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54 FOTOGRAFIA

I L B E L LO D E L B RU T TO

di Federico Minelli Esperto in Immagine e Comunicazione

partire dall’antica Grecia, filosofi, letterati e artisti hanno provato a definire cosa sia la bel-lezza, quali siano i suoi canoni e in che modo essi debbano essere rappresentati dall’uomo. Questa, nel corso dei secoli, è stata riempita di significati e valori differenti in base ai contesti storici, sociali e culturali.

Nell’età moderna si è iniziato a parlare di estetica del brutto, la quale, inizialmente

con-siderata il contrario dell’estetica tradizionale, è diventata portatri-ce di valori nuovi. A partire dal-la seconda metà del Settecento, il brutto non viene più considerato come mero disvalore, ma diviene un vero e proprio valore artistico, completamente autonomo dal concetto di bellezza. La volontà di esaltare ciò che è brutto sembra essere nata nell’arte già dalla fine del XVII secolo, quando si inizia a intuire che anche ciò che è sgra-devole può procurare piacere estetico. Questo perché si inizia a percepire che, davanti alla rappre-sentazione di un soggetto brutto e disarmonico, lo spettatore pro-va delle emozioni. La bruttezza è capace di rimandare a qualcosa di

più profondo, lontano da quella definizione di bellez-za ormai resa superficiale e troppo rigorosa. Il brutto è capace di provocare e di indurre nell’osservatore una reazione critica nei confronti dell’immagine che sta osservando. Tra il Settecento e l’Ottocento l’arte viene

svincolata da qualsiasi fine, riscoprendosi autonoma. In questo periodo essa non è più vista come espressione della ragione e gli artisti iniziano a sostenerne la libertà creativa, contro il condizionamento delle regole classi-che. Ma se nel XIX secolo erano state poste le premesse della negazione dell’estetica del bello, nel Novecento la conclusione tratta da artisti e teorici è che il concetto di bello è talmente impreciso che non è possibile formularne una teoria. Il bello non è una qualità così pregevole come si era ritenuto per secoli. Se un’immagine scuote, colpisce profondamente  il fru-itore, ciò diviene più importante dell’incantarlo con la sua bellezza.

La commozione non si ottiene soltanto con la bellezza, ma anche tramite la bruttezza. Guillaume Apollinaire scrisse: «Oggi amiamo la bruttezza tanto quanto la bellez-za». Durante l’epoca moderna il fine, quindi, non è più quello di rappresentare attraverso le imma-gini il bello, ma di saper trasmet-tere attraverso di esse emozioni in chi osserva. Noi vediamo secondo l’educazione che abbiamo ricevu-to. Siamo abituati a vedere quello che il mondo che ci circonda contiene. La sfida è quella di imparare a vedere senza preconcetti.

In foto: Nature morte, 2021. Foto di Federico Minelli

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56 LA SALA

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siste una componente dell’accoglienza legata a fattori materiali, come gli ambienti, il design, la mise en place, il comfort, la musica, la temperatura della sala. Tutto ciò concorre a predisporre l’ospite in modo positivo verso l’esperienza che si appresta a sperimentare, ma non basta. L’aspetto cruciale, che diventa vantaggio competitivo e differenzia i ristoranti, è quello legato all’interazione umana.

Se tanti ristoranti del globo possono vantare arredamenti da sogno o un design modaiolo, gli indirizzi gastronomici conosciuti per la loro grande accoglienza non sono poi così tanti. Forse perché la componente umana della sala non è stata ancora completamente rivalutata, ma per capirne l’importanza basta un banale – e stuzzicante – esperimento: un giro sui maggiori siti di recensioni di ristoranti ci rivelerà quante di esse, negative, riguardano esclusivamente la componente cibo e quante invece la sala, il servizio, l’esperienza, l’attitudine del cameriere o la scortesia del proprietario.

La vera accoglienza non si riduce all’uso delle buone maniere. Si presuppone che chi svolga il proprio mestiere in una struttura ricettiva, qualunque sia la mansione, sia naturalmente incline al bon ton e all’educazione.

Tuttavia, il concetto stesso di interazione umana implica l’instaurazione di un rapporto, per quanto professionale, breve e basato su prime impressioni, tra cliente e cameriere. Il bravo professionista di sala riuscirà a creare con ogni cliente un legame formale ma non

superficiale, a essere premuroso ma non cerimonioso, costituendo un valido interlocutore in ogni momento dell’esperienza. L’abilità sta nell’individuare ogni volta la linea sottile che definisce i ruoli, senza travalicarla, per non invadere lo spazio di benessere del cliente e per contenere eventuali eccessi anche da parte dello stesso, che rischierebbero di influire sul clima generale della sala.

Per contro, quando manca l’interazione reciproca si verificano due situazioni opposte in cui la comunicazione risulta unilaterale e monotona: o il cliente si limita a chiedere ciò di cui ha bisogno oppure il cameriere si esibisce in monologhi su piatti, vini e argomenti a piacere. Il risultato è il servizio freddo di cui spesso si sente parlare: tecnicamente impeccabile ma senza la scintilla che fa restare impressa una serata per sempre.

È pur vero che nonostante il cameriere sia l’avanguardia aziendale dell’accoglienza, questa deve poggiare su una cultura d’impresa che consideri il cliente come proprio perno centrale e in cui i principi organizzativi e l’orientamento strategico debbano essere rivolti alla sua soddisfazione.

Come? Semplice: l’azienda ristorativa deve essere la prima a porre il professionista di sala (suo dipendente) a proprio agio, come se fosse a casa propria. In questo modo, sentendosi a casa egli stesso, si comporterà naturalmente come un vero anfitrione, trasmettendo il suo benessere anche agli ospiti.

L ' I N T E R A Z I O N E U M A N A

C O M E VA N TAG G I O C O M PE T I T I VO

di Amedeo Serva

Responsabile di Sala e Sommelier de La Trota 1963

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58 SCOPRI

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impatto dell’attuale crisi causata dalla pande-mia si riflette non soltanto sul piano econo-mico, ma si traduce anche nelle abitudini dei consumatori, dalle modalità di acquisto a quelle di consumo. Se è vero che negli ultimi anni la proliferazio-ne di ipermercati e centri commerciali ha portato non solo allo stravolgimento del tessuto urbano, ma anche alla chiusura di moltissime piccole realtà, il Coronavirus è riuscito a ribaltare le gerarchie, restituendo ai nego-zi di vicinato – gastronomie, fruttivendoli, panettieri, macellai – un’inattesa vitalità. Negli anni è cambiato il modo di fare e di intendere la spesa, che da rituale è diventata routine. In passato la quotidianità si svilup-pava perlopiù nei limiti dei centri urbani, e chi entra-va in un negozio lo faceentra-va anche per scambiare quattro chiacchiere con un amico, con un conoscente o con lo stesso negoziante, con cui si instaurava un rapporto sin-cero, che sottendeva la certezza di un buon acquisto.

Una vita più facile e, senza dubbio, meno frenetica di quella attuale, in cui le relazioni umane rivestivano un ruolo davvero importante. Oggi, complici le forti limi-tazioni degli spostamenti, queste realtà stanno tornando alla ribalta, grazie all’aumentata sensibilità delle persone verso la sostenibilità e il chilometro zero. Cresce, di conseguenza, la richiesta di prodotti genuini, autentici, provenienti da produttori locali che, alla sapienza ar-tigianale, uniscono amore e passione. Un segnale di ritorno al piacere di conoscere e del mangiar bene.

«La GDO continuerà la propria espansione grazie alla capacità di offrire una gamma sempre più vasta di pro-dotti, a prezzi ridotti. Ciò nonostante, sono certo che le botteghe di quartiere torneranno a rappresentare un’im-prescindibile destinazione per gli acquisti degli italiani.»

commenta Franco Costa, Presidente Costa Group.

«Per tenere vive e valorizzare queste realtà servono idee capaci di raccontare il territorio e la sua storia, ambienti atti a esaltare il prodotto e la socializzazione, con prima-ria attenzione alla sostenibilità. Da sempre, tutto questo è alla base del nostro fare, una filosofia che si riflette nelle idee e negli ambienti che realizziamo da oltre 40 anni.»

Citiamo un esempio tra le diverse realizzazioni nel cen-tro storico di Napoli. Abbiamo iniziato questo percorso dal basso dei Quartieri Spagnoli, certi che con la giusta rincorsa si possa salire ancora più in alto. Spesso dipin-ta come una zona pericolosa e trasandadipin-ta, negli ultimi anni è stata invece valorizzata e rivalutata, diventando destinazione d’eccellenza per le esperienze gourmet più vere. Una rinascita tangibile, dove insegne nuove si sono affiancate a quelle storiche.

Ciro Amodio ne è l’emblema: l’esatta evoluzione del concetto di vendita al dettaglio di prodotti della tradi-zione gastronomica, applicato alla modalità di consu-mo take-away. Un’impresa di famiglia che ha a cuore i propri clienti, un microcosmo di sapori autentici che riporta con successo nei vicoli di Napoli le pizzicherie.

L A S E C O N D A V I TA

D E I N E G O Z I D I QUA RT I E R E

di Costa Group

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e latticini di produzione propria… Ancora oggi, dopo cinque generazioni, è l’intera famiglia che si occupa dell’azienda, che negli anni è diventata un fiorente gruppo di imprese industriali e com-merciali, pur restando fedele a valori come qualità, ricerca e convenienza.

«I nostri punti vendita sono negozi di puro vici-nato, sotto casa, pensati per una spesa quotidiana di prodotti prevalentemente freschi di giornata e dove il rapporto umano è valore fondamentale, come lo sono fiducia e sicurezza» spiega Fausto Amodio, Amministratore di Ciro Amodio. La pas-sione per il buon cibo qui incontra quella creativa di Costa Group, dove il prodotto esposto diventa parte integrante dell’arredo e dell’atmosfera fa-miliare. Piastrelle che giocano con geometrie a contrasto bianco/nero sulle pareti degli interni, scaffalature e banco a vista, soffitto decorato con elementi grafici del celebre marchio Amodio: il tutto atto a ricreare l’ambiente accogliente e delle antiche botteghe alimentari. «L’abilità è stata riu-scire a creare un luogo che sembra esserci sempre stato, lasciare il segno ma senza ostentare, espo-nendo semplicemente il prodotto e comunicando quanto di bello, buono e fatto con le mani abbia da offrire il territorio.»

Un altro esempio, diverso seppure affine, è quello di Januarius, che intreccia alla ristorazione tra-dizionale lo street food e la vendita di gastrono-mia locale, tutto in un ambiente ricco di richiami alla cultura, alla storia e al patrimonio artistico partenopeo, fino a rappresentare un vero e proprio luogo di culto.

La religione che vuole professare, la sua unica fede, è Napoli e la napoletanità più autentica, attraverso la celebrazione della sua cultura, dell’ar-te e dei piatti, tutto sotto l’occhio atdell’ar-tento di San Gennaro, a cui viene consacrato l’intero locale (da qui il nome Januarius). I pavimenti riproducono i marmi della cattedrale, il simbolo della mitra è riproposto in più varianti, ci sono statue con-temporanee che lo raffigurano e riproduzioni di quadri e affreschi antichi, affiancati al contem-poraneo San Gennaro di Jorit, noto street artist napoletano che ne ha fatto il simbolo dell’ingres-so a Forcella, dell’ingres-solo duecento metri più giù, lungo la strada.

La convivialità, l’esaltazione della ricchissima tra-dizione culinaria, ma anche la possibilità di gu-stare le pietanze in un contesto che trasuda arte e cultura in ogni minimo dettaglio, si fondono e offrono al cliente un’esperienza indimenticabile.

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eramiche Noi di Città di Castello (Perugia) è un esempio concreto del non arrendersi mai.

Dopo che lo scorso anno i dipendenti, forman-do una cooperativa, avevano rilevato l’azienda che la proprietà voleva delocalizzare in Armenia, durante il lockdown hanno progettato qualcosa di unico e innova-tivo: il piatto antibatterico.

«Lo sviluppo di un prodotto come il Piatto Antibatte-rico, capace di respingere il 99,9 percento di batteri, garantisce livelli di qualità e unicità molto elevati. La sua innovazione offre funzioni e prestazioni nettamente superiori rispetto agli altri prodotti di mercato» spiega Lorenzo Giornelli, responsabile commerciale.

L’idea dell’azienda – che ha brevettato il piatto a inizio 2021 – è stata quella di ricercare e sviluppare un prodot-to richiesprodot-to e utilizzabile in diversi campi di applicazio-ne gastronomica: dal semplice consumatore privato, alla boutique-shop, passando per gli hotel di lusso e le filiere navali di alto livello.

Si tratta di una linea completamente nuova:

«Questa linea antibatterica è in grado di respingere na-turalmente qualsiasi tipo di batterio grazie alle sue par-ticolari proprietà. Inoltre, ancora più eccellente è il fatto che questa sua caratteristica dura nel tempo: a differenza di prodotti simili che hanno una durata antibatterica

limitata, la nostra Linea Antibatterica ha una durata per-petua, fino alla fine del ciclo di vita del piatto. Questo è possibile perché nel prodotto l’antibatterico si applica a caldo e quindi si fissa sulla piastra come uno smalto o un colore e per questo rimane intatto anche dopo cicli di lavaggio in lavastoviglie» proseguono dall’azienda.

Un’altra peculiarità di questi particolari piatti è che non viene alterato in alcun modo l’aspetto esteriore, a ec-cezione di una patina micro-puntinata bianca mol-to leggera che è impercettibile all’occhio: tutte queste caratteristiche rendono questo prodotto unico nel suo genere e un esempio di come il made in Italy riesca a es-sere superiore e un vero simbolo di qualità e di prestigio.

«Questo grande traguardo ci permetterà di essere com-petitivi e di avere un dominio assoluto nel settore che riguarda il nostro segmento. Il nostro obbiettivo è stato quello di dimostrare come, nonostante il grave proble-ma del Covid-19, quando si crede in quello che si fa non bisogna mai darsi per sconfitti, ecco perché questo nuovo progetto lo abbiamo intrapreso come un trampo-lino di rilancio verso il futuro, ma anche un sinonimo di supremazia, qualità e grande lavoro di squadra» con-clude Giornelli.

CERAMICHE NOI PORTA IN TAVOLA

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