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Movimento democratico e propaganda mazziniana in Sardegna all’indomani della «fusione».

UNITARISMO E REGIONALISMO *

Se riandiamo le voci, che venticinque o trent’anni fa, si conciliavano la simpatia pressoché generale, le troviamo quasi tutte sciupate. Che è divenuto il liberalismo! Una vaga professione di fede politica di chi fede non ha. Che il cattolicismo? Un sinonimo di clericalismo o dello sconfinato predominio del clero in tutto e su tutti; una specie di rabbia contro quanti avversano quella mattìa. Gl’insorti di Parigi proclamarono la Comune, e screditarono siffatta- mente quella voce, che sarebbe stata già proscritta, se ce ne fosse un’altra che potesse comprendere le popolazioni che vengono sotto i nomi di città, borghi e villaggi. Il federalismo è negli Stati-Uniti, in Isvizzera ed altrove garantigia di unità morale, di libertà e quindi di forza. Ma dopo che i Comunisti ed i So- cialisti di Francia e di Spagna si dichiarano federali, chi federale voglia chia- marsi conviene che premetta le sue distinzioni. La moderazione non istà più nella prudenza imposta dalle circostanze in ordine alla conservazione, riven- dicazione od esercizio dei diritti, ma è una maschera di basse ambizioni - non virtù; ma livrea.

Ma veniamo all’argomento di questo articolo. Alla forza basta l’unione delle forze, e la buona organizzazione. Ed un esempio di quanto valga siffatta unione il dimostrò la Germania contro la Francia eminentemente unitaria e superiore alla sua rivale, di territorio e di popolazione. Ma, per un modo ma- teriale di concepire le cose, si volle far prevalere l’unitarismo, quantunque materiale. E l’unitarismo che prevalse non è quale l’intendeva Carlo Catta- neo, e neppure Giuseppe Mazzini, ma un infeudamento della libertà locali, a tutto benefizio del governo centrale, un sagrifizio degl’interessi di regioni a regioni. Che siasi ottenuto da questa unità il dimostrano i fatti: non economie, ma dilapidazioni e quindi debiti ed estorsioni; non unità morale, ma un’anarchia morale, peggio che mai; non imponenza appo gli stranieri, ma baldanza col popolo.

La rejezione fatta dal Senato d’una legge a favore delle province meridio- nali, destò qualche risentimento nelle medesime. Quindi i gaudenti a spaccia- re i reclamanti quai regionalisti, e questi a protestare contro il novum crimen. Ma il regionalismo non cesserà finché [non] saranno egualmente trattate tutte

le regioni, e [non] si lasci loro tanta libertà, quanta può conciliarsi coll’unità necessaria alla forza materiale e morale dello Stato.

Tra tutte le regioni, niuna, avuto riguardo al numero dei suoi abitanti, contribuì quanto la Sardegna, all’indipendenza ed unità della Penisola. La ri- compensa fu oblio e disprezzo. Le poche leggi proposte in nostro favore, o non furono discusse, o non furono ordinariamente approvate che contro mi- noranze rilevantissime. Bosa, per esempio, per le spese del suo porto, aveva stanziate 316 mila lire; ma quando si trattò del concorso dello Stato, quaran- tasei deputati votarono contro, forse un terzo o più dei votanti! Quando il no- stro Consiglio provinciale osò chiedere qualche linea di strada ferrata, fu te- nuto quasi per pazzo: e il governatore Mathieu, che aveva secondato il Con- siglio, non la passò liscia. Vi volle tutta l’intelligente benevolenza del Depre- tis per la Sardegna, perché quel voto cessasse di essere un sogno. E per certo, se vi ha un uomo al quale quest’Isola dovrebbe un attestato di gratitudine, si è quel ministro. Sappiamo però che qualche municipio ha appiccato il nome di Sella a certe sue vie, gli ha spedito patenti insomma dei cerei, e non è impro- babile, che anche i comizj agrarii innalzino una statua al Biellese, come bene- fattore della proprietà agricola: ma d’alcun segno di riconoscenza verso l’ex- ministro Depretis, noi non sappiamo.

Era tale però l’opposizione che si prevedeva nel Parlamento riguardo alle nostre ferrovie, che per vincerla, si dovette ricorrere alla cessione di grandis- sime estensioni territoriali dell’Isola a favore della Società intraprenditrice, onde ridurre a minimi termini la garantia chilometrica da darsi dallo Stato. Ed anche con un sagrifizio non richiesto ad alcun’altra regione d’Italia, la propo- sta del governo ebbe oppositori non pochi e palle nere moltissime. Non così si conduceva il nostro fiero ed imparzialissimo Parlamento, quando si trattò di assegnare alla Città di Torino l’annualità di oltre un milione, onde com- pensarla delle perdite subite pel trasloco della capitale. E quella città, dove tanto si declamò a favore dell’unità, insorse perché non se le togliesse la sede del governo, fece il viso dell’arme, quando la Corte di cassazione fu stabilita a Milano; e si sa quanto chiasso abbia fatto anche recentemente per conserva- re la sede della Società dell’Alta Italia.

Uscito dal Ministero il Depretis, è noto come fosse posta ad esecuzione la legge sulle ferrovie sarde. Si fece qualche linea in considerazione di Cagliari e Sassari, o meglio di certe miniere: le altre diventarono problematiche. E lo stesso avvenne di altre somme stanziate a benefizio della Sardegna, e non mai spese.

Ma anche quando non si tratti di provvedimenti che aggravino l’Erario, la Sardegna è l’ultimo dei pensieri del governo e del Parlamento. Passarono de- gli anni prima che ci si permettesse un istituto di credito fondiario, come già l’avevano tutte le altre regioni della Penisola: e dopo che noi riuscimmo,

colle nostre forze, a fondare varj istituti di credito, furono tutti quanti sacrifi- cati a benefizio di quelli che si aveva in animo di favorire colla legge sulla circolazione cartacea. E così i potenti del giorno fanno amare l’unità!

XII