Da Marignano a Bologna: un bilancio politico
1. La ricerca di una composizione
...li portava bona nova, et disse erano stà a le man francesi et aver roto. E quelli di Colegio tutti levati in piedi: «chi è roti, dicevano, spagnoli no? le genti dil Papa no? sguizari? Sì, Serenissimo Principe»785.
La parossistica eccitazione che aveva sconvolto, domenica 16 settembre 1515, la mattutina riunione del governo veneziano, era stata suscitata dall'arrivo di un corriere dalla Lombardia. La notizia che portava, e che il segretario del Consiglio dei Dieci Gasparo della Vedova ebbe l'onore di comunicare al doge Leonardo Loredan gettandosi ai suoi piedi, era la vittoria francese nella battaglia di Marignano. I veneziani avevano validi motivi di festeggiare, essendo gli unici alleati italiani della Francia. Le due preziose missive (del 13 e del 14) di Marco Dandolo e Piero Pasqualigo che annunciavano la vittoria furono copiate in serie e spedite ovunque, in Italia e in Europa; ma il primo corriere fu spedito a Roma, con l'ambizioso compito di arrivarci «in hore 36». Una decisione motivata non certo dalla deferenza verso il pontefice, anzi: Leone X faceva parte dello schieramento nemico e perdente, e prima lo sapeva meglio era. I veneziani volevano chiaramente avere la soddisfazione di annunciarglielo per primi. Nella relazione della propria legazione, Marino Giorgi ci ha lasciato un compiaciuto ricordo del compito che gli fu assegnato di informare il papa dell'accaduto. Non appena ebbe in mano le lettere da Venezia,
subito l’oratore, ben vestito, andò dal papa che era ancora in letto [...]. E giunto alla camera del papa, trovò Serrapica786, il quale disse che il papa dormiva; lui rispose: svegliatelo; questi non voleva; e
l’oratore riprese: fate quel che vi dico. E così svegliato, e non vestito intieramente, il papa venne fuora: e l’oratore gli mostrò la lettera della Signoria; vista la quale, cominciò a credere […]. Ma prima, quando il
785 M. SANUTO, I diarii, cit., coll. 79-80. 786 Un cameriere del papa.
papa venne fuora, l’oratore gli avea detto: Padre Santo, ieri Vostra Santità mi diede una cattiva nuova e falsa; io gliene darò oggi una buona e vera: gli Svizzeri sono rotti. Allora il papa, lette le lettere, disse: quid ergo erit de nobis, et quid de vobis?787
Forte dell'alleanza della Serenissima con la Francia, il Giorgi aveva dichiarato di non aver nulla da temere, mentre un Leone X sempre più smarrito proseguiva dicendo «vedremo quel che farà il re Cristianissimo; ci metteremo nelle sue mani, dimandando misericordia»788. Passo celebre e suggestivo, e soprattutto emblematico dell'impressione
e dello smarrimento provocato dalla vittoria francese, ulteriormente amplificato dall'incertezza e contraddittorietà delle informazioni789. Difficoltà consueta,
quest'ultima, ma aggravata, nel caso specifico, dall'eccezionale durata della battaglia: cominciata nel pomeriggio del 13, quando gli svizzeri che difendevano Milano uscirono dalla città per attaccare i francesi, terminò soltanto nella tarda mattinata del giorno successivo, dopo un'interruzione di poche ore durante la notte790. La sera della prima
giornata gli svizzeri parvero prevalere: e siccome l'impressione andava a confermare una diffusa aspettativa, considerata la fama di imbattibilità dei mercenari elvetici, dispacci e corrieri partirono da Marignano per annunciare la falsa notizia. Il mattino seguente però si ebbe un ribaltamento della situazione, a cui contribuì in maniera determinante l'arrivo dei rinforzi veneziani, avvertiti nel corso della notte e comandati da Bartolomeo d'Alviano791.
787 Cfr. E. ALBÈRI (a cura di), Relazioni degli ambasciatori veneti, cit., pp. 43-44.
788 Ibidem, pp. 44-45. Sulla battaglia e sulla terrorizzata reazione del papa, cfr. L. VON PASTOR, Storia dei
papi, cit., pp. 76-78.
789 Sui dubbi relativi all'esito dello scontro cfr. M. GATTONI, Leone X e la geo-politica, cit., p. 126. Si
vedano inoltre alcune lettere spedite da Pisa a Firenze, in ASFi, Repubblica, Otto di Pratica, Responsive, 13.
790 Cfr. M. SANUTO, I diarii, cit., coll. 81-82: nelle lettere del 13 e del 14 del Dandolo e del Pasqualigo, la
battaglia si dice fosse iniziata «a hore 22», «a hore 21 in 22», e durata una ventina d'ore. In una lettera di Andrea Rosso, segretario del Pasqualigo, si dice che il 13 lo scontro era andato avanti «fina a hora prima de note». Secondo i due oratori era ricominciata alle 7 ore, e continuata fino alle 18: la lettera del 14 risulta scritta, da quanto si dice in calce, proprio alle 18 ore. Cfr. F. GUICCIARDINI, Storia d’Italia (libri XI-
XX), in Opere, III, a cura di E. Scarano, Torino, 1981, pp. 1206-1207, 1212: il 13 settembre gli svizzeri andarono alla guerra «ancor che non restasse molto del giorno» e la battaglia iniziò quando mancava ormai solo un paio d'ore al tramonto. Cfr. anche L. de SAVOYE, Journal de Louise de Savoye, duchesse
d’Angoulesme, d’Anjou et de Valois, mére du grand roi François premier, in J.-F. MICHAUD, J.-J.-F.
POUJOULAT (éd.), Nouvelle Collection, cit., pp. 83-93 (in part. p. 90): iniziato alle 5 del pomeriggio (modo
alla francese) del 13, lo scontro si era concluso alle 11 del mattino seguente. Sulla corrispondenza oraria, si veda quanto già detto in precedenza.
791 Per una cronaca e un'analisi militare della battaglia si rimanda al classico P. PIERI, Il Rinascimento e la
crisi militare italiana, Torino, 1970, pp. 516-524. Si vedano inoltre E. USTERI, Marignano. Die
Schicksalsjahre 1515/1516 im Blickfeld der historischen Quellen, Zürich, 1974 (soprattutto per il largo uso di fonti italiane relative alle trattative che precedettero la battaglia); R.J. KNECHT, Marignan: François
Ier «vainqueur des Suisses», in C. ARMINJON, D. LAVALLE, M. CHATENET, C. d'ANTHENAISE (dir.), De l'Italie à Chambord, cit., pp. 23-39; D. LE FUR, Marignan: 13-14 septembre 1515, Paris, 2004.
A Roma, intanto, al giungere delle prime fasulle informazioni, cominciarono i festeggiamenti:
venne prima la nuova che gli Svizzeri avevano avuto vittoria; onde il cardinal Bibiena fece far fuochi e feste; e così fecero gli Svizzeri che sono alla guardia del papa, ed altri nostri contrarii. Poi, venuto l’avviso che gli Svizzeri erano stati rotti, non fu creduto; gli Spagnuoli millantavano ed il papa stava infra due792.
«Stava infra due»: un'espressione che rende benissimo sì l'incertezza, ma anche la prudenza del pontefice. In verità, il Leone X mezzo discinto che, secondo i veneziani, temeva di doversi prostrare al cospetto del vincitore di Marignano implorando misericordia, sembra un po' troppo teatrale. Leone X, a dispetto del nome, non era notoriamente uomo coraggioso793, ma era un politico sufficientemente abile e
lungimirante da non farsi cogliere totalmente impreparato. Pur avendo aderito alla lega anti-francese, per tutto il 1515 aveva lavorato per prepararsi una via d'uscita anche in caso di sconfitta794. La versione del Giorgi sopra riportata risale al 1517, al termine della
sua missione diplomatica. Se la confrontiamo col resoconto dei fatti reso a caldo, ne esce sì un pontefice sbalzato dal letto («si levò e butossi una vesta su la camisa») e inizialmente incredulo («quasi non volendo creder»)795, ma che una volta rassegnatosi
alla realtà non si abbandona certo al deliquio, anzi. È un Leone X sibillino e minaccioso quello che si congratula coi veneziani: «le vostre zente li ha dà la victoria, siché il Re vi ha a esser molto obligato. Si non eri vui, non passava mai di qua de monti, che era roto
796». A Bologna, avrebbe cercato di fargliela pagare.
Come dicevamo, il papa aveva tergiversato per mesi sulla posizione da prendere
792 Cfr. E. ALBÈRI (a cura di), Relazioni degli ambasciatori veneti, cit., pp. 43-44. L'oratore veneziano si
era addirittura lamentato col papa di aver ricevuto, in quanto alleato dei francesi, minacce di morte dagli svizzeri della sua guardia. Cfr. anche M. SANUTO, I diarii, cit., col. 115. L'oratore senese Aldello Placidi, il
19 settembre, ci descrive addirittura un papa al colmo dell'insofferenza: «questa matina lo orator veneto dicendo quelle sue nove ad N.S. le ascoltò impatientemente dicendoli si maravigliava li facesse sì longa narratione di bugie et che haveva la verità per altre bande et che se li levasse dinanti et lo mandò [via] da sé con poca gratia». M. GATTONI, Siena e i giganti. Lo scontro franco-spagnolo in Lombardia nelle lettere
di Aldello Placidi, oratore senese in Roma, e la posizione di Siena tra Francia, Spagna e Stato Pontificio, in «Bullettino Senese di Storia Patria», 104 (1997), pp. 377-402 (citaz. p. 396).
793 Giuseppe Lorenzo Moncallero definisce il Medici «l'inetto Cardinale, che per far dispetto alla sua
natura avrebbe assunto un giorno l'iperbolico nome di Leone»: cfr. G.L. MONCALLERO, Il cardinale
Bernardo Dovizi da Bibbiena umanista e diplomatico (1470-1520). Uomini e avvenimenti del Rinascimento alla luce di documenti inediti, Firenze, 1953, p. 299.
794 Cfr. G. DE LEVA, Storia documentata di Carlo V in correlazione all'Italia, I, Venezia, 1863: la
sceneggiata davanti al Giorgi era servita «per coprire l'animo sicuro agli occhi del mondo e in particolare dei confederati».
795 Cfr. anche L. MADELIN, De conventu, cit., pp. 31-47 (in part. p. 31).
nei confronti di un Francesco I fermamente intenzionato a passare in Italia per prendersi il Ducato di Milano, di cui già, all'atto dell'incoronazione, si era del resto proclamato duca legittimo. Luigi XII era morto nella notte fra il 31 dicembre 1514 e il 1º gennaio 1515: tempo una decina di giorni e già il re di Spagna avvertiva il proprio ambasciatore in Roma Jerónimo de Vich delle nubi che si profilavano all'orizzonte: Francesco «entra tal sobervio en el reynado que no solamente amenaza de querer facer la empresa de Milan pero otras mayores»797. Alludeva al Regno di Napoli, ovviamente. Nonostante
una nuova spedizione in Italia fosse stata già parzialmente allestita dal defunto sovrano, era speranza diffusa che il giovane successore non si sarebbe arrischiato, così agli esordi – per dirla con Ludovico Ariosto, «non ferma ancor ben la corona in fronte»798 - in una
simile impresa. Nel corso dell'estate però, di fronte all'imponente mobilitazione di truppe di là dai monti, ogni residua speranza di procrastinazione era caduta.
«El papa non si lasa intendre: pare che favorisa el re de França ma non ala schoperta, el tene li piedi in suso do rive del foso»799. Il disincanto del nostro Fileno
dalla Tuata non risultò scalfito neppure dalla notizia che Leone X, alla fine, la «riva» su cui stare l'avesse pur scelta, aderendo alla lega formata da Impero, Spagna, svizzeri in difesa del duca di Milano Massimiliano Sforza800. Irritato dall'ostinazione del giovane
Valois, il pontefice si era convinto della necessità di dargli una lezione:
La deliberatione che havea facta N. S., di essere con la Lega, riscontro essere stabilita et ferma. Et in verità il Re di Francia ha mostro tener poco conto di Sua Santità […]. N. S. in tucto si è volto a questa altra parte; et se le cose de' Svizeri sono gagliarde come si intende, o pure aspectino qualche dì, vi si farà tale provisione che il Cristianissimo si pentirà di non haver presa questa occasione801.
In quanto poco conto fosse tenuta tale risoluzione anche nell’opinione del popolo, lo si può intuire proprio dalle impagabili righe coeve di Fileno: «nientedemeno non se li
797 Cfr. J.M. DOUSSINAGUE, El testamento politico de Fernando el Católico, Madrid, 1950, p. 105. 798 L. ARIOSTO, Orlando Furioso, cit., p. 665 (canto XXVI, 44).
799 F. DALLA TUATA, Istoria di Bologna, cit., p. 700.
800 La lega fu ratificata il 2 agosto, e in cambio dell'adesione papale lo Sforza rinunciava a tutti i diritti su
Parma e Piacenza. Una precedente lega (ufficialmente di mutua difesa «adversus turcas») era stata conclusa il 1º marzo di quello stesso anno: i confederati erano stati i medesimi, con l'aggiunta però di Genova. Si rimanda a M. GATTONI, Leone X e la geo-politica, cit., pp. 111, 121, 287-291 («Lega generale
comprendente Stato Pontificio, Ducato di Milano, Spagna, Impero e Cantoni svizzeri» del 2 agosto 1515: la lega, naturalmente, non era intesa «ad bellum gerendum nisi contra infideles sed, potius, ad subtrahenda bella e Republica Christiane et ad eam pacandam». Di conseguenza, si lasciava alla Francia e a Venezia la possibilità di entrarci, una volta che si fossero ridotte alla ragione e avessero deciso di comporre pacificamente i dissidi coi confederati).
801 Lettera a Giuliano de’ Medici scritta in nome proprio da Pietro Ardinghelli in data 8 agosto 1515, edita
chrede perché senpre funo Francesi, e suo fratelo à tolto una chusina charnale del re de França»802. Una zia, in realtà, la già incontrata Filiberta di Savoia, sorella di Luisa,
madre del re, sposata da Giuliano de' Medici nel febbraio di quello stesso anno803.
Leone X era realmente molto meno granitico di quanto desse a intendere nei suoi proclami. Il 15 agosto ordinava al fratello Giuliano e al cardinale Giulio nuovi arruolamenti di truppe, ma non a beneficio della lega, bensì di Firenze: «li pareria ad ogni modo che le facessino subito M fanti, electi et fidati, sotto dui boni capi, et dessino voce di volere servirsene fuori, ma in facto li lassassino costì, per securtà de la città»804.
I membri della magistrature fiorentine erano del resto, al pari dei senatori bolognesi, i primi a essere angustiati dai potenziali stravolgimenti degli equilibri interni della loro città, tanto da premere perché Leone X avviasse delle trattative con Francesco I, e che fossero serie: «in tal modo che Ella [Maestà] havessi ad conoscere che V. S. lo facessi per fare conclusione et non per tenerla in tempo»805. Anche il cardinal Bibbiena, che
pure era su posizioni notoriamente anti-francesi806, tanto da guadagnarsi, presso
Alfonsina Orsini, il poco lusinghiero epiteto di uccello del malaugurio («civecta»)807, si
era ad un certo punto - cominciando a pensare che «le cose di Lombardia vadino in fascio»808 - persuaso della convenienza di non compromettersi in modo irreparabile.
Che nessuno nel partito filomediceo desiderasse schierarsi a viso aperto contro la Francia809 era ormai convinzione diffusa. L'inconcludente gioco di posizione messo in 802 F. DALLA TUATA, Istoria di Bologna, cit., p. 700.
803 Cfr. S. TABACCHI, Medici, Giuliano de', in DBI, 73, Roma, 2009, pp. 84-88.
804 Lettera a Giuliano e Giulio de’ Medici scritta in nome proprio da Pietro Ardinghelli in data 15 agosto
1515, edita in C. GUASTI (a cura di), I manoscritti Torrigiani, cit., p. 251.
805 Lettera degli Otto di Pratica a Leone X, 1º settembre 1515, citata in C. GUASTI (a cura di), I manoscritti
Torrigiani, cit., p. 252. Cfr. M. GATTONI, Leone X e la geo-politica, cit., p. 124: a Firenze non ci si voleva
schierare contro il re, e non si voleva pertanto che Lorenzo si portasse in Lombardia «in qualità di capitano generale della Repubblica».
806 Posizioni che sarebbero nettamente cambiate di lì a poco, al tempo della sua legazione in Francia
(1518). Si rimanda all'ormai classico studio di P. RICHARD, Une correspondance diplomatique de la curie
romaine à la veille de Marignan (1515), in «Revue d'histoire et de littérature religieuses», IX (1904) pp. 1-47, 104-142. Cfr. anche G.L. MONCALLERO, Il cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena, cit., pp. 373-377,
480.
807 Cfr. G.L. MONCALLERO, Il cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena, cit., p. 414. Alfonsina non aveva
avuto dubbi su quale fosse il partito più vantaggioso per la famiglia sua: i fatti del 1494, e i successivi lunghissimi anni d'esilio, le avevano insegnato la lezione e non riusciva a capacitarsi, «rossa di vergogna», che i suoi parenti intendessero davvero contrastare il re di Francia, e considerava nefasto l'influsso del Bibbiena («et che quella civecta di S.a M.a in Portico non ci ruina la seconda volta»).
808 G.L. MONCALLERO, Epistolario di Bernardo Dovizi da Bibbiena, II (1513-1520), Firenze, 1965, pp. 59-
61: Bernardo Dovizi da Bibbiena a Giulio de' Medici, 18 agosto 1515 («l'ultima lettera di mano del Bibbiena, che abbiamo del 1515»).
809 Si vedano a questo proposito i numerosi dispacci riguardanti la spedizione italiana del re editi in A.
DESJARDINS, G. CANESTRINI (éd.), Négociations diplomatiques, cit., pp. 692-750 (in part. pp. 716-717, sul
desiderio dei fiorentini di accordarsi col re di Francia; pp. 718-719, sullo stupore dell'oratore fiorentino per il fatto che il papa si fosse schierato contro i francesi; pp. 725-727, sulla tattica del temporeggiamento suggerita da Giulio de' Medici a Lorenzo).
atto dall'esercito fiorentino-pontificio810 non ne fu che la dimostrazione. Gli incerti
movimenti delle truppe, il cauto procedere fatto di minimi spostamenti e di posizionamenti più che altro dimostrativi, finemente descritti da Francesco Guicciardini
811, capita vengano illuminati, nelle pagine di alcuni contemporanei, come il Dalla Tuata,
decisamente meno avvezzi alle profonde analisi politiche, da una luce tanto più sferzante nella sua elementare schiettezza. Il papa, a giustificazione del suo ambiguo comportamento, poteva avere i più svariati e validi motivi, più o meno reconditi al comune osservatore. Ma che non avesse alcuna intenzione di scontrarsi coi francesi, questo era chiaro anche “alle pietre”:
El papa manda gran gente da piè e da chavallo in favore non se sa de chi, perché mostra essere con la lega del ducha di Milano, ma se le priede sapesseno parlare dichono che ten con lo re de França, perché mostra fare gran chose e ten le soe gente a Bologna, a Modena, a Rezo, e non le lassa andare in chanpo chon li altri812.
Le truppe inviate dal pontefice per unirsi con le altre della lega, non fecero in effetti altro che danni nei territori dove erano stanziate: «guastano el nostro povero contado e fano el giglioxo, dui pasi inanci e tri indrieto, non se moveno de suso el nostro conta’ robando e asasinando ognomo»813. A Forlì, a Firenze, le impressioni erano le stesse.
Andrea Bernardi dava per certa solo la posizione dell'imperatore e degli svizzeri: «et eciam più volte fu prontiato che i era la S.tà de Lione decimo pontifico como l'aiuto del gram bracio de Ferdinando de Spagna Re Catolico et altre soi ederente; tamen ala scoperto poco se ne inteso»814. Bartolomeo Cerretani confessava, nel mese di luglio, di
non riuscire a spiegarsi, al pari dei suoi concittadini, «in favore di chi» si stessero muovendo tra Lombardia e Romagna i soldati di Giuliano e di Lorenzo de' Medici815. E
alla vigilia ormai della battaglia, l'ostinata permanenza dell'esercito a Parma e a
810 Riportiamo il colorito giudizio che su questo esercito esprimeva tale Dionisus del Luca, in una lettera
al cavaliere Cesare Della Volpe, datata Imola, 22 agosto 1515, e trascritta dal Sanudo. Le truppe pontificie e fiorentine altro non gli apparivano che un'indegna accozzaglia di codardi: «certi gentilhomeni facti per amicitia, che nel viso hanno la fuga depinta […]; parean gettami de forche, li quali tacendo cridavano: “Me arendo a la excellentia del signor Bartolameo [d'Alviano]”»). M. SANUTO, I diarii, a cura di F.
Stefani, G. Berchet, N. Barozzi, XX, Venezia, 1887, coll. 563-564.
811 Cfr. F. GUICCIARDINI, Storia d’Italia, cit., pp. 1206-1207. Sulla lega, sul temporeggiare delle truppe
ispano-pontificie e sui tentativi di avvicinamento del papa alla Francia già prima della battaglia, cfr. L. MADELIN, De conventu, cit., pp. 14-16.
812 F. DALLA TUATA, Istoria di Bologna, cit., p. 707.
813 Ibidem, p. 700. Sulla spedizione del re e sui movimenti delle truppe pontificie si veda anche L. ALBERTI,
Historie di Bologna, cit., p. 425.
814 A. BERNARDI (NOVACULA), Cronache forlivesi, cit., p. 410. 815 B. CERRETANI, Ricordi, cit., p. 328.
Piacenza non era spiegabile se non con una segreta intesa coi francesi:
benché per tutto si dicessi che noi eravamo dei svizeri e che il papa mandassi loro danari […] pure il ducha di Savoia, de' primi del champo franzese, senddo fratello della donna del magnifico G[i]uliano de' Medici, si dice che tutto g[i]orno schriveva el papa a fiorentini […] che ci stessimo di mezzo perché haremo dal re tutto quello sapessimo chiedere; la qual cosa si fece, e benché e svizeri chiamassino le nostre gentte e quelle della Chiesa non si mossono mai […]. E svizeri chiamorno dipoi gli spagnoli e quali dissono non volere venire sanza le gentti del papa, e le gentti del papa dicevano non volere lasciare le terre per paura ch'e franzesi non l'asaltassino816.
L'esaltazione francese di Marignano dovette molto all'evanescenza della controparte: «se li Spagnoli se fuseno fidati de quilli dela Ghiexia non li restava uno francese, e bixognava o che 'l re fuse o morto o preso»817. Pur non potendo esprimerci con la stessa
risolutezza di Fileno, è comunque certo che il fronte anti-francese - che già aveva iniziato a sgretolarsi molto prima, con la defezione del doge di Genova Ottaviano Fregoso818 - rinunciò praticamente a combattere, ad eccezione degli svizzeri. La
citazione del Sanudo posta in apertura del capitolo, sempre che si tratti di una riproduzione fedele di come venne pronunciata, riassume con ammirevole brachilogia l'essenziale della battaglia. Della coalizione a difesa del Ducato di Milano, composta da truppe spagnole, pontificie ed elvetiche, i soli ad aver effettivamente combattuto erano stati appunto gli svizzeri. I più temuti, e forse proprio per questo nominati per ultimi dalla Signoria, in un trepidante, e un po' incredulo, crescendo.
La mancata partecipazione alla battaglia consentì a spagnoli e pontifici, almeno in certa misura, di non partecipare neppure della sconfitta, di sfilarsi. Qualcuno, come Ludovico Ariosto, si preoccupò di eternare il «grande e de la Chiesa e de l’ispano /