• Non ci sono risultati.

3.1 Cenni biografici e contesto storico

3.1.2 Rulfo e la sindrome “de Bartleby”

Enrique Vila-Matas nel 2000 pubblica Bartleby y compañía, un’opera di difficile classificazione: una sorta di diario romanzato che però risulta essere un interessante studio metaletterario. Vila-Matas si propone di studiare i numerosi casi di autori che, ad un certo punto della propria carriera, decidono di non scrivere più, o comunque di non pubblicare più nessuna opera letteraria, affermando quindi il loro No alla letteratura. Uno dei primi esempi che Vila-Matas porta nel testo è appunto quello di Juan Rulfo, che, come abbiamo appena visto, dopo aver pubblicato nel giro di pochi anni due importanti opere narrative, rimarrà “in silenzio” per il resto della sua vita. Per quale

15 José C. González Boixo, Claves narrativas de Juan Rulfo, Colegio Universitario de Leon, Leon, 1980, p. 43 16 Ibid. p. 46

motivo? Questo è il quesito che si pone l’autore dello studio. Vila-Matas ci riporta la risposta che Rulfo dava quando gli veniva chiesto perché non scrivesse più:

“Es que se me murió el tío Celerino, que era el que me contaba las historias.”17

Questa spiegazione pare ironica o comunque un poco assurda: secondo Vila- Matas, è una delle scuse più originali che si potevano dare per giustificare la propria negazione alla scrittura, ma, anche all’interno della sua assurdità, ci dice qualcosa di vero e curioso sulla personalità di Rulfo. Lo studio in questione parte dal fatto che in qualche occasione lo scrittore messicano aveva affermato che non sapeva come fosse riuscito a scrivere il Pedro Páramo, poiché era come se la storia gli fosse stata dettata dalla sua mente. Villa-Matas, perciò, accosta Rulfo alla figura di un semplice copista, un Bartleby messicano: Bartleby è il solitario protagonista di una delle opere che hanno forse aperto la strada al modernismo, il racconto Barteleby, the Scrivener: a Story of Wall Street di Herman Melville del 1853. Barteleby è un copista impiegato in un ufficio nordamericano che vive una vita molto solitaria e passiva. Fa il suo lavoro diligentemente ma è caratterizzato da “una turbadora tendencia a la negación del mundo”18, evitando infine

attività con un “I would prefer not to”. Secondo Vila-Matas questo personaggio è l’emblema del negarsi al mondo, del negare la possibilità di una creazione artistica che potrebbe nascere solo nel caso in cui un uomo corra il rischio di scrivere, di mettersi in gioco, e non rimanere un semplice scrivano che copia ciò che scrive. Sicuramente in Melville si ha il seme della generazione modernista che vedrà il suo sviluppo e culmine nel 1900. Partendo da questo uomo-tipo, Vila-Matas parla di una vera e propria sindrome di Barteleby che affetta molti autori in tutto il mondo e che, secondo l’autore, è un malessere tipico della contemporaneità:

“Hace tiempo ya que rastreo el amplio espectro del síndrome de Bartleby en la literatura, hace tiempo que estudio la enfermedad, el mal endémico de las letras contemporáneas, la pulsión negativa o la atracción por la nada que hace que ciertos

17 E. Vila-Matas, Bartleby y compañía, Editorial Anagrama, Barcelona, 2000, p. 16 18 Ibid. p. 14

creadores (..) no lleguen a escribir nunca; o bien escriban uno o dos libros y luego renuncien a la escritura.”19

Rulfo fa quindi parte di questo gruppo di autori che, dopo le sue prime produzioni narrative, si nega alla letteratura con la scusa, in sintesi, di essere stato un semplice scrivano delle storie raccontategli dallo zio Celerino: effettivamente Rulfo smise di scrivere poco dopo la morte di questo zio che era stato per lui un’ispirazione fin da bambino, quando lo accompagnava nei suoi viaggi di lavoro e ascoltava le sue storie, spesso probabilmente inventate, “mentiras”.20 Vila-Matas non ci da una risposta

concreta sulle reali motivazione per le quali questa compagnia di autori decide di non scrivere, ma ci dice che:

“a pasear por el laberinto del No, por los senderos de la más perturbadora y atractiva tendencia de las literaturas contemporánea (..) se encuentra el único camino que queda abierto a la auténtica creación literaria: una tendencia que se pregunta qué es la escritura y dónde está y que merodea alrededor de la imposibilidad de la misma”21

Questo negarsi alla creazione artistica ci fa comunque riflettere su un fatto curioso della vita di Rulfo: nel momento in cui si è cercato di delineare la sua biografia, si è detto che in molti casi gli studiosi hanno avuto delle titubanze e dei dubbi circa date ed eventi; lo stesso Rulfo, infatti, non dava mai dettagli precisi oppure in occasioni diverse dava informazioni contrastanti. Come appunto diceva dei racconti dello zio Celerino, anche quello che scriveva “eran puras mentiras”22 e questo ci fa supporre che forse

anche ciò che lui stesso raccontava della sua vita privata lo era. La sua biografia è permeata da falle, omissioni, menzogne, e, al di là della motivazione personale per la quale lo faceva, questo atteggiamento è un sintomo della sua epoca: la letteratura stessa doveva far fronte a falle che la storiografia ufficiale aveva lasciato per silenziare la violenza subita in queste parti del mondo. Ecco, attraverso l’invenzione, la menzogna

19 Ibid. p. 12

20 Ibid. p. 17 21 Ibid. pp. 12-13 22 Ibid. p. 17

creativa, si poteva dar voce a fatti che non erano stati raccontanti o raccolti nei libri di Storia, aggiungendo certo dettagli romanzeschi ma, attraverso le tradizioni popolari e la creazione, restituire dignità al popolo, in questo caso il popolo messicano. Il fatto che poi Rulfo abbia deciso di non scrivere più non trova una vera risposta, ma, in accordo con Vila-Matas, può leggersi come una propensione storica alla negazione, negazione di fronte a fatti sconcertanti e deludenti, che infine ha attecchito anche nella stessa pulsione a scrivere dell’autore che, dopo aver trascritto ciò che lo zio gli aveva narrato, dopo aver ascoltato il dettato della sua memoria, ha deciso di astenersi dal continuare a farlo.

Documenti correlati