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Rappresentazione grafica delle principali evoluzioni del "modello gesuitico" in Giappone

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO (pagine 53-63)

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i padri ed i fratelli cristiani sapessero come comportarsi, era necessario determinare ed individuare le corrispondenze tra le dignità cristiane e quelle dei monaci.

La proposta di Valignano non lasciò indifferente il Generale dell’ordine. Dopo aver dovuto accettare di vedere i gesuiti entrare nell’amministrazione della città di Nagasaki, imbarcandosi nelle relative avventure commerciali necessarie e a garantirne il sostentamento economico, l’idea di uniformare la propria predicazione alle azioni esteriori del clero shinto-buddhista non poteva che preoccuparlo per la deriva che la missione giapponese stava prendendo. Il rapporto epistolare che ne derivò, mette in luce chiaramente le diverse posizioni del generale e di Valignano, con quest’ultimo che non nasconde come sia impossibile, per chi non la viva quotidianamente coi propri occhi, comprendere una realtà tanto avulsa dall’ordinario come quella giapponese114:

«Molto reverendo Padre Nostro in Christo, con questa risponderò ad alcuni punti riguardanti il Giappone, di cui V. P. mi scrisse in diverse lettere, e in prima cosa per quanto si riferisce agli onori e le dignità in cui sembra che siano posti i Nostri […], ma poiché le cose che avvengono così lontano e che sono tanto caratterizzate da circostanze così ignote e insolite, come quelle del Giappone, non si lasciano comprendere in fretta e bene come conviene, essendo questo punto così importante, di certo mi perdo d’animo non sapendo come posso ben chiarirlo e farlo ben capire»115.

Scrisse Valignano che sarebbe convenuto prendere come modello i “gradi” della setta Zenshu, che fra tutte era la maggiore del paese. I capi principali venivano detti Choro e tra loro i cinque più importanti erano i Choro dei cinque templi Gosan di Meaco116 e tra questi a loro volta il principale e capo di tutti era chiamato Nanzenji no incho117. I gesuiti avrebbero dovuto rifarsi a questi titoli, in modo che tutti i padri raggiungessero il grado di Choro, i superiori regionali quello di Choro dei Gosan ed il superiore della missione il grado di Nanzenji no incho.

Valignano diede altri importati consigli per meglio integrarsi nella società giapponese. Dedicò un capitolo a descrivere le tecniche di costruzione per le chiese e gli edifici dei gesuiti in modo che risultassero il più simili possibile agli altri edifici presenti nelle città e che non si discostassero dai criteri architettonici nipponici118. Fu inoltre il primo a rendersi conto che gli atteggiamenti troppo

114 L’idea di rendere i gesuiti identificabili con i bonzi fece storcere il naso ai superiori dell’ordine che non conoscevano la realtà giapponese. Il Generale chiese spiegazione per lettera nel 1585 a Valignano, il quale replicò l’anno seguente: «Nondimeno sento gran difficultà et temo di danno in alcuna cosa, cioè in quel che V. R. dice che quanto agli honori et modo i trattarsi con riputatione, dobbiamo conformarsi co’ i Bonzi, per non diventar contentibili et noi et la nostra legge, tanto più che, non essendovi altri prelati, bisogna che noi teniamo luogo di prelati, pastori, etc. et conserviamo la dignità ecclesiastica; perché, come Dio Nostro Signore non concorre già con miracoli et doni di profetie, et quelle genti si muovono tanto con queste cose esteriori, è necessario accomodarsi loro et entrar con la loro per uscir poi con la nostra» A.VALIGNANO, Il cerimoniale per I missionari in Giappone, cit., pag XIII, Ivi, pp. 37-41. M. Sanfilippo, L’abito fa il monaco? Scelte di abbigliamento, strategie di adattamento e interventi romani

nelle missioni «ad hereticos» e «ad infideles» tra XVI e XX secolo, in «Mélanges de l’Ecole française de Roma. Italie

et Méditerranée», Vol. CIX, 1997, N.o 2, pp. 601-20.

115 A.BOSCARO, Ventura e sventura, cit., pp. 215-219.

116 Con Gosan (lett. “cinque montagne”) si indica il complesso sistema di centri religiosi zen dislocati a Kyoto o nelle sue immediate vicinanze. Quelli a cui si riferisce Valignano sono i seguenti: Nanzenji, Tenryuji, Shokokuji, Kenninji e Tofukuji. A.VALIGNANO, Il cerimoniale, cit., pag. 125. A.BOSCARO, Ventura e sventura, cit., pag. 84.

117 Il più importate dei cinque era sicuramente il Nanzenji situato nel centro della capitale e polo importante di produzione poetica e prosastica della gosan bungaku (letteratura delle cinque montagne). Ibidem

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remissivi e la vita da mendicanti dei padri, se paragonati alle usanze giapponesi119, potevano diventare fonte di biasimo e non di ammirazione; scrisse di guardarsi bene dal prendere per la mano per mostrare familiarità e soprattutto di non fare, per mostrare rispetto, cose adatte solo a servitori di casa, come porgere le scarpe o reggere l’ombrello120.

Risulta dunque evidente come, se in un primo tempo furono i giapponesi a non capire la differenza presente tra i nuovi arrivati, portatori del messaggio evangelico, e le innumerevoli sette buddhiste presenti sul territorio, in un secondo momento, furono i gesuiti stessi a volersi uniformare per integrarsi maggiormente e con più facilità all’interno della società giapponese.

Come scrisse Padre Frois in una sua lettera del 1585121, Valignano era riuscito da subito a calarsi nella realtà giapponese, e con le sue doti di grande osservatore, aveva notato che uno dei motivi principali per cui la popolazione locale rivolgeva le proprie attenzioni al messaggio cristiano era l’uniformità della dottrina predicata dai padri. In ogni setta buddhista, o addirittura all’interno di una stessa setta, erano presenti correnti e dottrine fortemente diverse le une delle altre, e perfino gli abiti utilizzati da una setta piuttosto che da un’altra differivano grandemente; tutto questa procurava insicurezza e disagio nella popolazione. I padri invece erano portatori di un’unica dottrina, sempre uguale a sé stessa e questo era motivo di conforto e sicurezza per ogni giapponese che si avvicinasse al cristianesimo. Per questo, quando si trattò di permettere ad altri ordini religiosi di sbarcare sulle coste del Giappone, Valignano espresse il suo disappunto, arrivando ad invocare una “bolla” da parte del pontefice per garantire il monopolio gesuita nelle isole giapponesi122.

2.1 La nascita della delegazione

Tutte queste novità fanno da sfondo al progetto centrale che Valignano aveva in mente per ristrutturare definitivamente la missione giapponese: l’organizzazione e l’invio in Europa della delegazione Tenshō. Con un percorso di riforme che durò quasi un decennio e si completò solo nella seconda metà degli anni ’80 del XVI secolo, l’ambasceria risulta snodo centrale del complesso percorso riformatore del Visitatore. Partita nel 1582, la delegazione prese il nome dell’Era giapponese nella quale lasciò l’Arcipelago diretta in Occidente. La nascita del progetto trovava fondamento nella realizzazione di tutta una serie di obiettivi ritenuti imprescindibili dal Visitatore per la futura fortuna della missione giapponese123. Risalendo alla prima opera storica

119 In Giappone si guardava con disprezzo ai bonzi mendicanti, in quanto la popolazione molto povera non poteva permettersi di far vivere di elemosina i monaci privandosi di quel poco che possedeva. A. LUCA, Alessandro

Valignano, cit., pag. 155.

120 A.VALIGNANO, Il cerimoniale, cit., pag. 139.

121 «Il P.e Generale Everardo Mercuriano di buona memoria predecessore di V. P. mandò all’India et coteste parti il P.e Alessandro Valignano per Visitatore et perché q.sta provincia è la più remota di quante V. P. governa et dove il corso delle cose gravi et urgenti non può qui venire con la risposta se non nel fine di sei anni, […] non riconosciamo per piccolo beneficio de Iddio il venir a Giappone il P.e Visitatore Alessandro Val.no perché oltre tutte l’altre parti che V. P. del suo suggetto molto ben cognosce, li comunicò Dio N. S. in doi anni che stette in Giappone tanto intiero cognoscimento delle qualità della terra del mondo per dilatare il santo Evangelio, et conservare la già fatto Christianità, per acquistare gli animi dei Giapponi, et finalm.te per intender tutto quel che tocca al buon governo di q.sta Prov.a» ARSI, Jap. Sin., 10 I, f. 5.

122 J.LOPEZ-GAY, El Sumario de las cosas de Japon (1583): Una delle opere principali di Alessandro Valignano, in A. TAMBURELLO,M.A.J.UÇERLER S.J.eM.DI RUSSO (a cura di), Alessandro Valignano S. I. uomo del Rinascimento, cit., pag. 237.

123 Lettera Annale del Giapone dell’anno MDLXXXII Del P. Gasparo Coeglio Viceprovinciale, cit., pp. 6-9; J.C. BROWN, Courtiers and Christians: The First Japanese Emissaries to Europe, in «Renaissance Quarterly», Vol. 47, No. 4, Winter 1994, Published by The University of Chicago Press, pag. 874.

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relativa alla missione dei Padri nell’Arcipelago, l’Istoria della Compagnia di Gesù scritta da Daniello Bartoli poco dopo la metà del XVII secolo, paiono evidenti tre motivazioni che fecero da sfondo alle intenzioni valignanee. Anzitutto il desiderio di mostrare ai giapponesi, estremamente orgogliosi della propria cultura, che in Europa si era sviluppata nei secoli - avendo come fondamenta il Cristianesimo - una civiltà che nulla avesse da invidiare a quella asiatica. In secondo luogo la speranza era che il Pontefice, colpito dalla straordinarietà dell’evento, concedesse maggiori benefici alla missione gesuitica in Giappone, soprattutto attraverso il sostegno finanziario. Infine - e qui emerge per la prima volta il significato propagandistico della missione - l’idea era di mostrare al Papa e all’Europa cattolica, specialmente a quei detrattori della missione gesuitica, quali e quanti successi stessero ottenendo i Padri in Oriente; così grandi da consentire l’invio di una delegazione di ambasciatori, imparentati con i principali daimyo del Kyushu, pronti a giurare obbedienza a Sua Santità.

È evidente che il testo del Bartoli, panegirico dell’attività missionaria gesuitica nel mondo, fermi le sue considerazioni una volta descritte le tre intenzioni che mossero il Valignano ad immaginare l’opera. Cerchiamo dunque di entrare maggiormente nel dettaglio:

• Tra gli intenti principali di Valignano vi era sicuramente quello di rendere una volta per tutte i giapponesi consapevoli del fatto che l’Europa non aveva nulla da invidiare al loro paese. Soprattutto però l’obiettivo era di mostrare loro che i missionari non scappavano da situazioni di miseria sperando di trovar fortuna altrove; il loro ardore era puro e disinteressato124. • Non meno importante poteva rivelarsi il risvolto economico: visto il sempre precario stato

delle finanze gesuitiche in Giappone, ulteriormente compromesso dalla gestione del porto di Nagasaki, andava dimostrato al Pontefice quali e quanti frutti la predicazione nell’Arcipelago avesse prodotto, così da indurlo ad aumentare sovvenzioni e benefici125. La gestione di Nagasaki, infatti, pur avendo garantito un porto sicuro alla Compagnia, si era rivelata una cronica divoratrice delle finanze gesuitiche, aggravando una già non brillante situazione finanziaria.

• Infine, ma non per questo meno importante, il risvolto simbolico appariva altrettanto evidente: in un’Europa dilaniata dalle eresie, in cui il prestigio di Roma necessitava sempre nuovo lustro, condurre un’ambasciata di convertiti da terre lontane avrebbe senz’altro contribuito a riaffermare la supremazia spirituale del Pontefice126. Anche per questo motivo, pur non essendo parso opportuno indagare ora questa linea di ricerca, sarebbe importante e fondamentale capire se e cosa le Potenze Protestanti abbiano colto dell’Ambasceria Tenshō; come, in sostanza, abbiano inteso questo trionfo religioso della Compagnia e della Cristianità di Roma127.

124 A.BOSCARO, Ventura e sventura, cit., pag. 100; G.BERCHET, Le antiche ambasciate giapponesi in Italia, Venezia, Tip. Del commercio di Marco Visentini, 1877, pag. 14; A.SANTANA CATARINA, Para uma análise do conceito de

“exótico”. O Interesse Japonês na Cultura Europeia (1549-1598), Universidade nova de Lisboa, settembre 2012,

pag 23.

125 A.BOSCARO, Ventura e sventura, cit., pp. 93-96.

126 G.BERCHET, Le antiche ambasciate giapponesi in Italia, cit., pag. 14.

127 Pur rinviando a futuri lavori che, si spera, possano chiarire questo punto rimasto ancora oscuro, basti qui dire che già Donald Lach, nella sua enciclopedica opera sui rapporti Euro-asiatici di Età Moderna, aveva sollevato la questione, fornendo qualche spunto a un discorso meritevole di nuove e più approfondite ricerche. D.LACH, Asia in the Making

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A queste tre, poi, va aggiunta una motivazione non evidenziata dal Bartoli nella sua Istoria. Si sono già viste le implicazioni che l’attività gesuitica in Oriente ebbe nell’evoluzione dell’ordine. Non più e non solo impegnata nella conversione e nella cura d’anime, la Compagnia prese a configurarsi dapprima come attore politico-economico e in seguito come mediatore culturale. Il possesso - seppur non completo - della città di Nagasaki, la presenza attiva nel commercio serico e infine la messa in pratica delle teorie di sincretismo e adaptatio alle realtà religiose locali, misero in seria difficoltà i vertici dell’ordine nel giustificare la propria politica. La difficoltà a difendersi dagli attacchi che provenivano verso quella che era considerata come una progressiva e sempre più pericolosa diminuzione dello zelo missionario - quando non addirittura un imbarbarimento del messaggio cristiano - spinsero il Valignano alla creazione dell’ambasceria128. Tanto più che un numero sempre crescente di voci dissonanti interne all’ordine si andavano sollevando verso le pratiche e le teorie valignanee.

Contemporaneamente alla voce di Nicolò Longobardo, che pochissimi anni dopo si sarebbe levata contro le pratiche di sincretismo religioso che il marchigiano Matteo Ricci aveva mutuato dallo stesso Valignano per la missione cinese 129, anche in Giappone sorsero divergenze politiche e ideologiche. Le prime risalivano ancora agli anni ’80 del XVI secolo e furono dettate essenzialmente dall’incompatibilità caratteriale che spesso oppose due delle massime autorità della missione gesuitica in Giappone: Valignano e Organtino Gnecchi Soldo. Quest’ultimo, giunto in Giappone sin dal 1570, aveva avuto modo di vivere in prima persona tutti i cambiamenti, anche repentini, che lo scacchiere geopolitico dell’Arcipelago poteva offrire, essendo presente alla corte di Nobunaga al momento del suo assassinio130. La sua, inoltre, era stata la prima e più convinta voce che spinse in favore della pratica di inclusione e accomodatio ai costumi e alla cultura nipponica131. Nonostante questo punto in comune con l’opera valignanea, Organtino si trovò opposto al Visitatore per questioni di carattere logistico e organizzativo, nonché per motivi economici132; questo ne penalizzò la carriera e lo pose sempre più in contrasto con le posizioni del gesuita abruzzese.

Sono però soprattutto le seconde, quelle di carattere ideologico, a dare un’idea dell’eterogeneità delle posizioni da tenere sul tema dell’adaptatio. È in particolare la figura ti João Rodrigues, soprannominato Tsûzu e attivo in Giappone a partire dagli stessi anni in cui il progetto legatizio prese forma e si svolse, a destare interesse e meritare attenzione. La sua attività nell’Arcipelago consta di una copiosa attività in qualità di interprete133 ma è soprattutto con la sua Historia da

Igreja do Japão che l’attività di Tsûzu torna prepotentemente a noi. Sulla scia dell’operazione già

tentata da Frois, anche Rodrigues provò a calarsi a fondo all’interno della società giapponese, indagandone gli usi e costumi, descrivendone le abitudini e le peculiarità. Con un’indagine che

128 Per la nascita dell’annosa e spinosa questione dei “riti Cinesi” e la radicalizzazione che essa assunse nel corso del XVII secolo, fino al ricorso diretto all’autorità pontificia, si veda P.LÉCRIVAIN SJ, Il fascino dell’Estremo Oriente, o

il sogno interrotto, in Storia del Cristianesimo. Religione-Politica -Cultura, in P.VISMARA (a cura di), Storia del

Cristianesimo Vol. 9, L’età della ragione (1620/30-1750), Borla. Città Nuova, Roma, 2003, pp. 689-90; 698-711;

721-24. Per un’opera più recente si rimanda a G.CRIVELLER, La controversia dei riti cinesi. Storia di una lunga

incomprensione, Centro di Cultura e Animazione Missionaria Pime, Milano, 2012.

129 Cfr. J.GERNET, Cina e Cristianesimo, trad. it. A.C.BORTOLINI, Marietti Editore, Casale Monferrato, 1984.

130 Avisi del Giapone de gli anni MDLXXXII, LXXXIII et LXXXIV, cit., pag. 54.

131 A.LUCA, Alessandro Valignano, cit., pp. 149-50.

132 G. BERTOLUCCI, GNECCHI SOLDO Organtino, Dizionario Biografico degli Italiani vol. 57, Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, Roma-Catanzaro, 2001, pp. 436-38.

133 Cfr. M.COOPER, Rodrigues the interpreter: an early jesuit in Japan and China, Weatherhill, New York-Tokyo, 1974.

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spaziò dal cibo alla religione, dall’architettura al commercio, la Historia di Tsûzu risulta in realtà un compendio di civiltà e cultura giapponese ben più che una cronaca dell’attività gesuitica in

loco134. È inoltre il primo a intuire una diversità religiosa tra le pratiche shintoiste e quelle buddhiste, fornendo un Vocabulario che fungesse da prontuario per i confratelli attivi in Giappone, con oltre 30000 nuovi termini e chiari esempi pratici del loro utilizzo135.

È proprio in questa dimensione che si rivelano le maggiori differenze interpretative con Valignano. Se infatti entrambi osservarono e compresero finemente la realtà in cui la missione gesuitica si stava muovendo, l’impianto analitico e critico del portoghese, privo di secondi fini e di una visione del Giappone come mezzo per raggiungere uno scopo, evidenzia lo iato con le teorie dell’abruzzese, molto più interessate a fare dell’Arcipelago il grimaldello per le ambizioni politiche della Compagnia in Oriente.

Proprio per difendere e legittimare queste ambizioni parve doveroso al Valignano porre la cattolicità tutta davanti alla reificazione delle narrazioni gesuitiche: la perfetta corrispondenza tra ciò che il Vecchio Continente avrebbe visto e le informazioni che già da decenni circolavano in Europa, avrebbe significativamente contribuito ad allentare la tensione sulla Compagnia e sulle sue attività così discusse e criticate. Non diversamente, anche la scelta dei quattro delegati seguì la stessa logica e mosse dalle stesse esigenze: perfettamente inseriti negli ambienti gesuitici del Kyushu, erano i rappresentanti ideali della narrazione gesuitica; i protagonisti dei racconti di una realtà lontana ma perfettamente riconoscibile. Il Giappone visto e quello raccontato dovevano combaciare e la cerimonialità e liturgia del viaggio sarebbe stata proprio a questo asservita. Considerati gli evidenti vantaggi che questa ambasciata avrebbe potuto recare Valignano si mise all’opera per individuare i soggetti migliori e partire quanto prima. Il Visitatore scelse due giovani principi come ambasciatori ufficiali, accompagnati da altri due ragazzi appartenenti alla nobiltà e già avviati al cristianesimo durante il loro soggiorno nel seminario di Arima. Mancio Ito136 e Miguel Chijiwa137 furono i due rappresentanti ufficiali, l’uno in vece di don Francesco Otomo Yoshishige, l’altro, imparentato sia con gli Omura sia con gli Arima, venne inviato per rappresentare don Bartolomeo Sumitada e don Protasio Haranobu.

La situazione dell’Arcipelago, complessa, mutevole e lontana da ciò che si poteva immaginare a Roma, è già emersa dalle parole di Frois e Coelho. A complicare ulteriormente la situazione vi fu anche il cambio ai vertici della Compagnia. Proprio nella lettera del 17 dicembre 1582, con la quale Valignano informa il Generale dell’ambasceria che intende inviare in Italia, scopriamo che la notizia della morte di Mercuriano e l’elezione di Acquaviva era da poco giunta in Giappone138.

134 Si vedano M.COOPER (a cura di),João Rodrigues’s account of Sixteenth-century Japan, The Hakluyt Society,

London, 2001; G.MARINO (a cura di), Crónicas desde las Indias Orientales: Segunda parte da História Eclesiástica

de Japão y otros escritos por João Rodrigues “Tsûzu” SJ (c.1561-1633), Institutum Historicum Societatis Iesu, Roma,

2019.

135 M.COOPER, João Rodrigues’s account, cit., pag. XX.

136 Mancio Ito aveva 16 anni al momento di partire per l’Europa. Venne inviato in qualità di cugino del daimyo di Hiunga e come parente stretto di Don Francesco di Bungo. G.BERCHET, Le antiche ambasciate giapponesi in Italia, cit., pag. 15.

137 Miguel Chijiwa, d’anni 16, prese parte all’ambasceria in virtù del suo legame di parentela con Don Protasio di Arima (di cui sembra fosse zio) e con Don Bartolomeo di Omura di cui era invece nipote. Ibidem.

138 «La desconosolatione che habbiamo sentita con la morte del Nro santo e buon Padre Everaldo fu miticata con la buona nuova della elettione di V. P.ta perché si come con ragione sentimmo molto la morte di tanto santo er amoroso Padre, e che teneva tanto grande e particulare amore a questa Provincia, così mentamente ci consoliamo di haver ricevuto in suo luogo V. P. per P.re, perché per molte ragioni speriamo che non sarà meno utile a tutta la Comp.a e meno affettionata a provvedere alle necessità di questa Provincia». ARSI, Jap. Sin. 9I, f. 114.

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Con una scolatura temporale così elevata - Acquaviva era stato eletto come Generale nel febbraio dell’anno precedente - ipotizzare un dialogo circa una situazione in continuo e rapido mutamento, come quella giapponese, risultava impossibile. Motivo per cui Valignano, nel prosieguo della sua lettera, pone sostanzialmente difronte al fatto compiuto i vertici della Compagnia, spiegando la necessità di un suo rientro a Roma per portare informazioni di prima mano su quanto avveniva in

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