Induzione e probabilità
6. La chiusura del cerchio: induzione, peso degli argomenti e causalità
La logica umana va oltre la funzione di semplice psicologia descrittiva e la trattazione dell’induzione come abitudine mentale utile. Se guardiamo al
principio di induzione per enumerazione, come già sostenuto precedentemente nel capitolo, notiamo che tale concetto può essere legato alla probabilità rappresentata nei termini di frequenza relativa. In questo specifico caso il peso dell’argomento è ridotto al numero di eventi osservato, dato che il discrimine è tra i casi in cui l’evento si è verificato e quelli in cui non si è verificato. Sembra dunque che il concetto di “weight of argument” sia fortemente intrecciato con quello di “pure induction”.
Quando ci chiediamo quale è il peso probatorio di un certo evento non possiamo prescindere dall’uso di meccanismi analogici, e dunque dall’analogia positiva e dall’analogia negativa. La base probatoria di una proposizione è caratterizzata dalla uniformità con cui ogni osservazione si presenta. Alcune osservazioni si presentano con maggiore similitudine (c.d. analogia positiva), altre con maggiore dissomiglianza (c.d. analogia negativa).
La difficoltà nel valutare la quantità di analogie positive e negative porta Runde (1990) a dedurre una difficoltà di Keynes nel produrre una definizione operativa del concetto di peso dell’argomento (vedi anche Gerrard 2020). Il peso viene menzionato spesso dagli economisti associandolo al grado di fiducia degli investitori. Tale concetto è descritto come il grado di completezza delle informazioni. Contrariamente a Runde, credo però che valga la pena rivalutare lo stretto legame tra il concetto di peso degli argomenti e quello di analogia.
negativa e di conseguenza aumenta il peso dell’argomento. Vi è però una differenza fondamentale da mettere in risalto, ovvero che se il peso dell’argomento aumenta, non è detto che aumenti necessariamente anche la probabilità. Una nuova analogia positiva aumenta il peso dell’argomento e di conseguenza la probabilità dell’argomento considerato; differentemente, l’aggiunta di una nuova analogia negativa aumenterà anch’essa il peso degli argomenti, ma farà diminuire la probabilità.
Ciò che possiamo dedurre, dunque, è che quando si ottengono prove favorevoli a un determinato fenomeno, all’aumento dell’analogia positiva aumenta la probabilità. Al contrario quando si ottengono prove sfavorevoli, la probabilità diminuisce. Dunque le prove favorevoli assumono in Keynes il ruolo dell’analogia positiva, quelle sfavorevoli dell’analogia negativa (Keynes 1921, p. 78).
La nostra analisi dell’induzione in Keynes consente pertanto di gettare nuova luce sull’annoso tema della causalità nel pensiero del grande economista inglese. Secondo una parte della letteratura, “[t]he problem of induction (the problem of the epistemological status of inferences from experience) and the problem of causation (the problem of the meaning of individual causal judgements) seems to be distinct from one another” (Penelhum 1975). Per altri autori, invece, il concetto di causalità in Keynes è di tipo diagnostico (vedi Hoover 2004). I nessi di causalità introdotti dapprima nel Treatise on
aggiunge che caratteristica cruciale dell’analisi di Keynes è il trattamento in termini probabilistici della causalità (Keuzenkamp 2000).
Se nell’opera del 1921 la causalità viene presa in considerazione relativamente al principio induttivo, sicuramente il ruolo che assume nella
General Theory è fondamentale. In tale opera, infatti, vi è stata la prima
moderna formulazione della macroeconomia, spostando l’attenzione da un singolo individuo decisore economico all’insieme degli individui. Un altro aspetto è l’inversione del nesso di causalità nella catena investimento-reddito- risparmio: ad un maggiore risparmio non segue, nell’ottica keynesiana, un aumento del reddito.
Secondo Anna Carabelli, Keynes, nel TP, fa uso di un tipo di causalità materiale. La spiegazione del concetto di causa è in questo caso connessa all’idea di induzione e inferenza statistica. Anche questa studiosa crede che la causalità economica presente nella General Theory riprenda simili aspetti. Dal punto di vista economico sembra inoltre che il concetto di causalità in Keynes sia anticipatorio di quello di Patrick Suppes (Vercelli 1990). Appare significativo che una teoria come quella proposta da Suppes nel 1970 in A Probabilistic
Theory of Causality, affondi le sue radici su una concezione logicista della
probabilità. A partire dal contributo di Suppes, proprio su tale concetto di causalità si aprirà negli anni ’70 un importante dibattito metodologico.
che li rende fonte di ispirazione per tutti gli autori del filone post-Keynesiano. Molti di essi sostengono che anche nell’uso della nozione di causalità vi sia un profondo legame tra l’opera del 1921 e del 1936. L’uso della causalità nella
General Theory è dunque profondamente radicato nella teoria probabilistica
Conclusione
Scopo di questo lavoro di tesi è stato evidenziare come Keynes, prendendo le distanze dalla tradizione probabilistica classica e frequentista e facendo propria la visione logicista, abbia reinterpretato in maniera altamente innovativa il concetto di probabilità. Ho voluto porre l’accento sui metodi nuovi maturati da Keynes nel corso della lunga stesura dell’opera, iniziata con la tesi di dottorato del 1907, The Principles of Probability.
Ciò che emerge alla fine della mia analisi è che la posizione keynesiana si presenta come connotata da una radicale matrice logicista: si tratta di una posizione sì oggettiva della probabilità, ma discutibile aprioristicamente. Ho sottolineato il fatto che tale teoria non fosse il frutto di un lavoro fugace e angusto, ma durato circa 15 anni e presentato in vari momenti ad un pubblico di accademici, per lo più ostili, in quanto sostenitori di un punto di vista continuativo con quello della tradizione frequentista di Cambridge.
In questa analisi ho cercato di sottolineare le differenze della teoria keynesiana con quelle di altro tipo; in particolare, la differenza tra la concezione frequentista e quella logicista, ma anche tra la visione soggettivista, in particolar modo ramseyana, e keynesiana. Ho cercato di comprendere se Keynes si sia avvicinato alla posizione di Ramsey e se il suo pensiero sia cambiato durante gli anni. Purtroppo, a causa della prematura scomparsa di Ramsey, non potremo mai rispondere in modo conclusivo a tale domanda.
La principale nozione trattata nell’elaborato è quella di peso dell’argomento. Molti studi hanno dimostrato che tale concetto venne introdotto da Keynes sin dalla prima versione della dissertazione di dottorato nel 1907, modificando più di una volta l’appellativo da attribuirgli. Anche solo questo particolare dimostra lo scetticismo che Keynes nutriva nei confronti del concetto. La nozione di peso è tornata al centro di un dibattito recente. Ho cercato anche di spiegare come il concetto di peso dell’argomento sia legato al problema dell’arresto, ovvero decidere aprioristicamente dove far cessare la ricerca di informazioni prima di operare una scelta.
L’elemento principale che emerge dalla precedente analisi è che il giovane Keynes si interessa di logica, probabilità e razionalità. Gli studi giovanili sulla probabilità sembrano condizionare in parte la sua teoria del comportamento razionale in condizioni di incertezza. Nella tesi ho quindi cercato di porre l’accento sulla differenza tra tale nozione e quella di rischio e ambiguità.
ll termine rischio è utilizzato nel momento in cui si è a conoscenza della distribuzione iniziale delle probabilità, mentre si parla di incertezza quando tali condizioni iniziali sono sconosciute. Per quanto riguarda la distinzione tra ambiguità e incertezza, invece, la differenza è che la prima si riferisce a situazioni in cui non abbiamo informazioni nel momento in cui operiamo una scelta, ma che possono essere successivamente aggiunte al corpus della precedente conoscenza. Non così per la seconda. Keynes aprirà dunque la
medesimo problema attraverso il noto esperimento delle palline nelle urne. A mio avviso che la k-uncertainty viene introdotta già nel TP per mezzo della nozione di peso dell’argomento (secondo cui a maggior peso corrisponde una riduzione dell’ambiguità), e che tale nozione diventi poi il nucleo primario della
General Theory, essendo tale concetto legato alla capacità degli individui di fare
previsioni sugli eventi futuri.
Si tratta di una nozione molto complessa ed è difficile riuscire a trovare una teoria adeguata alla sua comprensione. Proprio dal modo innovativo di trattare l’incertezza, Keynes enfatizza la propria discontinuità dal punto di vista degli economisti neoclassici. Sulla scia di molti studi sul tema, ho cercato di sottolineare le due possibili interpretazioni, secondo cui vi sarebbe una posizione di accordo oppure di disaccordo tra l’opera del 1921 e quella del 1936 riguardo al tema dell’incertezza.
Quel che è certo è che l’incertezza non è scindibile dal concetto di animal spirits, laddove è difficoltoso orientarsi nelle scelte, in particolar modo economiche. Gli animal spirits, inoltre, rappresentano un punto di incontro tra un problema di tipo filosofico ed economico. Mi sono domandata quale fosse la fonte prima da cui Keynes conia il termine, propendendo per il fatto che l’abbia rinvenuta nell’opera di David Hume.
Nella seconda parte della tesi ho voluto attribuire un ruolo di preminenza alla critica alla teoria frequentista ed all’induzione. Per esplicare la critica al frequentismo, ho recuperato il filo guida introdotto nel primo capitolo. Ho
posto l’accento su tale critica, supportando la tesi secondo la quale uno dei principali obiettivi dello studioso britannico fosse allontanarsi da quella dottrina vigente. Dunque, ho ripercorso le fila del pensiero keynesiano, partendo dalle letture intraprese sulla teoria di Venn e Ellis. È emerso che, ad esempio, un autore come Edgeworth ha intessuto stretti legami con Keynes, suggerendogli la lettura di tali opere, nelle quali si sosteneva la concezione mainstream frequentista. Ho inoltre argomentato che i primi anni a Cambridge, in cui Keynes era divenuto membro della società degli Apostoli, sono stati decisivi per la scrittura del TP. In quegli stessi anni, infatti, il filosofo Moore fu il principale riferimento intellettuale di Keynes, assumendo quasi la figura di un mentore. Inizialmente vicino alla posizione del suo maestro, Keynes se ne distanziò pian piano trovando nella concezione morale mooriana un aggancio al consequenzialismo, che sembrava parte della stessa teoria frequentista. È chiara qui la rottura di Keynes con il pensiero dominante a Cambridge.
Ho cercato di dimostrare che la critica al frequentismo va però oltre questo aspetto, a dimostrazione della profondità della posizione assunta dal giovane studioso. Keynes assume un ruolo di rottura nei riguardi di una tradizione molto forte che partiva da Hume, giungendo fino a Mill. La principale critica keynesiana è rivolta al tipo di induzione per enumerazione, che riprende e decanta i principi frequentisti. Il tipo di induzione per cui Keynes propende è invece di tipo analogico, sulla scia dell’idea introdotta, sebbene non senza
analogia è centrale negli studi keynesiani dato che viene riproposto anche quando si parla degli animal spirits, nel trasferire le conclusioni di un argomento a quelle di un altro simile ma non identico al primo.
Il Treatise on Probability è dunque un’opera di notevole spessore epistemologico, oltre che essere un buon punto di partenza per comprendere la figura di Keynes come filosofo ed economista. Protagonista nella scuola di Cambridge, Keynes ha fortemente influenzato la cultura contemporanea e l’evoluzione del pensiero economico e filosofico. È stato una figura di estremo rilievo, che ha deciso di intraprendere una strada poco battuta. Nelle parole di Bill Gerrard, dovremmo riconsiderare il contributo di un autore che “can help
to instil the right mindset needed to change the world rather than just interpreting it.” Quello che tale autore ha fornito è infatti un linguaggio nuovo,
per mezzo del quale è possibile cogliere lo spessore delle sue idee giunte fino a noi. La sua dottrina ha creato consenso e divisione, ma sicuramente ha dimostrato la congiuntura tra due discipline – l’economia e la filosofia - che sono più vicine di quanto si possa pensare.
Ciò che trovo indiscutibile è l’impatto che Keynes ha avuto in questi decenni, rendendo il suo pensiero – capace di modificarsi e di mutare con l’evolvere stesso degli eventi – intramontabile e oltre il tempo. Per tale motivo, ritengo essenziale capire bene il punto di partenza costituito dal TP, ma anche il successivo allontanamento da alcune posizioni che tale autore aveva abbracciato in quell’opera. Come sostenuto dallo stesso Keynes, infatti, “The
difficulty lies, not in the new ideas, but in escaping from the old ones, which ramify for those brought up as most of us have been, into every corner of our minds” (Keynes 1936, Preface).
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