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Capitolo 1: La crisi d’azienda

1.4. Fasi, cause e tipologie di crisi d’impresa

1.4.2. Le cause della crisi

Parlando di crisi aziendale, il primo errore che si tende a compiere è pensare che la causa sia riconducibile all’obsolescenza del prodotto o alla crisi economica che affligge l’intero sistema economico. Invece, per quanto riguarda i fattori che provocano il declino e la crisi dell’impresa, si sottolinea che raramente si può ricondurre il fenomeno ad un unico fattore definito, ma è conseguente ad una combinazione di cause ed eventi sia interni che esterni all’azienda.

Riuscire ad analizzare i fattori del declino è di estrema importanza, perché rappresentano un punto di partenza per fissare le linee guida e la migliore strategia per superare lo stato di difficoltà35.

Una prima distinzione tra le cause delle crisi può essere quella tra interne ed esterne. Per quanto concerne le cause esterne, si possono categorizzare secondo il seguente schema:

a. Fattori macroeconomici (p.es. carenze del sistema paese, debolezza dei mercati finanziari, inadeguatezza del sistema bancario, cambiamenti sfavorevoli della legislazione del settore);

34 La crisi dell’impresa e le sue fasi, analisi dei diversi stadi delle patologie aziendali, E. Palombi, 2014.

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b. Movimenti culturali (p.es. movimento no global (caso Nike 2005 e McDonald’s), ecologismo, igienismo);

c. Eventi catastrofali (p.es. guerre, attacchi terroristici, disastri ecologici);

d. Evoluzioni del settore (p.es. maggiore concorrenza, minore domanda, clientela

price oriented, minori barriere all’entrata).

Quelle appena citate sono le principali cause esterne, tuttavia, anche se rilevanti, spesso non rappresentano il principale fattore della crisi, ma contribuiscono ad accelerare e ad aggravare il declino, che nella maggior parte dei casi è dovuto a cause di tipo interno36. Analizzando le cause interne, si trova un’ulteriore distinzione: nella letteratura vi sono due correnti di pensiero tra loro contrapposte, una di tipo soggettivo-comportamentista e l’altra di tipo obiettivo.

L’approccio soggettivo attribuisce la causa della crisi al fattore umano, ossia ad una gestione non ottimale o ad errori del management, che possono essere dovuti ad inadeguatezza e/o ad incompetenze manageriale. In questo caso, se si rimuovessero i soggetti responsabili in tali errori, si rimuoverebbe il fattore scatenante il declino. Invece, spesso il management, riversa la colpa ai fattori esterni, ritenendo il momento di difficoltà transitorio e recuperabile, oppure agli azionisti per scelte di politica aziendale sbagliate, come ad esempio una scarsa disponibilità a conferire equity, una pronunciata avversione al rischio, l’indisponibilità nel fornire garanzie ai creditori o ancora un’eccessiva distribuzione di dividendi.

La seconda corrente, invece, riscontra la presenza di alcuni elementi oggettivi che fanno sì che l’azienda sia esposta ad eventi che possono provocare la crisi. In particolare, questa vulnerabilità si esplica col manifestarsi di fattori esterni avversi (aumento dei costi dei fattori produttivi, diminuzione della domanda, ingresso di nuovi competitors, ecc.)37. Il management deve essere capace di selezionare i fattori critici per la propria azienda e tenerli costantemente monitorati. In particolare, le possibili debolezze dovranno essere ricercate nei punti di forza dell’impresa, perché se, ad esempio, una società è attiva a livello internazionale e la maggior parte del suo fatturato deriva da clienti esteri, cambiamenti o eventi di livello macroeconomico possono far variare notevolmente i risultati dell’impresa e quindi è indispensabile adottare controlli di tipo macroeconomico.

36 L’analisi della crisi d’impresa, Dott. A. Boccia, rivista della Scuola superiore dell’economia e delle finanze.

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Successivamente, si dovranno presidiare le possibili criticità a livello settoriale, ed infine, quelle intrinseche all’azienda38.

Detto che il management deve analizzare ed identificare le aree maggiormente esposte e porre in esse i giusti presidi, i fattori obiettivi della crisi possono essere interpretati come il risultato di comportamenti e scelte prese dai membri dell’impresa, e quindi la visione obiettiva non è altro che quella soggettiva, ma vista solamente da una prospettiva diversa. Definiti i diversi fattori che provocano il declino aziendale, in letteratura emerge l’idea che né la variabile soggettiva né quella ambientale possano da sole spiegare la nascita della crisi. Quel che sembra più logico, è che la crisi sia il risultato di cause sfavorevoli sia interne che esterne all’organizzazione, tant’è che se gli eventi esterni risultano essere incontrollabili dall’organo di governo aziendale, significa che sono stati compiuti anche errori strategici ed organizzativi da parte dei vertici dell’azienda39.

Per riassumere quanto detto si riporta una citazione di Jack Welch40: “Quando il ritmo

del cambiamento all’interno dell’impresa è inferiore a quello che si manifesta all’esterno, la fine è prossima”.

In particolare, nel nostro territorio, vi è una forte presenza di imprese di medio-piccole dimensioni e un fattore estremamente rilevante alla base della crisi è riconducibile al filone soggettivo-comportamentista, in quanto i vertici aziendali spesso sopravvalutano la loro capacità di guidare l’azienda in un ambiente sempre più globalizzato e di conseguenza anche complesso, caratterizzato dall’introduzione di nuove tecnologie e in cui gli stili di vita e le scelte di consumo dei clienti sono in costante mutamento. Tale incapacità si manifesta soprattutto in problemi legati ai ritardi, o addirittura ai mancati processi di ricambio generazionale/imprenditoriale, e alla progressiva obsolescenza delle competenze necessarie per la conduzione dell’azienda, che portano gli imprenditori/fondatori a non recepire anticipatamente i segnali premonitori dello stato di crisi. Una delle maggiori cause soggettive, che mettono a repentaglio la sopravvivenza dell’impresa, è appunto il passaggio generazionale, che rappresenta una fase molto delicata nella vita dell’azienda. Questo fenomeno incombe su molte PMI, soprattutto per

38 La crisi d’impresa e i piani di ristrutturazione, profili economico-aziendali, G. Sirleo, 2009. 39 Le crisi d’impresa: diagnosi, previsione e procedure di risanamento, T. Pencarelli, 2013. 40 Ex presidente e CEO di General Electric, che sotto la sua direzione ha aumentato la capitalizzazione di 400 milioni di dollari, è uno dei manager di maggior successo nella storia del business americano. Nominato nel 2000 “Manager del secolo” dalla rivista Fortune, consulente e speaker, nel 2010 ha fondato il Jack Welch Management Institute. È coautore del bestseller internazionale Vincere! (2005).

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quelle a conduzione familiare, i cui imprenditori hanno spesso un’età avanzata. Secondo uno studio condotto da Prometeia Banca D’Italia, infatti, solo il 31% delle imprese familiari riesce nel passaggio alla seconda generazione, ed addirittura solo il 15% alla terza41.

In conseguenza a quanto detto, non vengono adottate quella serie di azioni che eviterebbero che l’embrionale situazione di difficoltà, che potrebbe essere facilmente superabile, si deteriori fino a rendere inutili processi di risanamento e di ripristino degli equilibri aziendali.

Un’altra tipica situazione che si manifesta nelle PMI riguarda la voluta cecità dell’imprenditore, il quale anche accorgendosi del fenomeno della crisi, tende a sottovalutarlo per non ammettere di aver commesso errori strategici o per resistenza al cambiamento. In questi casi, le azioni e i processi per fronteggiare il declino vengono posticipati fino a quando la crisi non si manifesta in modo acuto e diventa così difficile da superare42.