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L’AGITAZIONE SARDA E LA STAMPA PENINSULARE *

Movimento democratico e propaganda mazziniana in Sardegna all’indomani della «fusione».

L’AGITAZIONE SARDA E LA STAMPA PENINSULARE *

Scorremmo non pochi giornali della Penisola: ma non vi trovammo, che silenzio sull’agitazione sarda, o qualche cenno insignificante. Sappiamo per altro, che ve ne fu uno, il quale se ne occupò per mezzo d’una delle solite corrispondenze, che è una tirata contro la nostra ingratitudine, un rinfaccia- mento dei tanti benefici largitici. È desso la “Gazzetta d’Italia”, uno degli or- gani più esosi di quella fazione, che altri chiama consorteria, ma, che volen- dosi evitare gli equivoci, dovrebbe chiamarsi altrimenti. L’ottima “Cosa pub- blica” di Sassari ha risposto sì bene alla “Gazzetta” del Pancrazi, che noi non sapremmo quasi che aggiungere.

Il giornale sassarese argomenta come la supposta corrispondenza non sia che un comunicato dalle seguenti parole che si leggono nella “Gazzetta”: «II governo non si lascerà certo imporre da nessuna pressione». Far pressione noi, contro i tesori e la forza organizzata d’una nazione di 25 milioni?! Noi ci contenteremmo che il governo si lasciasse imporre almeno dal voto del Par- lamento e dalla forza delle ragioni.

Alle gratuite asserzioni «di opposizione spiccatissima delle masse in Sar- degna allo sviluppo della viabilità ordinaria, la quale durava fino ad or un quarto di secolo, e che l’impresa della costruzione di nuove strade non era nell’Isola, sempre, senza pericolo, per gl’intraprenditori»; il giornale sassare- se, tra le altre cose risponde: «Appena fa duopo accennare che gli imprendito- ri di strade in Sardegna s’arricchirono a danno delle popolazioni, e che da novanta anni e più si pagano nell’isola le imposte speciali per strade e ponti, e non ebbe mai né l’una cosa né l’altra, all’infuori di una strada centrale il cui tracciato sull’ultima strada romana fu iniziato da un sassarese, il marchese Vittorio Pilo Boyl. Ma l’opera fu intermessa per la povertà dell’erario sardo, comunque dal 1783 i sardi supplicassero ed ottenessero per grazia una carta reale con la quale si permetteva un contributo di 15 mila scudi annui (72 mila lire) destinato al servizio delle strade e dei ponti. E per questo permesso si voleva erìgere una statua al re Vittorio Amedeo dai sardi! Bada che avversio- ne avevano per le strade! Ebbene il Pilo potè appena compierne un tracciato di trentamila metri dopo anni ed anni, ed il re chi sa cosa avrà potuto provve-

dere sui quindicimila scudi. Era tanto povero quel buon re che forse avrà vo- luto degnarsi della sua sovrana ed augusta appropriazione».

Ma veniamo al resto della corrispondenza.

«Vorremmo, dice, che i sardi non dimenticassero quanto di essi siasi il governo in ogni tempo mostrato zelatore nei limiti del possibile, non lascian- dosi sfuggire occasione di favorire l’Isola nello sviluppo delle sue reti strada- li, vuoi ordinarie, vuoi ferroviarie».

E poi soggiunge: «Sotto quest’aspetto l’agitazione... rivela anche un sen- timento di sconoscenza verso il governo».

E per dimostrare la sconoscenza afferma che lo Stato ha speso dal 1861 a questa parte 27 milioni di lire per la costruzione di strade nazionali. E poscia dice che pel corrente esercizio, compresa l’indennità chilometrica ferroviaria, sonosi stanziati tre milioni di lire!

Afferma pure che il prodotto chilometrico delle ferrovie sarde figura tra i più bassi delle diverse reti ferroviarie del regno.

Rapporto allo zelo del governo in ogni tempo a favore della Sardegna, non sappiamo veramente di qual tempo parli lo scrittore. Se parla del tempo di Vittorio Amedeo III di Savoia, e successori, l’abbiamo già detto, che dopo quarantenni che l’isola pagava annualmente 72 mila lire si dotava di 30 chi- lometri di strada tra Fordongianus e Macomer, dopoché nelle casse del re erano introitati circa tre milioni di lire. È chiaro che il re le faceva un dono degno di un sovrano, facendole pagare una strada così a buon mercato.

Se poi parla lo scrittore delle cose di oggi, ed analizza i famosi 27 milioni confrontandoli con le imposte che paga la Sardegna allo Stato, di certo le strade dell’oggi costano ai sardi non meno di quanto costarono i trenta chilo- metri di Vittorio Emanuele I.

Faccia il computo lo scrittore della “Gazzetta d’Italia”, colla scorta dei documenti ufficiali, di quanto si sarà potuto pagare dalle due provincie dell’Isola, a titolo di tasse dirette ed indirette, dal 1861 a questa parte, epoca dalla quale cominciano i famosi 27 milioni, e poi chi deve paga, dedotti an- che tutti gli altri servizi pubblici che si fanno per la Sardegna.

Quando avrà fatto una simile equazione, allora potrà col sussiego che vor- rà assumere, parlare lo scrittore di sconoscenza nei sardi, la qual parola vor- rebbe suonare più chiaramente ingratitudine.

È un bel modo di conteggiare codesto del corrispondente romano! Se il governo lo paga per far di simili corrispondenze, non è di questo danaro che gli chiederà conto la nazione, poiché non è danaro sciupato.

Infatti, perché la somma fosse una somma a grand’effetto, ha avuto il ta- lento di cumulare tutto quanto si era speso in quattordici anni, e poi l’ha get- tata in aria come un ballon d’essai, e tutti hanno inarcato le ciglia al sentire il rumore dei 27 milioni.

Faccia il calcolo di quanto può abbisognare ad un bambino da quando comincia a spuntare il primo dente, oppure torni col pensiero a quell’inno- cente età il corrispondente, e venga giù giù fino all’età matura, la quale sup- poniamo che abbia raggiunta, e vedrà qual immenso volume di pane e di chicche avrà consumato il suo paziente stomaco.

XIII