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CERAMICHE NOI PORTA IN TAVOLA IL PIATTO ANTIBATTERICO

di Agnese Priorelli Giornalista

(AS)SAGGI DI PSICOLOGIA

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L A F U N Z I O N E S I M B O L I C A D E L C I B O N E L L E F I A B E

E N E L L E FAVO L E

di Mirna Moroni

Psicologa, Psicoterapeuta, Vicepresidente dell’Associazione Scientifico-Culturale Professione Psicologo

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iabe e favole sono mezzi per aiutare il bambino a mediare il suo rapporto con la realtà. Attraverso il racconto fantastico e simbolico vengono offer-te trame efficaci per affrontare i problemi della vita:

gestire i propri stati d’animo, considerare gli eventi se-condo categorie di significato, esplorare l’ambivalenza e gli affetti significativi dell’esistenza. Secondo Bettelheim (1976) la fiaba «inizia esattamente dove il bambino si trova dal punto di vista emotivo, gli mostra dove andare e come»; è una consigliera che suggerisce come muover-si di fronte agli ostacoli della vita.

Il cibo, quasi sempre presente in fiabe e favole, assume anch’esso significati simbolici, personali e sociali mol-teplici: può essere un mezzo per attivare un cambia-mento, raggiungere un obiettivo; può costituire un premio, una prova da superare o un inganno, come la mela stregata offerta a Biancaneve dalla strega-matri-gna, che incarna l’archetipo della Madre nel suo lato più oscuro e minaccioso. A volte i protagonisti divengono essi stessi cibo: Pinocchio e Geppetto vengono divorati dalla balena e questo diventa il veicolo di una rinascita per il protagonista; l’orco si trasforma in topo e da di-voratore diviene cibo per l’astuto gatto con gli stivali.

Altre volte il cibo evidenzia il tema dell’abbondanza e della scarsità, della ricchezza e della miseria: Pinocchio mangia anche i torsoli delle pere; Pollicino, abbandona-to nel bosco con i suoi fratelli dai geniabbandona-tori non in grado di sfamarli, ritroverà la strada di casa grazie alle briciole di pane lasciate sui suoi passi; Hänsel e Gretel incauta-mente finiscono nell’illusoria casetta di marzapane con il rischio di essere mangiati dalla strega.

Il mangiare cibo diviene metafora di un processo tra-sformativo dei propri nutrienti interiori, di un percorso di crescita e presa di coscienza di sé, in Alice nel paese delle meraviglie. Alice, in più occasioni, mangia funghi e biscotti o beve pozioni dal potere di farla improvvisa-mente crescere a dismisura o rimpicciolire della gran-dezza di un fiore, finché non troverà la giusta via di mezzo nell’assaggiare ciò che le viene offerto, riuscendo a  mantenere dimensioni adeguate  rispetto agli eventi che deve affrontare, trovando così il giusto equilibrio fra l’essere grande e l’essere piccola.

Il cibo diventa il simbolo centrale nella funzione edu-cativa di fiabe e favole, sia come cibo reale che sfama e dà vita sia come nutrimento spirituale, risorsa interiore che trasforma e fa evolvere l’animo umano.

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IL GUSTO DI SAPERE DI ROSSANO BOSCOLO

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on questo sesto articolo siamo giunti all’epoca del Fascismo, volto al raggiun-gimento dell’utopia autarchica e dell’autosostentamento, al punto di promuovere fortemente l’idea della cucina regionale e locale. Da-gli anni Trenta infatti proliferano manuali e libretti sulle varie cucine regionali, così come i primi concor-si di gastronomia locale. Ne è un esempio il volume Panorama Ga-stronomico d’Italia, resoconto della prima Settimana della Cucina, forse il primo concorso gastrono-mico d’Italia, tenutosi a Bologna fra il 19 e il 27 maggio 1935. Ogni giornata iniziava con un discorso di un relatore-cuoco che illustrava i pregi della specifica cucina regio-nale in concorso. Per 9 giorni, 7 giurati assaggiarono a pranzo e cena i piatti tipici delle cucine regionali, votando poi la migliore. La princi-pale conseguenza di tale strategia è la nascita di quel concetto che sarà poi il Made in Italy, senza conta-re la riscoperta e rivalutazione, in chiave non solo di sopravvivenza, della cucina popolare e povera. La dieta mediterranea, pur favorita dagli studi medicinali americani del dopoguerra, ha una premessa fondamentale, ovvia e chiarissima, nella politica autarchica dell’Italia fascista. Autarchia anche nella

lin-gua: il fascismo bandisce non solo ingredienti e ricette estere, ma an-che i termini stranieri, per evitare ogni tentazione. In questo caso non possiamo non dedicare un pensie-ro ai Futuristi. Chi altri potrebbe infatti invitarvi al Quisibeve dove, preceduti dal Guidapalato, un so-lerte Mescitore ci servirà un’Inventi-na o uun’Inventi-na Polibibita che ci preparerà lo stomaco per un Pranzoalsole?

Non preoccupatevi, volevo soltan-to offrirvi un cocktail al bar, aperi-tivo per un buon pic-nic! Non mi sono inventato nulla, ho solo usato il Piccolo Dizionario della Cucina Futurista dove, fra numerose im-maginifiche ricette, si propongono altrettanto paraboliche sostituzioni di termini stranieri.

E i protagonisti della Seconda Guer-ra mondiale? Poche sono le curiosi-tà che legano Mussolini e la cucina:

pare che il suo piatto preferito fosse una semplice insalata condita con aglio, olio e succo di limone, e a far scarpetta un buon tozzo di pane integrale. Quanta realtà e quanta propaganda? Di Hitler sappiamo fosse notoriamente un vegetariano.

Ciò che è meno noto è che la scelta non fosse tanto attribuibile a mo-tivi ideologici, quanto invece dalla sicurezza del dittatore che una die-ta priva di carni avrebbe mitigato i suoi cronici problemi di

costipa-zione e flatulenza. Una convincostipa-zione tanto radicata che, sul finire della II Guerra Mondiale, Hitler si sareb-be nutrito quasi esclusivamente di purè di patate e brodo vegetale. Il nazista, inoltre, aveva a disposizione un team di 15 assaggiatori per sin-cerarsi che il cibo ingerito non fosse avvelenato: a distanza di almeno 45 minuti dall’assaggio, se nessuno moriva, Hitler poteva consumare il pasto, anche se ormai freddo. Sta-lin era amante della cucina tradi-zionale georgiana ed era goloso di aglio, noci, prugne, melograni e vino. Nota, infine, la predilezione tutta anglosassone di Churchill per la zuppa di tartaruga.

Ma come terminò la guerra, gastro-nomicamente parlando? Numerose testimonianze di chi partecipò alla conferenza di Yalta (4-11 febbraio 1945) fanno intendere che il gran consumo di vodka aiutò, e non poco, a trovare quegli accordi che riscrissero la geografia e le regole del mondo al termine della guer-ra. Probabilmente aiutò anche la soddisfazione gastronomica, a giu-dicare dal menu della cena tenutasi alla Vorontsov Villa la sera del 10 febbraio del 1945. Cena a cui par-teciparono, fra gli altri, Roosevelt, Churchill e Stalin.

D’altronde la guerra è finita e si ra-giona meglio a stomaco pieno!

A CENA COI PROTAGONISTI

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