léngua mia.

È curdó de belígu, adè, cu sti cristiani d’aqua.

Lingua adottiva - Per me, nata oltre i monti, / in principio era dolore / di lingua forestiera. // Poi piano piano / la grazia dei vezzeggiativi / la rozza pigrizia delle parole troncate / lo sdoppiamento che fa scivolare le doppie consonanti / la ninna nanna delle interrogative / mi hanno cantato dentro / come la lingua mia. // Sono cordone ombelicale, adesso, / con questa gente di mare.

Tròpu chiaro Calígo fuma da la culína al pià la cità torna.

Gréste de núvule galégia e va a raméngo oltru e pò oltru.

Te strimulísce la visió tuta chiara e de nicò.

Amànca prò la finéza ligéra d’èse e nun èse.

Troppo chiaro - Nebbia fuma / dalla collina al piano / la città torna.

// Creste di nuvole / galleggiano alla deriva / oltre e poi oltre. // Dà i brividi / la visione tutta chiara / e di ogni cosa. // Manca però / la finezza leggera / dell’indistinto.

Tuto fuge

Rispíra apéna e pò se slónga el mare su la pèle slisciata de la sàbia.

L’àtimo de caréza se scancèla.

Tutto scorre - Respira appena e poi si distende il mare / sulla pelle lisciata della sabbia. / L’attimo di carezza si cancella.

Haiku de mare Haiku di mare Sàbia sutíle

sguíla ntra mezu ai déti farfàle vola

Sabbia sottile / scivola tra le dita / farfalle in volo

J sciucamà

spasi sópro la spiàgia de nó bandiere

Gli asciugamani / distesi sulla spiaggia / di noi bandiere

È induràti

pupàzi de biscòtu i fiòli al zóle

Sono indorati / pupazzi di biscotto / bambini al sole

Opre le navi

le bóche nere e ónte arcàcia i cami

Aprono le navi / le bocche nere e unte / vomitano camion

Un turtelì

el belígu che ‘l zóle còce al vapore

FABIO MARIA SERPILLI