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Come abbiamo detto già in apertura di capitolo, Cien años de Soledad è un’opera letteraria che viene definita come universale, nonostante in prima battuta appaia come una saga familiare in un contesto, come quello latinoamericano, che di per sé è molto caratterizzante. Varags Llosa, nel suo importante lavoro sopra l’opera di García Márquez, dedica un intero capitolo sul concetto di universalità, di totalità, in relazione a Cien años de Soledad:

“Se trata de una novela total por su materia, en la medida en que describe un mundo cerrado, desde su nacimineto hasta su muerte y en todos los órdenes que la componen – en individual y el colectivo, el legendario y el histórico, el cotidiano y el mítico – y por su forma, ya que la escritura y la estructura tienen, como la materia que cuaja en ellas, una naturaleza exclusiva, irrepetible y autosuficiente.”26

Approfondire la portata di tale totalità è un’operazione molto complessa e non è questa la sede per farlo, ma è indicativo, per fare un esempio per tutti, il fatto che l’opera cominci parlando di una fondazione, di una Genesi, e termini descrivendo la fine di questo villaggio, Macondo, attraverso un diluvio - che potrebbe quindi essere letto come diluvio universale - con il quale il mondo intero conoscerà la propria fine. Il cerchio vitale dell’opera si chiude, dopo aver

delineato molti altri cerchi all’interno del romanzo. Di questo però parleremo più avanti.

Siamo di fronte ad un romanzo moderno che afferma la portata e l’esistenza stessa del cosidetto boom letterario degli anni ’60, e rientra all’interno di quella corrente letteraria che abbiamo definito realismo mágico. La componente magica e meravigliosa, infatti, esiste all’interno del mondo reale, de este mundo, ed è strettamente legata alle tradizioni e alla storia dell’America Latina: ciò che in generale accomuna tutte le opere letterarie di questa corrente è il fatto che i personaggi vivano i prodigi come naturali, come norma, e questo vale anche per Cien años de Soledad. Ciò che differenzia queste narrazioni da quelle puramente fantastiche è, come si già detto, la presentazione di una realtà che è effettivamente verosimigliante e storica, portando spesso al limite il patto e la complicità dell’autore con il lettore. Molte calzanti sono le parole di Camayd-Freixas, parlando appunto del realismo mágico in Cien años de Soledad:

“Al centro de esa tentativa están las dos estrategias típicas del realismo mágico: la ideolgía primitiva de los personajes que naturaliza lo sobrenatural y hace de los prodigios norma; la alegoría histórica que establece en el piano de la significación un víncolo fundamental con la realidad del lector.”27

L’interpretazione dell’opera, infatti, è strettamente legata all’interpretazione dalla realtà storica in cui viene concepita, e, al fine del nostro studio, questo piano di ricerca è quello che ci interessa maggiormente: Macondo, questo piccolo universo creato da García Márquez che nasce da un sistema di riferimenti e riflessioni che l’autore aveva delineato nelle sue opere precedenti, può sicuramente essere interpretato come microcosmo dell’America Latina tutta, ne è l’allegoria appunto.28 Partendo da questa consapevolezza possiamo quindi

studiare l’opera cercando di capire cosa ci può dire sulla storia del suo paese e sulle conseguenze legate allo sviluppo e al rapporto con il progresso. Molto

27 E. Camayd-Freixas, Realismo mágico y primitivismo. Relecturas de Carpentier, Asturias, Rulfo y García

Márquez, University Press of America, New York, p. 256 28 Ibid. p. 256

sommariamente, potremmo iniziare col dire che Cien años de Soledad prende spunto dalle vicende legate all’insediarsi di multinazionali straniere, come la United Fruit Company, che sfruttarono profondamente la manodopera e il territorio latinoamericano per tutto il primo novecento, nel periodo che seguì le lotte di indipendenza dal vecchio continente.

Lo strettissimo legame che esiste tra la letteratura e la realtà storica latinoamericana è sottolineato anche dallo stesso García Márquez nel suo discorso di ringraziamento alla cerimonia in cui gli venne consegnato il Premio Nobel per la Letteratura, l’8 Dicembre del 1982. Potrei citare interamente il suo discorso che, non a caso, porta il titolo di La Soledad de América Latina: l’autore descrive in poche parole e molto chiaramente la realtà di violenza che si è vissuta, e che ancora si vive, nel suo paese, enunciando una lugubre lista di cifre che tentano di dare la misura di tale situazione. Riconosce, giustamente, il fatto che anche lui, con il suo lavoro, ha contribuito in qualche modo a rendere nota questa condizione di estremo disagio e solitudine, ma anche di tanto coraggio vitale. Come in molte grandi opere letterarie latinoamericane di questo periodo, la violenza, la tragedia, si mescola con ciò che è vitale, con ciò che è meravigliosamente energico, come le due facce della stessa moneta che è l’America Latina. Ecco un passo del suo discorso di ringraziamento:

“Me atrevo a pensar, que es esta realidad descomunal, y no sólo su expresión literaria, la que este año ha merecido la atención de la Academia Sueca de las Letras. Una realidad que no es la del papel, sino que vive con nosotros y determina cada instante de nuestras incontables muertes cotidianas, y que sustenta un manantial de creación insaciable, pleno de desdicha y de belleza, del cual este colombiano errante y nostálgico no es más que una cifra más señalada por la suerte. Poetas y mendigos, músicos y profetas, guerreros y malandrines, todas las criaturas de aquella realidad desaforada hemos tenido que pedirle muy poco a la imaginación, porque el desafío mayor para nosotros ha sido la insuficiencia de los

recursos convencionales para hacer creíble nuestra vida. Este es, amigos, el nudo de nuestra soledad.”29

In realtà, il modo per rendere credibile la realtà latinoamerica García Márquez l’ha trovato, attraverso la sua letteratura. O meglio, con il suo lavoro è riuscito ad avvicinare il lettore al suo mondo rendendo visibile il prodigioso nel quotidiano (qualsiasi tipo di lettore, “del lector inteligente y del imbécil”30). Per

fare ciò, in accordo con il pensiero di Camayd-Freixas, in Cien años de Soledad si crea un “pacto ludico”31 con il lettore che si immerge nel punto di vista del

narratore arcaico ed eterodiegetico che descrive la storia della famiglia Buendía con la naturalezza dei racconti de abuela. Questo punto di vista è trasmesso dallo stile dell’autore certamente moderno che “penetra con su guiños y que modifica el estilo sencillo del relato folklórico con la compleja utilería de la narración contemporanea.”32Questa utilería narrativa di García Márquez è infatti

caratterizzata da sistemi ellittici, enumerativi e metaforici, spesso accompagnati da iperbole ed esagerazione che lo hanno avvicinato al barocchismo, non nei tecnicismi linguistici (pensiamo, per esempio, ad Alejo Carpentier) ma appunto in quel bisogno di esagerare che si avvicina poi molto alla “tecnica narrativa” che utilizzava sua nonna quando raccontava i suoi aneddoti.

Per ciò che ci interessa da vicino, è possibile notare che il livello storico viene spesso mantenuto su piano aneddotico, obliquo33: in Cien años de Soledad,

quelli che Vargas Llosa chiama “demonios históricos”34 non sono ben percepibili

come in altre sue narrazioni, quali El Coronel no tiene quien le escriba o La Mala Hora, soprattutto nella prima parte del testo, quando Macondo è ancora realmente fuori dalla Storia. In generale, comunque, il piano storico, che mantiene una relazione stretta con fatti realmente accaduti, in Cien años de Soledad appare sempre regalato a

29 G. García Márquez, Nobel lecture, La Soledad de América Latina, Stoccolma, 8 Dicembre 1982. Fonte: www.nobelprize.org

30 M.Vargas LLosa, García Márquez, Historia de un deicidio, Barral Editores, Barcelona, 1971, p. 480 31 E. Camayd-Freixas, Realismo mágico y primitivismo. Relecturas de Carpentier, Asturias, Rulfo y García

Márquez, University Press of America, New York, p. 259 32 Ibid. p. 262

33 M.Vargas LLosa, García Márquez, Historia de un deicidio, Barral Editores, Barcelona, 1971, p. 132 34 Ibid. p. 112

contesto rispetto alle vicende personali o collettive della famiglia Buendía, per quanto poi abbia un peso significativo sulle conseguenze del narrato.

Abbiamo detto che inizialmente Macondo pare essere esterno al corso della Storia, intesa come dimensione sociale e politica della collettività. Questa aldea paradisiaca non conosce le disuguaglianze economiche tipiche del mondo civilizzato e moderno: nei primi capitoli, infatti, ci viene descritto come, nel momento della fondazione e costruzione di Macondo, ogni casa fosse stata progettata e posizionata in modo tale che tutte avessero la stessa esposizione al sole e la stessa facilità nel raggiungere il fiume per attingere all’acqua. Nonostante José Arcadio e la moglie Úrsula siano fin da subito presentati come famiglia patriarcale di questa nuova realtà, inserendosi quindi all’interno della classe borghese35, tutti contribuiscono allo stesso modo per il giusto andamento della

vita della esigua popolazione del luogo. Nonostante ciò, la fondazione di Macondo nasconde già tracce del suo destino infausto: si fonda Macondo perché si sta scappando dalla morte. In molti sensi diversi. La famiglia Buendía decise di abbandonare il paese dove abitava in precedenza, Rioacha, perché José Arcadio aveva ucciso un uomo, Prudencio Aguilar, il cui fantasma lo avrebbe perseguitato per molto tempo, non solo a Rioacha. Si scappa dal passato a causa di un delitto che ha radici nelle credenze popolari: i due coniugi sono in realtà cugini, e il fatto di essere parenti li porta ad avere paura di generare un figlio con “cola de cerdo”; per questo non si consuma subito il matrimonio e, con il tempo, José Arcadio viene accusato di impotenza. Preso dalla rabbia il patriarca uccide colui che lo aveva ferito nell’onore dopo un combattimento tra galli, insinuando il dubbio dell’impotenza nella testa degli abitanti di Rioacha. Da notare però, che i due coniugi, seguiti da una ventina di amici, non scappano per paura:

“Non fue miedo (‘cuantas veces regreses volveré a matarte’) ni conciencia temerosa ante la trasgresión de la ley natural (‘si has de parir iguanas, criaremos iguanas’), sino piedad humana ante el hecho límite de la destrucción de otros,

35 V.Farías, Los Manoscritos de Melquíades: “Cien años de soledad”; burguesía latinoamericana y dialéctica de la

oposición radical a ser engendradores de muerte (‘no habrá más muertos en este pueblo por culpa tuya’). Prudencio debía poder ‘vivir’ tranquilo en el mundo de los muertos. (..) Es la relación con la muerte (..) lo que le da el carácter específico a este mundo cuya cotidianeidad comienza. (..) Los muertos son un aspecto del mundo total e intervienen en las acciones de los vivos. No se trata entoces de la interacción de dos realidades (la vida y la muerte), sino de dos aspectos de una sola realidad.”36

La morte - o meglio, scappare da essa, dalla possibilità di essere causa di morte - si pone alla base della fondazione di Macondo. Si vuol ricominciare da zero una vita che però ha radici e credenze antiche, tentando di cancellare il passato, evitando di portare a Macondo il simbolo del trascorso tragico, i galli da combattimento. Più che una genesi, la fondazione di Macondo è un tentativo di riscatto dal passato e di annullamento di ciò che c’era prima. Una fuga dalla morte in un luogo in cui nessuno era ancora morto o aveva più di trent’anni. Eppure, come abbiamo appena letto in Farías, la morte e la vita sono strettamente legati nel testo, ma lo sono anche nella mentalità dell’America Latina: come già abbiamo avuto modo di notare, Octavio Paz nel suo El laberinto de la soledad37, riflette sul fatto che nel mondo moderno (riferendosi in modo particolare agli Usa) tutto funziona come se la morte non esistesse, coltivando il culto del benessere. In Messico invece, e generalizzando un poco, in America Latina, il rapporto con la morte è sempre stato molto forte e presente all’interno della vita e delle tradizioni. Questo vale certo anche per il cristianesimo, che vede nella morte semplicemente un passaggio verso la vita eterna, ma è comunque un passaggio verso qualcosa che è oltre. In Cien años de Soledad i morti fanno parte della realtà presente, non certo nel modo in cui lo sono in Rulfo, ma sono influenti nella vita concreta di ogni personaggio. Paz ci parla del sistema nordamericano ed europeo e della discrepanza con la visione della vita che si ha in Messico:

36 Ibid pp. 39-40

“La filosofia del progreso pretende escamotearnos su presencia (de la muerte). En el mundo moderno todo funciona como si la muerte no existiera. Nadie cuenta con ella. Todo la suprime. (..) También para el mexicano moderno la muerte carece de significación. Ha dejado de ser tránsito, acceso a otra vida más vida que la nuestra. Pero, para el habitante de Nueva York, París o Londres, la muerte es la palabra que jamás se pronuncia porque quema los labios. El mexicano, en cambio, la frecuenta, la burla, la acaricia, duerme con ella, la festeja, es uno de sus jugetes favoritos y su amor más permanente.”38

Ecco, come abbiamo già visto in Rulfo, ciò che mi interessa sottolineare è che l’America Latina porta con sé una visione del mondo che include sempre la vita ma anche la morte, la violenza ma anche il vitalismo positivo, piena di contraddizioni interne quindi, e che non è riuscita ad essere valorizzata e compresa dall’esterno a causa della sua complessità intrinseca, come diceva appunto García Márquez nel suo discorso alla cerimonia del Nobel, ma neppure da chi teoricamente doveva compartire la sua visione del mondo: pensiamo ai numerosissimi regimi dittatoriali eretti da personalità latinoamericane che hanno fallito nell’impresa di gestire la libertà del proprio popolo; ma, a livello della letteratura, come non pensare ad Henri Christophe, il dittatore negro ammaliato dai modelli francesi? Quando si applicano strutture che sono esterne e importate da società straniere, il risultato non è mai profondamente positivo, e risulta come fuori posto – misplaced39. Questo vale sia per l’influenza che il mondo occidentale

ha avuto sulla cultura e sulla politica ispanoamericana almeno fino al XIX secolo, ma anche per coloro che, dopo aver raggiunto un’indipendenza, hanno continuato a guardare fuori dal proprio mondo per trovare le strutture adatte a governare. Nella letteratura ispanoamericana, nel momento in cui si riesce a staccare gli occhi dai modelli letterari stranieri, si ha un prodotto unico e di altissimo livello, apprezzato in tutto il mondo. È il caso delle opere letterarie che in questa tesi abbiamo preso in esame.

38 O. Paz, El Laberinto de la Soledad, Ediciones Cátedra, Madrid, 2015, pp. 200-201 39 Vedi R. Schwartz, Misplaced ideas: literature and society in late nineteenth-century Brazil, 1992

Torniamo adesso allo studio del testo. Dopo il primo periodo di isolamento paradisiaco, Macondo entra nella Storia attraverso il contatto con l’esterno, e è da qui che inizia la lenta evoluzione-involuzione dell’aldea: possiamo appunto parlare di involuzione perché, come vedremo, Macondo attraverserà fasi contrassegnate dal progresso economico, tecnico e sociale, ma la traiettoria sarà poi destinata ad essere quella involutiva del fallimento, della solitudine, e non quella della prosperità serena e duratura. Vargas Llosa, a tale riguardo, scrive:

“Su historia condensa la historia humana, los estadios por los que atraviesa corresponden, en sus grandes lineamientos, a los de cualquier sociedad, y en sus detalles, a los de cualquier sociedad subdesarrollada, anque más específicatamente a las latinoamericanas.”40

Macondo rappresenta l’America Latina. Macondo rappresenta, quindi, almeno simbolicamente e per grandi linee, il percorso evolutivo che ha vissuto questo continente. In Cien años de Soledad Macondo entra nel Storia nel momento in cui Úrsula, dopo una spedizione nella palude alla ricerca del figlio José Arcadio fuggito con i gitani, fa ritorno a Macondo senza il figlio ma avendo trovato la via verso la società civilizzata e, quindi, verso il progresso. Macondo in poco tempo si trasforma: il tempo, prima scandito dal cinguettare degli uccelli, è adesso segnato dagli orologi, simbolo stesso nella società “burocratizzata”. Arrivano effettivamente anche le istituzioni: il Governo, impersonificato da Apolinar Mascote (El Corregidor) e la Chiesa, rappresentata da padre Nicanor Reyna.

Già il patriarca José Arcadio Buendía aveva intrapreso una spedizione fuori Macondo, verso il nord, per cercare una via che mettesse in comunicazione l’aldea con il mondo, ma il tentativo fu vano. Era stato mosso da quel desiderio di conoscenza causato dall’inquietudine intellettuale “seminata” dal gruppo di zingari che, ogni marzo, arrivava a Macondo e “con un grande alboroto de pitos y

timbales daban a conocer los nuevos inventos”.41 Questi nuevos inventos, infatti,

altro non erano che oggetti, più o meno all’avanguardia, non ancora conosciuti in quella parte di mondo. È chiaro che la relazione che si instaura tra i macondini e i gitani è simbolo della relazione tra il mondo provinciale e “el vasto y ajeno mundo universal con todas las perturbaciones que ello supone”.42Le

perturbazioni di cui parla Farías sono appunto la causa del desiderio che spinge José Arcadio verso la ricerca di una via di collegamento che possa così aprire Macondo verso la conoscenza e verso i progressi che si stanno raggiungendo nel mondo esterno. Un dato curioso da notare è che in questa prima spedizione il patriarca e i suoi uomini trovano i resti di un galeone spagnolo, che simboleggia il passato coloniale del luogo in cui il testo è ambientato, l’America Latina appunto, come se García Márquez non volesse far sorgere alcun dubbio al lettore su dove localizzare la narrazione. Il capo della tribù di nomadi che giungono ogni marzo a Macondo è uno dei personaggi più importanti di tutto il testo: Melquíades, il saggio gitano che porta con sé le novità, è colui che saprà curare Macondo dalla peste “del olvido” e sarà colui che, scrivendo le sue pergamene da interpretare, aprirà i cento anni di solitudine di Macondo, prevedendo il destino di questo paese e dei Buendía. Melquíades muore in quello che possiamo definire indicativamente come quarto capitolo di Cien años de Soledad (visto che l’opera in realtà non fu numerata da García Márquez, probabilmente con l’intento di definire ancora meglio lo statuto circolare e fluente di tutto l’apparato narrativo) e sarà il primo morto sotterrato a Macondo. Siamo quindi agli albori della narrazione, eppure, come verrà poi rivelato in seguito, nelle pergamene del gitano il destino di solitudine di questo paese era già stato definito, nero su bianco. Con il capitolo successivo, si chiude idealmente la prima fase di Macondo, quella appunto della fondazione e dei primi passi verso la sua civilizzazione e istituzionalizzazione.

Già in questa prima fase, è possibile identificare il nucleo tematico che stiamo esaminando in questa tesi: i nuevos inventos, che sono il simbolo di un

41 G. García Márquez, Cien años de Soledad, Ediciones Cátedra, Madrid, 1991, p. 79

42 V.Farías, Los Manoscritos de Melquíades: “Cien años de soledad”; burguesía latinoamericana y dialéctica de la

progresso tecnologico piuttosto spicciolo e non del tutto “innovativo” in senso globale, portano, come abbiamo visto, José Arcadio verso il desiderio intellettuale, certo, ma gli fanno perdere il senno, almeno per un certo periodo di tempo. Il patriarca è caratterizzato da una propensione d’animo che lo spinge verso la curiosità folle per il nuovo, facendogli perdere di vista i suoi doveri di padre, oltre che quelli di patriarca della società che lui stesso ha fondato e di cui è guida. Una calamita, una lente di ingrandimento, strumenti di calcolo e mappe, un laboratorio di alchimia, il ghiaccio, sono queste le “nuove” invenzioni presentate dai gitani che affascinarono José Arcadio e che volle a tutti i costi possedere. Dal punto di

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