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Colloqui segreti, linguaggi ambigu

Da Marignano a Bologna: un bilancio politico

2. Colloqui segreti, linguaggi ambigu

Per convincere il papa ad incontrarlo, il re aveva professato le migliori intenzioni, mandandogli «ad dire che in tutto vole[va] adherirsi a soi desyderij»877.

Quando ormai al convegno mancavano un paio di settimane, Francesco I si pavoneggiava con gli alleati veneziani dicendo «che l'havia che el Papa voleva far quanto che lui el voleva»878. Ma cosa volevano entrambi? Il re, dal canto suo, contava di

perfezionare il proprio successo, vincendo il pontefice, con la sua diretta presenza, su alcuni punti sui quali l'ostinazione di Leone X si era dimostrata particolarmente pervicace. Secondo quanto riferiva Carlo Agnelli al marchese di Mantova, il papa, dichiarando di voler restare fedele alla lega contratta con Spagna e Impero «in tutto, exceptuando el Stato de Milano», aveva negato il proprio consenso alla protezione da parte del re di feudatari e sudditi pontifici; al ritiro delle truppe di Marcantonio Colonna

879 da Verona; e soprattutto, all'impresa napoletana vagheggiata da Francesco I880. E

quest'ultimo, conscio della necessità di guadagnarsi l'appoggio preliminare della Santa Sede prima di poter seriamente progettare una spedizione nella penisola, dopo aver contrariato mezza Europa con la conquista di Milano, aveva deciso di provare a prendere il pontefice con le buone: «premettendoli che in tutto vole convenire con quella ne soi dessegni, sperando cussì haver anchor lei meglior argumento de tirar a sé Sua S.tà con le mani piene de partiti»881.

Quanto a Leone X, come abbiamo visto, l'intenzione ufficiale e dichiarata era quella di stabilire una pace universale, che fosse funzionale a una crociata. E siccome in quel momento i maggiori elementi di disturbo erano proprio l'intraprendenza di Francesco I e i soliti veneziani, la trasferta bolognese si presentava al pontefice come una valida occasione per arginare il primo, rovinando di conseguenza i piani dei

877 Cfr. ASMn, AG, Carteggio estero, Roma, b. 863, Carlo Agnelli a Isabella d’Este, Bologna, 26 ottobre

1515 [DOCUMENTO 26].

878 Si era al 25 di novembre: cfr. M. SANUTO, I diarii, cit., col. 328.

879 Era, quella del Colonna, «una posizione non chiara tra servizio del papa, del re Cattolico e

dell'imperatore»: cfr. A. SERIO, Una gloriosa sconfitta. I Colonna tra papato e impero nella prima Età

moderna (1431-1530), Roma, 2008, pp. 221-229 (citaz. p. 221).

880 ASMn, AG, Carteggio estero, Roma, b. 863, Carlo Agnelli a Francesco Gonzaga, Bologna, 26 ottobre

1515.

secondi. Sono ancora i corrispondenti mantovani a porre le questioni basilari con ammirevole chiarezza. L'8 dicembre il Gabbioneta riferiva al marchese Gonzaga di un colloquio avuto quella mattina col potente cardinale di San Giorgio, Raffaele Riario:

rasonassimo assai, maxime sopra la venuta del papa et di questo aboccamento, della quale me fece questa conclusione: che la venuta de N. S. de qua et similiter del re era causata dal sollicitar de Boysi per questo cardinalato, et che’l papa a questo se era condutto per due cose: l’una, per denotar a fiorentini in specie la grande intelligentia che ha cum el re; l’altra, et la più importante, per castrar gagliardamente venetiani882.

Non sembri riduttivo, l'accenno al nuovo cardinale, il già incontrato Adrien Gouffier de Boissy. Il valore squisitamente politico della nomina non era sfuggito all'ambasciatore inglese Silvesto Gigli: si trattava di una sorta di compensazione, di riequilibrio di forze, resosi necessario in seguito alla concessione del cardinalato a Thomas Wolsey, arcivescovo di York e cancelliere di Enrico VIII, del 10 settembre883.

Semmai può stupire il fatto che il Riario non abbia accennato a un'altra faccenda pertinente alla sfera ecclesiastica: il Concordato.

Il primo colloquio tra Francesco I e Leone X, durato circa un paio d'ore884, si

tenne, come già accennato, subito dopo il concistoro, nel pomeriggio dell'11 dicembre. Il secondo, quella sera stessa, sempre negli appartamenti del pontefice. Alla fine di quella giornata, la questione della sostituzione della Prammatica Sanzione di Bourges con un nuovo Concordato che ridefinisse i rapporti tra Chiesa di Francia e Roma era stata imbastita: discussioni e trattative, affidate ai cardinali Lorenzo Pucci e Pietro Accolti885 e al cancelliere Duprat, sarebbero proseguite nei mesi successivi886, ma si può

dire che uscissero già definitivamente di scena dai colloqui bolognesi. Il risultato

882 ASMn, AG, Carteggio estero, Roma, b. 863, Alessandro Gabbioneta a Francesco Gonzaga, Bologna, 8

dicembre 1515 [DOCUMENTO 29]. Proprio la sistemazione della questione fiorentina fu, a giudizio di Gian

Galeazzo Boschetti, membro della corte pontificia, l'unico risultato ottenuto dal papa a Bologna. Cfr. A. ALFANI, Memorie di Alfano Alfani illustre perugino vissuto tra il XV e il XVI secolo, con illustrazioni e

documenti inedti spettanti alla storia di Perugia e d’Italia, a cura di G. Conestabile, Perugia, 1848, pp. 130-133: Gian Galeazzo Boschetti ad Alfano Alfani, Bologna, 17 dicembre 1515.

883 Cfr. J.S. BREWER (ed.), Letters and Papers, cit., p. 341, Silvestro Gigli ad Andrea Ammonio, Bologna,

14 dicembre 1515. «Véritable apothéose du prélat d'État à l'anglaise»: cfr. C. MICHON, La crosse et le

sceptre, cit., p. 115. La concessione della porpora cardinalizia al Wolsey, del resto, si era configurata come una mossa in chiave anti-francese, nei giorni convulsi dell'occupazione della Lombardia: cfr. P. DE

GRASSI, Il diario di Leone X, cit., pp. 24-25.

884 Cfr. ad esempio J.S. BREWER (ed.), Letters and Papers, cit., p. 342; R. TAMALIO, Federico Gonzaga alla

corte di Francesco I, cit., pp. 153-154; ASMn, AG, Carteggio estero, Roma, b. 863, Alessandro Gabbioneta a Francesco Gonzaga, Bologna, 12 dicembre 1515 [DOCUMENTO 36].

885 Spesso designato come “Anconetanus”, in quanto vescovo di Ancona: cfr. B. ULIANICH, Accolti Pietro,

in DBI, 1, Roma, 1960, pp. 106-110.

maggiore, e l'unico forse davvero concreto, del convegno del 1515887, non era

evidentemente materia di eccessivo interesse per i testimoni italiani. Una rara attestazione la si può leggere nel Sanudo: «il Papa ha confirmà al Re la pramaticha di Franza, ch' el Re dagi li benefici e il Papa però li confermi per aver l'annata»888.

Attestazione così vaga e scorretta - tanto più provenendo dai veneziani, tutt'altro che tardi diplomaticamente parlando - da rendere superflua qualsiasi considerazione sull'attenzione prestata all'argomento889.

La mattina del 12, dopo la messa a cui Francesco I aveva assistito nella cattedrale di San Pietro, si tennero altri significativi colloqui, stavolta tra il sovrano francese e gli ambasciatori di Spagna, Inghilterra e Portogallo. A costoro sarebbe stata ammannita dal Valois la versione ufficiale degli scopi che lo avevano condotto fin lì:

respondit se huc venisse, ut christianum principem decet, ad osculandos pedes sanctissimi domini nostri, ad prestandam obedientiam debitam; inter ipsum et reges eorum bella et rixas intercidisse, numquam ipsum alienum futurum à pace cum universis principibus christianis, nec perpetua debere esse bella inter christianos890.

Secondo José M. Doussinague, questo discorso incentrato sul desiderio di pace sarebbe stato suggerito a Francesco I dall'apprensione, dal sospetto di trovarsi solo davanti a un fronte ostile e compatto che avrebbe potuto attrarre a sé anche il pontefice891. 887 Cfr. M. PELLEGRINI, Il papato nel Rinascimento, Bologna, 2010, p. 142: durante l'incontro furono

dunque soltanto «gettate le basi per il famoso concordato, impropriamente detto “di Bologna” e stipulato l'anno seguente, con il quale vennero regolate le materie di conflitto fra Santa Sede e corona di Francia per tutto l'arco dell'Ancien Régime». Fu ratificato nel 1516, sempre in dicembre, dal Concilio Lateranense Quinto (1512-1517), mentre la registrazione da parte del Parlamento parigino, dopo fortissime resistenze, giunse soltanto il 22 marzo 1518. Sull'argomento, oltre al classico J. THOMAS, Le concordat de 1516. Ses

origines, son histoire au XVIe siècle, I, Les origines du Concordat de 1516, Paris, 1910 (in part., sui fatti

dell'autunno/inverno 1515, pp. 299-328), si rimanda a R.J KNECHT, The Concordat of 1516: a

Reassessment, in H.J. COHN (ed.), Government in Reformation Europe, 1520-1560, London, 1971, pp. 91- 112; I. BRIAN, J.-M. LE GALL, La vie religieuse en France, XVIe-XVIIIe siècle, Paris, 1999, pp. 138-141. Il

Concordato constava di tre bolle: Pastor aeternus che aboliva la Prammatica; Divina providente gratia che promulgava il Concordato; Primitiva illa ecclesia che ne conteneva il testo.

888 M. SANUTO, I diarii, cit., col. 396. In effetti, il re acquisiva il diritto di nomina per arcivescovi, vescovi

e abati e si ripristinavano le annate dovute a Roma; ma si riconosceva la supremazia del pontefice proprio abolendo la Prammatica.

889 Altre attestazioni, in fonti non francesi, si possono rintracciare nei dispacci dei corrispondenti inglesi:

cfr. J. S. BREWER (ed.), Letters and Papers, cit., pp. 341, 343-344.

890 Cfr. Entrevue du roi François Ier et du pape Léon X, cit., p. 89. Cfr. ASFi, Repubblica, Otto di Pratica, Responsive, 12, gli oratori fiorentini agli Otto di Pratica, Bologna, 14 dicembre 1515: «L'oratore del Catholico, chiamato dal Christianissimo fece reverentia a Sua M.tà nella chiesa di San Piero; la quale li disse essere venuto a questo abochamento principalmente per conto di una pace universale, mostrando non havere cosa più al cuore et commettendoli significarlo al Catholico» [DOCUMENTO 20].

891 Cfr. J.M. DOUSSINAGUE, El testamento politico, cit., p. 176: «Estas palabras revelaban, sin duda, el

estado de ánimo de dicho Monarca, que advertía, por lo actitud del Papa y de los rapresentantes de la alianza hispano-germano-inglesa, la conveniencia de contentarse con lo logrado y no aventurarse a nuevos peligros que podían dar al traste con su actual situación de vencedor»

Interpretazione che, tuttavia, poco si accorda col Francesco I descrittoci da Silvestro Gigli, il quale, esposto il proprio punto di vista, gira i tacchi e se ne va, senza curarsi minimamente di sentire ciò che gli interlocutori avevano da dirgli892. Tanto sicuro di sé

da sfiorare la tracotanza, più che preoccupato.

Ben più riservati furono i colloqui tra il re e il pontefice893. Si è insistito molto su

due aspetti del convegno del 1515: la segretezza e l'inconcludenza. Sul «rigorosissimo silenzio» intorno alle trattative tutte le fonti sono pressoché concordi894. Quanto

all'inconcludenza, occorre spiegarla meglio. Risulta difficile considerarla un effetto collaterale quando, di fatto, fu in certa misura perseguita scientemente da entrambi i dialoganti. Secondo Louis Madelin, a Bologna Francesco I avrebbe messo tutto il proprio impegno «ut papam et eos qui circa eum erant vana spe luderet». Ogni segno di gentilezza e ubbidienza era stato da parte sua finalizzato a sedurre il pontefice, offuscandogli la vista «cum delicatissimi thuris fumo»895. Le intenzioni del sovrano – lo

abbiamo visto – alla vigilia erano sostanzialmente quelle. Il punto che però il Madelin non sembra valorizzare in modo adeguato, è che quello fosse anche il programma di Leone X.

Quanto a giovinezza e carisma, il papa Medici non era da meno del Valois. Un pontefice eletto a 37 anni appena era apparso evento tanto inusuale da essere stato interpretato come una sorta di miracolo, un ulteriore segno della predestinazione di Leone X a compiere grandi cose a favore della Cristianità896. La personalità del colto,

raffinato e mite figlio di Lorenzo il Magnifico aveva fatto il resto, creandogli intorno una sorta di alone di santità897. L'incontro del dicembre 1515 ebbe insomma come 892 J. S. BREWER (ed.), Letters and Papers, cit., p. 342: Silvestro Gigli ad Andrea Ammonio, Bologna, 14

dicembre 1515.

893 Cfr. L. MADELIN, De conventu, cit., pp. 65-71, 91-98.

894 Cfr. L. VON PASTOR, Storia dei papi, cit., pp. 90-91. Tra i tanti esempi che si potrebbero citare,

riportiamo le parole contenute in una lettera dell'arcidiacono Gabbioneta: «Delle cose tractate fin hora fra N. S. et lo re non se intende cosa alcuna, perché V. Ex.a sa la secreteza del papa, et similiter de francesi. Starò attento di poter penetrar qualche cosa, et cum ogni diligentia avisarò quella». ASMn, AG, Carteggio estero, Roma, b. 863, Alessandro Gabbioneta a Francesco Gonzaga, Bologna, 12 dicembre 1515 [DOCUMENTO 36]. A rendere più torbida l'atmosfera, (ad aumentare la suspense, potremmo dire) il Gigli

raccontava una strana storia: recatosi in compagnia del Bibbiena a parlare con un non meglio precisato astrologo giunto a Bologna al seguito del re, aveva assistito all'inquietante apparizione nella stanza di tre uomini, inglesi secondo lui. Informatosi al loro riguardo, era venuto a sapere che questi si erano offerti di uccidere Enrico VIII, ma Francesco I aveva rifiutato. Cfr. J. S. BREWER (ed.), Letters and Papers, cit., p.

342

895 L. MADELIN, De conventu, cit., p. 98.

896 Cfr. F. NITTI, Leone X e la sua politica, cit., pp. 4-5. Sul Medici come incarnazione del ”papa angelico”

delle profezie, si veda C. VASOLI, L'immagine sognata: il «papa angelico», in Storia d'Italia. Annali, XVI,

L. FIORANI, A. PROSPERI (a cura di), Roma, la città del papa: vita civile e religiosa, Torino, 2000, pp. 73-

109 (in part. p. 100).

897 Sull'elezione di Leone X al soglio pontificio cfr. B. PISTOFILO, Vita di Alfonso I, cit., p. 36: «essendo

protagonisti due individualità affascinanti, a loro modo: del sovrano abbiamo già detto; quanto al pontefice, disponeva – sono parole del Guicciardini – di una «maniera [...] efficacissima a conciliarsi gli animi degli uomini»898, fatta di sorrisi e amabile

eloquio899. A Bologna aveva tutta l'intenzione di usarla al meglio.

Per apprezzare in tutta la sua estensione l'effetto positivo che lo stile di Leone X poteva sortire nel corso dei colloqui diplomatici, occorre tenere presente il confronto col suo immediato predecessore, Giulio II: un confronto particolarmente sentito dai francesi, come dimostrò l'episodio in San Petronio. Nell'autunno del 1511, il Bibbiena, proprio in alcune missive all'allora cardinale Giovanni de' Medici, lo andava dicendo senza mezzi termini: «è una morte negotiare con costui [Giulio II] che se altri non dice a modo suo o non ti ascolta o ti dice le maggior villanie che se udissino mai»900, tanto che

un certo oratore aveva perfino dichiarato «che la morte li saria dolce per conto de uscire negotiare con il Papa». Il Bibbiena non arrivava a tanto, ma non nascondeva di sopportare l'igrato incarico di tramite fra il Medici e il Della Rovere solo per amore del primo, perché «tanto starei a fare faccende appresso di costui per altri, quanto io starei volentieri in galea di turchi»901.

Emblematico, a questo proposito, fu l'atteggiamento di Leone X nei confronti della Serenissima. I fieri scontri, anche verbali, dei veneziani con Giulio II, erano lontani902. Con Leone X, la volontà di colpire duramente si annidava dietro le buone

parole. Il 12 dicembre Giacomo Suardino riferiva a Francesco Gonzaga di un sottile gioco di nervi tra gli oratori di Venezia e il pontefice. Tutto ruotava attorno a Brescia, l'opinione espressa nel luglio del 1512 dal bolognese Fileno dalla Tuata su Giovanni de' Medici, allora cardinale legato di Bologna: «in verità non chredo sia in lo cholegio di cardenali el migliore homo de questo legato». F. DALLA TUATA, Istoria di Bologna, cit., p. 641.

898 F. GUICCIARDINI, Storia d’Italia, cit., p. 1220.

899 Abbiamo già visto, a questo proposito, con quanta spontanea eleganza si fosse rivolto a Francesco I

durante il loro primo incontro in concistoro, per l'ammirazione di Paride Grassi.

900 G.L. MONCALLERO, Il cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena, cit., p. 295: lettera del Bibbiena a

Giovanni de' Medici del 23 ottobre 1511.

901 Ibidem, p. 296. il Bibbiena a Giovanni de' Medici, 20 novembre 1511.

902 Ibidem, p. 265, dove si riporta uno scambio di battute pungenti avvenuto agli inizi del pontificato del

Della Rovere. Ai veneziani che gli offrivano la restituzione delle terre pontificie tolte a Cesare Borgia a condizione di conservare Faenza, il papa aveva risposto piccato «che non avrebbe lasciato loro neppure una torre, anzi li avvertì che “Io non mi rimarrò fino a che non vi abbia fatti umili e tutti pescatori siccome foste”». Per niente intimoriti, i veneziani avevano ribattuto: «Vieppiù agevolmente vi faremo noi, Padre Santo, un piccol chierico, se non sarete prudente». La minaccia del pontefice, con la sua allusione alle umili origini della Serenissima, pare fosse un topos. La ritroveremo anni dopo, vittima particolare Andrea Gritti: divenuto doge nel 1523, contestato in patria, tra i vari motivi, anche per la sua politica filofrancese, fu però proprio da alcuni francesi sbeffeggiato a Milano, dove nel 1515, ambasciatore straordinario presso Francesco I, era entrato con tanta pompa e onore. Pare infatti circolasse per la città un carro allegorico con la sua effigie con «un pesce in una mano e una rana nell’altra; il carro era trainato da alcuni francesi e ostentava la scritta:”Francesi farà tornar al suo primo mestier”, cioè a quello di pescatori». Cfr. G. NEMETH PAPO, A. PAPO, Ludovico Gritti. Un principe mercante del Rinascimento tra

allora in mano imperiale, che la Repubblica stava tenacemente cercando di riannettersi

903.

Qua stasse dal canto de N. S.r in grandissimo dessiderio de intenderse dele cose di Bressa, e per quanto io ho compreso oggi per el parlare de S.to Giorgio [...] pare che molto importa che Bressa se defenda, per aver tempo N. S.r de condure li suoi dissegni fra li sopra scripti rei. E dice che per littere li anbassatori venetiani ano publichato al papa che sono ussiti quatro a parlare e sperano averla fra quatro o sei giorni; e Sua S.ria Ex.ma fa iudicio che loro se fatiano tale favore solo per el dubbio che ano dele sopra scripte cose, e non perché sia vero quello che dichano904.

L'«impresa di Bressa» era destinata a diventare il simbolo stesso della frustrazione veneziana. Se il pontefice fosse riuscito nel suo intento di composizione generale tra Francia, Impero e Spagna, la Serenissima non avrebbe più potuto sperare nell'appoggio francese per la riannessione delle città contese a Massimiliano I905. Avevano

probabilmente dato troppo credito ai propositi bellicosi del re, i veneziani, e anche alle sue lusinghe. L'anonimo autore dell'Entrevue du roi François Ier et du pape Léon X, a

Bologna, trovò gli inviati della Serenissima insopportabili, «inflati tanquam bubones»906. Non c'è da dargli torto, leggendo con quanta prosopopea riferivano in

patria dei favori di cui godevano nella corte francese a Milano. La mattina del 25 novembre, ad esempio, era stato allestito in Duomo per la funzione «uno banco adornato di panno di seda» destinato agli oratori veneziani. Il cardinale Sanseverino e il Canossa, ignari, avevano chiesto all'addetto a chi fosse destinato quel banco così curato:

903 Cfr. F. GUICCIARDINI, Storia d’Italia, cit., pp. 1222-1225.

904ASMn, AG, Carteggio estero, Bologna, b. 1148, Giacomo Suardino a Francesco Gonzaga, Bologna, 12

dicembre 1515. Cfr. anche ASMn, AG, Carteggio estero, Roma, b. 863, Alessandro Gabbioneta a Francesco Gonzaga, Bologna, 12 dicembre 1515 [DOCUMENTO 36].

905 Cfr. un significativo dialogo tra Federico Gonzaga e il connestabile di Borbone avvenuto il 9 dicembre:

«si venne ad dire de l’impresa di Bressa e Gran Conestabile ridendo disse l'è troppo freddo grande per dar battaglia e replicò ben due volte, signo al iudicio mio che el Gran Conestabile habbi nova che si possi far poco frutto de questa impresa per questo inverno». E ancora «Moretta ha detto a Statio ch' el crede che il papa adaptarà le cose del’imperatore con el Re Christianissimo in questo abocamento, et io credo che Venetiani temano assai di questo». R. TAMALIO, Federico Gonzaga alla corte di Francesco I,

cit., pp. 147-148: Federico Gonzaga al padre, Modena, 9 dicembre 1515. Il corsivo segnala i passi scritti in cifra.

906 Cfr. Entrevue du roi François Ier et du pape Léon X, cit., p. 90. Cfr. inoltre ASMn, AG, Carteggio estero, Roma, b. 863, Alessandro Gabbioneta a Francesco Gonzaga, Bologna, 9 dicembre 1515: «Messer Marino Zorzo ambassator venetiano poco compare dove sia el papa, et anche in pochi altri lochi, se non che’l compagna l’ambassator francese come se’l fusse suo cortegiano» [DOCUMENTO 31]. Il Giovio invece

pare li avesse apprezzati molto. Anche se bisogna tener conto che stava scrivendo a Marin Sanudo, un veneziano: «è parso bello spectaculo, fra li altri ambasadori di tanti re e principi, li vostri quattro, li qual per ciera et reputatione sono le più belle due coppie di ambasadori che mai usciseno, nè uscirano di Venetia». Cfr. M. SANUTO, I diarii, cit., col. 393.

et lui rispose: «Per li oratori veneti» al che ditto cardinal disse: «Come diavolo, per io che son cardinal et per questo ch' è legato dil Papa non è aparechiato, et per questi oratori venetiani sì?» A che rispose quel foriero dil Re: «Monsignor el Re non mi ha parlato de voi, ma ben de loro, però lo obedisco»907.

Francesco I – ribadivano il concetto - «ne fa tanto honor e tanto è nostro, quanto si saperia dimandar, e li oratori non hano briga si non avrir la bocha, che sono serviti»908.

Ma nonostante tutte le rassicurazioni del re alla vigilia909, le cose a Bologna sarebbero

presto volte al peggio. Già il 12 dicembre Alessandro Gabbioneta riferiva di aver saputo da «uno homo d’assai, et che ha modo de intender molte cose, [...] che’l sapeva de certo