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La chiamata per ordine del giudice

L‟art. 107 c.p.c. prevede la possibilità per il Giudice di chiamare in giudizio, di propria iniziativa, per ragioni di opportunità, un terzo, a cui la causa sia comune86.

L‟intervento coatto del terzo nel processo pendente può avvenire in ogni momento del giudizio di primo grado87, anche dopo la chiusura della fase perentoria e, quindi, dopo che si sono già verificate, per le altre parti, le preclusioni previste dagli artt. 183 e 184 c.p.c.

Infatti, ai sensi dell‟art. 270 c.p.c., la chiamata in causa, ex art. 107 c.p.c.,

“può essere ordinata in ogni momento dal giudice istruttore per un‟udienza che all‟uopo egli fissa”; la mancata ottemperanza al suddetto ordine di integrazione del contraddittorio comporta la cancellazione della causa dal ruolo, disposta dall‟istruttore con ordinanza non impugnabile88.

Si tratta, a ben vedere, di una sorta di litisconsorzio reso necessario ex post, dalla decisione del giudice, mossa da ragioni di opportunità89.

La ratio sottesa a tale istituto viene ravvisata nell‟esigenza di tutelare il terzo che potrebbero subire conseguenze pregiudizievoli dalla sentenza emessa nei confronti delle parti originarie del processo90.

I presupposti, della chiamata iussu iudicis, sono due: la comunanza di causa e l‟opportunità.

86 Con riferimento all‟istituto della chiamata iussu iudicis si parla di “piccolo mistero” della procedura civile, in quanto non risulta delineato con chiarezza il relativo ambito di applicazione.

Così REDENTI, Diritto processuale civile, II, Milano, 1957, 100.

87 Cfr. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2006, 381.

88 V. art. 270 comma 2 c.p.c.; da tale norma, peraltro, si desume chiaramente come il giudice non ordini direttamente l'intervento del terzo, bensì ordini alle parti di effettuare detta chiamata. Per la giurisprudenza: Cass., 5 settembre 2009 n. 22419; Cass. 24 gennaio 2004, n. 776.

89 Si parla, infatti, di litisconsorzio “processuale”. V. MONTELEONE, Diritto processuale civile, III ed., Padova, 2002, 226.

90 COMOGLIO, CONSOLO, SASSANI, VACCARELLA (diretto da), Commentario del codice di procedura civile, op. cit., 124.

Per quanto riguarda quest‟ultimo presupposto, ci si limita ad osservare che la valutazione posta in essere dal Giudice è prettamente discrezionale, di mera opportunità e per tale ragione non può essere sindacata in sede di impugnazione91. Non è invece connotata da discrezionalità la valutazione relativa alla comunanza di causa. Tale indicazione generica, fa ritenere che la comunanza di causa sia proprio la stessa che abbiamo analizzato con riferimento all‟art. 106 c.p.c. e che legittima, pertanto, l‟intervento ad istanza di parte92.

Tuttavia, operando in maniera semplicistica questa sorta di rinvio per relationem alle ipotesi di cui all‟art. 106 c.p.c., verrebbe in rilievo un problema non indifferente, rappresentato dalla compatibilità di detto istituto con il principio della domanda di cui all‟art. 112 c.p.c.93, secondo cui il giudice è chiamato a pronunciarsi sulle domande delle parti e, in particolare, non oltre i limiti delle stesse.

Infatti, a ben vedere, per effetto dell‟intervento coatto, il Giudice si trova a decidere nei confronti di un soggetto nei cui confronti non è stata spiegata alcuna domanda dalle parti originarie.

Per tal motivo si ritiene che il presupposto della comunanza di causa vada interpretato in maniera ristretta e rigorosa94.

91 V. CONSOLO, Spiegazioni, op. cit., 2008, 505, 506.

92 Cfr. CARRATTA, MANDRIOLI, Diritto processuale civile: I. Nozioni introduttive e disposizioni generali, Torino, 2015, 466, ove si parla di “coincidenza tendenziale” tra i casi che fondano l‟intervento ex art. 106 c.p.c. e quello ex art. 107 c.p.c., che “lascia margine per valutazioni diverse con riguardo alla diversità delle situazioni, fino alla mera opportunità”.

LUISO, Diritto processuale civile, vol. 1, op.cit., 344: “Il legislatore quando usa il termine “causa comune”, utilizza una espressione volutamente ampia perché non vuole che, essendo la terminologia eccessivamente definente, sfuggano dalla previsione normativa ipotesi, in cui la chiamata del terzo sarebbe opportuna”.

93 SEGNI, Intervento in causa, in Noviss. Dig. It., VII, Torino, 1962, 894.

94 CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile. Volume II. Il processo di primo grado, Torino, 2014, 117. Secondo l‟autore vi è l‟esigenza di un‟interpretazione restrittiva della comunanza di causa, in quanto quest‟ultima è posta a contatto con un potere discrezionale del giudice di mutare la sfera soggettiva e, eventualmente, oggettiva del processo, in conflitto con l‟art. 112 c.p.c.

In via esemplificativa, si ritiene ammissibile l‟applicazione dell‟art. 107 c.p.c. nei confronti di un terzo contitolare del medesimo rapporto giuridico dedotto in giudizio95, oppure di un terzo titolare di un diritto incompatibile con esso96.

Ancora, pensiamo al terzo titolare di un rapporto dipendente da quello oggetto di giudizio, il quale potrebbe spiegare intervento adesivo dipendente ai sensi dell‟art. 105 comma 2 c.p.c. ed al terzo titolare di una situazione pregiudiziale al rapporto principale97. Quest‟ultimo, peraltro, sarebbe il medesimo soggetto che, se rimasto escluso, potrebbe proporre opposizione di terzo revocatoria ai sensi dell‟art. 404 comma 2 c.p.c.

L‟art. 107 c.p.c., invero, non rappresenta un istituto frequente nella prassi, anzi, di esso si può affermare il carattere di residualità, applicabile, cioè, nei casi in cui la partecipazione del terzo al processo non sia già stata imposta dall‟art. 102 c.p.c. (integrazione necessaria del contraddittorio) o non sia già stata posta in essere dallo stesso terzo, ai sensi dell‟art. 105 c.p.c., o su iniziativa delle parti ex art. 106 c.p.c.98.

Una volta verificata, nei termini sopra precisati, la sussistenza della comunanza di causa, il giudice dovrà compiere un passo ulteriore e valutare l‟opportunità dell‟intervento del terzo, che può essere rappresentata da ragioni di economia processuale, o di prevenzione del contrasto fra giudicati99 e mai, invece, da finalità istruttorie100.

95 TROCKER, L’intervento per ordine del Giudice, Milano 1984, 168.

96 CONSOLO, Spiegazioni, op. cit., 118. Si tratta, cioè, del terzo che vanta diritti della medesima natura relativamente all‟oggetto del processo, il quale, per tale motivo, potrebbe spiegare intervento principale e potrebbe altresì essere chiamato in causa ai sensi dell‟art. 106 c.p.c.

97 Cfr. COMOGLIO, CONSOLO, SASSANI, VACCARELLA, Commentario del Codice di procedura civile. III. Tomo primo – artt.163-274, 2012, 1185

98 Cfr. CECCHELLA, a cura di, Processo civile, Milano, 2012, 37.

99 V. Cass. 10 maggio 1995, n. 5082.

100 BOVE, Lineamenti di diritto processuale civile, Torino, 2012, 330. Infatti, se fosse necessario acquisire a processo la conoscenza che dei fatti abbia un terzo, basterebbe citare quest‟ultimo come testimone, non essendo, invece, necessario farlo divenire una parte.

CAPITOLO II

RIPARTO DI GIURISDIZIONE, GIURISDIZIONE ESCLUSIVA E AZIONE DI CONDANNA AL

RISARCIMENTO DANNI

Premessa. – 1. Il riparto di giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo. –