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Il punto di partenza di Keynes: il Treatise of Human Nature di Hume

Induzione e probabilità

2. Il punto di partenza di Keynes: il Treatise of Human Nature di Hume

Hume fu il primo a porre il problema dell’induzione, e in seguito la sua argomentazione ha raggiunto lo status di ‘classico filosofico’. La fonte del problema dell’induzione in Keynes è proprio l’argomentazione del Treatise of

Human Nature di Hume, in cui viene intrapresa la discussione intorno a quello

che ad oggi definiamo “il problema della giustificazione dell’induzione”.

L’argomento di Hume ha come obiettivo dimostrare che le nostre opinioni su ciò che non abbiamo osservato, a partire da ciò che abbiamo osservato, non hanno alcuna giustificazione. Il meccanismo di inferire dall’osservato al non osservato viene utilizzato da noi quotidianamente, ma, nonostante il numero di osservazioni simili compiute in passato, non possiamo inferire nulla relativamente al futuro. Hume non parla mai di induzione, ma di inferenze relative alle connessioni causali; tuttavia oggi è chiaro a tutti che il suo obiettivo era concentrarsi su tale tipo di argomentazione.

Il ragionamento induttivo differisce da quello deduttivo ed è bene esaminarne le differenze (cf. 1-2, 3-4, 5-6):

1. È impossibile che le premesse di un argomento deduttivo siano vere e che le conclusioni siano false, in quanto la verità passa necessariamente dalle premesse alle conclusioni. Un buon argomento deduttivo preserva necessariamente la verità.

2. È possibile che le premesse (vere) di un argomento induttivo non garantiscano necessariamente che la conclusione di tale argomento sia altrettanto vera, dunque non esiste un legame necessario tra premesse e conclusioni.

4. Per quanto riguarda la validità degli argomenti induttivi, alcuni sono più deboli ed alcuni più forti di altri. Se abbiamo delle prove a favore del procedimento induttivo, l’argomento si riterrà più forte. 5. Un argomento deduttivo non porta a conclusioni ampliative e dunque non è un argomento estensivo.

6. Un buon argomento induttivo è estensivo.

In un argomento induttivo, dunque, non è necessario che conclusioni vere seguano da premesse vere. Non ci troviamo, infatti, nel caso di un argomento logico della forma p → q, dove la validità dell’argomento deve necessariamente passare dalle premesse alle conclusioni.

Il problema dell’induzione può essere, dunque, inquadrato nel modo seguente: se la logica deduttiva consente di arrivare ad una conclusione con certezza, quella induttiva fornisce solo conclusioni probabilmente vere. Dunque, se possiamo definire le inferenze deduttive come necessarie, quelle induttive devono intendersi come contingenti (Lange 2011).

Hume stabilisce inoltre che l’induzione è alla base del principio di causalità. Emerge infatti che ogni qualvolta compiamo delle inferenze induttive, esse sembrano essere supportate dal principio di uniformità della natura, ovvero dal fatto che avendo osservato eventi simili in passato congiunti tra loro, cerchiamo di stabilire tale congiunzione anche tra eventi futuri. Il nostro ragionamento si fonda su un assunto di similarità tra passato e futuro (Hume 1739). Non possiamo però arrivare a dimostrare che l’uniformità della natura

è vera, né possiamo addurre evidenze empiriche per la sua verità senza cadere nel problema della circolarità. La nostra fiducia nei confronti di tale principio non si basa su alcuna giustificazione di stampo razionale, ma su una fiducia cieca in un principio a cui siamo portati a credere psicologicamente. La conclusione di Hume sembra dunque essere diversa dal pensare di non poter fare previsioni sul futuro; piuttosto l’obiettivo è mostrare che non si può basare l’inferenza induttiva su un sentimento di fiducia.

La componente psicologica gioca di conseguenza un ruolo centrale, dato che, secondo Hume, noi affermiamo che una cosa è ‘più probabile’ di un’altra avendola vista ripetersi sempre nello stesso modo, quando invece non dovremmo avere più fiducia da cento casi di quella ottenuta da uno soltanto. L’uomo crede nell’esistenza di un rapporto di causa ed effetto anche laddove non esiste, dopo aver osservato ripetitivamente una serie dei medesimi oggetti che si ripetono nello stesso modo. La somiglianza che notiamo tra gli oggetti che si ripetono pressoché nello stesso modo dipende dal principio dell’induzione.

Hume non offre però risposta al problema dell’induzione, ma cerca di mostrare che non esiste una giustificazione che permetta di fare appello a tale principio: si potrebbe pensare, afferma, di giustificare l’induzione facendo ricorso al principio deduttivo o a quello induttivo (Hume 1739). Le inferenze induttive, però, non possono essere dimostrate deduttivamente, in quanto

mezzo di un principio induttivo ha come conseguenza la caduta in un circolo vizioso. Il problema ha dunque due aspetti: la possibilità che l’uniformità della natura venga provata attraverso un argomento dimostrativo è quasi aprioristicamente esclusa. Il secondo corno del dilemma invece punta a mostrare l’inefficienza di un’argomentazione probabile e Hume lo fa mostrando che si istaurerebbe una circolarità viziosa tra le premesse e le conclusioni.

Lo scopo di Hume non era criticare il principio induttivo, quanto piuttosto cercare di trovare una giustificazione solida per un principio di tale centralità scientifica. L’importanza filosofica dell’argomento di Hume non è pertanto da mettere in dubbio, in modo particolare per l’impatto profondo che ha avuto per tutto il XIX e XX secolo.

È possibile tuttavia che il pensiero di Hume sia stato frainteso da molti autori più recenti, che hanno visto nel suo principio induttivo solo un tipo di inferenza per enumerazione semplice. Tra questi forse proprio Keynes che, nell’analisi che vedremo più sotto, pone al centro della propria argomentazione il solo lato enumerativo dell’induzione di Hume, ritenendo di conseguenza pregnante, ma limitato, il pensiero del suo predecessore (Keynes 1921, p. 250). Appare dunque condivisibile quanto sostenuto da Roberto Gronda, secondo cui il principio induttivo di Hume può essere distinto in due diversi piani22: da un lato

22 Ringrazio il professor Gronda per avermi fatto riflettere su questo punto specifico:

l’inferenza induttiva enumerativa che anche Hume aveva osservato; dall’altro lato il principio di causa ed effetto, al quale ci affidiamo per mezzo della consuetudine e che ci fa percepire due eventi non solo come congiunti, ma anche come connessi. Gli individui si affidano ad un istinto che li porta a credere che a cause simili seguiranno effetti simili.

Dal punto di vista scientifico sembra dunque non esistere alcuna giustificazione – giustificazione che invece Hume trova dal punto di vista prettamente psicologico. Di conseguenza Hume nega quella validità aprioristica al principio induttivo, che, come vedremo, sarà invece la risposta più vicina alla teoria logicista, appoggiata dal Keynes del TP. Peraltro, molti filosofi hanno tentato di giustificare il problema dell’induzione valutando che la soluzione si trovi internamente al concetto di probabilità. È infatti naturale pensare che un’inferenza induttiva non garantisca la verità della conclusione, ma la renda più probabile di un’altra.