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Evoluzione dell'alleanza tra gesuiti e detentori del potere politico in Giappone

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 185-200)

Daimyo convertiti Daimyo tolleranti

Reggenti imperiali convertiti Governatori cittadini convertiti

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dell’immediato post-Sekigahara si concentrano soprattutto sull’esaltazione di quei pochi daimyō cristiani che si erano schierati a favore dei Tokugawa. Alcuni di loro vengono dipinti dalle fonti gesuitiche - in particolare dal Valignano che nel frattempo era rientrato in Giappone - come i veri artefici della vittoria ottenuta da Ieyasu; il tutto con pieno merito - sempre secondo il Visitatore - della fede cattolica, vera responsabile dei successi ottenuti dallo schieramento di Daifu Sama ai danni di quello rivale:

«Tambien en la reparticion que hizo Daifu Sama dio algunos R.nos a diversas personas nuestros amigos, los quales tomaron en su servicio grande parte de los hidalgos Christianos que quedaron desterrados, haziendole muy buenos partidos, y ansi quasi todos hallaron remedio, y se tomaron a ayuntar en diversos lugares; y por estos y por sus S.res aquien se dieron estos R.nos ser nostros amigos, se spera que se irà haziendo mucha Cristianidad. El P.o de estos fue Cainocami hijo de Quambioycundono, que tenia como dos terços de R.no de Bujem, aquien agora Daifusama acusentò mucho, dandole el R.no de Chicujen que està en esta parte de Ximo. Este fue baptizado siendo moco poco antes Taycosama mover la persecucion a instancia de Quambioycundono su padre, aunque per tener poco reconocimiento de nostra santa ley, bivio sempre hasta agora come gentil que come Christiano, todavia siempre corriò con amistad con nosotros y tiene con sigo muchos hidalgos Christianos, y agora acogiò muchos d'estos desterrados, y porque Quambioycundono su p.e [padre] es tambien Christiano, se va ajuntando en este R.no mucha Christianidad y se spera que avrà en ella mucha conversione. [...] El secondo S.re es Yechudono, marito que fue de gracia tan singular y rara S.ra Christiana, de cuya muerte an la annua se scrive, el qual aun que es gentil tien muy gr.de conceptos de nostras cosas, y por respecto de Gracia su muger, es muy afficionados a nosotros y a los Christianos. A este diò Daifusama todo el R.no de Bujem y quasi la tercera parte del R.no de Bungoque va continuando con Bujen, con que quedò muy grande S.or tiene su hermano con alg.os de sus hijos Christianos, y otoros Christianos que es grande su privado y como hijo de la Comp.a [...] Tambien diò Daifusama otros dos R.nos a otro S.or gentil nostros amigos, y en ellos està la ciudad de Firoxima [Hiroshima] que fue de Moridono a do estava el P.e Gelso que despues e passar ay muchos trabaços, fue forçado unirse a este Nagassaqui»62.

In realtà, ben più importante dei singoli casi presi in esame dal Valignano nella sua lettera, è l’idea, sottaciuta ma non troppo, che questa vittoria potesse nuovamente dare slancio alle posizioni della missione gesuitica in Giappone. Nuova linfa per la componente cattolica, dunque, secondo le speranze e le ipotesi dell’attento missionario, era da attribuire alla stabilizzazione dello scenario interno al paese sotto la dominazione Tokugawa. E in effetti così fu realmente, almeno da principio, dopo che Ieyasu ebbe preso il potere e stabilito la sua corte a Edō. Anzi, non solo le missioni cattoliche in Giappone tornarono a prosperare e trovare consenso e proseliti dopo oltre un decennio di ostracismo, ma per la prima volta tesero a differenziarsi geograficamente. Se infatti con la sconfitta della coalizione meridionale i gesuiti trovarono sempre meno spazio anche negli orizzonti del nuovo dominatore del Giappone, non lo stesso si può dire per il cristianesimo tout

court. I Padri e Frati minori smisero di pestarsi i piedi. I primi si accontentarono della loro

roccaforte nel Kyushu, sempre presente a sempre meno sicura e sottoposta a notevoli incertezze. I secondi sfruttarono sempre più gli ottimi rapporti che il regime Tokugawa andava instaurando con gli spagnoli. Si diffusero ampiamente nelle pianure del Giappone centrale e legarono le loro fortune all’intraprendenza di giovani e potenti daimyō situati nel nord del paese. Una diplomazia

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sempre più stabile, l’esigenza di interlocutori che aiutassero i Tokugawa a inserirsi nei circuiti internazionali e la richiesta di uno scambio tecnologico con la Spagna furono le chiavi di volta per capire come mai nel primo quindicennio del XVII secolo i francescani si trovarono a godere di così grande fortuna e autonomia rispetto alla Compagnia. Fu proprio per questi motivi che anche una branca di difficile giurisdizione come quella della pirateria giapponese che infestava le coste della rotta Manila-Nagasaki razziando le navi spagnole e appropriandosi del carico trasportato venne regolamentata attentamente da Ieyasu al fine di favorire i commerci legittimi con le Filippine. Il grande interesse per l’amicizia e la stabilità dei rapporti tra i due arcipelaghi portò così a una sempre maggiore sorveglianza delle coste e un giro di vite che colpì duramente contrabbando e la pirateria, garantendo migliori e più ampli margini di manovra ai castigliani di Manila. Come infatti scrisse ancora il Valignano:

«Q.to a los Cossarios escrivo longo al P.e Visitador la Iust.a [iusticia] que se ha de hazer en ellos, y despues dr aquella carta eferita llega aqui Teunocamed.o Augusto quiren quintem,te con Tarazavandono, que por otro noumbre se llama Ximanocami o Ximand.o governador de Nagasaqui, està comettida esta executor, y me dixo que todos los cossarios avrian de ser muertos, y que avrian de embiarse a Corte de Miaco para allà ser iusticiados [...] Q.to a los navios que allà fueron derechos a Manilla con sus maderias, sin duda que ningun dellos cuio imaginacion hazer ligatun los cossairos, ni ning.a trauron aun que corazon lo pidurò suspechan allà, y por esto el de tenerlos y hazer otras demunstraciones, no fiu tomado ata mal, ni de Gayfu Sama, ni de los governadores, [...] y pretende Daifu Sama con los governadores qua aya amistad y comercio del Jappon para allà, porque qunque queda con la sospecha que se oferiarò de los Castellanos pareciendoles que son conquistadores, todavia no tienen ellos ningun mido que por fuerca puedan los Castellanos venir a hazer conquista en Jappon, mas solamente imaginar, y suspechan que podran hazer alguna essa por via de la ley, si viviendo aqui Frailes hizo ser muchos Christianos, y ansi aunque Dayfu Sama engañado con las promessas que le ha hecho Fray Ieronimo, y con el grande interez que imagina que la ha de venir con la Nave de los Castellanos que ha da venir a sus puertos, y con el embiar sus navios a Nueva España, hizo todos estos dilig.os, y concedio a Fray Ieronimo que quedasse en Iappon, y le embiò a Quanto aonde tiene sus R.nos»63.

Si apre così quella fase, durata quasi un quindicennio, che vide sorgere una profonda comunanza d’intenti tra Tokugawa Ieyasu e i governatori spagnoli, sia nelle Filippine che in Nuova Spagna. La triangolarizzazione del commercio pacifico rappresentava per entrambi i partner un’occasione propizia di arricchimento. Per il Giappone era anche occasione per garantire stabilità al nascente potere politico del nuovo Shogun (Ieyasu assunse il titolo a partire dal 1604) e soprattutto aprire la via alla crescita del paese: una crescita economica e sociale, ma anche tecnologica e materiale. Tra le intenzioni di Dayfu Sama, infatti, vi era quella di richiedere piloti e carpentieri che giungessero dalla Spagna o dalle Americhe per istruire i suoi uomini nella costruzione e nella guida di navi d’alto mare, consentendo un ingresso sempre più definito del Giappone all’interno del sistema di potenze attivo in Oriente. Poteva in qualche modo rappresentare un rischio per la corona di Madrid agevolare così tanto quello che - prima o dopo - avrebbe potuto rivelarsi come antagonista proprio in quel quadrante del mondo, ma l’esigenza dei francescani, principali mediatori di queste trattative, di assicurarsi appoggio e amicizia da parte di Ieyasu, nonché la

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volontà di mantenere relazioni più che positive col sovrano dell’Arcipelago, spinsero i regnanti spagnoli a dimostrare cordialità e profonda amicizia allo Shogun:

«Don Juan de Silva mi gover. Y Cap.an ge.l de las yslas Philipinas y Presidente de mi Real aud.a se ha entendido que el imperador del Japon tiene buona correspondencia con ese govierno y da muestra y demuestra amistad, grangeada con las buenas razones que de ay se le [illegibile] y quien señal de esto no solo haze muy buena a lo fida a los que ban a su reyno en el navio que se ynvia cada año por las cosas nescesarias, pero muy grande estimacion de la nacione Española y muy buen tratam.to a los religiosos que entienden en la conbersion de los naturales de alla. Por cuya causa es muy grande el fruto que se haze en la estension del S.to evangelio por quellas partes y para q. esto nocese y tamvien para qual quier cosa que el chino ententar contra esa tierra ymportara mucho tenerlo grato conservando con el la amistad [...] A 4 de julio de 1609»64.

Una convergenza d’interessi, quella tra Ieyasu e i castigliani, che ebbe nella mediazione francescana - come detto - una delle sue peculiarità. Tanto positiva nel legare i due regni a questa altezza cronologica, quando già era risultata essere - stando alle parole del viceré spagnolo a Manila - per scongiurare un pericoloso attacco progettato e pensato da Hideyoshi circa un decennio prima. Quabacundono, infatti, aveva mostrato il desiderio di invadere le Filippine per assicurarsi un vantaggio strategico nelle sue ripetute campagne volte a minacciare la Cina; una conquista militare avrebbe inoltre allontanato il sempre vivo pericolo65 di una possibile invasione armata da parte europea, estromettendo definitivamente i barbari del Sud dal quadrante Estremo orientale. Una presenza, dunque, quella francescana in Giappone, che già da due decenni aveva portato buoni frutti nel legame - non sempre stabile, come l’episodio del San Felipe dimostra - con le autorità politiche centrali del paese. Nel corso del decennio d’oro dei rapporti ispano-giapponesi (1604-14), tuttavia, il nuovo Shogun Ieyasu e il figlio Hidetada spinsero ulteriormente avanti l’asticella dei contatti col partner iberico. Scrissero personalmente al viceré di Nuova Spagna66 e accolsero con piena soddisfazione gli ambasciatori, stavolta laici, giunti sia dalle Filippine che dallo stesso Messico. Con il sempre vivo interesse di scoprire il mondo e ottenere quelle preziose conoscenze che avrebbero consentito lo sviluppo del Giappone, i Tokugawa mostrarono grande disponibilità e apertura mentale.

Il felice periodo di comunanza d’intenti venne ratificato dall’arrivo in Giappone del governatore delle Filippine, in viaggio verso la Nuova Spagna, Rodrigo de Vivero y Velasco, sbarcato sulle coste giapponesi lungo il tragitto che lo conduceva da Manila ad Acapulco67. Approfittando dell’occasione, chiese udienza a Ieyasu e al figlio Hidetada, al fine di siglare accordi ufficiali tra i due regni. Una bozza di trattato, divisa in tre punti, prevedeva che i giapponesi consentissero agli spagnoli di utilizzare i porti nipponici come scalo da e verso il Messico e assicurassero protezione e libertà per i religiosi sul suolo giapponese. Il terzo punto infine prevedeva la cessazione, da parte giapponese, dei rapporti commerciali con le Provincie Unite, nemiche del re di Spagna68. Anche se l’ultimo punto veniva garbatamente lasciato cadere da Ieyasu, le diplomazie dei due regni si trovarono d’accordo sulle altre richieste, e lo Shogun ne approfittò per richiedere nuovamente l’invio di piloti e carpentieri esperti direttamente da Siviglia.

64 AGI, Gobierno, Audiencia de Filipinas, 329, libro 2, ff. 94v.

65 A.BOSCARO, Ventura e sventura, cit., pp. 70-71.

66 E. SOLA, Historia de un desencuentro, cit., pp. 70-72.

67 Ivi, pp. 80-63.

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Prima di riprendere il mare l’ambasciatore spagnolo relazionò approfonditamente circa la sua lunga permanenza nell’Arcipelago e stilò una relazione da inviare a Madrid. Mirabile la sua descrizione della città di Edo - l’odierna Tokyo - sede dalla corte Tokugawa. Soprattutto pare interessante il riferimento che Vivero fa alla presenza di religiosi francescani in città, liberamente tollerati da parte delle autorità shogunali. Se questo da un lato conferma il passaggio di testimone che nel XVII secolo stava avvenendo tra gesuiti e frati minori, dall’altro permette di presentare concretamente quella suddivisione territoriale precedentemente citata ma mai veramente esplicitata. Così, spartitisi in due differenti sfere geografiche d’influenza il territorio dell’Arcipelago, i francescani trovarono soprattutto nel nord del paese le migliori possibilità per radicarsi e associarono la loro presenza direttamente alla buona disposizione dei Tokugawa:

«En treinta leguas que caminé, pocas más o menos hasta la ciudad de Yendo, como he dicho, es la corte del Príncipe, no hallé cosa notable para poder escribir, q.e aunq.e los lugares eran mayor.s y la multitud de la gente, de manera q.e nos ponía admiración como después se vio tanto más de esto puédese bien pasar entre renglon.s, en todas part.s me hospedaron, agasajaron y regalaron con el amor q.e pudieran al más estimado de su Rey y R.no [...] Tiene esta ciudad 150 mil vecinos, y, aunq.e bate la mar en las casas de ella, entra un río caudaloso por medio del lugar, y en él barcas de razonable porte, q.e las naos no pueden por no ser tanta la hondura. Por este Río q.e se divierte y desangra por muchas calles viene la mayor parte del bastimento con tanta comodidad y a precios tan baratos, q.e come un hombre razonablem.e con medio re.l cada día; y aunq.e los japoneses no gastan pan sino como género extraordinario como fruta, no es encarecimiento decir q.e el q.e se hace en aquel pueblo es el mejor del mundo, y porq.e lo compran pocos, vale casi de balde [...] En esta ciudad de Yendo ha prometido el príncipe públicam.e el monasterio de S.n Fran.co, de frailes Descalzos, y esta permisión es sola en el reino, porq.e no hay otra descubierta, si no es con título de casas de vecinos»69.

Contemporaneamente, in un Kyushu che aveva ormai perso ogni spazio di quell’autonomia che poteva vantare fino agli anni ’80 del secolo precedente, i gesuiti si trovavano quasi completamente estromessi da ciò che più d’ogni altra cosa ne aveva garantito la forza e la fortuna per oltre un cinquantennio: il dialogo proficuo con le forze politiche e i principali protagonisti della scena militare e istituzionale giapponese.

3. Luis Sotelo: il francescano sognatore

Proprio sul finire del decennio d’oro, culminato negli accordi siglati da Vivero y Velasco, fece la sua comparsa sulla scena la figura, a tratti oscura, del frate francescano Luis Sotelo, il quale, trovandosi a Edo durante la permanenza obbligata del daimyō di Sendai, Date Masamune, ebbe a curare la concubina prediletta del potente signore, ricevendone gratitudine e ospitalità nel territori del nord, ove si trasferì col desiderio di espandere ulteriormente le frontiere della cristianità giapponese70. Nel corso del suo soggiorno nel regno di Oshū, Sotelo capì che i suoi interessi

69 Biblioteca Digital Mexicana A. C., Relación que hace don Rodrigo de Vivero y Velasco que se halló en diferentes

cuadernos y papeles sueltos, de lo que le sucedió volviendo de gobernador y capitán general de las Filipinas, y arribada que tuvo en el Japón, ff. 18-23.

70Molte informazioni circa l’espansione della cristianità nel nord del Giappone, nonché notizie riguardanti la figura di Luis Sotelo, sono contenute nella cronaca coeva agli eventi dell’interprete italiano che accompagnò la delegazione. Cfr. S.AMATI, Historia del regno di Voxu del Giapone, dell'antichità, nobiltà, e valore del suo re Idate Masamune,

delli fauori, c'ha fatti alla christianità, e desiderio che tiene d’esser Christiano, e dell’aumento di nostra Santa fede in quelle parti. E dell'ambasciata cha hà inuiata alla S.tà di N.S. Paolo V, e delli suoi successi, con altre varie cose

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collimavano con quelli del daimyō Masamune, desideroso di partecipare in prima persona al redditizio commercio con gli spagnoli, non solo con la colonia Filippina, ma anche con le Americhe, inaugurando una rotta che annualmente giungesse addirittura a Siviglia.

Accadde dunque che il religioso, conscio degli interessi del potente sovrano, proponesse a Masamune di inviare un’ambasceria al Re di Spagna, che non mancasse di recarsi anche a Roma ad onorare il Pontefice Paolo V, portando lettere di obbedienza e sottomissione71. Ciò che spingeva Sotelo era la, nemmeno troppo velata, ambizione di ricoprire un ruolo di rilievo all’interno della gerarchia religiosa giapponese: si era convinto infatti che condurre una simile delegazione al cospetto del Vicario di Cristo, replicando quanto avvenuto una trentina d’anni prima, gli avrebbe concesso l’opportunità di essere nominato Vescovo del Giappone.

Situato nel nord-est dell’isola principale del Giappone, il regno di Date Masamune venne definito come «senza comparatione alcuna il maggior di tutti»72: occupava infatti «ancora più della quarta parte dell’isola principale, che communemente tra loro si chiama Nifon, e da noi altri Giapone»73. In questo grande regno governava da secoli, sin dai tempi del primo shogunato nel XII secolo, il clan Date74. L’allora esponente del clan, Date Masamune, venne descritto dalle fonti di matrice europea come:

«Uno de’ più magnanimi che siano stati nel suo sangue, ò per dir meglio, in tutto il Giapone, tanto nell’ingegno, e gran valore nell’armi, virtù, arti, e sette, che s’imparano et usano nel Giapone; come nel valore e gagliardia. Nelle guerre c’ha avute non è stato mai vento, ne preso, ma sempre vincitore. Sempre è il primo negli assalti, e scaramuccie, mutandosi i vestiti, e combattendo come soldato particolare […] Si conosce nel Giapone per il più valoroso soldato che si nella guerra e nel governo; è liberalissimo, piglia e fa grand’imprese di fabriche reali, trattandosi con gran pompa e Meastà, tiene maggior famiglia, e casa dell’Imperadore, e molta maggior spesa di sua Maestà»75.

La particolarità di Masamune, nonostante la descrizione fortemente apologetica, fu senza dubbio l’ambizione. Desideroso di inserirsi all’interno dei fruttuosi traffici internazionali monopolizzati dalla corona spagnola, il daimyō s’impegnò attivamente per il raggiungimento dei suoi obiettivi. Aver trovato in Sotelo un appoggio al suo disegno fu per Masamune una fondamentale contingenza. Vettori delle ambizioni l’uno dell’altro, i due organizzatori della delegazione diedero vita a un progetto legatizio profondamente differente da quello che aveva caratterizzato la missione gesuitica. Nata con chiare finalità politico-economiche, l’ambasceria che partì nel 1615 fu un’assoluta novità per i rapporti diplomatici tra Europa e Giappone.

Se Masamune fu l’ideatore della delegazione, Luis Sotelo ne fu vero istrionico protagonista. Senza voler anticipare temi che troveranno spazio in conclusione, è tutta via opportuno ripensare al legame stretto, strettissimo, che il frate sivigliano ebbe a creare col potente daimyō. Come detto,

di edificatione, e gusto spirituale dei lettori. Dedicata alla S.ta di N. S. Paolo V. Fatta per il dottore Scipione Amati Romano, interprete, et historico dell’ambasciata, in Roma, appresso Giacomo Mascardi, MDCXV.

71 Cfr. J.LÓPEZ-VERA, La embajada Keichō (1613-1620), «Asiademica. Revista universitaria de estudios sobre Asia Oriental» 2, 2013, pp. 85-103. Oltre al precedente saggio, appare importante il riferimento all’ultimo contributo italiano, risalente ad ormai quasi trent’anni fa, ad opera di G.SORGE, Il Cristianesimo in Giappone e la seconda

ambasceria nipponica in Europa, Editrice CLUEB, Bologna, 1991.

72 S.AMATI, Historia del regno di Voxu del Giapone, cit., pag. 1.

73 Ibidem

74 Ivi, pp. 3-4.

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il primo incontro tra i due avvenne in circostanze del tutto casuali e per nulla legate alle finalità della successiva ambasceria. La descrizione che ne fanno le fonti europee è fortemente stereotipata e caratterizzata da un tono edificante e teleologico. Mentre infatti Masamune stava recandosi ad Edo, dove tutti i daimyō erano tenuti a soggiornare annualmente76 per volontà del nuovo Shogun, una sua concubina, alla quale era sentimentalmente legato, iniziò ad accusare malori e «cadè inferma»77. Il potente sovrano, poiché i medici di corte non erano riusciti a guarirla, avendo altresì saputo che i francescani possedevano un ospedale presso la loro chiesa, mandò a chiamare Sotelo affinché ordinasse al responsabile dell’ospedale, fra Pietro de Burguillos, di curare l’ammalata78. Questi si recò presso Masamune e prestò le sue cure alla concubina, la quale migliorò rapidamente:

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