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Il viaggio dell’ambasceria e il modello di accoglienza italiano: un confronto col caso di Enrico III di Francia

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 63-116)

1 L’arrivo in Europa: da Lisbona a Livorno

Dopo aver introdotto le dinamiche che dal Giappone spinsero il Valignano e la Compagnia a organizzare un viaggio diretto a Roma e volto a riaffermare i successi ottenuti dai gesuiti in Oriente, l’attenzione andrà necessariamente spostata sul concreto svolgersi degli eventi sin dalla partenza da Nagasaki e per tutto il volgere del complesso itinerario seguito dalla delegazione. Come già più volte affermato, il cuore del progetto era rappresentato dall’arrivo a Roma, ma per comprendere l’evoluzione che subì l’idea originaria di Valignano, è necessario considerare nel suo complesso il susseguirsi di soste e incontri che caratterizzarono l’intero percorso dell’ambasceria. Soprattutto questo capitolo di raccordo fornirà gli elementi base per comprendere il modello politico che - per la penisola italiana - stava alla base dell’idea di accoglienza e magnificazione dell’ospite. In tal senso sarà anche utile ricordare un evento che - pur in tutta la sua diversità - abbia presentato dinamiche che in molti passaggi richiamano quanto poi sarebbe accaduto a un decennio di distanza con l’accoglienza dell’ambasceria Tenshō: il viaggio italiano di Enrico III di Francia nel 1574. Oltre a ciò, la sequenza di eventi che verrà presentata in queste pagine fornirà la base per organizzare la successiva tematizzazione attraverso i significati e le ricadute di stampo politico, culturale, sociale ed economico di questo viaggio.

La delegazione mosse da Nagasaki verso Macao il 20 di febbraio e dopo due giorni di bonaccia venne investita da venti favorevoli alla navigazione. La tramontana però, si trasformò presto da prezioso alleato a pericoloso inconveniente. Le relazioni composte in gran numero per descrivere gli eventi che si vanno narrando, riportano di venti furibondi e di una traversata del Mar cinese assai difficoltosa:

«Da questo porto col favor divino fecero vela a’ XX di Febraio l’anno MDLXXXII verso la Cina con assai bonaccia, la qual ancora crebbe in capo di due giorni, levandosi tramontana ch’è vento favorevole per quella navigatione, e suole in quei mari regnare da sei o sette mesi continui: Onde i marinai, che di ciò hanno isperienza, aspettano sempre per partirsi così fatta stagione, che essi chiamano motione. Corso c’hebbero con quella prosperità alcuni giorni allegramente, cominciò il vento a rinforzarsi con gran furia, levando in alto onde grandissime, le quali, oltre il grande spavento, che con la sola vista mettevano, davan anco di tempo in tempo nella Nave percosse si forti, che parevano colpi di grossa artiglieria, tal ch’era gran meraviglia che il lego restasse intiero»1.

Raggiunta la costa cinese, il viaggio si interruppe per quasi dieci mesi in attesa che le navi portoghesi della rotta inter-asiatica li prelevassero. Da lì la tappa successiva fu Malacca, ove sostarono per un breve rifornimento prima di raggiungere Goa. Nella capitale dell’Estado da India sostarono quasi un anno. Il motivo è presto detto: come emerso dalla lettera presentata in chiusura del precedente capitolo, Valignano riteneva la sua presenza fondamentale per la felice riuscita del progetto legatizio. Una volta raggiunta la colonia portoghese, invece, il gesuita abruzzese trovò ad attenderlo la nomina a Provinciale di quei luoghi e, non potendovisi sottrarre, temporeggiò il più

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possibile nella speranza di riuscire a impedire ciò che ormai sembrava sempre più inevitabile: separarsi da quella delegazione che lui più di ogni altro aveva contribuito a ideare. Nel secondo anniversario della loro partenza da Nagasaki, il 20 febbraio 1584, presero il largo dalle coste indiane - senza più la guida di Valignano - e doppiarono il capo di Buona Speranza nel maggio, raggiungendo finalmente le coste europee il dieci agosto dello stesso anno2.

Urge interrogarsi sul significato di queste soste. Non solo tappe forzate lungo il tragitto che condusse i delegati in Europa, ma bensì nodi strategici ragionati e parte del progetto legatizio immaginato dal Valignano. Guardando ad esempio alla lettera che, proprio da Goa, una delle tappe più lunghe del viaggio, egli si premurò di inviare in Europa, emerge che:

«Chegados q. fore a Portugal farã sua cõsulta logo co o padre Provincial se estiver em Lix.a [Lisboa], y com o p[adr]e Afoncequa y mais p[adr]es q. parecer bem, acerca de sua yda y dos mininos y se he bem q. vaõ todos juntos ou sera meyor que o p[adr]e Nuno Roiz va primeyro de pressa a Roma pera se achar a tempo na congregaçaõ como nosso padre emcomenda. Suposto q. ha de fazer quanto pode pera se achar a tempo e Rorma, poys por ysso se manda por procurador, se con ysto juntamente se oferecesse ocasiaõ de segura passagem dos navios oui de Lixa [Lisboa] ou de Barcelona ou de outro porto de Espanha de maneyra q. podessem tambem os mininos, fora muy grãde bem aynda q. naõ podesse ver as causas de Portugal as quaes poderiaõ depoys ver a sua vontade quado tornare de Roma»3.

Era dunque volontà del Visitatore che i compiti di accoglienza in Europa venissero ripartiti tra i Provinciali delle diverse amministrazioni gesuitiche in terra iberica. D’altronde il progetto politico alla base prevedeva che il viaggio fosse organizzato dalla Compagnia e ad essa fosse indirizzato. Certo l’interesse e la partecipazione delle potenze sovrane avrebbe solo aumentato il valore di un simile progetto, ma mai il Valignano avrebbe immaginato, nel corso dello svolgersi dell’ambasceria, la costante interferenza che vi fu da parte dei sovrani europei. Anche e soprattutto per permettere che questi ordini arrivassero a destinazione, dunque, si rivelarono necessarie le soste prolungate nei porti lusitani in Asia. Non si poteva in alcun modo permettere che una delegazione che tanto grandi profitti prometteva di generare giungesse in Occidente inaspettata e senza le adeguate coperture istituzionali da parte della Compagnia.

Non solo per la preparazione delle accoglienze in Europa, ma anche per permettere di recuperare doni e cimeli da regalare ai sovrani del Vecchio Continente servirono le numerose soste. Tra questi ritroviamo in due diverse occasioni dei corni di rinoceronte, uno donato dapprima al re di Spagna, l’altro al granduca di Toscana. In nessun passo ci viene spiegato da dove siano arrivati tali corni, ma pare corretto ipotizzare che si sia trattato di rinoceronti di Giava o Sumatra, una varità indonesiana del mammifero molto apprezzata in tutto l’Oriente. Infatti, posto a una latitudine simile a quella italiana, il rinoceronte non era né poteva essere un animale presente in Giappone. Ecco dunque che le soste a Malacca, in India e poi sulle coste africane assumono ora un nuovo significato: tappe preparatorie per permettere che tutto venisse approntato come era consono all’arrivo dell’ambasceria; soste per rifornimenti e riposo dalle fatiche del viaggio; territori dove

2 Ivi, pp. 49-50.

3 ARSI, Jap. Sin 22, ff. 51r-58v, con I fogli 57r e 58v mancanti. Per l’edizione del documento si rimanda a Monumenta

Historica Societatis Iesu, Documenta Indica, Vol. XIII, Institutum Historicum Societatis Iesu, Roma, 1975, pp.

418-27; J.A.ABRANCHES PINTO,H.ERNARD, Les Instructions du Père Valignano pour l'ambassade japonaise en Europe.

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infoltire l’apparato di doni da presentare poi ai sovrani che di volta in volta avessero accolto la delegazione.

L’arrivo in Europa meriterebbe ben più corpose considerazioni di carattere geo-politico, in special modo per quanto riguarda le dinamiche interne alla penisola iberica e il loro riverberarsi sugli scenari coloniali ispano-lusitani in Oriente. Tutta questa trattazione verrà ripresa, approfondita e contestualizzata nel corso del quarto capitolo. Per il discorso che qui ora si intende portare avanti basti ricordare come, a partire dal 1580, proprio contemporaneamente allo sviluppo del modello di controllo territoriale gesuitico a Nagasaki, le due Corone principali della penisola, quelle di Spagna e Portogallo, erano confluite sul capo di Filippo II (Filippo I di Portogallo)4. Questo, unito al fatto che lo stesso sovrano era anche padrone - direttamente o meno - di larghissime porzioni territoriali in Italia, poneva la corte di Madrid e il suo re come i principali interlocutori dell’ambasceria accanto al Pontefice.

Le cronache che seguirono l’andamento del viaggio restituiscono utili informazioni circa le diverse accoglienze che furono tributate ai quattro giovani principi e al loro seguito di religiosi. In particolare, non appena sbarcati nella capitale lusitana, vennero accolti direttamente dal governatore del Regno, il Cardinale Alberto d’Austria5, il quale li trattò «con molta benignità, e dimostration d’amore, offrendosi largamente per quanto fosse bisogno così a loro stessi, come alla Christianità del Giapone»6. Dopo i grandi onori ricevuti, i quattro giovani ambasciatori fecero omaggio al Cardinale di una tazza di corno di rinoceronte guarnita d’argento e vennero poi scortati per la città a visitare i luoghi più rinomati7.

Il cinque di settembre, quasi un mese dopo il loro arrivo in Portogallo, i quattro giapponesi mossero verso Evora, circa cento cinquanta chilometri ad est, nell’entroterra lusitano. Viaggiarono a bordo di una carrozza appartenente all’arcivescovo Don Teotonio di Braganza8 e raggiunsero la nuova città, dove, ascoltata la messa, vennero accolti a Villa Viçiosa, residenza della Duchessa Caterina di Braganza, cugina del re Filippo II9. L’incontro, oltre alle consuete cordialità e gentilezze che

4 L’unione delle corone di Spagna e Portogallo affonda le sue origini negli stretti legami familiari che univano i due principali regni della penisola Iberica. Venuta meno la dinastia degli Aviz a seguito della sfortunata morte in combattimento di Sebastiano I ad Alcazarquivir. Filippo II sfruttò i suoi legami parentali da parte materna per estendere all’intera Penisola il suo dominio. Per notizie più precise circa il contesto generale che condusse all’unione iberica si veda F.BOUZA ÁLVAREZ, Portugal en la Monarquia Hispanica (1580-1640). Felipe II, las Corted de Tomar

y la genesis del Portugal Catolico, Universidad Complutense, Madrid, 1987; F.BOUZA ÁLVAREZ, Retorica da imagen

real. Portugal e la memoria figurada de Felipe II, in «Penélope: revista de historia y ciencias sociais», N.o IV, 1990,

pp. 19-58; M.NEWITT, Portugal in European and World History, Reaktion Books Ltd., London, 2009, pp. 85-112. Per notizie riguardanti il ruolo del Portogallo e - soprattutto - dei portoghesi a cavallo dei decenni dell’unione si veda invece D.STUDNICKI-GIZBERT, A Nation upon the Ocean Sea. Portugal’s Atlantic Diaspora and the crisis of the

Spanish Empire, Oxford University Press, 2007, pp. 17-66. Per una visione d’insieme sull’unione iberica in Asia, si

vedano R.VALLADARES, Castilla y Portugal en Asia (1580-1680). Declive imperial y adaptacion, Leuven University Press, 2001; J.A.MARTINEZ TORRES, Integrate the Empire. Proposal for commercial and defensive cooperation in

South-east Asia during the incorporation of Portugal into the Monarchy of the Spanish Habsburg, in (a cura di) J.I. MARTINEZ RUIZ, A Global Trading Network. The Spanish empire in the world economy (1580-1820), Editorial Universidad de Sevilla, 2018, pp. 221-37.

5 Alberto VII d’Asburgo fu nominato cardinale nel 1577 da Papa Gregorio XIII. Diviene famoso per essere stato governatore dei Paesi Bassi spagnoli durante la rivolta di questi ultimi, conducendo in porto le trattative per la Tregua

de dodici anni (1609). Prima di questo, nel 1585, era stato incaricato dallo zio Filippo II di amministrare il regno di

Portogallo in qualità di viceré. Enciclopedia Treccani online, Alberto d’Asburgo arciduca dei Paesi Bassi cattolici,

cardinale, voce consultata il giorno 11/02/2019.

6 G. GUALTIERI, Relationi della venuta de gli ambasciatori Giaponesi à Roma, cit., pag. 51.

7 G. BERCHET, Le antiche ambasciate giapponesi in Italia, cit., pag. 17.

8 G. GUALTIERI, Relationi della venuta de gli ambasciatori Giaponesi à Roma, cit., pag. 52.

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avrebbero accompagnato i quattro giovani lungo tutto il viaggio, ebbe un interessante sviluppo allorché la duchessa, affascinata dalla foggia degli abiti degli ambasciatori, chiese ed ottenne la possibilità di copiarne uno per poterne vestire il proprio figlio Edoardo10. Scrisse a tal proposito il Berchet: «fece copiare esattamente il loro costume e ne vestì il proprio figliuolo Edoardo. Quindi invitò gli ambasciatori a tornare da lei, avvertendoli, che vi troverebbero un gentiluomo giapponese appena arrivato»11. Terminata con questa curiosa sorpresa la loro visita in villa, e dopo aver goduto delle altre meraviglie che poteva offrire la città lusitana, i quattro si misero in marcia verso la corte di Madrid dove li attendeva lo stesso re Filippo II.

Lungo tutto il tragitto che condusse la legazione all’Escorial, i quattro giovani vennero festeggiati ed accolti con grandi onori: dapprima a Guadalupe, in seguito a Talavera e infine a Toledo, dove numerosi nobili del posto uscirono a cavallo per scortarli e omaggiarli12. Ovunque, nobili signori e persone qualunque festeggiavano il passaggio degli ambasciatori e ne ammiravano lo stile tanto diverso dal consueto a cui erano abituati. L’attenzione e l’interesse furono tali che lo stesso Gualtieri, nella parte di cronaca dedicata all’incontro e udienza con Filippo II, si dilungò in un’ammirata descrizione del ricco vestiario dei quattro principi:

«Primieramente la lor materia è di seta, ma sottile, à modo di taffetà, ò tabin molto fino: il color bianco, ma con altri varii colori dentro tessuti in figura di diversi uccelli, e fiori, e fogliami, e questo tanto bene, che nel vero è cosa vaga e dilettevole, se ben non ha quella gravità, che hanno li nostri colori più scuri e uniformi. Di questo drappo portano due, e tal volta tre vesti, l’una sotto l’altra, lunghe fin’a terra, aperte d’avanti, con le maniche larghe che arrivano fin’al gomito, restando scoperto e nudo il resto del braccio […] Sopra le spalle pende una benda del medesimo drappo, ma per ordinario meglio lavorata, due palmi larga, e tre lunga, che no serve per altro che per un certo ornamento, e da ambi li capi n’esce una lista, o benda larga due dita, che incrociata avanti al petto, e ritorta dalle reni alla parte d’avanti, serve per sostener e per cintura»13.

Vi era, politicamente parlando, una sorta di duplice interesse, che ancora meglio si vedrà in rapporto alle corti italiane, tra le volontà del sovrano e quelle della Compagnia che patrocinava l’ambasceria. L’uno e gli altri erano interessati a trasformare in risultato politico il ritorno d’immagine che questo evento poteva garantire. Dal punto di vista gesuitico il re di Spagna, al pari del Papa, rappresentava la migliore garanzia di successo per il progetto legatizio. Impressionare e interessare il sovrano significava aprirsi nuove strade per raggiungere il risultato sperato in termini di uomini e mezzi - soprattutto economici - della missione in Giappone. Più articolata l’analisi delle aspettative e dei vantaggi in cui poteva sperare Filippo II. Le ricche accoglienze ricevute lungo tutto il suo stato, contrariamente a come vedremo per l’Italia, non furono lasciate nelle mani delle singole città; fu il sovrano a inviare dispacci e a presentare come necessario il rendere

10 Relatione del viaggio et arrivo in Europa et Roma de’ principi giapponesi venuti a dare obedienza à Sua Santità

l’Anno MDLXXXV, all’ Eccell. Sig. Girolamo Mercuriale, in Venetia, appresso Paolo Meietto, 1585, pag. 5; La dichiaratione di tutto il viaggio de’ principi giaponesi, dove si contiene la descrittione di quei paesi, suoi costumi e vita, con quanto gli è occorto da che si son partiti dai Regni loro. Con l’obbedienza, che hanno prestata alla Santità di Gregorio XIII, a Roma l’anno MDLXXXV, in Cremona, appresso Christoforo Draconi, 1585, pag. 5.

11 G. BERCHET, Le antiche ambasciate giapponesi in Italia, cit., pag. 17. Il Berchet, stranamente vista la sua acribia, non ci informa su quale sia stata la fonte da lui utilizzata per recuperare questa informazione. Fortunatamente ci viene in soccorso il Gualtieri. Anche lui, infatti, riporta il medesimo evento nella sua cronaca ufficiale degli eventi. G. GUALTIERI, Relationi della venuta de gli ambasciatori Giaponesi à Roma, cit., pp. 53-54.

12 G. GUALTIERI, Relationi della venuta de gli ambasciatori Giaponesi à Roma, cit., pag. 55.

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omaggio ai quattro giovani principi14. Da non sottovalutare poi l’importanza dell’evento per i “nuovi” sudditi portoghesi: a pochissimi anni dall’unione delle corone, la fluida situazione della penisola iberica andava sempre tenuta sotto controllo. L’iniziativa nasceva da quei territori facenti parti dell’Estado portoghese in Oriente e andava opportunamente tenuta in conto in un momento così rilevante della politica interna di Filippo. Soprattutto, per il re Cattolico era impensabile non votare tutte le sue energie a un progetto che, al netto dei risvolti politici, aveva nel suo afflato evangelizzatore una delle componenti principali. Dopo Lepanto, dopo aver restituito speranza alla cristianità con la vittoria, ecco che si presentava un’altra e ancor più interessante occasione per legare il suo nome al trionfo degli ideali cristiani, stavolta addirittura in Giappone. Il piano politico e quello religioso venivano poi nuovamente a unirsi laddove si pensi all’espansione che - come si vedrà - le Provincie Unite stavano avendo in Oriente. Il conflitto ancora aperto con Amsterdam poneva Filippo nell’obbligo di valorizzare il più possibile ogni spazio che permettesse di confermare la sua autorità e la sua potenza contro la spina nel fianco olandese, capace di tenerlo in scacco e di sostituirsi pian piano al dominio cattolico in Asia.

Per tutti questi motivi l’incontro di Madrid tra Filippo e la delegazione ha rappresentato una delle pagine più interessanti di questo evento. I delegati si presentarono a cospetto del sovrano nei loro abiti tradizionali. In quell’occasione offrirono al re le lettere dei tre daimyo che rappresentavano15. Proprio mentre si apprestavano a baciare le mani al sovrano, accadde che Filippo, volendo dimostrare la sua soddisfazione per un simile incontro, nonché la sua ammirazione per quattro giovani, non permise loro di inginocchiarsi per baciargli le mani, ma si recò personalmente ad abbracciarli uno per volta16. Ecco dunque il re di Spagna mettere in scena tutta la ritualità europea tipica degli incontri tra sovrani. Il senso di tale operazione, il significato più profondo, stava nel voler considerare i quattro principi come suoi pari. Veri e propri esponenti del potere sovrano e come tali non obbligati a prostrarsi al cospetto di un loro omologo. Non di meno pare curioso come il Gualtieri, cronista ufficiale che raccolse in un unico libro l’intero viaggio, utilizzi gli stessi toni trionfanti e legati alla sfera emotiva anche in occasione dell’incontro col Papa17. Entrambi i momenti, centrali ed emblematici, sono stati vestiti dall’autore con una retorica letteraria tesa a evidenziare la bontà del progetto gesuitico e la sua più che positiva accoglienza da parte delle principali autorità europee.

Terminata l’udienza, il re condusse i quattro giovani giapponesi a visitare le cose più mirabili della sua corte e riservò loro un’ulteriore sorpresa:

«Fece loro mostrare tutte le cose più belle, come lo Escurial, luogo di ricreatione delitiosissimo di quella Maestà; l’armeria, le gioie, la cavalleria, e li fece esser presenti al giuramento del Principe; in qual solennità diede loro il primo luogo a man dritta, ordinando che con essi stessero due Signori principali, che si dessero a conoscere distintamente tutti li Signori, che di mano in mano davano il giuramento»18.

14 Ivi, pp. 62-69.

15 Ivi, pag. 59.

16 Ibidem

17 Ivi, pp. 81-83.

18 Relatione del viaggio et arrivo in Europa et Roma de’ principi giapponesi venuti a dare obedienza à Sua Santità

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È praticamente certo che il giuramento del giovane principe spagnolo, figlio di Filippo II e futuro Filippo III (il quale a sua volta accolse una delegazione giapponese nel 1615), fosse nei fatti previsto già da prima dell’arrivo dei principi giapponesi. Tuttavia, come si vedrà poco oltre per il caso veneziano, non fu insolito che una celebrazione o un evento venissero posticipati di qualche giorno per permettere alla delegazione, costantemente in viaggio e perennemente omaggiata dall’una o dall’altra città, di raggiungere in tempo il luogo della celebrazione. Così, pur senza sapere con certezza quale sia stato l’ordine degli eventi, ciò che sappiamo con certezza è che Filippo II utilizzò con scaltrezza anche quest’occasione, vestendo di ancora più grande lustro e importanza la sosta madrilena della delegazione.

Dopo aver partecipato al giuramento19, il re volle quindi intrattenersi coi quattro principi,

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 63-116)