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Movimento democratico e propaganda mazziniana in Sardegna all’indomani della «fusione».

SVIZZERA E ITALIA *

Molti sono d’opinione che la Svizzera sia un paese povero, e sono indotti a quel pregiudizio dallo stato di gran parte del suo territorio e dal contingente che essa dà all’emigrazione. Infatti non ci ha regione al mondo dove non s’incontrino degli Svizzeri; ed il suo territorio, se eminentemente pittoresco, offre immensi tratti non solo incolti, ma incoltivabili.

Però se gli Svizzeri emigrano, proviene non tanto dall’esuberanza della popolazione, quanto dall’attività di quel popolo. Di questa daremo qualche saggio più innanzi. In quanto alla popolazione, basterà accennare, che mentre la Sardegna non conta che 22 o 23 abitanti per chilometro quadrato, la repub- blica di Ginevra, per esempio, ne ha 330; e quella di Basilea 1290. Un tanto agglomeramento di persone in un territorio poco favorito dalla natura e tutta- via agiate, in confronto della miseria degli abitanti di certe felici regioni d’Italia, dimostra quanto valgono l’industria ed una ben’intesa economia. Di- nanzi a questi e simili esempi, ci sarebbe quasi da conchiudere, che l’agia- tezza, fino a certo punto, è in ragione inversa della fertilità del suolo. Il che avviene perché i popoli, quanto più sono favoriti dalla natura, più fanno a fi- danza con esso lei, sicché dove abbondano i frutti spontanei, l’uomo non si dà la pena né anche di grattare il suolo.

Invano però gli Svizzeri si sforzerebbero di cercare la loro agiatezza uni- camente nell’agricoltura e nella pastorizia. Esse sarebbero forse insufficienti anche alla loro sussistenza, almeno in alcuni Cantoni. Quindi le tante indu- strie nelle quali si distinguono ed i commerci che ne sono alimentati, e che sono favoriti da migliaia di Svizzeri sparsi per tutte le parti del mondo. Ad esempio daremo qualche saggio delle loro industrie, valendoci delle notizie statistiche pubblicate non ha guari dall’onorevole Nervo. L’industria del co- tone che nel 1500 non aveva che una manifattura, mette ora in moto 1 milio- ne 660,000 fusi, cioè un milione di più di quelli che si suppongono esistere in Italia; e si abbia presente che il nostro regno ha una superficie di 296,013 chilometri quadrati con una popolazione di 26,789,008; laddove la Svizzera non ne conta che 2,669,095, sopra una superficie di 41,418 chilometri. L’industria delle mussole ricamate, che nel 1775 non aveva che una fabbrica

a Saint-Gallen, aveva nel 1872 6380 macchine. Nel solo Cantone di Zurigo si annoverano nel 1870, 664 stabilimenti industriali, dotati di una forza com- plessiva di 10,400 cavalli dinamici, dei quali più di 8,000, prodotti coll’uti- lizzazione di corsi d’acqua e 2350 col vapore. A 126 sommavano le manifat- ture di cotone mosse da una forza complessiva di 4824 cavalli. La sola indu- stria della seta annoverava 47 manifatture. Insomma i 664 stabilimenti indu- striali della piccola repubblica di Zurigo danno lavoro a 12 mila maschi ed a 9800 femmine.

Ma ciò che sorprende davvantaggio è l’industria dell’orologeria, massime nel cantone di Neuchàtel. Fondata nel 1679 da Giovanni Tichard, giunse a tal grado d’importanza che nel 1870 si stimava che fabbricasse già 1,600,000 oriuoli tascabili all’anno del valore complessivo di circa 20 milioni di franchi ed occupasse 38 mila operai, tra i quali 25,300 maschi e 12,700 femmine. Nel solo Cantone di Neuchàtel, la cui popolazione non va a 100 mila abitanti si fabbricano annualmente 800 mila orologi. A Neuchàtel tengono dietro, Berna con 500 mila orologi; Vaud e Ginevra con 150 mila ciascuno ecc. Siffatta produzione della Svizzera supera di gran lunga quella della Francia, il cui valore complessivo si calcola a 16 milioni e mezzo; quella d’Inghilterra, qua- si uguale per entità alla francese, e quella degli Stati-Uniti d’America, che si suppone di circa 8 milioni di franchi.

Qual sia la ricchezza della Svizzera si può deprendere dalle sue esporta- zioni. Con un decimo incirca della nostra popolazione, essa esportò per la sola Italia nel 1862 pel valore di 80 milioni 833,000; nel mentre le importa- zioni dell’Italia in quella repubblica superarono in qualche anno appena i 90 milioni.

Quanto poi sia ben intesa la pastorizia in Isvizzera il dimostrano la riputa- zione che godono i suoi latticini in tuta l’Europa e l’esportazione del suo be- stiame. Dalle statistiche pubblicate dal governo sul movimento commerciale della Confederazione, risulta, che il bestiame esportato nel 1874 fu di 114,624 capi.

E come avviene egli, che un piccolo Stato formato di nazionalità e reli- gioni diverse e con un territorio non solo ristretto, ma in gran parte sterile, superi per progresso materiale e morale, e comparativamente anche per forza, tutte le altre regioni d’Europa? Il benessere e la forza della Svizzera non pro- viene che dalle sue istituzioni. Ed è di questo assunto che ci occuperemo in altro articolo.

II.

Abbiamo detto che la Repubblica elvetica deve la sua agiatezza e la sua forza alle proprie istituzioni. Queste sono tali che affratellano sotto lo stesso vessillo popoli diversi per nazionalità, per religione e per indole. Durante il lungo periodo di oltre cinque secoli e mezzo che dura quella repubblica, i

vincoli onde sono uniti i popoli confederati, non che rallentarsi si rafforzano. E se i popoli finitimi potessero disporre liberamente di sé, chi sa quali sareb- bero i limiti della Confederazione? Per certo gran parte della Savoia, del Ti- ralo ecc. preferirebbero la Svizzera agli amplessi soffocanti delle loro grandi patrie. Il che avviene, perché ciascun popolo confederato conserva tutta l’autonomia che può conciliarsi coll’unità sanamente intesa: e perché i citta- dini non solo con un largo sistema elettorale possono rinnovare da cima a fondo il governo, ma possono altresì interporre il veto dei loro rappresentanti.

In quanto alla forza qual monarchia d’Europa, non diremo d’eguale po- polazione, ma che ne abbia il doppio ed il triplo, pesa nella bilancia più della Svizzera, quantunque non abbia esercito stanziale, e non si vegga nella neces- sità di spogliare una parte della nazione per ritenere l’altra nei quartieri? Ma i nostri barbassori politici e militari sono tanto istupiditi dall’andazzo, che neppure le portentose vittorie ottenute dalla Confederazione germanica sullo Stato più unitario e centralizzatore del mondo, bastarono a farli tornare in sé!

Se però gli Svizzeri sono così teneri delle proprie istituzioni, si è perché la libertà non è per essi una pura teoria, ma si manifesta pei suoi vantaggi in tutte le fasi della loro vita pubblica e privata. Il non isciupare i più begli anni della giovinezza nei quartieri, è già qualche cosa: e qualche cosa è pure il non vedersi sterzato o dimezzato il prodotto del proprio lavoro. Su di che princi- palmente ci accingiamo a dare qualche saggio di confronto tra l’Italia e la Svizzera. I cittadini di quella Repubblica, nei loro trattati commerciali, bada- no a gravare quanto men si possa le cose più necessarie alla vita: in Italia, dove il governo è alcun che di diverso dal popolo, se non avverso, si fa all’opposto. Veniamo a qualche confronto:

Dazi d’entrata in Svizzera ogni 100 chil.

Dazi d’entrata in Italia ogni 100 chil. Cereali e leg. secchi, riso L. 0,30 L. 1,40*

Orzo e avena brillati 1 1,15

Farine 1 2,77

Olii grassi di ogni sorta, non medie. 1 da 2 a 11,55

Vino in botti 3 5,77

Birra in botti 1,50 2 e 8,31

Acquav., spirito di vino e liquori in b. 7 5,50 a 11, 55

Carne fr. di macello 1 5,77**

Carne salata o affumic. 4 23,10

Zuccaro di ogni specie 7 20,80 e 28,85

Caffè e suoi surrogati 3 60

Cioccolato 16 35

Miele 3 55,77

Siroppo gr. 3 11,55

Drogherie coloniali 7 da 40 a 289

Petrolio 1 da 19 a 25

* Questo dazio riflette soltanto il grano. Le granaglie e i marsaschi pagano 1,15 il quintale. Il riso è esente da dazio d’entrata.

** La carne fresca proveniente dalla Svizzera è esente da dazio d’entrata.

Aggiungete a queste piccole differenze il dazio consumo, il macinato ed altrettanti bazzecole che gravitano sulle nostre derrate alimentari, ed avrete il bandolo del caro dei viveri. In Isvizzera non esiste il macinato e si può dire neppure il dazio consumo comunale o governativo, tranne alcuni Cantoni, dove fu tollerato per ispeciali considerazioni. Ma anche riguardo a quel dazio, qualche differenza ci è, mentre vediamo, a mo’ d’esempio, i vitelli colpiti d’una tassa fissa di 190 centesimi ed i buoi di soli 90.

Quanto alle tasse dirette che colpiscono l’industria e il commercio, esse variano da Cantone a Cantone, tanto nelle basi, che nella proporzione, tra i limiti dell’uno al quattro per mille del capitale posseduto. Il Gran Consiglio della repubblica d’Argogovia adottava nel 1865 un’imposta unica, che gra- vita 1° sulla rendita, in ragione dell’uno per cento; 2° sul capitale. A tal titolo si deve pagare 120 cent. per 1000 fr. sui capitali, fondi d’industria e di fabbri- ca; 80 cent. per 1000 fr. sulla proprietà fondiaria non fabbricata; 60 cent. per

1000 fr. sulla proprietà fabbricata; 30 cent. su 1000 fr. sulla proprietà mobile. La multa per quelli che tenta di defraudare l’erario è del doppio al sestuplo della tassa. Qual differenza tra le nostre tasse e la multa di 30 fr. contro chi impiega un bollo da 1 cent. invece del bollo da cent. prescritto dalla legge?

Nella Repubblica di Ginevra la proprietà urbana è tassata del 3 per 100, salve deduzioni che vanno dal 10 al 50 per 100 del debito lordo. La proprietà rurale poi è divisa in 7 classi, in ragioni del valore. E il valore è quotizzato da 40 ad 80 fr. in 4 cent. da 80 100 in 6; da 120 a 160 in 10; da 160 a 200 in 10; da 200 a 240 in 12 da 240 fr. in più, in 14 cent. A Ginevra le tasse sono mol- teplici; ma in tutte si osserva lo stesso riguardo pei contribuenti. La proprietà mobiliare superiore a 50 mila fr. e che non superi i 250 mila paga 47 fr. pei primi 50 mila e 2 per 1000 per l’eccedenza. Eccedendo i 250 mila fr. si paga anche una tassa personale del 3 per mille. La fortuna mobiliare soggiace pure ad un testatico di 5 fr. salve molte eccezioni, ed inoltre ad una tenue tassa sui domestici, sui cavalli e sulle vetture. Per la tassa poi delle patenti i contri- buenti sono divisi in quattro classi; la prima delle quali paga 50 cent.; la 2a 2,50; la 3a 3 fr.; la 4a 12 fr. all’anno.

Ma donde proviene che le tasse vi sieno sì mediche? Da ciò che gli Sviz- zeri si governano da sé ; chi impone, paga, chi spende, spende del suo, e va quindi a rilento nello spendere; laddove in Italia, i così detti legislatori, o non pagano, o possono rifarsi ad esuberanza di ciò che pagano, procacciandosi un posticino alla cuccagna dello Stato.

XV