• Non ci sono risultati.

Movimento democratico e propaganda mazziniana in Sardegna all’indomani della «fusione».

DIMOSTRAZIONI PER MAZZINI *

L’annunzio della morte di Giuseppe Mazzini avvenuta a Pisa il 10 cor- rente, alla una e 32 minuti, ha destato in Italia un’agitazione, che un autore- vole giornale clericale rassomiglia ad un terremoto. Molti presero il lutto, come se fosse morto un loro stretto congiunto. Furono interrotte le lezioni in vari instituti pubblici, chiuse le botteghe, sospesi gli spettacoli. Dappertutto si fanno dimostrazioni d’onore e di condoglianza e si aprono pubbliche sotto- scrizioni per lapidi o monumenti al gran trapassato. Il partito repubblicano, che vivente Mazzini si era scisso, si affratella dinanzi al cadavere del suo ca- po e giura di attuarne interamente il programma. Il giorno 17, in cui la salma dell’estinto, doveva giungere a Genova, dovevano accorrervi deputazioni da tutte le parti d’Italia. Fra tali deputazioni, figureranno anche quelle dei muni- cipii di Napoli, di Pavia e di molte altre città. La maggior parte dei giornali che ci pervengono sono listati in nero. Se volessimo riprodurre i soli articoli pubblicati in onore di Mazzini nella scorsa settimana, ne avremmo da riempi- re il foglio per più mesi. Fra tutti quegli articoli, noi sceglieremo quello che leggiamo nell’Unità cattolica, in uno cioè dei giornali i più ostili a Mazzini ed alle sue idee politico-religiose. Ci dimenticavamo del Governo. Al noto ordine del giorno votato unanimamente dalla Camera non presero parte i Mi- nistri. Da ogni parte piovono al ministero dispacci dei Prefetti chiedenti come regolarsi in quelle agitazioni. E il ministero avrebbe raccomandato loro di dissimulare. Intanto si diede l’ordine di tenere in pronto le truppe. Mazzini morto gl’imbarazza peggio che vivo. Ma lasciamo parlare il fanatico, ma pure avveduto, Don Margotti:

«Il 10 di marzo moriva in Pisa Giuseppe Mazzini, nell’età di sessantasette anni, essendo nato in Genova il 22 di giugno del 1806. La prima notizia della sua morte ci venne recata dall’Unità Italiana dell’11 di marzo, e il telegrafo non ne disse nulla. Eppure ci sembra che quel telegrafo, il quale annunziava la fanfaluca del Bonghi incaricato di risolvere la lite dell’Alabama tra l’Inghilterra e gli Stati Uniti d’America, avrebbe potuto dirci che era morto Giuseppe Mazzini! Considerato come uomo d’ingegno, di carattere, di saldi propositi, egli sarà nella storia la persona più importante che uscisse dalle file

dei rivoltosi italiani. In confronto del Mazzini, i Lanza, i Sella, i Visconti- Venosta non sono che pigmei.

Mazzini usciva da ottima famiglia genovese, ed aveva ingegno vivace e cuore eccellente. Nell’infanzia, infermo del corpo, fu altrettanto precoce nello svolgimento dello spirito. Mauro Macchi afferma esistere una lettera di Giu- seppe Patroni, colonnello e direttore della scuola d’artiglieria italiana in Pa- via, sotto la data del 28 agosto 1812, in cui, parlandosi del Mazzini, allora ragazzo di sette anni, sta scritto: « Questo caro fanciullo è una stella di prima grandezza che sorge scintillante di vera luce per essere ammirata un giorno dalla colta Europa1.

Pervertito nell’Università, mentre frequentava l’Accademia di letteratura italiana sotto l’abate Bertora, che tanto ne pianse i traviamenti, l’infelice Mazzini scagliassi anima e corpo nelle società segrete. A ventitrè anni, lau- reato in legge, frequentò l’ufficio dell’avvocatura generale dei poveri, per farvi la pratica consueta, Cominciando a scrivere qualche articolo in un gior- naletto di Genova. Più tardi ne pubblicava uno nell’Antologia di Firenze, col titolo: Di una letteratura europea, articolo che chiamò sul Mazzini ad un tempo l’attenzione degli studiosi e della polizia. Di che venne consigliato pel suo migliore a viaggiare in Toscana, dove, stretta amicizia con Francesco Guerrazzi, scrissero insieme l’Indicatore livornese.

Ritornato poi a Genova, il Mazzini vi istituiva una Società di lettura per diffondere l’amore dello studio ne’ suoi compagni e l’entusiasmo per l’Italia. Correva il 1830, e, scoppiata la rivoluzione francese, fu scoperto che già il Mazzini tenea relazioni coi rivoltosi d’oltre Alpi, ed arrestato notte tempo, e rinchiuso nel forte di Savona, quivi concepì l’idea della sua Giovane Italia, «società formata per la distruzione indispensabile di tutti i Governi della Pe- nisola, e per formare un solo Stato di tutta l’Italia sotto la forma repubblica- na». Donde si vede che, salvo la forma, ciò che veggiamo in Italia nel 1872 fu concepito nel 1830 da Mazzini nel carcere di Savona.

È vero che oggidì abbiamo un Principe di Savoia Re dell’Italia unita; ma questa pure era l’idea primitiva del Mazzini; il quale nel 1831 scriveva a Carlo Alberto di Savoia la sua famosa lettera coll’epigrafe: Se no, no; e gli diceva: «Sire, se io vi credessi Re volgare, d’anima inetta o tirannica, non vi indirizzerei la parola dell’uomo libero. I Re di tal tempra non lasciano al cit- tadino che la scelta fra l’armi e il silenzio. Ma voi, Sire, non siete tale. La natura, mandandovi al trono, v’ha creato anche ad alti concetti ed a forti pen- sieri; e l’Italia sa che voi avete di regio più che la porpora... La rivoluzione

francese, Sire, non è che incominciata. Dal Terrore e da Napoleone in fuori, la rivoluzione del 1830 è destinata a riprodurre su basi più larghe tutti i pe- riodi di quella del 1789... Sire, non avete mai cacciato uno sguardo, uno di quegli sguardi d’aquila che rivelano un mondo, su questa Italia, bella del sorri- so della natura, incoronata da venti secoli di memorie sublimi, patria del genio, potente per mezzi infiniti, ai quali non manca che un’unione, ricinta ditali dife- se, che un forte volere e pochi petti animosi basterebbero a proteggerla dal- l’insulto straniero? E non avete mai detto: la è creata a grandi destini?...

« Sire, respingete l’Austria, lasciate addietro la Francia, stringetevi a lega l’Italia, ponetevi alla testa della nazione, e scrivete sulla vostra bandiera: Unione, libertà, indipendenza. Proclamate la santità del pensiero! Dichiarate- vi vindice, interprete dei diritti popolari, rigeneratore di tutta Italia! Liberate l’Italia dai barbari! Edificate l’avvenire! Date il vostro nome ad un secolo! Incominciate un’êra da voi! Siate il Napoleone della libertà italiana!»

Come si vede Mazzini, fin dal 1831 voleva l’unità d’Italia con Roma ca- pitale, e un Principe di Casa Savoia per Re. Ma Carlo Alberto non giudicò di doverne seguire gli inviti. E allora Mazzini prese a cospirare contro di lui, e cospirò dal 1833 fino ai 10 marzo del 1872. Ed ecco in due parole l’intiera sua vita. Sdegnava tuttavia le cospirazioni sul gusto di Cavour e del Bona- parte; le cospirazioni di chi riveriva il Papa col nome di Padre, preparandone lo spoglio e la rovina; le cospirazioni di chi stringeva la mano in Torino ai legati del Re di Napoli, e mandava Garibaldi a spodestarlo In Sicilia.

A Mazzini l’Italia presente non piaceva. Non era l’Italia sua, quella gran- de, maestosa e felice Italia ch’egli aveva sognata. Era l’Italia di Lanza e di Sella, non l’Italia del popolo. Era l’Italia, ieri del Bonaparte, oggi di Bi- smarck, forse domani dello Czar, l’Italia più che mai paurosa dello straniero, l’Italia delle imposte, dei debiti, della carta-moneta, non un’Italia che rispon- desse alle altre due precedenti Italie, a quella dei Cesari ed all’altra dei Papi. Eppure Mazzini la detestava.

Come molti de’ suoi antichi seguaci, egli avrebbe potuto smettere certe sue convinzioni, ed ascriversi al partito dominante. Danari ed onori lo aspet- tavano in grande abbondanza. Egli sarebbe divenuto il primo oratore della Camera e il capo degli uomini di Governo. Nessuno poteva contendere con lui in punto d’ingegno, di cognizioni, di fina diplomazia. Ma, uomo di carat- tere, non seppe acconciarsi con uomini e con imprese senza carattere di sorta. Amò meglio proseguire nella sua vita di proscritto, e quando lo nominarono deputato del Regno d’Italia respinse con isdegno la nomina e l’approvazione fattane dalla Camera.

In questi tempi d’ipocrisie il nome di Mazzini merita rispetto, almeno per la sincerità. Si può dire a sua lode che egli non mentì mai, ed è grandissima lode a’ giorni nostri, quando per trionfare è mestieri mentir sempre».

VII