Capitolo terzo
2. Taumaturgia regia
Nel pomeriggio del 14 dicembre, Francesco I si recò a San Domenico per assistere alla messa e per visitare la tomba del fondatore dell'Ordine dei Frati Predicatori710. Anche Carlo V compirà durante il suo soggiorno a Bologna questo devoto
pellegrinaggio a uno dei più celebri luoghi di culto della città, spargendo denari al popolo lungo la via711. Il re di Francia dimostrò in altro modo la propria generosità: al
termine della visita, fece «mandare la chrida chi volea guarire dele schrofe» si recasse l'indomani mattina a San Pietro. Il giorno dopo ci fu però un cambio di programma: gli scrofolosi, già radunati nel luogo prefissato, furono invitati a spostarsi in Palazzo, e lì, nella Cappella del legato, «a tuti fe' la sanità e guarirno»712. Né Fileno dalla Tuata né le
altre cronache bolognesi coeve indugiano oltre sullo spettacolo della virtù taumaturgica regia. Oltre che nelle cronache, ne troviamo un accenno, altrettanto fugace, nella relazione del priore del Collegio di diritto civile, Bonifacio Fantuzzi: poco prima di lasciare la città, il re aveva guarito alcuni malati «de certa infirmitate quae vulgari sermone nuncupatur “el male dele scrove”»713. Anche qui, nessuna descrizione delle
modalità di svolgimento della cerimonia, nessuna informazione precisa sul numero di malati. Qualche particolare in più relativo all'evento riusciamo comunque a ricavarlo da altre fonti. Jean Barrillon ci riferisce della presenza tra gli scrofolosi anche di un vescovo polacco: un alto prelato quindi, che si reca al cospetto del sovrano francese sperando nel miracolo. Oltretutto, dalle parole del Barrillon, sembra di capire che il vescovo non avesse semplicemente approfittato della circostanza, ma che si fosse presentato «expressément devers le Roy» con tanto di lettere commendatizie del re di Polonia714.
Solo nelle cronache bolognesi più tarde comparirà la formula tradizionalmente
710 Qui gli furono mostrate le reliquie più importanti che vi si conservavano: la testa del santo e la Bibbia
del profeta Esdra: cfr. L. ALBERTI, Descrittione di tutta Italia, cit., c. 328r.
711 Cfr. R. RIGHI (a cura di), Carlo V a Bologna. Cronache e documenti, cit., p. 149.
712 F. DALLA TUATA, Istoria di Bologna, cit., p. 714. Sulla Cappella Farnese detta anche del legato, si veda
P. FOSCHI, Le «sale di rappresentanza» in Palazzo Comunale: Sala d'Ercole, Cappella e Sala Farnese, in
R. SCANNAVINI (a cura di), La Cappella Farnese e il Torrione, cit., pp. 49-65.
713 ASBo, Archivi dello Studio Bolognese, Collegi Legali, Libri Segreti del Collegio Civile, K-138 (1512-
1530), c. 15r. [DOCUMENTO 1].
714 Cfr. J. BARRILLON, Journal, cit, p. 174. Potrebbe trattarsi di uno degli «oratori poloni» a cui accennano
legata al tocco. Negli Annali di Alamanno Bianchetti715, ad esempio, composti nella
seconda metà del XVI secolo, e nell'opera secentesca di Antonio Francesco Ghiselli, il rito ci viene descritto con un lessico che è ancora sostanzialmente quello di Fileno dalla Tuata («a tutti fece la sanità, e guarirono»), ma in più troviamo il riferimento alla formula: «e segnandoli diceva “Io ti segno, e Dio ti sani”716». Questa formula rituale,
attestata per la prima volta nel 1577 nella relazione di viaggio dell'ambasciatore veneziano in Francia Girolamo Lippomano717, era andata stabilizzandosi nel corso del
Cinquecento, in due varianti: con il modo indicativo e con il congiuntivo. La testimonianza del Bianchetti in particolare si rivela quindi piuttosto precoce; quanto all'uso del congiuntivo, preferito al modo indicativo da entrambi i cronisti bolognesi, secondo Marc Bloch «sembra porre una nota di dubbio», e sarebbe peraltro rilevabile «soltanto presso scrittori di mediocre autorità»718.
Quello bolognese non era stato il primo tocco su suolo italiano di Francesco I: il 31 ottobre il sovrano aveva già avuto modo di esibirsi a Vigevano. Su questo episodio disponiamo di descrizioni un poco più soddisfacenti, grazie ai corrispondenti gonzagheschi - completamente, e curiosamente, silenziosi invece sul rito del 15 dicembre a Bologna. In una lettera di Luigi Gonzaga a Isabella d’Este, il tocco taumaturgico ci appare inserito in un contesto di danze, battute di caccia e passatempi vari, come parte integrante e coerente di un affresco della corte francese. La cerimonia aveva coinvolto «tutti quelli che si sono presentati dicendo havere el male de la scoffola, et erano molti fra donne et putti»719. Nella missiva del 31 ottobre di Giacomo
Suardino, indirizzata questa volta al marchese Francesco Gonzaga e contenente una minuta trattazione delle questioni politiche, i brevissimi accenni ai sollazzi cortigiani e
715 A. BIANCHETTI, Annali di Bologna, II, BCAB, ms. Malvezzi 60, c. 389: «facendoli il segno della Santa
Croce con la mano e dicendoli “Io ti segno, e Dio ti sani”, guarirono».
716 A. F. GHISELLI, Memorie antiche, cit., c. 26. Il brevissimo articolo di G. EVANGELISTI, Il re ti tocca Dio ti
guarisce. L'incontro a Bologna tra Leone X e Francesco I di Francia, in «La Mercanzia», 10 (1977), pp. 863-864, non aggiunge alcun particolare di rilievo alla semplice cronaca dei fatti.
717 «Io non ho veduto cosa più degna né più meravigliosa, a giudizio mio, in quel regno, del segnare le
scropole […] che pare quasi cosa incredibile e miracolosa, ma però tanto stimata per vera e secura in questo regno e in Spagna […] che no è mai volta che non ve ne siano dugento o trecento infermi. […] il re li va toccando d'uno in uno, e facendo loro una croce in fronte col dito grosso dice queste parole, “Le roy te touche, et Dieu te guerist”; cioè: Il re ti tocca, e Dio ti guarisce»: Viaggio del Signor Girolamo Lippomano, ambasciator in Francia nel 1577, scritto dal suo secretario, in N. TOMMASEO (ed.), Relations
des ambassadeurs vénitiens sur les affaires de France au XVI siècle, II, Paris, 1838, pp. 269-647 (citazione alle pp. 542-543). La vera e propria Relazione di Francia del Lippomano fu sconosciuta al Tommaseo, che al suo posto pubblicò appunto il Viaggio: cfr. L. FIRPO (a cura di), Relazioni di
ambasciatori veneti al Senato, V, Francia (1492-1600), Torino, 1978.
718 Cfr. M. BLOCH, I re taumaturghi. Studi sul carattere sovrannaturale attribuito alla potenza dei re
particolarmente in Francia e in Inghilterra, Torino, 1989, p. 245. L'edizione originale è del 1924.
719 ASMn, AG, Carteggio estero, Milano, b. 1641, Luigi Gonzaga a Isabella d’Este, Vigevano, 31 ottobre
al tocco taumaturgico sono confinati alla chiusa della lettera: «Sua M.tà in questa matina segnette la scrozola, e in questi giorni passati si è atteso a balare e far maschara. Oggi è andato alla cazia»720. Almeno a giudicare da questi due casi, si potrebbe dire che
il rito taumaturgico trovi posto solo tra le note di costume. Più attento alle fasi della cerimonia si dimostra il Grossino, che pure, dato l'uso ripetuto dell'intercalare «per quanto inteso», pare non vi avesse personalmente assistito. E così riferisce alla marchesa che il re, nella chiesa di San Pietro Martire,
innanti che si comentiase la messa, per quanto inteso, si confesò volendo signar i molti che lì in giessia si eran condoti che aveano il mal dila schrofolla. Olduta la messa stando in gionegion, disse l’oficio con uno prelato, et così alla messa, et sempre di sua man fa l’oferta de uno duchato d’oro, et li è portato a basar la pace et il mesal. Finito il Vangiellio, Sua Maestà andò dove erano stessi tuti queli infermi. Comentiò al primo e seguitò insino al’ultimo, metendogli le dita de la sua man per il longo del volto del malato et poi atraversso, et sì li fa il signo de la croce. Finito, si lava le man in bochal e bacina d’oro, poi se ne ritorna alo altaro grande e dice alchune sue oration; per quanto ho intesso fa donar a tuti quelli che signa dui marcelli per uno721.
I tocchi a Vigevano sembra certo siano stati addirittura due. Stazio Gadio, che già aveva informato la marchesa del rito taumaturgico del 31 ottobre722, scrivendo al
marchese Francesco Gonzaga in data 3 novembre riferisce che quella mattina il re si era recato a messa «a piedi fora dila terra alle Gratie ove, doppo la messa, ha signato ad alcuni il mal dela scrofola»723. Il contenuto della lettera, la precisione con cui i
corrispondenti gonzagheschi stendono solitamente i loro rapporti e, soprattutto, il fatto che si indichi qui come luogo di svolgimento del rito una chiesa identificabile probabilmente con quella suburbana di Santa Maria delle Grazie (e non più quindi la chiesa di San Pietro Martire), impediscono di pensare che si tratti eventualmente dello stesso rito del 31, solo riportato qualche giorno dopo. Disponiamo anche di una prova ulteriore, e decisiva, che si tratti di due episodi distinti. Il 31 ottobre Stazio Gadio non aveva scritto soltanto a Isabella: nell'Archivio Gonzaga a Mantova è conservata una sua lettera indirizzata al marchese Francesco in cui narra che il re, confessatosi e udita la
720 Ibidem, Giacomo Suardino a Francesco Gonzaga, Vigevano, 31 ottobre 1515.
721 Ibidem, Giovan Francesco Grossi a Isabella d’Este, Vigevano, 31 ottobre 1515 [DOCUMENTO 24]. 722 «Questa matina il signor mio andò al Re et accompagnò Sua Maestà a messa a San Petro martire et
prima che la udisse si confessò. Udita, poi signò tutti quelli che haveano il mal dila scrofola che erano venuti in giesa, havendo fatto pubblicar sin heri ch'el voleva signare, et a tutti ha donato mezo quarto per uno»: Stazio Gadio a Isabella d'Este, Vigevano, 31 ottobre 1515, in R. TAMALIO, Federico Gonzaga alla
corte di Francesco I, cit., p. 97.
messa
signò tutte quelle persone che haveano il mal di la scrofola che erano venute in chiesa secundo la crida publicata heri, et toccata la facia a tutti a man aperta in croce, et datoli la benedictione li fece donar mezo quarto per cadauno infirmo. Poi, lavatosi le mani, ritornò al altar grande et disse alcune orationi, ringratiando N. S. Dio724.
La lettera non ha trovato posto nell'edizione del carteggio gonzaghesco curata da Raffaele Tamalio. Del resto, l'intenzione del curatore non era quella di fare un'edizione globale delle missive inviate a Mantova dalla corte francese, ma di includere soltanto le lettere da lui giudicate significative, in grado di apportare informazioni ed elementi nuovi725. Ma ai fini del nostro lavoro questa lettera negletta, significativa lo è eccome:
Stazio Gadio non avrebbe potuto commettere un errore tanto grossolano come scrivere al marchese due volte la stessa notizia a distanza di tre giorni.
Mentre gli episodi di Vigevano caddero nell'oblio, la memoria della cerimonia bolognese fu rinverdita e celebrata nel XVII secolo per iniziativa del cardinal legato Girolamo Farnese, il quale commissionò nel 1658 un ciclo di affreschi per la Sala Farnese del Palazzo Pubblico726. L'iniziativa del cardinale sarebbe stata dettata dalla
«volontà di legare in una serie di fermi nodi la storia della città, del papato e della sua gente»727: Sala Farnese sarebbe dovuta diventare insomma una sorta di scrigno della
memoria cittadina. Un progetto tanto ambizioso richiedeva esecutori all'altezza e una scelta oculata dei fatti da illustrare. I principali esponenti della scuola pittorica bolognese del tempo furono perciò chiamati a lavorare agli otto dipinti di cui si compone il ciclo. Entrando nella sala, il primo affresco che si incontra sulla parete sinistra raffigura Urbano II mentre benedice l'insegna della Croce: siamo nel 1095, nell'ambito della partenza per la prima crociata. Procedendo in senso antiorario, si incontrano due dipinti di minori dimensioni, La Vergine di San Luca fa cessare le
724 ASMn, AG, Carteggio estero, Milano, b. 1641, Stazio Gadio a Francesco Gonzaga, Vigevano, 31
ottobre 1515.
725 Oltre alle lettere spedite da Federico ai genitori, nel volume sono state edite solo quelle di Stazio Gadio
«essendo esse, sia le più numerose, sia le più ricche di dettagli»: non tutte però, come abbiamo appena visto. Cfr. R. TAMALIO, Federico Gonzaga alla corte di Francesco I, cit., p. 17
726 La sala doveva il suo nome alla presenza di una statua di Paolo III, poi sostituita proprio per volere del
cardinale con una di Alessandro VII, papa in quel momento.
727 B. BUSCAROLI FABBRI, Il Cardinal Farnese e la sua Sala. Un ciclo di affreschi per la famiglia e la città,
in C. BOTTINO (a cura di), Il Palazzo Comunale di Bologna. Storia, architettura e restauri, Bologna, 1999,
piogge e La restituzione della sacra benda di Maria Vergine. Completa la parete sinistra
il grande riquadro raffigurante probabilmente il momento più fulgido vissuto dalla città in epoca moderna, la grandiosa Incoronazione di Carlo V imperatore. Passando alla parete destra, si vedono nell'ordine: l'ovale in cui Il Cardinale Albornoz esamina i
progetti per lavori al canale Navile; l'ampio riquadro che celebra L'ingresso di Paolo III in Bologna; l'affresco, anch'esso di grandi dimensioni, dedicato a Francesco I colto
nell'atto di sanare gli scrofolosi; e in chiusura un altro ovale, San Petronio concede il
privilegio teodosiano.
I quattro riquadri maggiori sono dunque dedicati agli episodi della storia della città di valenza più internazionale: del tutto comprensibile quindi che, oltre all'incontro tra Carlo V e Clemente VII, vi abbia trovato posto anche quello tra Leone X e Francesco I. Meno scontata invece la scelta del soggetto particolare: il concistoro dell'11 dicembre, con il primo incontro tra i due protagonisti, o la solenne funzione celebrata in San Petronio, sarebbero stati forse più adatti a celebrare il successo diplomatico del papa. Per contro, è stato scelto uno dei pochi episodi in cui il papa Medici non compare nemmeno. In questo è da ravvisare un intento squisitamente politico del committente: strettamente legato, per ragioni di casata, alla monarchia francese, il cardinale Farnese volle renderle omaggio celebrandone la miracolosa virtù728. L'affresco, eseguito da
Carlo Cignani ed Emilio Taruffi729, vede il re al centro della scena mentre si accinge a
toccare con la mano destra il collo reclinato di una donna inginocchiata e velata, mentre un'altra donna alle sue spalle le solleva il velo per facilitare al re l'operazione. Accanto al re, un paggio gli regge il mantello, mentre dietro vediamo l'elemosiniere che consegna l'obolo ad una donna con un bimbo in braccio e un malato inginocchiato che mostra la moneta che ha ricevuto a un vecchio. Sullo sfondo si notano degli armati. Sulla sinistra, in primo piano, due paggi reggono una brocca e una specie di bacile a forma di fruttiera, con tutta evidenza destinati al lavacro delle mani regali al termine del rito (il paggio in primo piano regge anche sul braccio un asciugamano)730. Sulla destra,
tra la folla di malati, ce ne sono addirittura due che per vedere meglio si sono
728 Cfr. M. BLOCH, I re taumaturghi, cit., p. 283.
729 Sul Cignani si vedano B. BUSCAROLI FABBRI, Carlo Cignani. Affreschi, dipinti disegni, Milano, 2004; R.
ROLI, Pittura bolognese, 1650-1800: dal Cignani ai Gandolfi, Bologna, 1977, pp. 40-48, 95-98 (sul
Taruffi, le pp. 98-99).
730 Erronea dunque l'interpretazione secondo cui si tratterebbe di due chierici recanti il calice e la patena,
allusione cioè alla comunione del re che precedeva spesso il rito del tocco taumaturgico, sostenuta in B. BUSCAROLI FABBRI, Carlo Cignani, cit., p. 108. Sull'affresco si veda anche C. COLITTA, Avvenimenti storici
bolognesi rievocati nella pittura, Bologna, 1974 (Estratto da: «Strenna Storica Bolognese», 1974), pp. 43- 46.
arrampicati su una colonna. Il papa non è presente.
Portata sul proscenio, la virtù taumaturgica del re di Francia suscitò negli spettatori ammirazione731, ma anche qualche interrogativo. Fu proprio partendo
dall'affresco che Giovanni Martinotti, medico e docente dell'Ateneo bolognese, costruì nel 1922 il suo articolo sulla taumaturgia regia, precedendo di un paio d'anni l'opera capitale del Bloch732. Al di là dell'ovvia condanna scientifica, interessa piuttosto in
questa sede l'interrogativo che l'autore si poneva sul significato storico-politico dell'avvenimento: «furono i Bolognesi che vollero profittare della presenza di un così grande taumaturgo e ne sollecitarono l'intervento per guarire i loro malati, oppure fu il Re di Francia che cercò l'occasione per dimostrare al Papa e alla sua Corte la potenza soprannaturale di cui egli era dotato?». Il Martinotti sembra darsi una risposta, per quanto cauta: dal momento che sia il re che il papa avevano in quel momento tutto l'interesse «a dar prova della loro potenza come garanzia dei patti contraendi, di fronte alla suprema autorità del Vicario di Cristo è possibile che il Monarca di Francia volesse ostentare una facoltà che lo ponesse al disopra degli uomini e lo accostava alla divinità». Quanto all'importanza per la storia della medicina, il rito e l'affresco che lo celebra sono qui considerati la prova indiscutibile che tanto nel 1515 quanto nel 1658 i bolognesi credevano ai poteri taumaturgici dei sovrani francesi.
Decisamente più netta l'interpretazione della sfida all'autorità papale proposta da Beatrice Buscaroli Fabbri. Postulando l'ambizione dei sovrani francesi a esercitare le loro virtù mediche in terra straniera, meglio ancora se pontificia, legge nel tocco bolognese di Francesco I un'«invadenza taumaturgica che non poteva non apparire una sfida al Papa nelle sue prerogative e nel suo regno». In quest'ottica, va da sé che il fatto di aver scelto come cornice della cerimonia la cappella del Palazzo si configura come la classica beffa che si aggiunge al danno733.
Già solo il clima cordiale e rispettoso, concordemente rilevato da tutte le fonti, che aveva caratterizzato fin lì l'incontro, renderebbe però questo presunto sgarbo finale del re poco plausibile. Ma più ancora, sono le modalità stesse in cui si era svolto il rito a
731 L'opera produsse fin da subito una favorevole impressione, sia per l'esecuzione che per il soggetto: in
una lettera del 1661 «scritta dal Sig. N.N.» all'allora arcivescovo di Bologna Girolamo Boncompagni, edita da Gaetano Giordani, la cerimonia del tocco viene interpretata come uno speciale onore che Francesco I volle fare alla città di cui era ospite. In opere settecentesche dedicate alla vita del Cignani si parla invariabilmente di «maestosa funzione» e «splendidissima solennità»: cfr. G. GIORDANI, Pitture della
Sala Farnese in Bologna, Bologna, 1845, pp. 8-9, 35-36.
732 G. MARTINOTTI, Re taumaturghi: Francesco I a Bologna nel 1515, in «L'illustrazione medica italiana»,
10 (1922), pp. 134-137. L'articolo fu riedito nel 1926 in «Il comune di Bologna», 5, pp. 343-348. Bloch, in effetti, citerà Martinotti nel suo libro.
rendere questa lettura poco convincente. Tutto lascia trasparire un carattere di estemporaneità. La scelta della cappella, lo abbiamo visto, era stata un ripiego dell'ultimo minuto. Dovremmo allora malignamente leggere, in questo improvviso cambio di luogo, l'intervento di qualche personaggio della corte papale o del clero bolognese, a cui magari sembrava inopportuno concedere la cattedrale cittadina al sovrano per la sua miracolosa esibizione? Anche in questo caso si rischierebbe di far parlare le fonti troppo e in maniera indebita. Molto più probabilmente, e semplicemente, si trattò di una soluzione di comodo, dettata da esigenze logistiche: toccare i malati all'interno della Cappella del legato, quindi senza dover uscire dal Palazzo, significava innanzitutto, in un momento in cui fervevano i preparativi per la partenza, risparmiare tempo, pur essendo San Pietro poco distante. Del resto, se davvero Francesco I avesse voluto ostentare potere e divina autorità avrebbe certamente saputo trovarne il modo. Un suo predecessore aveva dimostrato in questo un notevole talento.
A proposito delle guarigioni operate dai re di Francia fuori dai confini del loro regno, Marc Bloch si riferisce all'Italia come a un palcoscenico privilegiato. I numerosi viaggi nella penisola compiuti nel periodo delle guerre d'Italia offrirono infatti l'occasione ai sovrani francesi per fare sfoggio di una delle loro prerogative più celebri ed esclusive, e agli italiani di cogliere l'opportunità di una promessa guarigione senza doversi sobbarcare le spese e l'incomodo di un lungo viaggio al di là delle Alpi734.
L'elenco di Bloch annovera cinque episodi: Carlo VIII a Roma il 20 gennaio 1495 e a Napoli il 19 aprile dello stesso anno; Luigi XII a Pavia il 19 agosto e a Genova il 1 settembre 1502; Francesco I a Bologna il 15 dicembre 1515735. A questi, come si è visto,
sono da aggiungersi i riti compiuti da Francesco I a Vigevano il 31 ottobre e il 3 novembre del 1515. A completare la lista mancano ancora due tocchi. Quello di Carlo VIII del 15 aprile 1495 a Napoli, sfuggito a Bloch certamente per una semplice svista: l'episodio si trova infatti, nell'edizione dell'opera di André de la Vigne curata dal Godefroy, nella stessa pagina della cerimonia del 19 aprile736. E, per chiudere, il tocco di