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Movimento democratico e propaganda mazziniana in Sardegna all’indomani della «fusione».

LA CHIESA E LA DEMOCRAZIA *

Nulla di più comune che il credere, tale essere lo spirito della chiesa da renderla ostile, non che alla pura democrazia, ad ogni anelito di libertà. Que- sta quasi generale persuasione è causata dal vedere una gran parte del Clero infaticabilmente adoperarsi con ogni sorta di mezzi, non sempre onesti, alla distruzione degli ordini liberi, onde instaurare sulle loro rovine quel decrepito assolutismo, la cui ombra stima esso meravigliosamente propizia alla conser- vazione ed incremento dei suoi interessi. Gli si potrebbe perdonare l’igno- ranza della storia, la quale testimonia a chiare note come la tirannide e l’assolutismo non sempre giovarono all’indipendenza e alla libertà della Chiesa; ma non gli si può menar buono il suo volontario ed ostinato declinare dalle orme del vangelo che apprestò ai popoli una redenzione morale e civile e dallo spirito stesso della cattolica religione, che mira a rendere credenti le nazioni, ma non infelici e schiave.

A dissipare coteste erronee credenze, pur troppo fatali così alla religione come alla civiltà, giova l’investigare il vero spirito della Chiesa, e vedere se i cattolici possano vivere in buona intelligenza cogli ordini liberi, o meglio, se la religione cristiana sia conciliabile colla democrazia.

L’assunto, come ognun vede, è della più alta importanza, e ad esser trat- tato qual si conviene, ne uscirebbe un volume, non che un articolo. Ma a tanto noi non intendiamo: sol ne piace scorrere come di volo questo vasto campo, non accennando che ai punti più che in nome della religione combatte la libertà, od è ingannato o vuole ingannare.

Cominciamo dal dire che la scuola cattolica non ha mai fatto difficoltà di riconoscere per l’organo dei suoi dottori, dei suoi vescovi e dei sovrani ponte- fici, che la democrazia, non che essere in opposizione con le massime del vangelo, ne sarebbe anzi la più alta espressione se i democratici potessero in- dursi alla pratica della religione, e gli uomini religiosi alla pratica della de- mocrazia. Ecco quel che scriveva a questo riguardo nel 1797 Pio settimo, al- lora vescovo d’Imola: La forma del governo democratico non contraria in nessun modo le massime di nostra religione; essa non ripugna al vangelo, ma per contro richiede delle virtù sublimi, le quali non possono appararsi che

nella scuola di Cristo. Una virtù ordinaria può assicurare la prosperità d’un’altra forma di governo; ma la forma democratica richiede davvantaggio.

Il principio fondamentale, la grande base della democrazia risiede nel principio della sovranità popolare. Ora, dopo il corso di tanti secoli, le scuole cattoliche s’occupano ancora di questa grande questione: è ben vero che qui noi siamo nella sfera delle opinioni umane, e che dobbiamo guardarci dal tra- sformare in dogmi le teorie dei teologi. Ma allorché queste teorie sono pro- fessate con un seguito, un insieme, e un accordo quasi universale, ed inse- gnate dai più grandi uomini, esse diventano degne d’un gran rispetto. I Padri più illustri, i più grandi dottori, i teologi più autorevoli del medio evo, e dei tempi moderni, hanno tutti ammesso che il pubblico potere è stato dato da Dio immediatamente alla comunità, ossia alla nazione, e da questa delegato ai magistrati che debbono reggerla. Basti citare in proposito il Suarez e il Bel- larmino.

Quest’ultimo scrittore così si esprime: Il potere risiede immediatamente in tutta la moltitudine, perocché esso è di dritto divino. Il dritto divino non ha dato in particolare questo potere a nessun uomo, ma a tutta la comunità. Se ne togli il diritto positivo, non esiste più una valida ragione tra un gran numero d’uomini per natura uguale, per cui debba signoreggiare piuttosto l’uno che l’altro; il che rende manifesto che il potere risiede essenzialmente nella co- munità. Le forme di governo sono opera del dritto delle genti, non già del dritto naturale; poiché dipende dal consenso della moltitudine il costituirsi da per se stessa un re, o dei consoli, od altri magistrati; e previa una causa legit- tima, la moltitudine può cambiare la monarchia in aristocrazia o in democra- zia, e viceversa, come si legge essere avvenuto a Roma.

Da questo e da un infinito numero di altri testi che potremo citare, e nei quali si riassume tutta la tradizione cristiana, risulta che la sovranità s’appartiene di diritto naturale alla nazione: che la forma monarchica e aristo- cratica non sono che di diritto positivo; che quindi il potere sovrano emana dal consentimento espresso o tacito del popolo che può cambiarlo o modifi- carlo secondo le circostanze; e che le anzidette forma monarchica o aristo- cratica non hanno in sé stesse la ragione della loro legittimità, la ragione del loro essere, sibbene nell’interesse del popolo, per cui sono fatte.

In conseguenza di ciò se un governo qualunque, fosse anche il temporale del papa, mancasse ai doveri del suo mandato, e nuocesse agli interessi del popolo per cui fu fatto, invece di vantaggiarli, il popolo avrebbe il dritto di cambiarlo, di modificarlo, e di trasformarlo. A sostegno di siffatti principii ci sarebbe facile l’invocare una serie d’illustri autori, cominciando da S. Ago- stino per finire nel Liguori e nel Mamachè.

O noi c’inganniamo, o la religione cristiana, la religione di Fenelon, è per- fettamente conforme coi grandi principii della democrazia. Che se alcuno

conservasse ancora alcun dubbio sull’alleanza possibile del cattolicismo e della democrazia, noi lo invitiamo a leggere le epistole pastorali pubblicate dai vescovi francesi pochi giorni dopo la rivoluzione di febbraio. Se i princi- pii sostenuti dall’episcopato francese sono veri e cattolici, tali pure denno es- sere in ogni tempo e in ogni nazione, perché Cristo è ieri e Cristo è oggi, né noi sappiamo vedere il perché il nostro Clero ed Episcopato si mostri tanto avverso alle modeste ed innocenti forme costituzionali del nostro governo, dopo che il Clero ed Episcopato francese non si peritò di dichiararsi repubbli- cano e di propugnare questa forma democratica di reggimento con cattolicis- sime omelie.

Ecco che cosa scriveva ai suoi parrochi, a proposito della repubblica fran- cese, uno dei più illustri Prelati della Francia, il cardinale Dupont arcivescovo di Bourges: i principii, il cui trionfo dee cominciare un’era del tutto novella, sono quelli che la chiesa ha sempre proclamati, e che ora si fa di nuovo a pro- clamare al cospetto del mondo per bocca del suo augusto capo l’immortale Pio IX.

Prima di lui, cioè fin dal 10 marzo 1848, il cardinale arcivescovo di Cam- brai avea detto la stessa cosa e quasi le stesse parole. Ai cardinali succedono i vescovi. Il vescovo di Gap, per esempio, nella sua circolare in occasione delle elezioni ebbe a dichiarare che le istituzioni di cui allora veniva dotata la Francia, non erano nuove, ma che erano state pubblicate sul Golgota, e che gli apostoli e i martiri le avevano cementate col loro sangue, difendendole contro i tiranni dei diversi secoli. L’arcivescovo d’Aix diceva: Preghiamo Dio che faccia trionfare dappertutto i principii d’ordine, di libertà, di giusti- zia, di carità, di fratellanza universale, che Cristo ha per il primo proclamati nel mondo, e che il suo augusto vicario proclama di nuovo sulla terra fra gli applausi dei popoli. Il vescovo di Chalons scriveva all”’Univers”: il nostro vessillo ha per divisa: libertà, uguaglianza, fraternità: in queste parole si rac- chiude tutto il vangelo nella sua più semplice espressione.

Perché noi avremo a spaventarci, scriveva il vescovo di Nevers, d’un go- verno che proclama l’uguaglianza, la libertà, la fraternità? Questi principii sono l’espressione più pura delle dottrine evangeliche, che il carattere stesso del cristianesimo, che noi abbiamo la sorte di professare. Essi formano la ba- se della morale che la religione insegna al mondo. Ascoltate le belle parole del vescovo di Séez: la chiesa segue i popoli in tutte le loro trasformazioni politiche, ma per lei il miglior governo è quello in cui i grandi principii di li- bertà, d’uguaglianza, di fraternità, che essa ha ricevuti dal suo divin fondato- re, sono i meglio compresi, e i più francamente messi in pratica. E quelle altre del vescovo d’Aiaccio: Si tratta d’assicurare il trionfo pacifico dei grandi principii promulgati nel vangelo già diciotto secoli fa, e dei quali tutti i voti da un punto all’altro della Francia sollecitano in questi giorni la sincera e

compiuta applicazione. Tacciamo del vescovo di Langres e di tanti altri pre- lati, che s’accordano negli stessi principii: sarebbe opera molto lunga il citarli uno per uno.

La buona democrazia adunque è d’origine cristiana: le tre parole libertà, uguaglianza, fraternità non sono che un’eco della morale evangelica. Appli- care all’ordine sociale i principii cristiani, realizzare una divisa eminente- mente cristiana, si è appunto l’opera di tutta la democrazia del secolo pre- sente. E l’episcopato che così lo dichiara.

Passiamo ora ai giornali. Quale sceglieremo tra questi? Quel che si dice il più cattolico di tutti, l’“Univers”, alle cui dottrine fanno a questi giorni ade- sione alcuni vescovi francesi. Statelo ad udire: ecco come esso scriveva nel 1847 e 48.

«Il governo detto assoluto è cattivo. La dichiarazione dei dritti dell’uomo è stata scritta da Sieyès al lume di studi sacerdotali. I dritti e la libertà pro- clamate dalle carte moderne sono dritti naturali e consacrati dalla dottrina cattolica. La libertà politica è inseparabile dall’amor di Dio. La chiesa è la madre della democrazia moderna. La rivoluzione francese deriva dal cristia- nesimo. La rivoluzione ha le sue premesse nel vangelo. La terra natale della democrazia è il vangelo».

Su quai principii dunque una parte del clero si fonda per osteggiare la li- bertà, maledire la democrazia, e sospingere i credenti nelle voragini dell’as- solutismo? Ha forse il cattolicismo due bilancie e due misure? Ciò ne rende sempre più persuasi che non già la voce del vangelo, ma parla potente in esso la voce della passione, e che questa parte del Clero, di cui si discorre, si è tra- sformata in setta.

III