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Effetti sull’infiammazione in vitro

Applicazioni terapeutiche dei bifosfonat

4.6 Effetti extrascheletrici dei bifosfonati: potenziali applicazioni terapeutiche

4.6.1 Effetti sull’infiammazione in vitro

Vari bifosfonati inducono la liberazione di citochine pro-infiammatorie da parte di alcune linee cellulari. Clinicamente questo effetto si traduce in una reazione di fase acuta a carattere temporaneo. L’uso a lungo termine dei bifosfonati provoca invece effetti di tipo antiinfiammatorio, potenzialmente utili nella pratica clinica. Oltre agli osteoclasti, anche i macrofagi sono sensibili all’azione dei bifosfonati, probabilmente a causa della loro origine comune. Questo effetto è importante se si considera che le cellule della linea monocito-macrofagica sono significativamente coinvolte nel determinismo dei processi infiammatori, mediante la produzione di citochine. Per esempio, pamidronato e clodronato interferiscono con la funzione dei macrofagi inibendo la produzione di monossido di azoto (NO), in maniera dose-sipendente, con conseguente effetto antiinfiammatorio.

Come accennato in precedenza, i derivati non amino-bifosfonati, come clodronato e etidronato, che possiedono una struttura più simile al pirofosfato, sono incorporati in analoghi tossici, non idrolizzabili, dell’ATP. L’analogo non idrolizzabile dell’ATP derivante dal clodronato è AppcCl12p (Ceponis et al., 2001), che inibisce la produzione di TNF-α, IL-1β e NO da parte dei macrofagi ed induce l’apoptosi di cellule derivanti dalla linea monocito-macrofagica in vitro ed in vivo (Van Rooijnen et al., 1996; Selander et al., 1996). Questi effetti sono in parte dipendenti dall’inibizione del legame tra il fattore di trascrizione Nuclear Factor kB (NFkB) ed il DNA macrofagico (Monkkonen et al., 1999), ed in parte da eventi citoplasmatici che coinvolgono la proteina-kinasi C (PKC) (Selander et al., 1996) e gli ioni ferro (Monkkonen et al., 1993).

Oltre ai macrofagi, i bifosfonati influenzano l’attività di altre cellule infiammatorie. Per esempio, il clodronato inibisce in vitro la produzione di radicali liberi dell’ossigeno prodotti dai polimorfonucleati, implicati nell’induzione e nel potenziamento della risposta infiammatoria che si osserva nei pazienti con artrite reumatoide (Serretti et al., 1993), e inibisce la produzione di diversi mediatori pro-infiammatori e l’espressione delle molecole di adesione nelle cellule del lining sinoviale. (Van Lent et al., 1995) Numerosi studi sono stati dedicati agli effetti dei bifosfonati sull’angiogenesi, che sono potenzialmente sfruttabili nella pratica clinica per il ruolo svolto dai processi neoangiogenetici nell’infiammazione e nella crescita tumorale. E’ stato infatti dimostrato che alcuni bifosfonati possiedono spiccate attività anti-neoangiogeniche in vivo e in vitro. I meccanismi alla base di questo effetto non sono stati ancora chiariti, ma sembrano dipendere dall’inibizione diretta dell’attività proliferativa delle cellule endoteliali, dall’inibizione di fattori di crescita endoteliali (Endotelial Growth Factor) e delle metalloproteinasi (MMP-2 e MMP-14), che stimolano la migrazione e la proliferazione delle cellule endoteliali (Hamma-Koutbali et al., 2003). L’attività anti-

neoangiogenica posseduta da alcuni bifosfonati sembra essere strettamente correlata ad una attività di tipo anti-tumorale che si esplica attraverso la modulazione dell’apoptosi cellulare e dell’espressione di alcune molecole di adesione (Green et al., 2002; Heikkila et al., 2003).

4.6.2 Effetti sull’infiammazione in vivo

Gli effetti anti-infiammatori esercitati da alcuni aminobifosfonati hanno suggerito la possibilità del loro impiego ai fini della soppressione dell’infiammazione e della prevenzione del danno osteo-articolare nelle malattie infiammatorie croniche articolari, quali l’artrite reumatoide. Le proprietà anti-infiammatorie di diversi bifosfonati sono state valutate in vivo in differenti modelli sperimentali che, a causa della loro somiglianza con i quadri clinici e istopatologici dell’artrite reumatoide, sono ampiamente utilizzati nella valutazione degli effetti di farmaci antireumatici. (Breedveld et al., 1987). Gli effetti differenti e spesso contraddittori che i bifosfonati mostrano nei modelli di artrite dipendono probabilmente dal tipo di composto e dal dosaggio, da un lato, e dalle differenze fisiopatologiche fra i vari modelli sperimentali dall’altro.

I bifosfonati riducono la tumefazione articolare e gli indici umorali di flogosi in diversi modelli animali di artrite. L’induzione dell’apoptosi nei macrofagi della membrana sinoviale è stata indicata come uno dei più importanti meccanismi degli effetti anti- artritici dei bifosfonati (Ceponis et al., 2001). Per poter veicolare i bifosfonati direttamente all’interno dei macrofagi vengono utilizzate molecole liposomiali che sfruttano le proprietà fagocitiche dei macrofagi stessi (Storm et al., 1998). Con questa tecnica i bifosfonati vengono fagocitati dai macrofagi del lining sinoviale, ma non si può escludere che essi vengano internalizzati anche dai fibroblasti, dai condrociti e

dalle cellule presentanti l’antigene dei linfonodi regionali. Il clodronato possiede effetti antiinfiammatori in vivo (Makkonen et al., 1996; Giuliani et al., 1998 b; Osterman et al., 1997). Infatti, dopo somministrazione per via endovenosa in ratti con artrite indotta da adiuvante, riduce la gravità dei segni clinici ed istologici di infiammazione (Osterman et al., 1994) e riduce la produzione sinoviale di TNF-α (Ceponis et al., 2001; Pennanen et al., 1995) e l’iperplasia delle cellule del lining sinoviale (Ceponis t al., 2001). Il clodronato riduce inoltre la perdita dei proteoglicani cartilaginei nell’artrite sperimentale indotta da collagene e questo effetto suggerisce una potenziale azione protettiva sulla cartilagine (Ceponis et al., 2001), anche se l’influenza sulla risposta condrocitaria rimane sconosciuta (Kong et al., 1982). Al contrario, è stato riportato che il clodronato, somministrato a dosi elevate, e quindi potenzialmente citotossiche, esercita un effetto pro-infiammatorio ed è in grado di indurre sinovite dopo somministrazione intraarticolare (Van Lent et al., 1993).

Anche l’etidronato riduce le manifestazioni infiammatorie articolari e sistemiche nell’artrite indotta da adiuvante nel ratto (Flora, 1979). Il pamidronato rallenta il danno strutturale articolare in un modello di artrite sperimentale rappresentato da topi transgenici che sovraesprimono TNF-α (Redlich et al., 2002). Il 3-amino- idrossipropilidene-1,1-bisfosfonato (ADP) ed il suo derivato dimetil-ADP, dotato di proprietà antiriassorbitive più potenti, non esercitano invece alcun effetto positivo sulla gravità dell’artrite indotta da collagene nel coniglio, e sono inefficaci nel prevenire le alterazioni ossee secondarie al processo infiammatorio (Markusse et al., 1990).

La capacità di diversi bifosfonati di inibire i processi infiammatori in modelli animali di artrite sperimentale e l’importanza del ruolo che le cellule di derivazione midollare dell’osso sub-condrale e i monocito-macrofagi circolanti svolgono nella patogenesi delle lesioni ossee e nel determinismo del danno sinoviale nelle malattie infiammatorie croniche articolari (Ritchlin et al., 2003) rappresentano le basi teoriche per la potenziale

utilità di questi farmaci nelle patologie infiammatorie, anche se gli studi sugli effetti dei bifosfonati sull’artrite condotti nell’uomo sono poco chiari e spesso contraddittori. I primi dati che riportano gli effetti benefici dei bifosfonati come agenti antiinfiammatori in un numero limitato di pazienti affetti da artrite reumatoide risale a diversi decenni fa. In seguito, un numero considerevole di studi clinici ha confermato la possibile indicazione all’uso dei bifosfonati nelle artriti croniche, per il loro effetto antiinfiammatorio indipendente dall’effetto antiriassorbitivo sull’osso (Serretti et al., 1993). Per esempio, l’infusione endovenosa di alendronato ad alto dosaggio (40 mg al giorno per 90 giorni), in pazienti affetti da artrite reumatoide, induce una riduzione significativa dei livelli ematici di citochine pro-infiammatorie (IL-1, IL-6, TNF-α, β2- microglobina) unitamente ad un miglioramento clinico e bioumorale (riduzione del numero di articolazioni tumefatte e dell’indice di Ritchie, riduzione di VES e PCR) (Cantatore et al., 1999). In un altro studio, condotto su pazienti affetti da artrite reumatoide e trattati con metotrexato e prednisolone, il pamidronato, somministrato alla dose di 60 mg ogni 3 mesi, ha indotto una riduzione significativa di VES e PCR e degli indici di attività di malattia (indice di Ritchie, Health Assesment Questionnaire, Visual Analogic Scale, Global Disease Activity Score) e ha favorito un aumento della densità minerale ossea valutata a livello lombare, rispetto a pazienti sottoposti allo stesso regime terapeutico ma non trattati con pamidronato. (Van Offel et al., 2001). Anche una singola infusione di pamidronato migliora il quadro clinico e laboratoristico in pazienti con artrite reumatoide (Eggelmejer et al., 1994). Lo stesso farmaco somministrato quotidianamente per via orale ad alto dosaggio per un anno, previene la progressione del danno erosivo articolare (Maccagno et al., 1994). Al contrario il bifosfonato amino- idrossi-propilidene, somministrato al dosaggio di 30 mg per 48 settimane, non ha svolto alcun effetto sulla progressione del danno radiologico nell’artrite reumatoide (Ralston et al., 1989).

Il pamidronato sembra svolgere effetti terapeutici anche nelle spondiloartriti sieronegative. Infatti la somministrazione mensile di questo farmaco in pazienti affetti da spondilite anchilosante induce un miglioramento clinico dimostrato dalla riduzione superiore al 30% dell’indice di attività di malattia, dalla ridotta assunzione di analgesici e dalla riduzione della VES, che persistono per 3 mesi al termine del trattamento stesso (Maksymovich et al., 1998). I cambiamenti più significativi dei valori della VES si osservano tra il terzo ed il sesto mese di terapia, suggerendo che gli effetti antiartritici del pamidronato possano richiedere una somministrazione prolungata prima di risultare evidenti. La riduzione dell’attività di malattia indotta dal pamidronato è probabilmente dose-dipendente, come indicato dalla migliore risposta clinica, in pazienti affetti da spondilite anchilosante, all’infusione endovenosa mensile di 60 mg del farmaco rispetto alla dose mensile di 10 mg, in termini di attività di malattia, gravità di malattia, dolore rachideo, mobilità, indice di funzionalità (Maksymowich et al., 2002). Somministrazioni endovenose di pamidronato ad intervalli più brevi nelle spondiloartriti sono probabilmente più efficaci e inducono una riduzione dell’attività di malattia più durevole, insieme al miglioramento delle lesioni radiologiche valutate mediante RMN, consistenti nella riduzione dell’edema osseo periarticolare, nella riduzione di aree erosive focali e della captazione di mezzo di contrasto nelle articolazioni periferiche (Maksymowich et al., 2001).

Bifosfonati meno potenti, come l’etidronato, non hanno alcun effetto sull’attività di malattia in pazienti affetti da artrite reumatoide (Eggelmejer et al., 1994). Tuttavia, nonostante le proprietà antiinfiammatorie siano notevolmente più marcate per gli aminobifosfonati, anche alcuni composti non contenenti gruppi amminici hanno mostrato attività anti-flogistica. In particolare, il clodronato, somministrato per via endovenosa in pazienti affetti da artrite reumatoide al dosaggio di 300 mg/die per 7 giorni consecutivi, determina un miglioramento dei parametri clinici e di laboratorio

(Ferracciol et al., 1993) e riduce i livelli circolanti di alcune citochine pro- infiammatorie, quali IL-1α, TNF-α, β2microglobulina (Cantatore et al., 1996). Una singola somministrazione intra-articolare di clodronato in pazienti con artrite reumatoide induce una significativa riduzione numerica dei macrofagi del lining sinoviale (Barrera et al., 2000), con un effetto selettivo sui sinoviociti di tipo A, che sono una delle più importanti fonti di citochine, con conseguente riduzione della produzione locale di diversi fattori pro-infiammatori, quali IL-1, TNFα e fattori chemiotattici (Van Lent et al., 1996).

Il trattamento intraarticolare con clodronato determina anche una down-regulation dell’espressione delle molecole di adesione ICAM1 e VCAM1 nelle cellule del lining sinoviale, che correla con la riduzione numerica macrofagica (Van Lent et al., 1995). La riduzione dei macrofagi indotta dal clodronato è temporanea e reversibile, dal momento che la completa ripopolazione macrofagica dopo il trattamento richiede da 2 a 4 settimane (Van Lent et al., 1993).

Capitolo 5

Osteonecrosi delle ossa mascellari indotta da

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