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Capitolo terzo

1. Cerimonie bolognes

Leone X non condivise affatto il malumore della sua corte per l'accoglienza che gli avevano riservato i bolognesi. Per quanto tiepidamente potesse essere stato ricevuto, la situazione non era neppure lontanamente paragonabile a ciò che gli era toccato patire appena tre anni prima, all'epoca in cui era cardinale legato della città. Catturato dai francesi a Ravenna, il 17 aprile del 1512 Giovanni de' Medici era giunto a Bologna prigioniero. Con lui, il condottiero spagnolo Pedro Navarro, ostaggio anch'egli:

alchuni li començorno a chridare: “Apicha, aphica”, e anchora li fu trato per modo che aveno gran paura e quando furno in palaço ser Bartolomeo de Verardo e Francescho de Dolfo deli signori tuti dui se li feno incontro e li diseno: “Traditori, ve volemo fare apichare al barachano”, e chosì el confalonero de justicia ch'era Bartolomeo da Montechalvo, per modo che uno francese li dise una gran vilania e furno biasemati da ognomo da bene539.

Un francese era intervenuto insomma in difesa dei due prigionieri, troppo illustri e preziosi per diventare vittime di simili scatti rabbiosi. «Sono chose più tosto per farce male», commenta saggiamente Fileno: il Medici era pur sempre il legato pontificio della città, il governo bentivolesco, restaurato da meno di un anno, appariva precario, e il papa era un certo Giulio II540. Per uno spontaneo rinsavimento o obbligati dagli alleati

francesi, i membri del governo bolognese avevano di lì a poco sposato una linea più cauta, tanto che il giorno successivo, in cui era prevista la partenza dei due ostaggi, «mandono tre chride ala pena de çento duchati che persona non parlase contra diti presuni»541. Il bersaglio principale doveva comunque essere stato il Navarro, come

539 F. DALLA TUATA, Istoria di Bologna, cit., p. 632.

540 Sugli avvenimenti di questo periodo si veda R. HONIG, Bologna e Giulio II, 1511-1513, Bologna, 1904. 541 F. DALLA TUATA, Istoria di Bologna, cit., p. 632.

prova il riferimento al Baraccano542: ne parleremo tra breve. Ma anche il cardinale de'

Medici era stato direttamente umiliato dal gonfaloniere, il quale, con un calembour fin troppo scontato, «senza alcun rispetto li disse se lui fusse il legato overo legato». Fosse per paura o per disprezzo, il cardinale fissò il Montecalvo e «non li fece risposta alcuna»

543. L'8 dicembre del 1515, nonostante il Grassi lo aizzasse a sanzionarli in qualche

modo, Leone X «in nullo aperuit os suum»544 neppure contro i bolognesi. Nei giorni

successivi si preoccupò anzi di coinvolgerli, di affascinarli, offrendo loro uno spettacolo straordinario.

9 dicembre

Domenica 9 dicembre il papa assistette alla messa in San Petronio. In un primo momento, ce ne informa il Grassi, era stata però preparata la cappella del Palazzo. Fu Leone X a decidere il trasferimento, per permettere al popolo di presenziare alla funzione. E come ulteriore omaggio alla città, il pontefice stabilì che l'officiante fosse proprio Paride Grassi, cittadino bolognese545. Il resto della giornata trascorse in

preparativi, in vista dell'imminente arrivo del re di Francia: preparativi che comprendevano sia l'ulteriore abbellimento della città546, sia le consultazioni coi

cardinali sul cerimoniale a cui attenersi nel corso del convegno. Questione, quest'ultima, tutt'altro che semplice547.

542 Cfr. L. ALBERTI, Historie di Bologna, cit., p. 384: «Nel condurli al palagio, cridava il popolo dietro al

conte Pietro Navara: “sia impiccato il traditore che volea ruvinarci”».

543 Ibidem.

544 P. DE GRASSIS, Diarium, cit., c. 130v.

545 Ibidem: «Cum pro missa secunda de Adventu parata esset capella Palatij bononiensis, non visum est

papae quod populus posset ibi manere, propterea statuit quod in ecclesia magna Sancti Petronij paratus fieret [...] et etiam statuit papa quod nullus alius ibi celebraret illa die nisi ego bononiensis civis, novus assistens Florentiae nuper creatus, prout feci et celebravi [...] presentibus cardinalibus XX et prelatis circa 40 et frequentissimo populo». Cfr. anche ASMn, AG, Carteggio estero, Roma, b. 863, Alessandro Gabbioneta a Francesco Gonzaga, Bologna, 9 dicembre 1515: «Questa matina N. S. ha fatto capella in San Petronio, dove sono stati gli altri cardinali et se sono fatte le cerimonie solite farse in simile domenica di Advento» [DOCUMENTO 31].

546 Cfr. A. BERNARDI (NOVACULA), Cronache forlivesi, cit., p. 429: «e tutavia facea inobelire dita cità

aspetando infra dui zorne la venuta dela M.tà dal dito Re de Ferancia».

547 In una sua lettera del 9 dicembre, l'ambasciatore veneziano Marino Giorgi riferiva di queste

lungaggini: «Questa matina è stato un poco di congregation di cardinali col Papa, zercha quello honor se dia far a la Cristianissima Majestà, aut preciedi il Reverendissimo San Zorzi capo dil colegio dei cardinali, aut farlo prender il primo locho, e non hanno terminato la cossa». Cfr. M. SANUTO, I diarii, cit.,

10 dicembre

L'indomani si tenne quindi un nuovo concistoro548, in cui Leone X interrogò

Paride sul da farsi, e il cerimoniere ribadì quanto aveva già esposto in un'altra adunanza, tenutasi pochi giorni prima a Firenze. Ogni fase, ogni gesto, dovevano essere minuziosamente concertati: fu stabilito che il re, una volta entrato in concistoro, dovesse avvicinarsi al papa e venerarlo «cum trina genuflexione usque in terram», procedendo poi col bacio del piede, della mano e della guancia. Dopodiché, avrebbe dovuto limitarsi a pronunciare pochissime parole di saluto e attendere la risposta del pontefice549. Anche

le pochissime parole che Francesco I effettivamente pronuncerà davanti Leone X corrisponderanno quindi a una precisa istruzione del cerimoniere: «Quod in consistorio nihil particularius petat a papa sicut olim Carolus rex fecit, qui multa petijt a papa et nihil obtenuit, sed ad partem postea petat»550. Il precedente più prossimo relativo a un

incontro papa-re, quello tra Alessandro VI e Carlo VIII a Roma nel 1495, era infatti da maneggiarsi con estrema cura. A seguirlo, più che d'aiuto, avrebbe potuto rivelarsi fonte di imbarazzo. Il predecessore del Grassi nella carica di maestro delle cerimonie, Johannes Burckard, aveva lasciato nel suo diario una vivida testimonianza della sua pessima esperienza coi francesi551. Quando il Grassi aveva chiesto a Leone X se fosse il

caso di informare il re sulla «forma obedientiae quam Carolus olim rex prestitit papae Alexandro», si stabilì pertanto di mostrargli

eam partem tantum […] quae faceret ad propositum et quae esset honesta, si volet videre hoc autem sic definitum est, quia Burcardus noster magister ceremoniarum in descriptione illius actus expressit mille infamias et fatuitates gallorum, et etiam suas levitates descripsit552.

Ci penserà Francesco I, con la sua gaia e maliziosa franchezza, a prendere le distanze da

548 Cfr. ASMn, AG, Carteggio estero, Roma, b. 863, Alessandro Gabbioneta a Francesco Gonzaga,

Bologna, 10 dicembre 1515: «Nel consistorio d’hoggi, quale è durato un gran pezo, se sono expedite alcune cose beneficiali, ma la maggior parte del tempo si è speso in consultar le cerimonie che se hanno a far in ricever lo re» [DOCUMENTO 33].

549 «Et dicere in paucis verbis quae vellet dicere, et sic apud pontificem manere donec pontifex ei

respondeat»: P. DE GRASSIS, Diarium, cit., c. 131r.

550 Ibidem, c. 131v. Carlo VIII, sovvertendo in questo come in altri punti il cerimoniale, aveva infatti

avanzato richieste ad Alessandro VI prima di prestargli obbedienza. Per una disamina delle questioni cerimoniali relative all'incontro romano tra il papa Borgia e il re di Francia si veda G. LE THIEC, Le roi, le

pape et l'otage. La croisade, entre théocratie pontificale et messianisme royal (1494-1504), in «Revue d'histoire de l'Eglise de France», 88 (2002), pp. 41-82 (in part. pp. 45-51).

551 Cfr. I. CLOULAS, La découverte de l'Italie par Charles VIII, in J. BALSAMO (ed.), Passer les monts, cit.,

pp. 127-138 (in part. p. 132).

Carlo VIII, rivendicando orgogliosamente la propria diversità dal predecessore. Nel corso del primo colloquio col Grassi, trovando eccessiva la pedanteria con cui il cerimoniere intendeva istruirlo, il re aveva bonariamente protestato di essere meno ignorante di quanto egli evidentemente credeva. Dopo la piccata replica del Grassi, che gli aveva ricordato le scandalose deroghe di Carlo VIII al cerimoniale, nonostante le scrupolose istruzioni che gli erano state impartite, Francesco I assestò un colpo da maestro: «ipse dixit, se non esse in hoc, nec in multis similem Caroli regi»553. Una

difformità, la loro, che saltava subito agli occhi.

Francesco I era davvero diverso da Carlo VIII, e non soltanto fisicamente. Il nostro cerimoniere però non poteva ancora saperlo, e quindi, come ulteriore misura cautelare, ritenne opportuno «preire ad regem et informare ipsum de nostris ceremonijs solitis»554. Un incontro preliminare che gli avrebbe anche permesso di raccogliere le

eventuali richieste del sovrano e valutarne la fattibilità555.

Il Grassi e il cardinale Sanseverino raggiunsero il re fuori città. Giunti nel suo alloggio, dove c'erano altri sei cardinali in visita, ci si mise a dicutere delle modalità del concistoro in programma per il pomeriggio successivo. Il primo scoglio fu rappresentato dalla lingua. A un imbarazzato Paride non riuscì di capire nemmeno una parola di ciò che il re diceva:

Sanseverinas multum ac optime loquutus est cum rege de propositis meis in consistorio et qualiter papa et omnes cardinales remittebant omnia facienda arbitrio Suae Maiestatis. Et rex quidem humaniter ad omnia et singula respondit, quamquam vulgari suo gallico, ita ut ego non intelligerem sermonem illum; [...] cum a me rex petijsset simul cum cardinalibus adstantibus an ego bene omnia intellexissem, aperte dixi me non unum eorum verbum intellexisse; unde rex et illi ridentes in vulgari mihi capita eorum tetigerunt556.

La seconda difficoltà riguardò invece una divergenza di opinioni: il re avrebbe infatti voluto separare i due momenti del bacio del piede e della professione di obbedienza. E Paride e il cardinale, che al riguardo avevano ricevuto dal papa un ordine preciso e contrario, dovettero insistere non poco per concentrare il tutto nel primo pomeriggio del re a Bologna557.

553 Ibidem, cc. 134r.-v. 554 Ibidem, c. 131r.

555 Ibidem, c. 131v.: «intelligere a rege an aliqua particularia tunc qua mihi explicet ea si vult, et ego

curabo ei satisfacere et providebo ut illud quicquid sit apte fiat pro satisfactione sua. Item an placeat unum de suis expertum deputare me cum qui mecum omnia ordinet quae sibi placeant». Su questo incontro fuori Bologna cfr. L. MADELIN, De conventu, cit., pp. 56-58.

556 P. DE GRASSIS, Diarium, cit., c. 133r.

11 dicembre

La solenne cavalcata d'ingresso di Francesco I non si era propriamente conclusa nel momento in cui aveva varcato la soglia del Palazzo: Stazio Gadio riferisce che il re «smontò alle sue stantie sopra la prima scala»558, percorrendo quindi a cavallo la prima

rampa dello scalone a cordonata bramantesco559. Al primo piano, il papa – alloggiato

invece al secondo - aveva fatto preparare per l'ospite quattro stanze, secondo Paolo Giovio una più sontuosa dell'altra: «l'una de raso cremesin con fiamme d'oro, l'altra veludo cremesin con perfili d'oro, l'altra de raso turchino, e l'altra di brocato d'oro»560. Si

trattava degli appartamenti normalmente assegnati al gonfaloniere di giustizia561, per

l'occasione fatto sloggiare e trasferito con «li signori antiani nel palagio dei nodari». Il legato invece era rimasto nel suo edificio, prendendo alloggio, sempre secondo la testimonianza di Leandro Alberti, «nelle stantie di sotto»562. Secondo Pompeo Vizzani

nel Palazzo, oltre a papa, re e legato, erano alloggiati anche altri cardinali e principi563.

Qualche ora ancora si frapponeva all'incontro tra i due sovrani. Francesco I si distrasse pranzando in compagnia di quattro cardinali, tra cui il Bibbiena e il Medici564,

mentre Leone X, al piano di sopra, era vittima dell'inappetenza: «interea alij cardinales ascenderunt ad papam et illico prandium fecerunt in una aula, ubi papa non voluit quicquam comedere»565. La questione del pranzo, del resto, era stata il giorno prima

oggetto di una querelle tra il papa e i cardinali, che ci viene scrupolosamente riferita dal Grassi:

Dixi papae ut prandium pro omnibus cardinalibus preparari faceret, quia sic ipsi expectarent forsitan ad horam XXIII, quod papa noluit preparare, quia ut dixit cardinales bene poterunt expectare usque ad illam horam in qua etiam ipse expectabit, sed non sic evenit, quia cardinales de mane, postquam fuerunt simul in loco deputato iuncti, miserunt unum cardinalem ad papam, qui in nomine Senatus oraret ut prandium faciemus consistorium pro prestatione obedientiae, quod mihi non placuit, quia sic mihi papa mandaverat, ut omnino unico die et actu ac contextu omnia expedirem, […] et super hoc multum instetimus».

558 Cfr. R. TAMALIO, Federico Gonzaga alla corte di Francesco I, cit., p. 152.

559 Cfr. R. SCANNAVINI, Il Palazzo Comunale: l'evoluzione storica del contesto urbanistico ed architettonico

e il progetto del nuovo «palazzo di città», in R. SCANNAVINI (a cura di), La Cappella Farnese e il Torrione

del Canton dei Fiori. Nuovi restauri in Palazzo Comunale, Casalecchio di Reno, 1991, pp. 15-47.

560 M. SANUTO, I diarii, cit., col. 392. 561 Cfr. P. DE GRASSIS, Diarium, cit., c. 136v. 562 L. ALBERTI, Historie di Bologna, cit., p. 432.

563 Cfr. P. VIZZANI, Diece libri delle historie, cit., p. 518.

564 M. SANUTO, I diarii, cit., col. 372. Cfr. su questo e sui fatti successivi L. MADELIN, De conventu, cit., pp.

62-77.

pro toto Sacro Collegio parari faceret dum rex pranderet,

e il pontefice alla fine aveva dovuto cedere al loro capriccio566. L'appetito dei cardinali

dilatò infatti ulteriormente i tempi: solo quando essi ebbero finito Leone X poté accedere alla sala del concistoro e prepararsi per l'arrivo di Francesco I. Secondo Jean Barrillon potevano essere ormai circa le tre del pomeriggio567. Il papa «con il piuvale di

oro et la mitra pretiosa in capo» prese posto su «un seggio a cui si saliva per quattro gradi»568. Proprio su questi gradini, secondo Stazio Gadio, «sedevano li prelati et

vescovi», mentre i cardinali si posizionarono sulle loro panche, ai due lati della sala. Nel mezzo, «sedendo in terra secundo il solito», stavano i cubicolari (cioè i camerieri privati del pontefice) «vestiti di scarlato con li capuci»569. Una quinta scenografica di sicuro

effetto.

Mentre i cardinali prestavano a uno a uno la rituale obbedienza al pontefice «basandoli il manto che havea […] in dosso, richissimo», l'Este e il Sanseverino scesero al piano di sotto a prendere il re570 per condurlo in concistoro. Non fu impresa facile: il

re rimase a lungo bloccato sulla scala a causa della calca impressionante di persone che la affollavano. Arrivato in prossimità del salone, la situazione si fece ancora più critica: il passaggio era talmente congestionato che proprio Francesco I rischiava di rimanere fuori dalla porta. Per sbloccare la situazione furono perciò mandati alcuni uomini del re, tra cui il connestabile di Borbone, a presidiare gli ingressi e a regolare, per quanto possibile, il flusso umano571. Più di uno, tra i presenti, temette seriamente per la propria

incolumità. Paride Grassi riferisce di come si fosse insinuato in molti l'angoscioso dubbio che il pavimento della sala potesse a un certo punto cedere572. Il mantovano

566 Ibidem, cc. 134v.-135r.

567 Cfr. J. BARRILLON, Journal, cit, p. 167: «environ trois heures». Cfr. ASMn, AG, Carteggio estero,

Bologna, b. 1148, Giovan Francesco Grossi a Isabella d'Este, Bologna, 11 dicembre 1515: «dopo la gionta dil re, stete apreso tre hore innanti che 'l venesse a basar il pe' a Sua S.tà» [DOCUMENTO 21].

568 L. ALBERTI, Historie di Bologna, cit., p. 432. Cfr. ASMn, AG, Carteggio estero, Bologna, b. 1148,

Giovan Francesco Grossi a Isabella d'Este, Bologna, 11 dicembre 1515. Il papa entra nella sala con «il pevial indosso che li mandò a donar il re di Portogallo, qual è richissimo» [DOCUMENTO 21].

569 R. TAMALIO, Federico Gonzaga alla corte di Francesco I, cit., p. 152. Cfr. M. SANUTO, I diarii, cit., col.

380, Sumario di letere di sier Piero Soranzo del 12 dicembre: ai lati del papa c'erano i cardinali «su do banche, e li vescovi sedea su li scalini dil trbunal, e li camerieri in terra di quello serajo». Cfr. anche Entrevue du roi François Ier et du pape Léon X, cit., p. 86: al re era stato riservato il posto subito dopo

quello del primo cardinale, contrassegnato da un «pulvinar purpureum sericum cum insignibus regis Francie».

570 Cfr. R. TAMALIO, Federico Gonzaga alla corte di Francesco I, cit., p. 152.

571 Ibidem, pp. 152-153; P. DE GRASSIS, Diarium, cit., cc. 136v.-137r.: «fuit opus quod rex plures de suis

disponeret ad valvas et repagula ut custodirent ingressum, quem nos vix attingere poteramus».

572 Cfr. P. DE GRASSIS, Diarium, cit., c. 136v.: «Aula erat plenissima populo tum bononiensi et curiali quam

Grossi si rammaricava con Isabella d'Este di aver dovuto abbandonare la sala prima del tempo: «per esser la grandissima furia et chalca di persone che desideravano di veder, fui sforzato, se non volea morir, levarme»573. E l'ambasciatore inglese Silvestro Gigli,

quando tutto era finito, ancora non si capacitava di esserne uscito vivo, di non essere stato sommerso e calpestato a morte da quel mare ondeggiante di persone574.

Chi non si era dimostrato preoccupato né tanto meno infastidito da quel contrattempo era stato Francesco I. Paride Grassi ce lo descrive con tratti quasi fanciulleschi. Tranquillo, divertito, e tenacemente aggrappato alla sua mano: «Unde rex, ut erat placidus, saepe risit […]; primo precedebat Sanseverinas. Deinde ego simul coequalis cum rege, quem nunquam dimisi semper eum per manum ducens, sic enim ipse volebat nec me dimittere volebat»575.

Nell'attesa, che pare di capire fu piuttosto lunga - circa mezz'ora, secondo il Grassi, solo per entrare nella sala - il papa fu intrattenuto dal gran maestro di Francia e si iniziò anche l'udienza di una causa. Finalmente, Francesco I si stagliò di fronte a Leone X. Indossava «una roba di panno d'oro rizo fodrata di zebellini, belissima, et una bereta in testa di veluto negro con un tondo d'oro et pontalli, et certe pene negre alla bereta»576. Tenendola rispettosamente in mano, si inginocchiò tre volte davanti al

pontefice. Poi, saliti i gradini della tribuna, gli baciò il piede, la mano e la guancia, non soltanto eseguendo alla perfezione le disposizioni di Paride, ma facendolo per di più «ridens ac iubilans»577. Leone X «lo bassò da ogni lato dil volto molto amorevolmente, e

li disse alchune parolle, et il papa a Sua M.tà. Volse Sua S.tà che 'l gie parllase ma che tenese la bereta in capo»578. Sono parole di Giovan Francesco Grossi, confermate

praticamente da tutte le fonti, concordi nel rilevare l'aura di fascinazione e benevolenza che caratterizzò questo primo incontro579. Francesco I pronunciò «aliqua pauca verba in 573 ASMn, AG, Carteggio estero, Bologna, b. 1148, Giovan Francesco Grossi a Isabella d'Este, Bologna,

11 dicembre 1515 [DOCUMENTO 21].

574 Cfr. J.S. BREWER (ed.), Letters and Papers, cit., p. 341, Silvestro Gigli ad Andrea Ammonio, Bologna,

14 dicembre 1515.

575 Cfr. P. DE GRASSIS, Diarium, cit., c. 137r. Si veda anche ASMn, AG, Carteggio estero, Roma, b. 863,

Alessandro Gabbioneta a Francesco Gonzaga, Bologna, 11 dicembre 1515: il re «cum bonissima et leta facia intrò in la sala» [DOCUMENTO 34].

576 ASMn, AG, Carteggio estero, Bologna, b. 1148, Giovan Francesco Grossi a Isabella d'Este, Bologna,

11 dicembre 1515 [DOCUMENTO 21].

577 P. DE GRASSIS, Diarium, cit., c. 137r. Robert de la Mark, a maggiore esaltazione del suo sovrano, nega il

bacio della pantofola pontificia: Francesco I era stato ricevuto da Leone X «comme fils aisné de l'Eglise, sans souffrir que le Roy lui baisát les pieds, comme il estoit accoustumé, mais le vint embrasser». Cfr. R. DE LA MARK (seigneur de Fleurange), Histoire des choses mémorables, cit., p. 56.

578 ASMn, AG, Carteggio estero, Bologna, b. 1148, Giovan Francesco Grossi a Isabella d'Este, Bologna,

11 dicembre 1515 [DOCUMENTO 21].

579 Cfr. ad esempio R. TAMALIO, Federico Gonzaga alla corte di Francesco I, cit., p. 153: il papa «lo

vulgari gallico», con cui dimostrava la sua gioia e dichiarava al pontefice la propria totale disponibilità. Leone X fu altrettanto ineccepibile, per la gioia del suo cerimoniere: «papa benignissime et humanissime respondit omnia haec in Deum transferens et Deo omnia attribuens, et in veritate papa optime, ut sui moris est semper bene loqui, loquutus est regi»580.

A quel punto, il cancelliere Antoine Duprat581 iniziò a declamare l'orazione

dell'obbedienza582. In pochi comunque, secondo gli oratori veneziani e mantovani,

riuscirono a sentire qualcosa: «pochissimi la inteseno tanto era la calcha»583 e il

«grandissimo strepito et rumor di persone, che tuti voliano intrar»584. Quando il

cancelliere ebbe terminato, furono ammessi al bacio della pantofola pontificia alcuni grandi nobili di Francia. Inizialmente dovevano essere tre soltanto, «et papa eos benigne