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La cattolicità divisa: gesuiti e francescani a confronto in Giappone

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 167-183)

1. Mediazione culturale e connessioni globali: ceramiche gesuitiche e paraventi namban

Lasciata la Penisola nell’agosto del 1585, i quattro principi e il loro seguito di gesuiti trovarono pronte le navi che li avrebbero condotti nuovamente in Spagna. Prima tappa fu Barcellona dove giunsero a inizio settembre. Da lì si recarono a Monzon, cittadina aragonese, dove Filippo II aveva riunito le Cortes per presentare agli organi consultivi e assembleari del regno il figlio ed erede Filippo III1. Come già detto, il sovrano spagnolo aveva organizzato un simile ricevimento anche in Castilla e questo era venuto a coincidere, nell’autunno del 1584, col primo passaggio della delegazione gesuitica dai domini spagnoli. Inoltre sin nella primavera del 1585 il sovrano madrileno si era recato in Aragona per le nozze che ivi furono celebrate tra la figlia e il duca di Savoia2. Non diversamente dal primo incontro, il sorano madrileno si rivelò molto ben disposto nei confronti dei quattro giovani e li dispacciò con le licenze necessarie a proseguire il viaggio in direzione di Lisbona, dove li aspettava una nave che avrebbe dovuto ricondurli in patria.

Partita da Lisbona nell’aprile 1586, la delegazione dei quattro giovani principi ripercorse in senso contrario l’esatto tragitto seguito col viaggio di andata, incontrando anche le stesse medesime difficoltà. I quattro si imbarcarono assieme a ventotto padri gesuiti suddivisi in due diversi gruppi. Delle due navi una, la Bom Jesus, raggiunse Goa il 27 settembre dello stesso 1586, con una navigazione rapida e fortunata; l’altra - quella su cui viaggiavano i delegati - s’imbatté in forti tempeste nei pressi del Capo di Buona Speranza e a seguito di ulteriori difficoltà fu costretta a vernare in Mozambico, impedita a proseguire la sua rotta prima del ritorno della bella stagione dell’anno successivo. Solo nel dicembre del 1587, infatti, i diciannove passeggeri della São Felipe riuscirono finalmente a raggiungere le coste indiane sbarcando a Goa3.

La tappa successiva fu Macao, dove sostarono ben diciotto mesi e dove ritrovarono il Valignano. Egli si offrì di ricondurli in Giappone dove però - nel frattempo - la situazione era profondamente mutata. Dalle sconsolate parole del Viceprovinciale Coelho si può comprendere come i nuovi ordini di Hideyoshi, finalizzati a contenere l’espansione cristiana, stessero compromettendo la posizione dei gesuiti4:

«Con gran desiderio tutti, questo anno del 89 aspettavamo che V. R. felicemente arrivasse in queste parti insieme coi suoi compagni e Signori Giaponesi; e tanto era viva questa speranza che in quei de la Compagnia, e in tutti gli altri Christiani, che tra gravi stenti, duri travagli, e acerbe persecutioni, che in questi tempi habbiamo patiti, ne faceva essere di buon animo, dandoci gran conforto e refrigerio. Perché tenevamo per certo, che con la sua venuta da noi tanto bramata, sarrebbe restato ogni uno più che consolato, e che le cose della nostra fede havrebbono havuto

1 Alessandro Valignano. Dialogo sulla missione degli ambasciatori giapponesi alla Curia romana, M. Di Russo, P. Airoldi, D. Maraini (a cura di), cit., pp. 441-46.

2 Ivi, pag. 443.

3 G. BERCHET, Le antiche ambasciate giapponesi in Italia, cit., pag. 35; D.MASSARELLA, Japanese travelers, cit., pp. 28-30; M.COOPER, The Japanese Mission to Europe, 1582-1590, cit., pp. 141-51.

4 Fu infatti dal 1587, con l’editto di espulsione firmato il 24 luglio, che Hideyoshi iniziò a minare le fondamenta della cristianità giapponese e di conseguenza della missione gesuita. A. BOSCARO, Ventura e sventura, cit., pp. 66-67.

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qualche buon successo con Quabacundono5. Et acciò che il tutto prosperamente ne avvenisse, furono dette alcune messe, e fatte molte orationi con un buon numero di discipline. Con tutto questo non è per ora piaciuto al Signore di adempiere ai nostri desideri, ma passandone il tempo opportuno per questa navigatione, sconsolati e mesti con tutti i Christiani siamo restati gabbati d’ogni nostra speranza»6.

Il ritorno in patria della delegazione, coinciso con l’inizio della fase più propriamente detta di declino della missione gesuitica in Giappone, consente di approfondire un tema che la storiografia, soprattutto iberica7, ha negli ultimi anni dibattuto: quello della circolazione materiale degli oggetti derivante da questo incontro est-ovest e in larga parte favorita dall’intermediazione culturale dei Padri. Grazie al viaggio dell’ambasceria Tenshō giunsero in Europa vestiti, armi, oggetti in legno e in avorio, testi e immagini sacre prodotti nelle stamperie gesuitiche presenti nell’Arcipelago. Il mutuo scambio condusse in Giappone quadri - come quello della duchessa di Toscana Bianca Cappello - ornamenti vari - come i fiori di seta che la duchessa di Ferrara donò ai principi - vesti e abiti, diplomi e privilegi. Già da tempo, però, i missionari gesuiti avevano assunto il compito di mediare lungo la direttrice est-ovest. I commerci con le colonie portoghesi sulla costa della vicina Cina sono di questa nuova dimensione ridistributiva della Compagnia il più classico esempio. Attivi nei traffici della rotta Macao-Nagasaki sin da prima dell’arrivo del Visitatore Valignano8 - con le conseguenti e sempre crescenti difficoltà a far accettare tale pratica sul piano giuridico da parte della Curia9 - i gesuiti divennero anche vettore privilegiato per la diffusione di oggetti occidentali, spesso legati a funzioni sacre, e forme d’arte europee sul territorio giapponese10. Tra queste forme di interconnessione e mediazione legate alla materialità non possono mancare di rientrare le porcellane cinesi che, ben presto, cominciarono a essere inserite nei traffici gestiti dalla Compagnia. A tal punto integrata nel tessuto socio-economico della zona da divenire essa stessa oggetto delle attenzioni delle manifatture locali (a partire dalla metà del XVI secolo e con una crescita soprattutto sul finire del XVIII). Queste giunsero infine a produrre vere e proprie serie di oggetti contrassegnati dai monogrammi della Compagnia, destinate principalmente al mercato portoghese o al consumo da parte dei padri all’interno di collegi e seminari. Così, giunti in Oriente come mezzo per la propagazione del cattolicesimo, i gesuiti si trovarono a subire un’evoluzione

5 Il termine latinizzato Quabacundono, associato alla persona di Hideyoshi, starebbe probabilmente ad indicare la traslitterazione dal giapponese Kanpaku-dono, ossia la carica ricoperta al tempo da Hideyoshi seguita dal suffisso indicante reverenza e rispetto.

6 Copia di due lettere annue scritte dal Giapone del 1589 et 1590. L’una dal P. Viceprovinciale al P. Alessandro

Valignano, l’altra dal P. Luigi Frois al P. Generale della Compagnia di Giesù. Et dalla spagnola alla italiana lingua tradotte dal P. Gasparo Spitilli della compagnia medesima, in Roma, 1593, pp. 3-4.

7 A.BAENA ZAPATERO, Un ejemplo de mundialización: el movimiento de biombos desde el Pacífico hasta el Atlántico

(s. XVII-XVIII). A case of globalization: the circulation of folding screens from the Pacific to the Atlantic (17th-18th centuries), in «Anuario de Estudios Americanos», vol. 69, 2012, 1, pp. 31-62; F.GARCÍA GUTIÉRREZ, Los “Namban

Byobu” de Japón (una pinturas con temas Occidentales), in «Laboratorio de Arte», 1989 n.o 2, pp. 61-76;F.GARCÍA GUTIÉRREZ, Giovanni Cola (Joao Nicolao). Un hombre del Renacimiento italiano trasplantado a Japón, in «Temas de estética y arte», vol. 25, 2011, pp. 96-124; P.NELLES, Cosas y cartas: Scribal production and material pathways

in Jesuits Global Communication (1547-1573), in «Journal of Jesuit Studies», vol. 2, 2015, pp. 421-50.

8 Si veda capitolo primo nota 25. Per approfondire si veda inoltre C. R. BOXER, Portuguese merchants and

missionaries in feudal Japan: 1543-1640, Routledge, Oxford, 1986; M.FRIEDRICH, “Government in India and Japan

in different from government in Europe”: Asian Jesuits on Infrastructure, Administrative space, and possibilities for a Global Management of Power, in «Journal of Jesuit Studies», vol. 4, 2017, pp. 1-27.

9 N. P. CUSHNER, Merchants and Missionaries, cit., pp. 360-69.

10 D.PACHECO, Iglesias de Nagasaki durante el "Siglo Cristiano", 1568-1620, in «Boletín de la Asociación Española de Orientalistas», vol. 13, 1977, pp. 49-70.

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certificata anche dalla presenza simili oggetti funzionali alla costruzione di una propria identità da parte dei Padri11. Gli obiettivi religiosi delle origini avevano visto affiancarsi sempre più una nuova dimensione di mediazione culturale, la quale aveva portato la Compagnia a radicarsi sul territorio come potenza indipendente e concorrenziale alle autorità politiche locali.

Figura 1 Ceramica recante monogrammi della Compagnia di Gesù, il presente oggetto, prodotto in Cina, sebbene in

epoca più tarda (periodo Jiaqing, 1796-1820), mostra l’alto livello di compenetrazione che i gesuiti ebbero - e mantennero a lungo - in Estremo Oriente. https://www.galerienicolasfournery.com/collection/a-chinese-jesuit-baluster-jar-for-the-portuguese-colonial-market-circa-1820/, (consultato il 05/08/2019).

Più ancora dei paramenti d’altare, dei rosari e delle immagini votive e delle porcellane, però, l’importanza dell’intermediazione gesuitica in Giappone nei temi di arte sacra e profana venne dalla nascita di tradizioni pittoriche e vere proprie scuole direttamente in loco. Non più dunque tanto e solo una migrazione di oggetti da ovest verso est e viceversa, ma una commistione di stili e temi che andò a influenzare direttamente alcune branche dell’arte giapponese in concomitanza con l’attività missionaria dei padri. Due sono, essenzialmente, queste forme d’arte: l’arte sacra di chiara ispirazione europea e i cosiddetti biombos de arte Namban la cui espressione artistica più completa si può ritrovare nella cosiddetta scuola di Kanō12. Los biombos altro non sono che dei paraventi dipinti e ornati. Il particolare che davvero interessa è come una forma d’arte tipica della cultura giapponese sia stato influenzato dall’arrivo dei “barbari del sud”, i cosiddetti Namban.

11 S.BROOMHALL,“Such fragile jewels”: The emotional role of Chinese Porcelain in Early Modern Jesuit Missions,

in Y.HASKELL E R.GARROD (a cura di), Changing Hearts, cit., pp. 261-83.

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Vediamo così sempre più apparire, nella seconda metà del XVI secolo e nei primi decenni del successivo, paraventi coi tipici galeoni neri portoghesi, uomini vestiti all’europea, schiavi africani dapprima totalmente ignoti al mondo giapponese e anche padri gesuiti intenti nella conversione, per concludere con forme architettoniche che strizzano l’occhio all’occidente tra cui spiccano addirittura alcune chiese13.

Figura 2 Pannello di arte Namban attribuito a Kanō Naizen, datato tra il 1598 e il 1615. L’opera si trova conservata

al Kobe City Museum. https://artsandculture.google.com/asset/namban-screens-right-hand-screen/CAEfKzD1vqAV8A, (consultato il 05/08/2019).

La diffusione di queste opere ci consente di portare avanti l’analisi relativa alla mediazione e intermediazione europea in Giappone seguendo due direttrici principali: da un lato i significati sottesi a tali rappresentazioni, dall’altro i circuiti di redistribuzione e diffusione delle opere stesse, le quali - nate a uso e consumo del contesto locale - presero presto a diventare ambiti oggetti da collezione per le élite europee che in essi vedevano rispecchiato il proprio gusto per l’esotico. Come accennato le raffigurazioni di tali pannelli sono tra le più varie, ma soprattutto rappresentano il miglior modo possibile per comprendere cosa abbia significato l’allargamento degli orizzonti per il mondo del XVI secolo. Non si trattava di fare i conti unicamente coi portoghesi o più genericamente col mondo europeo, qui è l’intero globo a trovarsi unito in una unica stretta connessione. Così, mentre vediamo i pittori giapponesi raffigurare edifici, navi, vestiti e perfino uomini appartenenti a culture aliene dalla loro, abbiamo di contro gli europei stessi che di queste forme d’arte si fanno fruitori e redistributori. Se i primi soggetti di questo rapporto furono i gesuiti, va ora necessariamente ampliato il quadro dei partecipanti con l’integrazione degli spagnoli che si muovevano tra le due sponde dell’oceano Pacifico: tra Messico e Filippine. Così, dopo aver integrato Europa e Asia passando per l’Africa, si arriva infine a comprendere anche le Americhe all’interno di questa rete a dimensione sempre più globale.

13 A. A.DUERTO JORDÁN, Relaciones Artísticas en la edad moderna: El arte Namban, Trabajo de fin de grado, Universidad Zaragoza, Facultad de Filosofía y letras. Grado en Historia del arte, curso 2013-2014, pp. 9-13; T.L.F. FEREIRA REIS, Nanban Jin: os Portugueses no Japão, Clube do Collecionador, São Paulo, 1993; R.ARIMURA, Nanban

Art and its Globality: A Case Study of the New Spanish Mural the Great Martyrdom of Japan in 1597, in «Hist. Soc.»

36 (gennaio-giugno 2019), pp. 21-56; R.RIVERO LAKE, Nanban: Art in Viceregal Mexico, Turner, Madrid, 2006; Y. OKAMOTO, Heibonsha Survey of Japanese Art. The Namban Art of Japan, Tuttle Pub., Clarendon, 1972.

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La presenza sempre più concreta degli spagnoli nel quadrante estremo orientale del globo data a partire dal 1571, anno della fondazione della città di Manila14. Da quel momento gli interessi castigliani presero ad avere sempre più il sopravvento rispetto a quelli lusitani. Fu tuttavia a partire dal 1580, con l’unione delle corone sulla testa di Filippo II - Filippo I per i portoghesi - che la politica spagnola in Oriente si trovò a trarre particolare giovamento, intromettendosi con forza all’interno del precedente circuito di mediazione commerciale a matrice lusitana15. Da questo momento Manila venne via via più importante anche nei rapporti col Giappone, affiancando e poi sostituendo Macao come principale trampolino delle operazioni iberiche nell’Arcipelago16. Questo, come tra poco si vedrà, fu causato da una doppia esigenza: da un lato commerciale - il Giappone era infatti visto come il fondamentale punto nevralgico della rotta che legava Manila con Acapulco17 - dall’altro religioso. I frati minori, infatti, strenui oppositori dell’accomodatio gesuitica, nonché del monopolio della Compagnia in quelle terre ricche di possibilità e di speranze per il successo della fede cattolica, ambivano a soppiantare i padri nella cura d’anime e nella propagazione del messaggio cristiano nell’Arcipelago.

Questa panoramica serve unicamente a presentare i nuovi interlocutori del nascente potere centrale giapponese: interlocutori che alterne fortune e grande importanza avranno di qui a poco, ma che ora trovano importanza soprattutto per la diffusione di quelle forme d’arte namban precedentemente citate. Divenute simbolo della nuova dimensione globale dei traffici iberici, i paraventi giapponesi presero ben presto a essere importati nel Nuovo Mondo e di lì a Siviglia e in tutto il territorio sottoposto alla corona di Filippo II prima e del figlio Filippo III poi18.

Ancora di più, la loro diffusione attraverso i territori americani concorse a riscrivere e ridisegnare la storia di questi oggetti: come il più emblematico degli esempi di una connessione globale, i

14 Per il ruolo che la conquista Spagnola delle Filippine ebbe come propulsore dei commerci e delle connessioni che, poste ormai sotto l’egida di Madrid, si diffusero a livello globale, si vedano D.O.FLYNN, Comparing the Tokugawa

Shogunate with Hapsburg Spain: Two silver-based empires in a global setting, in J.D.TRACY, The Political Economy

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O.FLYNN,A.GIRÁLDES, Born with a “Silver Spoon”, cit., pp. 201-221; J.E.BORAO, The arrival of the Spanish

galleons in Manila from the Pacific Ocean and their departure along the Kuroshio stream (16th and 17th centuries),

in «Journal of Geographical Research», vol. 47, pp. 17-38;J.NEWSOME CROSSLEY, Hernando de los Ríos Coronel

and the Spanish Philippines in the Golden Age, Ashgate, Farnham, 2011, pp. 5-24.

15 D.M.BROWN, The Importation of Gold into Japan by the Portuguese during the Sixteenth Century, in «Pacific Historical Review», vol. 16, 1947, n.o 2, pp. 125-133; J.LEE, Trade and Economy in Preindustrial East Asia, c.

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Alle origini dell’espansione europea. La nascita dell’impero portoghese 1415-1580, Il Mulino, Bologna, 1985.

16 P.CHAUNU, Manille et Macao face à la cojonture del XVIe et XVIIe siècles, in «Annales, Economies, Sociétés, Civilisations», 1962, pp. 555-580; M.F.G.DE LOS ARCOS, The Philippine colonial elites and the evangelization of

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17 W.M.MATHES, A quarter Century of Trans-Pacific diplomacy: New Spain and Japan, 1592-1617, in «Journal of Asian History», Vol. 24, 1990, n.o 1, pp. 1-29; M.N.PEARSON, Spain and Spanish Trade in Southeast Asia, in D.O. FLYNN,A.GIRÁLDEZ,J.SOBREDO (a cura di), European Entry into the Pacific: Spain and the Acapulco-Manila

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paraventi giapponesi vennero a tal punto apprezzati dalle élite coloniali che nacquero vere e proprie scuole di imitazione degli originali asiatici. Così, in una commistione sempre più forte, la direttrice che portava queste autentiche opere d’arte da Nagasaki verso Acapulco venne a integrarsi, nella seconda parte della rotta verso l’Europa, con la presenza di veri e propri fac-simile creati dalle maestranze americane su modello dei prototipi nipponici19. Quando dunque fu chiaro che la nuova forma d’arte avrebbe facilmente incontrato i gusti degli acquirenti, i rapporti commerciali della rotta Manila-Acapulco-Siviglia ottennero nuovo slancio e i paraventi divennero oggetto ricercato e sempre più diffuso, andando ad arricchire le lussuose dimore della nobiltà spagnola durante tutto il XVII e il XVIII secolo20.

Figura 3 Dettaglio di un pannello attribuito a Kanō Naizen, datato tra il 1598 e il 1615. L’opera si trova conservata al

Kobe City Museum. https://artsandculture.google.com/asset/namban-screens-left-hand-screen/9wGEwJPXZ-no6g, (consultato il 05/08/2019).

2. L’affermarsi dei castigliani e dei frati minori

L’arrivo in Giappone dei frati minori fu decisamente meno lineare e scontato rispetto all’affermarsi della Compagnia di Gesù. Basti pensare che, proprio nel condurre a Roma la delegazione del 1585, i gesuiti erano riusciti a ottenere il privilegio tanto richiesto dal Valignano. Secondo le indicazioni pontificie, infatti, solo ai Padri sarebbe stato possibile sbarcare sul territorio dell’Arcipelago per svolgere azione di apostolato21. Questa misura si rendeva necessaria principalmente per scongiurare che gli abitanti locali vedessero nelle dispute e nelle differenze esteriori tra i diversi ordini un motivo per allontanarsi da quella fede cattolica che fino ad allora era stata presentata come unica e unitaria proprio in contrapposizione con la galassia di sette che caratterizzavano le tradizionali religioni giapponesi.

Già questo punto di partenza rivela le difficoltà insite nella coabitazione dei due ordini. I francescani, poi, dovettero la loro fortuna a tre fattori principali. Il primo deriva direttamente dal

19 Ivi, pp. 51-57.

20 Ibidem

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loro rapporto privilegiato con la corona di Madrid e specialmente col vicereame filippino. Per questo motivo, prima ancora che religiosi al servizio della causa cattolica, i frati minori giunsero nell’Arcipelago come rappresentanti ufficiali del potere di Manila, incaricati da quel viceré di condurre ambascerie presso Hideyoshi, proprio mentre gli stessi daimyō del Kyuhsu, una volta ricondotti all’obbedienza forzosa da parte del Taikō - che come ora si vedrà aveva invaso l’isola nel 1587 - si affrettavano a rivolgersi al nuovo avamposto della presenza europea in Oriente alla ricerca di partner commerciali da affiancare - e via via sostituire - ai sempre più precari portoghesi, ormai invisi al potere centrale in costruzione a Kyoto. Proprio questa irruzione all’interno del mondo giapponese aveva minato le posizioni e le basi del potere fino ad allora acquisito dai lusitani e dai loro alleati gesuiti. Aprendo le porte a un colloquio che fosse diretto e caratterizzato da una reciprocità politica col nuovo padrone del Giappone gli emissari imperiali di Filippo II si erano garantiti una posizione di salvaguardia all’interno dello scenario nipponico. La fondazione di Manila e l’improvvisa vicinanza tra i due arcipelaghi aveva infatti consentito la nascita di un dialogo politico-diplomatico tra potenze che si avvertivano come di pari livello. Non era più il commercio portoghese affidato a singoli capitani e talentuosi marinai - per quanto dispacciati dalla corona -, si trattava adesso di agenti sovrani incaricati di rendere fruttuoso un dialogo politico sentito come inevitabile e necessario a causa della reciproca forza e vicinanza. Questo ben si lega al secondo motivo, molto più radicato nella contingenza della storia giapponese che non negli interessi castigliani. Come detto la fondazione di Manila aveva consentito agli spagnoli di

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