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Cenni storic

Osteonecrosi delle ossa mascellari indotta da bifosfonat

5.1 Cenni storic

I bifosfonati, in precedenza denominati “difosfonati”, sono noti sin dalla metà del diciannovesimo secolo. Il primo farmaco sintetizzato risale al 1865, in Germania. All’epoca i bifosfonati venivano utilizzati soprattutto in ambito industriale (in particolare nei settori tessile e petrolifero) e, grazie alla loro capacità di inibire la precipitazione del carbonato di calcio, come agenti protettivi contro la degradazione. Il primo report riguardante le caratteristiche biologiche dei bifosfonati risale al 1968: lo spunto venne dato dai primi studi effettuati sul pirofosfato inorganico, nell’ambito dei quali fu scoperto che il plasma e l’urina contenevano composti in grado di inibire la precipitazione in vitro del fosfato di calcio, e che tale attività era dovuta al pirofosfato inorganico, una sostanza fino ad allora mai presa in considerazione. In vivo il pirofosfato inorganico preveniva la calcificazione ectopica, ma non aveva nessun effetto sulla mineralizzazione e sul riassorbimento osseo, probabilmente perché distrutto dalle fosfatasi locali. Queste osservazioni hanno suggerito la ricerca di un analogo del pirofosfato che non potesse essere degradato dagli enzimi: i bifosfonati soddisfano questa condizione.

A partire dagli anni ’60 i bifosfonati sono stati utilizzati per il trattamento dell’osteoporosi, dell’osteite deformante (malattia di Paget dell’osso), delle metastasi ossee, del mieloma multiplo e di tutte le altre condizioni che possono indurre fragilità ossea, sfruttando la loro capacità di impedire la dissoluzione dei cristalli di idrossiapatite, meccanismo d’azione che è stato dimostrato solo negli anni ’90.

L’osteonecrosi dei mascellari indotta da bifosfonati è stata descritta per la prima volta da Marx e Stern nel 2002. All’epoca sembrava un caso curioso e atipico di esposizione ossea persistente; dopo il trattamento chirurgico di rimozione del tessuto necrotico, la condizione peggiorava con estensione dell’esposizione ossea. Tutti i pazienti descritti

nei report iniziali erano in terapia con pamidronato per il controllo di metastasi ossee di tumori maligni. Gli odontoiatri furono informati formalmente per la prima volta di questa complicanza farmacologica con un articolo pubblicato nel 2003 nel Journal of Oral and Maxillofacial Surgery (JOMS) da Marx che descriveva 36 casi associati all’assunzione di farmaci bifosfonati per via endovenosa (pamidronato o zoledronato) (Marx, 2003).

Prima della pubblicazione di questo articolo gli esperti di Novartis, che produce bifosfonati per uso endovenoso che possono provocare questa forma di osteonecrosi, erano stati invitati ad esaminare due di questi pazienti e a discutere gli altri 34 casi osservati. Sebbene interessati da questo evento avverso, i rappresentanti di Novartis negarono la possibilità che l’osteonecrosi fosse correlata ai farmaci suddetti, perché non era stata riscontrata alcuna evidenza di necrosi ossea negli studi preclinici, né in oltre 3600 pazienti reclutati negli studi clinici. Gli esperti attribuirono l’esposizione ossea all’effetto della chemioterapia alla quale questi pazienti erano stati esposti e al desametasone che era stato somministrato a circa il 55% dei pazienti. Dopo la visita il Dott. Tarassoff, direttore medico di Novartis, pubblicò una secca replica all’articolo di Marx, negando con fermezza qualsiasi nesso causale tra la somministrazione endovenosa dei bifosfonati prodotti da Novartis e l’osteonecrosi osservata nei mascellari dei pazienti trattati (Tarassoff et al., 2003).

La tossicità ossea indotta da chemioterapia era una causa plausibile per l’osteonecrosi. Inoltre nel volume della rivista JOMS in cui compariva l’articolo di Marx venne pubblicato anche un articolo di Wang e Coll. che riportava quattro casi di necrosi della mandibola che anche questi autori avevano attribuito alla chemioterapia (Wang et al., 2003). In questo articolo era stato riportato che tutti e 4 i pazienti stavano assumendo pamidronato. Successivamente gli stessi Autori pubblicarono un articolo che

correggeva le affermazioni precedenti e identificava il pamidronato come causa delle esposizioni ossee (Wang et al., 2004).

Nel 2006 Schwartz pubblicò una lettera all’editore nella quale dichiarava che non esistevano prove assolute a sostegno di una relazione causa-effetto tra osteonecrosi e bifosfonati (Schwartz et al., 2006), nonostante risultati convincenti riportati sul JOMS nel novembre 2005 (Marx et al., 2005 a) e tre lavori pubblicati nel Journal of American Dental Association nel dicembre 2005 (Migliorati et al., 2005; Markiewicz et al., 2005; Melo et al., 2005).

La prova più consistente della relazione causale esistente tra bifosfonati e osteonecrosi deriva dai risultati di uno studio che Novartis ha condotto per ottenere la registrazione dalla Food and Drug Administration (FDA). In quello studio i pazienti con metastasi ossee sono stati trattati con chemioterapia da sola o chemioterapia più uno steroide e un bifosfonato per via endovenosa (pamidronato o zoledronato). Un altro gruppo di pazienti con i medesimi tipi di neoplasia, ma senza metastasi ossee, erano stati trattati con chemioterapia e un identico regime di steroidi, senza tuttavia l’aggiunta di bifosfonati. In questo studio solo i pazienti che erano stati trattati con i bifosfonati per via endovenosa svilupparono osteonecrosi.

In precedenza Novartis non aveva documentato casi di osteonecrosi negli oltre 3600 pazienti trattati con pamidronato o zoledronato. In effetti i ricercatori non avevano pensato di cercare esposizioni ossee nel cavo orale. Prima o dopo il trattamento con bifosfonati non erano stati effettuati esami clinici orali, e al gruppo di ricerca non era stato aggregato un odontoiatra o un chirurgo orale e maxillofacciale. Queste circostanze vennero alla luce durante un simposio sui bifosfonati e l’osteonecrosi dei mascellari tenutosi a Boston nel settembre 2005 (Noopur, 2005), quando il Dott. Raje, che aveva fatto parte del gruppo di ricercatori responsabili dello studio clinico originale di

Novartis, comunicò che sei pazienti avevano presentato aree di esposizione ossea nel cavo orale.

Per smentire ulteriormente il ruolo causale della chemioterapia o degli steroidi nella patogenesi dell’osteonecrosi è necessario considerare il crescente numero di pazienti che hanno assunto bifosfonati per via orale per la terapia dell’osteoporosi, quali alendronato e residronato, e che hanno sviluppato osteonecrosi dei mascellari. In questo caso si tratta di pazienti non affetti da tumori maligni, non sottoposti a chemioterapia o a terapia steroidea.

Sebbene la pubblicazione di Marx e Stern sia considerata come la prima ad avere identificato l’osteonecrosi dei mascellari indotta da bifosfonati, la stessa patologia era probabilmente stata osservata più di 100 anni prima come malattia occupazionale industriale: la cosiddetta osteonecrosi chimica da fosforo o “phossy jaw” (fig. 5.3). (Hellstein et al., 2005) Infatti i minatori delle miniere di fosforo e i lavoratori delle fabbriche di fiammiferi negli Stati Uniti e in Gran Bretagna sviluppavano esposizioni ossee persistenti nel cavo orale, correlate alla durata dell’attività di lavoro svolta nelle miniere e nelle fabbriche. (Dearden et al., 1899; Dearden, 1944) E’ verosimile che l’esposizione cronica quotidiana a particelle di fosforo e fosfati disperse nell’aria causasse un accumulo di composti bifosfonati nelle ossa, con insorgenza della stessa reazione avversa osservata con la terapia a base di bifosfonati. (Hellstein et al., 2005; Miles, 1972; Hamilton et al., 1949)

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